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Il gaullista di Parma
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Il gaullista di Parma

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About this ebook

Come non raramente accade, questa narrazione (o meglio ‘falsa’ autobiografia) è

nata in seguito al ritrovamento di una scatola da scarpe zeppa di medaglie al valore

militare, di appunti scritti a mano e di documenti ingialliti appartenenti a un lontano

parente. Leggendo le sue note in francese o italiano e parlando con gli unici

superstiti della famiglia che l’avevano conosciuto, mi sono appassionato alla sua

storia, quasi quanto, da ragazzo, leggendo i libri di Salgari. Solo che Salgari scriveva

storie di fantasia. Queste avventure erano vere, puntualmente suffragate da

date ed eventi storici. L’originalità di questo racconto sta nell’intrecciarsi di una

vita sentimentale tumultuosa e avventurosa ed eventi storici che pochi hanno

avuto l’occasione di vivere in prima persona ed in prima linea: lo sbarco in Normandia,

la liberazione di Parigi, i rapporti con De Gaulle e Leclerc, la liberazione

dell’Alsazia, l’entrata a Dachau, l’ispezione al Nido delle Aquile, la fucilazione

delle SS francesi e infine, quasi non bastasse, la terribile guerra di Liberazione Algerina

vissuta in una sorta di limbo fra la dura repressione francese e i ragazzi

protagonisti della guerriglia con i quali comunicava come pochi conoscendo i

dialetti berberi. Il Maréchal Joseph Arneodo (questo era il suo nome), con impulsività,

entusiasmo e incoscienza da eterno ragazzo (fino alla morte ha dormito

con la pistola sotto il cuscino) ha vissuto eventi storici fra i più significativi del

‘900.
LanguageItaliano
Publishereditrice GDS
Release dateSep 30, 2016
ISBN9788867825547
Il gaullista di Parma

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    Il gaullista di Parma - Guglielmo Mariani

    Guglielmo Mariani

    Il gaullista di Parma

    romanzo

    EDITRICE GDS

    Guglielmo Mariani Il gaullista di Parma ©EDITRICE GDS

    EDITRICE GDS

    di Iolanda Massa

    Via G. Matteotti, 23

    20069 Vaprio d’Adda (MI)

    tel.  02 9094203

    e-mail: edizionigds@hotmail.it ; iolanda1976@hotmail.it

    Foto in copertina di ©Guglielmo Mariani

    Deposito SIAE 28/10/2013

    TUTTI I DIRITTI RISERVATI.

    In memoria di Joseph Arneodo

    Introduzione

    Era una bella giornata di primavera del 1968, stavo recandomi a una manifestazione di ex combattenti. Mi ero alzato presto: dopo quella terribile ferita di guerra che mi privò del sonno, non mi riusciva di stare a letto a lungo. Quando filtrava la luce fra le griglie degli scuri dovevo alzarmi e avevo imparato a farlo in silenzio, per non svegliare Louise. A lei il sonno non mancava e, per fortuna, la nostra casa era al riparo dai rumori della città, pur essendo in pieno centro, a due passi dalla chiesa della Madeleine. Erano dieci anni che non dormivo, il valium riusciva a farmi chiudere gli occhi per un’ora al massimo. Ma nella vita ci si abitua a tutto.

    Preparai la colazione per me e per Louise. Ero sceso furtivo a comprare i croissant e il pane, sottocasa: che profumo emanava da quel forno la mattina! Lei dormiva ancora. Sistemai tutto su un vassoio che portai in camera. Louise si stava stiracchiando e aprii uno spiraglio della finestra.

    Buongiorno Joseph…a che ora devi uscire?

    La manifestazione inizia alle dieci abbiamo un appuntamento con Frédric e Georges al Rond Point…

    Allora non hai molto tempo, devi vestirti, prendere le medaglie…a che ora debbo raggiungerti?

    Penso all’ora di pranzo, fammi controllare la lettera d’invito… Lessi l’invito e:

    Ci possiamo vedere all’una a Boulevard Haussmann, ti va bene al solito posto?

    Bene, a più tardi.

    Mi rasai, feci la doccia, mi vestii, controllai che le medaglie fossero ben appese alla giacca. Presi il cappello, diedi un bacio a Louise e feci per uscire quando Louise mi chiamò:

    Joseph, hai riposto la pistola?

