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INAMMISSIBILE
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Ebook286 pages4 hours

INAMMISSIBILE

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Il libro di memorie "INAMMISSIBILE" racconta la storia del Dottor Tamer Elsayed, un egiziano che lasciò il suo paese per inseguire il sogno americano e che, per aver commesso un errore, si ritrovò dietro le sbarre di una prigione con famigerati criminali americani. Nonostante le difficoltà, riuscì a sopravvivere alla prigione e a ottenere un Dottorato dall'università più prestigiosa del mondo, il Caltech, diventando uno scienziato, uno scrittore e un oratore motivazionale. È la storia vera della redenzione e del trionfo di un uomo che vive credendo in sé stesso e nel buon cuore delle persone che l'hanno aiutato.

LanguageItaliano
PublisherBadPress
Release dateOct 2, 2016
ISBN9781507157046
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    INAMMISSIBILE - Tamer Elsayed

    INAMMISSIBILE

    Tamer Elsayed, PhD

    Copyright © 2014 Tamer Elsayed

    Tutti i diritti riservati Questo libro o parte di esso non può essere riprodotto o utilizzato in qualsiasi modo senza il permesso scritto dell'autore. Ciò include ristampe, citazioni, fotocopie, registrazioni o la riproduzione del testo in qualsiasi modo.

    Per procedere con una delle azioni sopracitate è necessario richiedere il permesso dell'autore su http://www.inadmissiblethebook.com

    ISBN: 0-9907828-3-2

    ISBN-13: 978-0-9907828-3-4

    DEDICATO

    ––––––––

    A mia figlia.

    CONTENUTI

    ––––––––

    RICONOSCIMENTI

    ––––––––

    Revisione: Elizabeth Brown

    Foto di copertina: Jody D. Davis

    .

    1  LA RIUNIONE

    ––––––––

    Il 4 marzo del 2013, alle due meno cinque del pomeriggio, mi presentai nella segreteria della Royal Graduate University (RGU), da qualche parte in Medio Oriente, e mi sedetti su una poltroncina davanti all'ufficio del Provost. Il Direttore Esecutivo di Amministrazione e Finanza, un uomo che tutti temevano, mi passò accanto ed entrò nell'ufficio. Un articolo pubblicato su una rivista scientifica internazionale lo descriveva come una persona che fa cose strane e come il capo dell'università de facto. La sua presenza era segno che, qualsiasi fosse il motivo per cui ero stato convocato, si trattava di qualcosa di serio e, anche se avessi potuto concedermi il beneficio del dubbio pensando che la ragione avrebbe potuto essere un'infrazione di poco conto, o magari una promozione, la presenza di quell'uomo dissipava queste ingenue speranze. Avevo quasi la certezza che sapessero.

    La segretaria mi fece un cenno per avvertirmi che era arrivato il mio turno. Mi alzai ed entrai nella stanza e mi sedetti. Il Provost era alla mia destra e il Direttore alla mia sinistra. Speravo che sapessero. Se fossero stati a conoscenza del mio passato, si sarebbe trattato solo di frammenti. Il fatto che non mi avessero semplicemente fatto chiamare dalle Risorse Umane per avvertirmi che dovevo andarmene significava che avevo ancora la possibilità di negoziare, e che temevano uno scandalo a livello nazionale. In seguito, questa mia intuizione si rivelò quasi esatta. Il Provost cominciò chiedendomi se c'era qualcosa del mio passato di cui avrei voluto discutere.

    Feci un respiro profondo. Era orribile, ma non sarebbe stato, non avrebbe potuto essere, terribile nemmeno la metà di quanto fosse stato restare seduto su un pavimento di cemento in isolamento per mesi e mesi, come mi era successo dodici anni prima. Non avrebbe potuto essere spiacevole neanche la metà di quanto lo fosse l'essere svegliato con una botta in testa da una agente di polizia penitenziaria, per poi essere obbligato a marciare lungo un corridoio lurido e desolato per andare a fare la doccia sotto gli occhi delle guardie che osservano da dietro un vetro a specchio.

