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Un paese rinasce
Un paese rinasce
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Un paese rinasce

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About this ebook

È il 10 agosto 2012. Un gruppo di ragazzi sta intorno al fuoco per festeggiare la fine di un’impresa, iniziata qualche anno prima. Cosa festeggiano? Era settembre 2010, quando due ragazzi e due ragazze si lanciano in un’operazione che a prima vista pare temeraria e sconsiderata. Hanno deciso di far ritornare in vita un borgo abbandonato sull’Appennino tosco-romagnolo, Castiglioncello. È passato mezzo secolo da quando gli abitanti sono stati trasferiti altrove. Il luogo è diventato ruderi e desolazione. Questo paese fa parte di tante migliaia di luoghi lasciati all’incuria del tempo, che aspettano solo che qualcuno li faccia rivivere.
Laura, una giovane donna, che si sta laureando in scienze delle comunicazioni, perché la aspirazione è diventare una giornalista, ama le avventure. La sua determinazione è tale da contagiare altri ragazzi, gettandosi a capofitto nell’impresa di fare rivivere il paese, come ha promesso al Vecchio spirito. Nessuno crede che lei riesca a parlare con un’entità incorporea, come se fosse una matta. Con testardaggine riesce a scalfire la loro incredulità, vincendo le loro perplessità. Il loro amore verso questo borgo fa in modo che il Vecchio racconti la storia di Castiglioncello, il paese fantasma, e dei suoi abitanti. Tra litigi e amori, gelosie e incomprensioni il gruppo riesce a convincere aziende e privati a finanziare la loro utopia, che si trasforma giorno dopo giorno in una bella realtà. Quando il castello, la chiesa e le case tornano a vivere e possono essere abitate, il Vecchio appare ringiovanito e li abbraccia virtualmente, prima di sparire alla loro vista.
Un paese rinasce.

English version
It is August 10, 2012. A group of guys going around the fire to celebrate the end of an enterprise, which began a few years earlier. What to celebrate? It was September 2010, when two boys and two girls launch into a venture that at first glance it seems foolhardy and reckless. They decided to bring back to life an abandoned hamlet in the Tuscan-Romagna, Castiglioncello. Fifty years have passed since the inhabitants were transferred elsewhere. The place has become ruins and desolation. This village is one of many thousands of places left severity of weather, just waiting for someone to do them back to life.
Laura, a young woman, who is majoring in communications sciences, because the aspiration is to become a journalist, loves adventures. His determination is likely to infect other guys, throwing himself headlong in the enterprise to revive the hamlet, as he has promised to the Old spirit. No one believes that she can speak with disembodied entity, as if it was a crazy. With stubbornness can scratch their unbelief, winning their concerns. Their love for this hamlet makes sure that the Old tells the story of Castiglioncello, the ghost village and its inhabitants. Between fights and love affairs, jealousies and misunderstandings, the group manages to convince companies and individuals to finance their utopia, which turns every day into a beautiful reality. When the castle, the church and the houses back to life and can be inhabited, the Old appears rejuvenated and embraces them virtually, before disappearing from sight.
A hamlet reborn.

LanguageItaliano
Release dateSep 30, 2016
ISBN9781370474165
Un paese rinasce
Author

Gian Paolo Marcolongo

Un giovane vecchio con la passione di scrivere. Amante delle letture cerca di trasmettere le proprie sensazioni con le parole. Laureato in Ingegneria. In pensione da qualche anno, ha riscoperto, dopo gli anni della gioventù, il gusto di scrivere poesie e racconti.Non ha pubblicato nulla con case editrici ma solo sulla piattaforma digitale di Smashwords e su quella di Lulu.

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    Un paese rinasce - Gian Paolo Marcolongo

    Un paese rinasce

    di

    Gian Paolo Marcolongo

    Pubblicato da

    Gian Paolo Marcolongo

    Gian Paolo Marcolongo

    Un paese rinasce

    Copyright © 2012-2020 Gian Paolo Marcolongo

    Design di copertina immagine tratta dal Web

    Un paese rinasce

    di Gian Paolo Marcolongo

    Tutti i diritti sono riservati. È vietata ogni riproduzione, anche parziale. Le richieste per la pubblicazione e/o l’utilizzo della presente opera o di parte di essa, in un contesto che non sia la sola lettura privata, devono essere indirizzate all'autore.

    NOTE DELL’AUTORE

    Il presente romanzo è opera di pura fantasia. Ogni riferimento a nomi di persona, luoghi, avvenimenti, indirizzi e-mail, siti web, numeri telefonici, fatti storici, siano essi realmente esistiti o esistenti, è da considerarsi puramente casuale e involontario.

