Robert
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Robert - Dora Giaccari
Dalla penna dell’autrice il sequel de L’ombra senza volto.
Ritroviamo il detective Robert Gandolfi, personaggio gradito al lettore, così intrigante, umano e allo stesso tempo surreale, ad affrontare ancora i suoi demoni.
Pensava di essere al sicuro, ormai non c’era più il passato, le sue visioni, i suoi presagi a tormentarlo. Finalmente, aveva ritrovato l’amore della sua vita, aveva chiuso il male per sempre, tra le mura di una cella, oltreoceano. Ora poteva guardare al futuro, era lontano dai suoi incubi… o almeno così credeva, fino a che il destino, non torna a bussare alla sua porta. Ma quale faccia avrà questa volta? Cosa gli starà riservando quel fato, che lo stava ancora gravando, di tutto il dolore del mondo? Possibile che la sua intelligenza, la sua sagacia, questa volta lo abbiano abbandonato? Chi sarà il nemico oscuro, pronto a colpirlo? E poi, si troverà di fronte, l’enigma che non avrebbe MAI voluto risolvere…
Dora Giaccari nasce nel Salento, nel 1956.
Donna eclettica e curiosa della vita, ama tutta la narrativa, tanto da iniziare a dare forma scritta al suo immaginario.
Robert è la sua seconda opera a tinte gialle che continua la narrazione iniziata ne L'ombra senza volto.
Questo libro è un’opera di fantasia.
Nomi, personaggi ed eventi sono frutto dell’immaginazione dell’autore e vengono usati in maniera fittizia.
Tranne i luoghi, qualsiasi somiglianza con fatti o persone reali, vive o defunte è assolutamente casuale.
PROPRIETÀ LETTERARIA
TUTTI I DIRITTI SONO RISERVATI ALL'AUTORE
ISBN 9788822851116
Sviluppo eBook a cura di
Andrea D'Alba
[formattingbooks@gmail.com]
INDICE
Il dramma ha inizio (New York)
Robert e Raffaele (Roma)
La nuova identità (New York)
Mary Anne e il giardino (Roma)
L’agguato (New York)
I tormenti si infittiscono (Roma)
Uccidere è sempre un fallimento!! (New York)
La drastica decisione (Roma)
Stéphanie (New York)
Samuel Donhel
La frana prende corpo
Mary Anne chiude il cerchio
L’alter ego
Le tessere aumentano
Scacco Matto
Epilogo
La vera conoscenza deriva soltanto
o da un sospetto
o da una rivelazione.
( Herman Melville )
All’ispiratore di Robert, lui sa chi è.
II DRAMMA HA INIZIO
(NEW YORK)
A New York non tirava una buona aria, mai si erano visti tanti morti ammazzati dai tempi delle lotte tra famiglie mafiose per il dominio sul territorio. Ma questa volta era diverso, non erano solo i malavitosi a perdere la vita, ci andava di mezzo anche gente innocente, non era la stessa violenza del passato, questa era esasperata, senza limiti. Da circa un anno regnava la totale anarchia, le forze dell’ordine non riuscivano più a gestire, l’ondata nefasta che si era scatenata, e l’F.B.I. era dovuta intervenire. Da quando il detective Gandolfi si era trasferito in Italia, sembrava che avessero sciolto tutte le catene, che i malavitosi si fossero dati il passaparola, dando libero sfogo a tutte le peggiori attività di loro gestione. Gandolfi non aveva ancora voglia di tornare a New York, ne aveva passate troppe, occorreva trovare qualcuno che prendesse il suo posto. Come se fosse facile! Ma i federali non potevano più rimanere semplici osservatori, di fronte ad una comunità in ginocchio, da qualcosa bisognava pur iniziare, il rischio di un potere parallelo allo stato era inaccettabile. L’America non si era piegata di fronte al terrorismo, figurarsi di fronte ad un attacco malavitoso! C’era stato un summit tra i vertici dell’F.B.I., segretissimo, avevano preso delle decisioni che sarebbero rimaste nascoste in quella stanza della sede centrale…
George Sullivan si guardava intorno un po’ contrariato, per essere stato allontanato così repentinamente, dal suo lavoro e dai suoi impegni. Aveva lasciato Quantico il giorno prima, per raggiungere New York, era un ordine e lui, era stato abituato ad obbedire. Non conosceva la ragione per cui era stato convocato dal capo supremo, alla sede centrale, ma qualsiasi cosa fosse non aveva avuto alternativa. Non gli piaceva New York, il suo mondo era chiuso all’interno dell’accademia dei futuri agenti dell’F.B.I., a Quantico, lui viveva lì e plasmava i futuri detective, nella sezione di scienze comportamentali. Era un conoscitore delle devianze di una mente