    Dal 25 novembre del 2000, avevo avuto poca scelta per quel che riguardava molte cose della mia vita, alcune erano state opzioni molto deludenti, altre erano state più interessanti. Com'è possibile che qualcuno come me potesse fare tanta strada, professionalmente e geograficamente, da detenuto federale nel Riformatorio Federale Lompoc in California, a dottorando del Caltech, uno degli istituti accademici più prestigiosi del mondo?

    La storia che state per leggere è vera. È la storia di un errore che lascerà per sempre un marchio su di me.

    2  I PRIMI ANNI

    ––––––––

    Sono un cittadino egiziano nato in Kuwait da genitori egiziani emigrati per lavoro. Mia madre aveva un diploma di laurea breve in economia e insegnava Matematica alle scuole medie. Per quel che mi ricordo, mio padre, che aveva abbandonato gli studi universitari, era un tecnico di radiologia in un ospedale locale. Vivevamo in un appartamento modesto di due stanze situato nelle vicinanze del palazzo reale di Madinat al-Kuwait. Mia madre aveva circa venticinque anni e mio padre era due anni più giovane. Avevo anche una sorella che aveva due anni meno di me. I miei genitori, come tanti egiziani in Kuwait, avevano dovuto lasciare il loro paese d'origine per cercare lavoro e si erano trasferiti nella facoltosa regione del golfo Persico. Volevano risparmiare per poter, un giorno, tornare a casa e vivere agiatamente. Mia madre amava il suo lavoro perché le permetteva di occuparsi di me e, allo stesso tempo, risparmiare per il nostro futuro.

    La vita in Kuwait era piuttosto abitudinaria. Durante la settimana andavo a scuola ed ero in vacanza solo il venerdì. I parenti di mia madre si trovavano in Kuwait a quel tempo e le loro famiglie si riunivano tutti i giovedì sera, l'equivalente del venerdì nei paesi occidentali. Gli adulti giocavano a carte e i bambini si rincorrevano, si sfidavano a giochi da tavolo, o guardavano la televisione. Non ero interessato a queste riunioni perché non mi piaceva stare in compagnia, né mi piacevano i programmi televisivi che gli altri bambini guardavano. Preferivo stare a casa, spingere la comoda poltrona del salotto di fronte alla TV e guardare Supercar, A-Team e Wolf tutta la notte. Abitava con noi anche una cameriera egiziana; era tipico delle famiglie che vivevano in quella parte del mondo. Era una giovane donna incantevole, con gli occhi castani, aveva appena vent'anni e aiutava mia madre nelle faccende di casa. Nel tempo libero, giocava con me e diventammo buoni amici. Un giorno, avrò avuto sei o sette anni, ero seduto sul divano quando si avvicinò e mi diede un bacio. Pomiciammo proprio su quel divano. Quando fui più grande mi resi conto che si era tratto di un abuso, ma mi aveva fatto sentire come una super star e perciò non ho mai provato alcun risentimento. In ogni caso, si trattò di un episodio isolato. Forse la ragazza voleva solo sapere che cosa si provasse a baciare qualcuno, ma non raccontai mai nulla ai miei genitori perché non volevo che finisse nei guai. Quell'avvenimento potrebbe aver influenzato il mio modo di relazionarmi alle donne, ma solo uno psicologo sarebbe in grado stabilirlo.