    ISBN 9781370474165

    Ringraziamenti

    Ringrazio i lettori che seguono il mio blog www.newhitebear.wordpress.com. Con le loro osservazioni mi hanno sostenuto in questa avventura. In particolare Cate de www.leherisson.com per i preziosi suggerimenti e la sua attenta lettura alla ricerca di refusi e precisazioni.

    A Giuliana

    Capitolo 1 - 10 Agosto 2012

    Un fuoco vermiglio illuminava i volti di un gruppo di ragazzi, riuniti nella corte del Castello. La notte era scura per l'assenza della luna. Il cielo punteggiato di stelle, che sembravano tanti lumini. L'aria frizzante dei quattrocento metri dell'Appennino tosco-emiliano accarezzava il viso di quei giovani seduti attorno al falò. Le fiamme lanciavano verso l'alto miriadi di faville, che si perdevano nell'oscurità, lasciando una scia rossastra.

    Il frinire delle cicale ricordava l’estate. Falene danzavano intorno alla luce rossa del fuoco, pronte a immolarsi.

    Mattia prese la chitarra, sfiorando le corde tese, mentre un suono si spandeva per l'aria.

    «Dai, suona» disse Laura, incitandolo ad accordare lo strumento.

    «Non conosco nulla. Solo vecchie canzoni e nemmeno bene» mentì, arrossendo.

    «Che importa» replicò Teresa. «Siamo in allegria. Oggi è un giorno speciale. Suona che noi cantiamo in coro».

    «Cosa?» chiese Mattia, cercando di leggere sui volti dei compagni un titolo, un brano.

    Una breve risata risuonò nell'aria, come pungolo. Che importanza poteva avere il titolo.

    Giacomo intonò una vecchia canzone.

    Ho in mente te

    ogni mattina uo, e ogni sera uo uo

    e ogni notte, te.

    «Cosa è questa lagna?» domandò Betta. «Non la conosco. Non c’è nulla di più recente? Almeno la cantò anch'io».

    Mattia sorrise. L’aveva riconosciuta. Era una canzone molto orecchiabile, più vecchia di loro, perché non erano ancora nati, quando spopolava nei jukebox e sui vinili a 45 giri nel 1966. Un flash lo riportò indietro nel tempo, quando aveva scoperto quella vecchia musica che l'aveva stregato e appassionato negli anni seguenti. Aveva trovato per caso in una vecchia scatola di scarpe una pila di dischi graffiati e polverosi e un involucro di plastica arancione con due pile enormi, corrose e scoppiate nel loro alloggiamento.

    «Cosa sono questi?» aveva chiesto a suo padre.

    «Sono i 45 giri della mia gioventù. E quello è il mangiadischi».

    «Mangiadischi?» aveva replicato sorpreso da quella parola, inarcando le sopracciglia. «Ingoia i dischi triturandoli?»

    Suo padre aveva riso, prima di spiegargli, come funzionava.

    «Metti un disco in questa feritoia e ascolterai la musica. Negli anni sessanta non c'erano mp3 o ipod, né altre diavolerie moderne. Si usava il mangiadischi e si ballava d’estate sulla spiaggia attorno al falò».

    Mattia scovò in cantina un vecchio impianto hi-fi Pioneer con la piastra per ascoltare i vinili- Travasò sull'uscita Cd-Rom i dischi contenuti nella scatola. La qualità del suono era scadente: fruscii, distorsioni e rumori di fondo quasi sovrastavano musica e voce. Con pazienza certosina li ripulì con un programma di musica e li caricò sul suo inseparabile mp3. Rimase stupito dalla qualità delle musiche italiane e straniere di band e cantanti sconosciuti adesso ma famosissimi in quegli anni.

    Da quel giorno si dedicò a cercare nei mercatini e sul web vecchie incisioni che erano sempre nuove per lui. Si sentiva come un esploratore alla scoperta di nuove specie d'animali. Nel suo caso erano vecchie musiche, dimenticate sotto il peso degli anni.

    Stimolato dall'uscita di Giacomo, cominciò a pizzicare le corde della chitarra per riprodurre la musica e accompagnare lo stonatissimo compagno nella performance canora. Il gruppo ascoltò in silenzio i due ragazzi, che tentavano di dare un briciolo di sonorità alla canzone.

    «Come si chiama?» chiese Eva, che aveva imparato il motivetto e lo canticchiava.

    «Io ho in mente te. Equipe 84. Anno 1966» disse Mattia con tono piatto.

    «Mai sentiti!» esclamò Luca stupito con gli occhi spalancati. «1966? Chi sa dov'ero! I miei genitori forse non si conoscevano nemmeno. Anzi muovevano i primi incerti passi».

    Il ragazzo, deposta la chitarra, cominciò ad armeggiare col suo mp3.

    «Ecco. Questa è la canzone vera. Non quella che abbiamo storpiato» disse, alzando al massimo il volume, mentre nel silenzio si diffondevano musica e parole.