criminale, su come non farsi fagocitare dalle capacità manipolatorie di quei soggetti e, come neutralizzarli, ancor prima che potessero manifestare, con azioni, le loro devianze. Amava insegnare, vi dedicava tutta l’anima e sperava ogni volta che si trovava davanti i nuovi allievi, di essere in grado di far capire l’importanza di quello che diceva, ne andava della loro vita. Guai a sottovalutare il confine tra Stato e contro lo Stato, talmente irrisorio, che una personalità debole e non ben strutturata, poteva varcarlo senza rendersene conto. Questo era il suo compito, confezionare il carattere di quei giovani, che pensavano di sapere tutto sulla vita, ma ancora non conoscevano affatto cosa li aspettava. Toccava a lui, spremerli come arance, capire se erano adatti o meno a quel tipo di impegno, doveva sentire la loro forza psichica. Avrebbero rappresentato la legge e il rispetto delle sue norme, da lì non sarebbero mai usciti con un distintivo se non avessero avuto come unico credo Fedeltà, Coraggio, Integrità
. Non era un caso, il motto che doveva essere impresso a fuoco nel cuore di chi intendeva intraprendere la strada, che avrebbe portato all’F.B.I., George a 40 anni suonati, viveva per quello. Aveva abbandonato le velleità dell’azione sul campo, col passare degli anni aveva capito che insegnare era altrettanto importante, dell’essere in prima fila. Non si era mai sposato, quando aveva pensato di farlo era ormai troppo tardi, per tutto. Viveva bene da solo, si era abituato, l’amore richiedeva tempo ed energie; di tempo con il lavoro (che considerava piuttosto una missione) ne aveva ben poco, in quanto alle energie le impiegava tutte a perfezionarsi per non rimanere indietro.
Ogni giorno, spuntavano nuove metodiche, nuovi studi e lui, voleva conoscerli tutti. E poi amava prendersi cura del suo corpo, per dare l’esempio: alto quasi 1.90 corpo massiccio e muscoloso, sguardo attento, capelli cortissimi come da regolamento, moro, occhi scuri, che difficilmente esprimevano i suoi pensieri, e una forza incredibile nelle braccia acquisita proprio grazie agli esercizi, a cui volontariamente si sottoponeva. Possedeva il fascino dell’uomo maturo, accompagnato da quel fisico atletico che distanziava di molti punti, gente molto più giovane di lui. Se fosse stato un suo intento, avrebbe potuto sognare qualsiasi donna, in molte avevano cercato di intraprendere una storia seria, ma lui, non era mai stato veramente pronto al grande passo. La sua era vita spartana, nessun eccesso, neanche nel privato, solo la rigidità del ruolo che ricopriva e che lo aveva formato fin da giovanissimo. Anche nell’abbigliamento rispecchiava l’atteggiamento militaresco: fuori dalla divisa esistevano solo jeans, magliette e gli eterni scarponcini in dotazione, qualsiasi fosse la stagione dell’anno. Quando si ritagliava uno scampolo di tempo libero, lo trascorreva al circolo ufficiali dell’Accademia, per una partita a biliardo, tanto per rompere la monotonia delle sue giornate. E poi c’erano i suoi amici e colleghi, molti come lui vivevano all’interno di quelle mura, e puntualmente lo invitavano, magari a cena o per una birra, pur sapendo che avrebbe declinato l’invito. Non era certo uno snob, solo preferiva mantenere il suo standard. Questa era la sua vita, fino a due giorni prima, quando con una telefonata era stato appunto convocato al quartiere generale dell’F.B.I., dal guru in persona. Quella chiamata non aveva niente di buono, vagliò varie ipotesi: forse lo assegnavano ad un’altra sezione? Forse senza accorgersene, aveva commesso qualche infrazione? Uhm… non l’avrebbe chiamato il capo supremo. Troppo pratico, per restare a cavillare su domande senza risposta, decise che era meglio varcare quel grande accesso, per conoscere subito qual’era il motivo della convocazione. L’attesa durò circa mezz’ora, poi finalmente, oltrepassò quella soglia che in pochissimi potevano vantarsi di aver visitato. Era una specie di santuario, chi vi entrava era già in difficoltà davanti a quell’enorme stanza, circondata su tutte le pareti da librerie in legno scuro che arrivavano fino al soffitto. Non ebbe nemmeno la curiosità di guardare di che libri si trattasse, desiderava solo uscire da lì, quanto prima. L’aria severa che respirava, gli creava