    ***

    Restammo in Kuwait fino alla metà delle scuole medie. La scuola elementare che frequentavo era piccola, solo i figli degli espatriati egiziani potevano frequentarla, mentre la scuola media era molto più grande. A scuola, mi mancavano i miei amici del Cairo e mi sono sempre sentito come uno straniero. Il Kuwait era una cosa temporanea, che sarebbe passata, e non mi ci sono mai affezionato. Faceva troppo caldo e trascorrevo poco tempo a giocare fuori. Durante gli anni alla scuola media in Kuwait non forgiai amicizie durature, solo conoscenze, e aspettavo sempre con ansia le vacanze estive. Andavamo in Egitto tutte le estati, per due mesi, e stavamo nell'appartamento dei miei genitori nel quartiere Heliopolis del Cairo. Queste vacanze erano il periodo dell'anno in cui mi divertivo di più. Le prime estati, feci amicizia con dei bambini che vivevano nello stesso nostro edificio e in quello accanto. A differenza di alcuni ragazzini del quartiere, non fumavamo né prendevamo droghe; ci comportavamo bene. Giocavamo a calcio per la strada e restavamo fuori fino a tardi, seduti sullo steccato dall'altra parte della strada a chiacchierare. A scuola ero un quattrocchi smilzo che entrava in classe sempre per primo. Ero bravo, nonostante odiassi le lezioni con tutto il cuore, e mi sono sempre sentito più intelligente dei miei coetanei. Suonavo il pianoforte ed ero nella banda della scuola anche se i miei genitori non mi avevano mai mandato a lezione di musica. I miei amici frequentavano corsi per imparare a programmare il computer e io avrei voluto fare la stessa cosa, ma a me non era permesso per motivi economici. Così comprai un libro sull'argomento e cominciai a leggerlo voracemente. Il mio primo programma fu un gioco a quiz a risposta multipla. Se la risposta era giusta suonava un motivo allegro, se era sbagliata un motivo triste, e registrava persino il punteggio. Non lo sapevo, ma quei primi anni furono fondamentali per la mia futura carriera in cui avrei fatto molta programmazione per computer.

    ***

    Nel 1987, con grande gioia della mia sorellina e mia, mia madre decise di tornare a vivere in Egitto con noi. Avevo dodici anni, sono nato nel 1975, ed ero fuori di me dalla gioia di tornare dai miei amici. Mio padre decise di continuare a lavorare in Kuwait per qualche anno ancora. Il mio nonno paterno, che era stato proprietario di un mobilificio al Cairo, era mancato. Nel testamento aveva lasciato l'azienda ai suoi sei figli, tre maschi e tre femmine. Mio padre voleva risparmiare abbastanza per acquistare il controllo dell'attività dai suoi fratelli prima di tornare a vivere con noi al Cairo. Avrebbe vissuto con la sorella di mia madre e suo marito durante questo periodo di transizione, e avrebbe inviato denaro per aiutarci.

    Durante il primo anno di scuola superiore notai l'insorgere di tensioni fra mia madre e mio padre. Mia madre urlava al telefono con sua sorella in Kuwait perché pensava che mio padre le avesse fatto delle avances. Mio padre negò tutto e mia madre, data la sua natura ingenua e modesta, gli credette. Ma i rapporti fra mia madre e i suoi parenti divennero molto difficili e mia madre cominciò a evitare tutta la sua famiglia.

    ***

    Lo stesso anno, mio padre tornò a vivere in Egitto e assunse il controllo del mobilificio che si trovava nel quartiere Al Sayyeda Zeinab del Cairo. La zona era nota per la sua moschea e ogni anno, attraeva migliaia di turisti. C'erano centinaia di venditori di tè, di spezie, negozi di dolciumi, e ristoranti a distanza di pochi metri gli uni dagli altri. Tutto questo naturalmente alimentava anche criminalità e prostituzione e la zona cominciò a essere popolata da giovani promiscui e volgari che usavano un linguaggio scurrile. Mio padre ne venne influenzato e a casa parlava un arabo sempre più contaminato. Sotto il pretesto dell'amicizia, spesso invitava donne di facili costumi a delle cene durante le quali venivano consumate enormi quantità di vino. Mia madre credeva che queste donne fossero delle semplici amiche e non si lamentò mai del comportamento di mio padre. Lui consumava alcol regolarmente, anche quando non c'erano ospiti a casa. Si sedeva sul divano, beveva e guardava la TV mentre mia madre aspettava che le rivolgesse qualche attenzione o dimostrasse interesse nei suoi confronti. Era rivoltante vedere le ospiti di mio padre sfilare davanti a me e ai miei amici e dirigersi verso il nostro appartamento con delle bottiglie di vino fra le mani. Ero imbarazzato e infastidito, perché il quartiere dove abitavamo era molto tradizionalista e il consumo di alcol era malvisto.