    «Tutt'altra cosa rispetto alle vostre lagne» disse ridendo Lorenzo. «Non male, non male».

    «Se coi vostri smartphone, andate su Youtube e ricercate anni sessanta, troverete una quantità industriale di video con canzoni di quell'epoca».

    «Vedo che ami essere spiritoso» replicò Dario, ridendo alla battuta del compagno. «Il massimo è una telefonata disturbata. Per il resto nebbia fittissima in val Padana».

    «Mentre ascoltiamo la musica seria, prendiamo le bottiglie che abbiamo conservato per la fine dei lavori e brindiamo» fece Alba, alzandosi.

    «Sì! Ottima idea» dissero in coro.

    Un flop squarciò il silenzio della notte, mentre un fiotto spumeggiante uscì dalla bottiglia.

    L'allegria era padrona del campo, mentre i dieci ragazzi si abbracciavano e bevevano lo spumante appena fuori dal caldo.

    Una lunga notte li stava aspettando.

    Capitolo 2 – agosto 2009

    Tutto era cominciato per caso, come capita sovente per le grandi imprese.

    Laura era una grandissima viaggiatrice: non esisteva parte del mondo che non conoscesse virtualmente. La sua smania di scoprire nuovi mondi inesplorati o quasi l'aveva colpita, quando aveva quindici anni, e da allora non l'aveva abbandonata. Per lo più viaggiava con la fantasia, visitando col PC agenzie e tour operator, programmando favolosi viaggi nell'oriente misterioso. Studiava sulle mappe digitali il prossimo viaggio che avrebbe voluto compiere. Si metteva le cuffie, apriva Google Map e cominciava a esplorare località che non aveva ancora visitato. Cercava ogni notizia utile sulla località prescelta, studiando il percorso con l’ausilio di mappe dettagliate o analizzando il posto tramite Google Earth.

    Poi chiudeva gli occhi, si abbandonava sulla poltrona della scrivania ad ascoltare Mozart, mentre la fantasia galoppava felice verso mondi esotici o caserecci. Prendeva treni, aerei, cavalli o muli, cammelli o slitte trainate da cani, andava a piedi e si guardava intorno per cogliere tutto quello che c’era da osservare e da gustare. Tutto le appariva reale, come la sete di conoscere era inesauribile.

    Laura abitava a Bologna, dove viveva con i genitori. Frequentava l'università con notevole profitto, con la speranza di diventare una giornalista e trasformare la sua voglia di viaggiare in qualcosa di concreto. Per il momento si doveva accontentare di viaggi di poco conto e non troppo distanti dalla sua città.

    Aveva ventuno anni, quando un giorno ricevette in maniera fortunosa da una conoscenza virtuale un link, che le permise di scoprire che c’era un castello in Toscana meritevole di una visita. Un castello abbandonato come tanti paesi e abitazioni, sparse per l'Italia, lasciate all’incuria del tempo.

    Subito decise di visitarlo, incuriosita dalla storia di questo antico maniero. Non era un tragitto molto lungo e lo poteva compiere in giornata. Era stata spinta dalla sua grande curiosità, un po’ fanciullesca, a intraprendere questo viaggio. Laura partì con la sua Panda 4x4 per un paesino, che era appena segnato sulle mappe stradali più dettagliate. Arrivò nel paese di Moneta, o meglio nell’antica frazione extraurbana di Carrara con quel nome. Era un sito antichissimo, presente ai tempi dei Romani. Alcune notizie non confermate parlavano di Moneta come di un 'fundum' con 'villa rustica' della gens romana dei Monetii o Munatii nella colonia di Luni, ancora registrato nel secolo II d.C. nelle 'Tabulae de Veleia'.

    Quando giunse al Castello di Moneta, o meglio a quello che ne rimaneva, erano le prime ore del pomeriggio di un giorno di luglio caldo e afoso. Si era mossa armata con la solita macchina fotografica, e con molta voglia di conoscere e di osservare con i propri occhi questo angolo sconosciuto della Toscana.

    In effetti il desiderio di scoprire novità superò tutte le difficoltà per arrivarci. Ci voleva il patentino per il Camel Trophy per raggiungerlo, perché la strada cessava di essere asfaltata dopo 150 metri e poi diventava una carrareccia impraticabile.

    Giunta a Carrara, Laura seguì le indicazioni del sito per raggiungere la frazione di Fossola. Dietro la pregevole chiesa dell'Arcipretura di San Giovanni Battista, edificata nel XVIII secolo con arredi e marmi del vecchio tempio castrense, trovò il cartello turistico giallo con indicazione del Castello ‘1400 metri’. Imboccata via Moneta, che era pretenzioso definire tale, perché si trattava di una mulattiera acciottolata, oltrepassò ‘Il Ciocco’, il primo quartiere fortificato di epoca medievale esterno alle fortificazioni. Dopo circa un chilometro di ripidi tornanti tra uliveti e vigneti dell'ottimo ‘vino di Moneta’ arrivò al Castello. In rigoroso silenzio si faceva spazio tra rovi ed escrementi umani, salendo verso il rudere.