    Certo, quando mi sono svegliato…

    Lo sai che mi fa paura, sotto il cuscino…

    Non mi sento sicuro senza di lei… anche per la tua sicurezza

    Ed io non mi senti sicura con lei…

    Un giorno, quando… lo sai che non devi temere… sono quasi vent’anni che mi tiene compagnia. E uscii, non erano ancora le nove. La giornata era fresca, soleggiata e la città era già animata, nonostante fosse Sabato. Poco dopo sbucai in piazza de la Madeleine, salii quei pochi gradini maestosi, mi affacciai alla chiesa, mi segnai, dissi una piccola preghiera e scesi. Avere quella meraviglia a due passi da casa e non approfittarne mi sembrava un delitto. Così facevo ogni giorno. Scesi giù per rue Royale e girai su Fauburg St. Honoré, attraversai la strada e, dopo pochi metri, fui fermato da un giovane gendarme che mi aveva rincorso il quale mi disse, non troppo gentilmente, ma neppure troppo rudemente, che mi dovevo spostare sul marciapiede opposto. Chiesi:

    Perché?

    Per ragioni di sicurezza!

    Sono sempre passato su questo marciapiede e nessuno mi ha mai detto niente! Abito lì dietro e questa zona la conosco come le mie tasche. Il gendarme si stava spazientendo, ma il modo con cui mi aveva fermato non mi era piaciuto. Lui stava sul mio fianco destro, allora mi girai e misi in evidenza le medaglie. Trasalì... ma gli ordini erano ordini:

    Mi scusi ma poco più in là c’è l’Eliseo e il corteo del Presidente De Gaulle esce fra poco…

    Lo conosco De Gaulle… Nel frattempo un’ufficiale che controllava la discussione da lontano, forse reputando che il giovane gendarme fosse in difficoltà, era sceso dall’auto all’incrocio con Rue Royale e si era avvicinato di gran passo. Una volta a pochi metri:

    C’é qualche problema? Io mi girai e dissi:

    Tutto risolto, De Gaulle deve uscire e quindi debbo andarmene… L’ufficiale, sorrise, guardò il mio medagliere e disse al giovane collega:

    Il nostro soldato pluridecorato e Grande Invalido necessita di un’attenzione particolare, ci penso io… E, rivolto a me, avviandomi ad attraversare la strada:

    Mi scusi, signore le sue medaglie mi incuriosiscono molto, non è facile incontrare un pluridecorato, posso farle qualche domanda?... Qualche domanda sulle campagne? Possiamo sederci lì? E mi indicò il tavolino di un bar su una traversa. E ci dirigemmo al tavolino, e dimentico dell’appuntamento al Rond Point replicai:Naturalmente, ma ci vuole un pò di tempo… l’ho conosciuto De Gaulle, durante la guerra…

    Immagino, è per sicurezza che teniamo libero il marciapiede dal lato dell’Eliseo, sa dopo l’attentato al Petit Clamart e le altre cospirazioni, non si è mai troppo cauti… Ma mi spieghi: come ha fatto ad accumulare così tante medaglie?

    Non sono morto, è semplice e ho combattuto dal ‘41 al ‘45 e dal ‘53 al ‘58; hanno tentato a farmi fuori, i nemici e i mei commilitoni, ma non ci sono riusciti!

    I nostri?

    Anzi loro ci erano andati più vicino dei tedeschi e degli HLL (nota 1)….

    Vedo che nonostante tutto è ancora intero!

    Lo prendo come un complimento, ma mi sono perso alcuni pezzi e ho qui un pezzo di granata che mi protegge il cervello; senza quello il cervello sarebbe esposto… Capì la mia risposta in un certo senso risentita e io cotinuai:

    Anzi, penso di avere sperimentato il napalm per primo, l’ho gustato in bocca...e ne ho apprezzato il profumo…forse sono l’unico sopravvissuto al Napalm (nota 2).

    Ma non è bandito?

    Allora forse non lo era...e comunque la nostra aviazione lo usava, in Algeria. Un pò imbarazzato mi disse:

    Mi dica delle medaglie!