    Mio padre non mi portava mai da nessuna parte, non mi dava consigli e non mi trattava come un figlio. Io ero religioso, ma non vidi mai lui pregare. Quando era in preda ai fumi dell'alcol mi picchiava senza motivo, o per delle ragioni che si inventava. Più di una volta mi frustò con la cinghia solo per farmi capire che era lui il capo. Non c'era nessun legame padre-figlio fra di noi. Nella mia mente, era solo il mio padre biologico. Ritenevo mia madre parzialmente responsabile perché tollerava il suo comportamento.

    ***

    Quando tornammo al Cairo, inizialmente non fui ammesso alla scuola media Al-Tabary, che era considerata la migliore. Non so per quale motivo, ma forse fui respinto perché i miei genitori non erano abbastanza ricchi da poter pagare una tangente. Fui ammesso alla scuola media Al-Kholafaa il cui preside era un uomo caparbio e idealista. Mi fu promesso che se avessi ottenuto buoni voti, l'anno successivo, avrei ottenuto il trasferimento a Al-Tabary. Il preside aveva deciso che gli studenti avrebbero indossato dei distintivi indicanti il loro livello e che questo sarebbe stato aggiornato tutti i mesi. Ero sempre il primo, tutti i mesi dell'anno, e, come promesso, l'anno seguente, il preside venne trasferito a Al-Tabary e mi portò con sé.

    Nella nuova scuola incontrai un ragazzino che divenne la mia nemesi nei cinque anni successivi. Era una macchina dello studio, non si fermava mai e non cadeva mai nelle domande trabocchetto degli esami. Lui e il suo gruppo di amici erano cristiani. Gli studenti cristiani erano una minoranza in Egitto e, per questo motivo, avevano la tendenza a stare insieme e a supportarsi a vicenda. La prima volta che uno studente si dimostrò più bravo di me e io mi classificai secondo, fu devastante. Mia madre mi aveva insegnato che arrivare secondo era l'equivalente di essere un perdente, e quindi mi sentii malissimo. Mi chiamarono nell'ufficio del preside con mia madre per rimproverarmi del fatto che avessi permesso a un altro di mettermi al tappeto accademicamente. Gli incontri nell'ufficio del preside mi tenevano sveglio la notte e mi davano gli incubi. Quello studente continuò a fare meglio di me in tutti gli esami nei due anni successivi, fino all'ultimo anno, quando c'erano degli esami gestiti dallo stato e non dalla scuola. Alla fine, ottenni la redenzione quando i risultati vennero pubblicati. Risultai il primo della scuola e il terzo di tutto il Cairo. I primi nella classifica del Cairo vennero premiati con un viaggio in una nota località turistica del Mar Rosso a Hurghada. Fu un viaggio memorabile per me perché vidi per la prima volta, all'età di quindici anni, delle donne tedesche in topless sulla spiaggia. Eccezionale! Gli anni alla scuola media terminarono con questi scenari stravaganti e dopo il viaggio, cominciai la scuola superiore, dove la mia nemesi e io continuammo la nostra battaglia per la supremazia accademica.

    Fu solo durante il secondo anno che mi venne presentato David, un britannico, che insegnava alla scuola superiore americana del Cairo. Sua moglie era egiziana ed era un'amica di mia madre. Lui l'aveva accompagnata durante una visita a casa nostra. La lingua dell'educazione nella mia scuola media e nella mia scuola superiore era l'arabo. I miei genitori non potevano permettersi di mandarmi in una scuola d'inglese e quindi dipendeva da me migliorarne la conoscenza. All'epoca, ero affascinato dalla cultura pop americana e sognavo il giorno in cui avrei potuto lasciare l'Egitto e trasferirmi negli Stati Uniti. Ero diverso e né i miei amici né i miei genitori mi avevano mai davvero capito. I miei genitori non avevano mai stimolato nessuno dei miei talenti, e proprio come era successo con il mio desiderio di suonare il piano o programmare il computer, avevo dovuto soddisfare il mio bisogno di imparare l'inglese da solo. Incontrare David fu una manna dal cielo in questo senso, perché fu così gentile da dedicarmi del tempo per aiutarmi a esercitarmi a parlare inglese. Risparmiai dei soldi dalla mia paghetta e mia madre mise il resto per coprire la quota di iscrizione ai corsi del British English Institute del Cairo, e studiavo gli argomenti del corso con David. Guardavo film di Hollywood, ascoltavo i dialoghi attentamente, e scrivevo le espressioni che sentivo per poi andare da David a farmi correggere l'ortografia e la pronuncia. Gli appunti presi mentre guardavo i film esistono ancora in un quaderno che è conservato come una reliquia a casa di mia madre al Cairo. Completai con successo tutti i livelli di corso offerti dall'istituto di lingue. La mia conversazione in inglese divenne ottima, al punto che parlavo più fluentemente dei miei amici che frequentavano la scuola privata inglese.