il disagio di uno scolaretto al primo giorno di scuola. Al centro della stanza, tutta arredata alla stessa maniera come la libreria, prendeva posto una enorme scrivania, la cui poltrona possedeva uno schienale così alto, da sembrare un trono; dietro delle pesanti tende, coordinate con tutta la tappezzeria dell’arredo. Erano chiuse, ed oscuravano la luce del giorno. Sulla scrivania, all’angolo sinistro, una lampada che aveva la pretesa di illuminare la stanza, in realtà riusciva solo a far luce sull’area del piano che la accoglieva e poi, cosa non secondaria, all’angolo opposto prendevano posizione sei telefoni. Erano proprio sei! George pensava di aver visto male e rifece la conta. Più che l’ufficio del guru, sembrava una di quelle stanze in cui vengono sottoposti ad interrogatori i sospetti, tanto l’austerità faceva da padrona. Era rimasto in piedi, in attesa che l’uomo seduto dietro la scrivania si decidesse a sollevare il capo da quello che era intento a leggere…ma che diavolo… era la sua scheda personale, con tanto di foto! Adesso davvero non capiva più niente. Non si scompose, era chiaro che il suo interlocutore aveva messo apposta in bellavista quel che leggeva: «Buon giorno, ufficiale Sullivan»
«Buon giorno signore»
«La prego si accomodi»
«Grazie» si sedette rigido, su una di quelle poltroncine rosso amaranto, che a semicerchio stavano dal suo lato; senza un motivo plausibile scelse quella al centro, mettendosi così faccia a faccia con il guru. Quell’uomo per lui era uno sconosciuto, ne aveva solo sentito parlare come di una entità, con il potere di disporre del presente e del futuro di tutti gli uomini che lavoravano per l’F.B.I. Nessuno era certo del suo nome, lo chiamavano il guru
, proprio per la riservatezza che aleggiava intorno a lui. Senza età, tanto era indefinita, poteva avere dai 60 ai 70 anni, non si capiva, magro, capelli molto brizzolati lunghi e lisci, pettinati tutti indietro, con due lievi accenni di calvizie ai lati delle tempie. Sulla mano sinistra, all’anulare, un grosso anello d’oro, con la parte superiore quadrata e un’incisione che non ebbe modo di capire cosa rappresentasse. Il viso, non manifestava nessuna espressione, solo le folte sopracciglia erano appena corrucciate, come se i fogli che avesse davanti, gli stessero rivelando uno dei misteri della fede. Il pensiero di George fu che quello era un atteggiamento, per confondere lui e impedirgli di elaborare qualsiasi ipotesi. Dire che vestiva in modo eccellente, non gli rendeva giustizia, per la ricercatezza del suo abbigliamento: abito blu scuro, camicia bianca perfetta con i gemelli ai polsi, cravatta in sintonia con l’abito. George pensò a se stesso, con quell’abbigliamento ma, per quanto si sforzasse, non riuscì ad immaginarsi in quelle vesti. Il guru lo guardava dritto negli occhi, con una forma di sicurezza simile a quella di un capo di stato che sta per dare un ordine insindacabile:
«Questo incontro non è mai avvenuto» esordì così «Indipendentemente da quello che deciderà, tanto meno quello che ascolterà in questa stanza. Mi ha capito?»
«Si, signore» la risposta di George, fu secca e precisa, come la domanda che gli era stata posta; anche quando parlava, quell’uomo era in grado di incutere una forma di sottomissione: «Bene» premette il tasto dell’interfono e: «Signora Martin, faccia entrare il capo Miller». Il capo Miller? Ma che accidenti era tutta quella storia? Era il capo della sezione omicidi e anticrimine, cosa c’entrava con lui? Entrò, lo aveva visto spesso a Quantico, specie in quell’ultimo periodo. Ogni tanto gli operativi si affacciavano all’accademia, in cerca di gente speciale, forse era il motivo per cui era stato interpellato, forse avevano bisogno di un parere professionale su qualche allievo… Il capo Miller fece un cenno di saluto a George, si erano incrociati tante volte e avevano anche scambiato spesso opinioni sulle metodiche d’insegnamento. Ma, era già stato tutto organizzato da tempo? Miller prese posto sull’altra poltroncina, di fianco alla sua, ma non proferì parola in attesa del benestare dell’uomo dietro la scrivania: «Veniamo a noi George, posso evitare le formalità?» quell’uomo cominciava a non piacergli, doveva saperla molto lunga, era il suo mestiere leggere nella testa