    Cominciamo da questa… Indicando la prima medaglia.

    Questa è la ‘Croce di Combattente Volontario, 1939-1945’ che mi è stata data alcuni giorni fa, per il mio servizio durante l’ultima guerra, dalla Normandia alla Baviera…

    E questa?

    Questa è una ‘Croce al Valor Militare’ con Palma datami per un’episodio della Guerra d’Algeria durante un rastrellamento di HLL…che per poco non mi costava la vita, non per colpa dei terroristi ma dei miei commilitoni, ma…cambiamo argomento,  e questa è un’altra ‘Croce di Guerra con Palma’ per un episodio all’inizio della guerra quando ancora prestavo servizio come volontario nei Corpi Francesi d’Africa, prima di entrare nelle FFL (nota 3). Quella volta presi ai tedeschi un grande obice 88, l’ha mai visto un 88? e una gran quantità di munizioni. La successiva è la ‘Medaglia Coloniale’ datami per la campagna di Tunisia 1942-43.

    Quest’altra?

    A questa tengo moltissimo, anche se non è personale, riguarda la citazione a tutta la 2a Divisione Blindata ‘Leclerc’ che ha comportato la Croce di Guerra con Palma alla bandiera della divisione; la nostra divisione ha riscattato la Francia…e…la successiva è una Croce di Guerra con stella d’Argento per la battaglia di Grussenheim. Anche a questa tengo molto perché fu Leclerc stesso a darmela e a scrivere la motivazione. La successiva è uguale, ma è per una diversa battaglia quella di St.Quiren/Rethal, sempre Croce di Guerra con Stella d’Argento.

    La successiva mi sembra di bronzo…

    Questa è la ‘Medaglia Militare al Valore e alla Disciplina’ rilasciata dalla Legion d’Onore e questa, infine, è forse la più amata, anche se non individuale: è la Presidential Unit Citation rilasciata dal Presidente Truman, la più alta decorazione non individuale, data alla 2a Divisione Blindata di Leclerc per la liberazione di Strasburgo. È stata epica quella campagna, Leclerc nel ‘41 l’aveva giurato che avrebbe liberato Strasburgo, ma chi gli credette? Credo di aver finito, sono orgoglioso di questi riconoscimenti…

    Lo credo bene… la ringrazio di avermi mostrato come i nostri padri in momenti molto difficili della nostra storia abbiano saputo raddrizzare la schiena, grazie signore! Mi fece il saluto, poi ritornò alla sua postazione.

    Mi avviai al Rond Point ove incontrai altri con meriti simili ai miei, anche loro sopravvissuti a una guerra terribile. Io, però, avevo in più la Guerra d’Algeria che mi sarei volentieri risparmiato. Forse sarebbe meglio se cominciassi il mio racconto dall’inizio, da Parma.

    Capitolo I - La fuga da Parma

    Al ritorno dalla Guerra ‘15-‘18 la famiglia si ricompose, a Parma: eravamo una famiglia cospicua, quattro figli, due maschi e due femmine. Dopo un paio d’anni il dramma si manifestò in tutta la sua crudezza: mio padre aveva conosciuto un’altra donna in Friuli, durante la guerra. Sembrava l’avesse dimenticata, ma si rincontrarono e…‘fuggirono’ in Tunisia abbandonando mia mamma, una donna bellissima che gli aveva dato quattro figli. Le mie sorelle e mio fratello, dopo alcuni mesi, seguirono mio padre. Io, invece, non volli lasciare mia madre, l’amavo troppo e non volevo stare con quel ‘traditore’ di mio padre. Gli anni passarono e mia madre si ammalò e morì in pochi mesi, io credo di ‘crepacuore’ per la perdita della sua famiglia. Fu così che alla sua morte non potei più esimermi dal rispondere positivamente alle richieste pressanti di mio padre di raggiungerlo a Tunisi.