    ***

    Le superiori duravano tre anni e gli esami finali erano gestiti a livello nazionale, anziché a livello provinciale (Cairo). Poi arrivò il 1993, l'ultimo anno di scuola. Fu come una corsa sulle montagne russe. Avevo diciassette anni. Una donna che si chiamava Jehaan, madre di un bambino e moglie di un uomo egiziano che lavorava ancora in Kuwait, si trasferì nell'appartamento di fronte al nostro. Era molto alta, attraente, aveva le labbra carnose e un seno voluttuoso. I miei genitori fecero amicizia con lei che, in poco tempo, divenne un viso noto nel vicinato. Non potevo immaginare lo scompiglio che avrebbe portato nella mia famiglia.

    Cominciò a venire a casa nostra sempre più spesso, e beveva con mio padre in presenza di mia madre. Si vestiva in maniera sempre più succinta e a volte veniva anche in tarda serata in sottoveste. Sentivo che c'era qualcosa di molto sbagliato perché i miei genitori litigavano spesso. L'atmosfera in casa era perennemente tesa e le liti frequenti tra mio padre e mia madre erano a dir poco fastidiose. Gli importantissimi esami che avrebbero segnato la fine della mia carriera scolastica erano dietro l'angolo e avevo bisogno di concentrarmi sui miei studi invece di lasciarmi distrarre dalle feste e dalle liti a casa.

    Un giorno, mentre studiavo, vidi mia madre urlare e piangere come una pazza. Poi telefonò al marito di Jehaan che si trovava ancora all'estero. Le sue parole mi scioccarono. Vieni a fermare tua moglie che va a letto con mio marito, disse. Queste parole mi distrussero perché mi resi conto che la mia famiglia stava andando in pezzi. Mi sentii impotente, depresso e triste. Non potevo fare nulla tranne che andare a bussare alla porta di quella donna e urlare: Stai lontana da mio padre, zoccola infame! Fu un gesto sciocco e infantile, ma era l'unica cosa che potevo fare. Il giorno seguente, mi trovavo nell'ingresso del nostro edificio con tre amici quando tre poco di buono bussarono alla porta di casa mia. Domandai loro che cosa volessero. Chiesero se fossi Tamer e risposi di sì. Allora tirarono fuori dei grossi coltelli e cominciarono a colpirmi sulle gambe. Non mi accoltellarono, era ovvio che erano stati pagati solo per intimorirmi. Mia madre uscì urlando con il ferro da stiro fra le mani e tentò di allontanarli. I miei amici cercarono di proteggermi. Queste erano le conseguenze dell'impulsività della notte precedente. Mi infuriai ancora di più quando in seguito scoprii che il marito di Jehaa aveva pagato quei delinquenti perché mi dessero una lezione, dopo aver ottenuto il permesso da mio padre.

    A causa di questo incidente, i problemi che avevamo a casa diventarono di dominio pubblico. Tutti credevano che non avrei superato i miei esami. Fortunatamente per me, avevo il controllo assoluto della mia mente quando si trattava di assorbire informazioni. Bloccai tutto mentalmente e continuai a studiare. Una notte, mio padre rientrò a casa ubriaco e litigò furiosamente con mia madre. Urlavano più del solito, io smisi di studiare e mentre mi avvicinavo a loro, mio papà spinse la mamma. Mi misi fra di loro e, per la prima volta, feci per colpirlo con un pugno. Rimase scioccato. Indietreggiò giusto in tempo per evitare di essere colpito. Uscì di casa, in silenzio.

    La settimana seguente, mio padre se ne andò e i miei genitori si separarono. Smise di supportare mia madre e noi e si portò via l'automobile. Fortunatamente, l'appartamento in cui vivevamo era intestato a mia madre e perciò rimase in suo possesso. Mia madre dovette provvedere a noi, usando i soldi che aveva risparmiato durante gli anni in Kuwait e quelli che guadagnava dal piccolo negozio di alimentari che aveva avviato con l'aiuto della sua famiglia, e che era molto vicino al nostro appartamento.

    Nel febbraio del 1993, durante l'ultimo anno di scuola superiore e dopo che mio padre era andato via di casa, un uomo venne a consegnare una lettera a mia madre. Lei era al negozio di alimentari, perciò ricevetti io la lettera. Avevo indovinato che cosa fosse dalla busta. Mio padre aveva finalmente divorziato da mia madre e, ironicamente, avevo ricevuto io i documenti. Ero preoccupato per mia madre e chiamai la nonna perché fosse lei a comunicarglielo. La nonna andò al negozio di alimentari per passare del tempo con la mamma e accompagnarla a casa. Anche lo zio venne per aiutare la nonna ad annunciare la notizia. Una volta a casa, le dissero che avevo ricevuto i documenti del divorzio e, con nostra grande sorpresa, si dimostrò felice di essere finalmente libera.

    ***

    Gli esami di fine anno iniziarono a giugno dello stesso anno e più di un quarto di milione di studenti provenienti da tutto l'Egitto vi presero parte. Io mi ero preparato con calma e metodo, nonostante la situazione a casa. Durante la settimana degli esami, rimasi fuori per strada fino a tardi andando in giro per rilassarmi e raccogliere i miei pensieri. Queste camminate mi aiutavano ad assimilare ciò che avevo imparato ed ero sicuro di essere ben preparato. Tutti gli altri ragazzi erano a casa a ripassare furiosamente. I miei vicini mi osservavano per strada con occhi pietosi. Erano certi che sarei stato bocciato. La settimana degli esami terminò e incominciarono le vacanze estive.

    Trascorsero un paio di mesi e i risultati stavano per essere comunicati a livello nazionale. In Egitto era tradizione annunciare i dieci studenti migliori il giorno prima di pubblicare i risultati di tutti gli altri. Pochi giorni prima dell'annuncio, mia mamma e mia sorella decisero di andare in vacanza ad Alexandria, una città sul Mar Mediterraneo a circa 150 miglia a nord ovest del Cairo, e io le accompagnai sapendo che i risultati dei primi dieci sarebbero stati annunciati giovedì. Insistetti per ritornare al Cairo da solo il mercoledì per aspettare l'annuncio. Giovedì mattina, andai su, nell'appartamento del mio migliore amico. Si chiamava Ahmed e aveva sempre creduto in me. Mi disse: Sei sicuro che verranno, vero? Te lo leggo negli occhi, riferendosi ai giornalisti dei giornali e della TV. Risposi: Sì, verranno e dovremmo andare sul balcone ad aspettarli.

    Mentre aspettavamo fuori guardando la strada, vedemmo un uomo che sembrava perso e aveva una macchina fotografica enorme appesa al collo. Lo guardai e chiesi: Sta cercando Tamer? La risposta fu sì e Ahmed cominciò a gridare di gioia. Ce l'avevo fatta! Ero uno dei primi in classifica a livello nazionale! Non avevo mai dubitato che sarebbe stato così. Nel frattempo, mia madre cercava di chiamarmi nel nostro appartamento, ma non ricevette risposta. Chiamò uno dei vicini per controllare che stessi bene, udì le grida di gioia e il vicino le disse di tornare subito perché suo figlio era diventato una celebrità a livello nazionale.

    Il mese seguente fu il caos più totale: interviste con i giornali, apparizioni in TV e tante riunioni. Ero il quinto in classifica ed ero conosciuto nel quartiere e in tutto il Paese. Ero il ragazzino famoso del vicinato

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