    In più, avevo un altro serio problema: non ero fascista e mi ero ripetutamente rifiutato di entrare nelle ‘camicie nere’. Era grave ma non troppo, se non ci avessi aggiunto un paio di azioni ‘inconsulte’ nei riguardi delle camicie nere: una zuffa e una aggressione con escrementi animali (di maiale) contro un paio di ragazzi in orbace che aspettammo la notte in un luogo appartato. L’obettivo erano quei ragazzi che mi stavano proprio sulle palle, la politica non c’entrava niente, ma, come si sa, quando fa comodo diventa il condimento giusto. Sta di fatto che la cosa comparve sui giornali. Non ero sicuro che mi avessero identificato, ma avevo la coscienza sporca ed ero un buon obettivo, un ‘oppositore’. Allora dovetti nascondermi per un pò e poi partii. Per mia fortuna il passaporto ce l’avevo già perché avevo rinviato la partenza più volte.

    Con il cuore greve, la rabbia in corpo e una paura matta di essere identificato alla frontiera e…picchiato o arrestato, mi imbarcai a Genova ed emigrai in Tunisia: avevo diciannove anni. Mio padre vi aveva fatto fortuna, viveva una vita molto agiata ed era un membro importante della grande comunità italiana di Tunisia, grande e rispettata. La nuova famiglia, così la vedevo, era composta da Anita, Giovanni, Margherita e, me (Giuseppe o Joseph) e…la donna di mio padre. Lei era una povera diavola che faceva di tutto per farsi voler bene e non posso dir male di lei, ma mia madre, nostra madre era un’altra cosa, bellissima e dolcissima, affettuosa. Portavo sempre con me la sua fotografia.

    Mio padre era estremamente autoritario, i suoi affari li sapeva fare bene, ma non era certo un padre vicino ai suoi figli. I rapporti con lui erano sempre di lavoro, ci faceva lavorare con lui e non ci faceva mancare niente, ma era molto severo e distante. Non ricordo una sua carezza. Tutti avevamo degli alti e bassi con lui, ma io avevo sopratutto dei bassi.  Giovanni era colui che più sembrava tollerare mio padre e fu ‘responsabilizzato’ presto con un lavoro autonomo che gli diede l’indipendenza e gli permise di sopportare meglio papà. Anita aveva un carattere accomodante, mentre Margherita aveva una personalità spiccata ed era di una bellezza ‘unica’. Assomigliava a mia madre, se possibile in bello e aveva un carattere gaio, da maschiaccio anche se più donna di lei non si poteva essere. Era estremamente attaente, affascinante e andavamo molto d’accordo. Spesso costituiva il trait-d’union fra me e papà. Raramente riuscivamo a parlarci, ma comunicavamo attraverso Margherita, per la quale anche mio padre stravedeva.

    Capitolo II - La vita a Tunisi

    Il rapporto con mio padre diventava sempre più difficile: non si trattava del lavoro, non mi risparmiavo di certo, ma spesso sentivo il bisogno di andare a giocare a pallone con i miei amici, di andare a bere una birra, di andare ‘a ragazze’. Allora, se mi cercava e non mi trovava erano problemi seri. Ma io me ne fregavo ostentatamente.

    La comunità italiana era grande e le ragazze carine non mancavano ma c’erano anche tante tunisine arabe che ci facevano girare la testa. Papà mi disse più volte di stare attento, le famiglie arabe avevano altri usi, erano molto chiuse, le loro donne erano ‘intoccabili’. Dovevo stare attento, non dovevo correre rischi: una ragazza araba che avesse fatto l’amore o che fosse stata solo toccata o ‘chiacchierata’ era rovinata. I maschi della famiglia potevano anche ucciderla e seri rischi correva chi l’avesse ‘rovinata’: i genitori e soprattutto i fratelli non si fermavano alle minacce o alle botte.

    Ma, si sa, il proibito è molto più appetibile di ciò che è accessibile e noi ragazzi, spesso  in branco, le cercavamo anche nella Casbah, le ragazze arabe. Non facevamo niente di grave; scambiavamo sorrisi e tanti più veli portavano tanto più eravamo attirati. Un giorno, eravamo in quattro e incrociammo, ai margini del suk, una ragazza molto carina che avevamo già adocchiato altre volte. Era ferma accanto all’ingresso di un negozio di spezie, bellissima, due occhi neri meravigliosi, una pelle chiara, appena velata da una bronzatura sfumata, una bocca carnosa quel che basta. Queste meraviglie erano incorniciate da un velo che le copriva appena i capelli dal quale pendevano

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