    Laura, senza polemizzare sulle precarie condizioni, perché sarebbe stato come sparare sulla Croce Rossa, si chiese se non fosse possibile renderlo accessibile e visitabile. Sarebbe sufficiente illuminarlo e pulirlo pensò, osservando lo stato d’abbandono. Senza restauri selvaggi a base di cemento, come si nota in parti della struttura e nelle mura di contenimento a scapito di sassi, antichi di un buon millennio. Farlo conoscere attraverso guide e pubblicazioni non microscopiche. Si domandò chi era stato quel genio che aveva autorizzato uno scempio del genere. Tutto sommato era stato un borgo importante e conteso nei secoli, con una bella storia da raccontare. Si chiese, perché, dopo l’abbandono a favore del paese di Fossola, costruito con le pietre del castrum, si era permesso che il resto andasse in malora. Si poteva trasformarlo in un’attrazione turistica e farlo tornare allo splendore di un tempo. Ritornando a Bologna si chiese, se c'erano altri borghi abbandonati, che avrebbero potuto essere recuperati e resi vivi.

    Cercò sul web questi luoghi abbandonati. Con sorpresa ne scoprì non uno, ma molte migliaia. Come don Chisciotte trasformò i mulini a vento nei suoi nemici, così Laura decise di adottare un borgo, sperando, con l'aiuto di altri visionari, di ridare la dignità che gli spettava.

    Per fare questo servivano soldi e tempo, che non possedeva, persone e materiali ma come al solito non si perse d'animo.

    La rete m'avrebbe aiutata, pensò.

    Capitolo 3

    Laura esaminò l'elenco delle località che attualmente erano abitate da fantasmi e un tempo da persone, per restringere il cerchio su un posto, vicino a Bologna, da far rivivere.

    La scelta cadde su Castiglioncello, che distava appena cinquanta chilometri. Se faceva una ricerca col nome compariva solo la celebre località turistica della costa toscana, mentre il borgo fantasma rimaneva tale.

    Trovò le indicazioni su come arrivarci, poche descrizioni con diverse fotografie. Materiale scarso per cominciare un'avventura, della quale non conosceva né i dettagli né come sarebbe finita. Rise e pensò: Ma comincerà? Non si scoraggiò. Non era facile dissuaderla una volta che aveva in mente un obiettivo.

    La sua idea era pazzesca: rimettere in sesto un borgo e poi abitarlo.

    Con quali soldi? si domandò con un filo d’incoscienza. Non lavoro. Non produco reddito. Vivo alle spalle dei miei genitori. Studio ancora, con una prospettiva futura incerta. Mi chiedo se riuscirò a dare corpo a questo sogno.

    Era ovvio che fossero riflessioni inutili, perché era decisa a ridare vita a questo borgo popolato da ruderi ed erbacce.

    Parlarne coi genitori non ci pensava per nulla, almeno in questa fase. Sarebbe stato prematuro. Avrebbero mosso obiezioni, giuste e pertinenti, nel tentativo vano di farla ragionare.

    Da dove comincio? si chiese chiudendo gli occhi per trovare la risposta. Una visita al borgo può starci. Anzi è una tappa obbligata per rendermi conto della grandezza dell'impresa. Un puro eufemismo. Il progetto era così complesso che il solo pensarci faceva venire mal di testa. Un paio d'ore per raggiungere la località si disse, distendendo le rughe della fronte. Di persona verificherò lo stato di abbandono del borgo e le condizioni dei ruderi.

    Però doveva coinvolgere altre persone per il primo approccio: quattro occhi vedono meglio di due e due teste ragionano meglio di una.

    Chi potrà essere? si chiese come secondo quesito, mentre sognava di essere la castellana del borgo. Chi? Nessuna amica ha mai approvato questa mia mania di cercare località sconosciute e misteriose. Amici? Ne ho pochi…. Sorrise, perché era single. Quei pochi ragazzi, che temerari avevano tentato di abbordarla, erano stati messi in fuga dal suo carattere ribelle e scontroso, dalle sue idee e passioni. Tempo di conoscerla solo appena un poco e poi ‘Rimaniamo buoni amici’ dicevano prima di defilarsi e sparire dal radar di Laura. Le rare amiche la sopportavano di più, perché era l'unica sempre disponibile senza essere mai troppo invadente.

    Eppure era una bella ragazza dai capelli mossi color castano, che incorniciavano un viso regolare. Non aveva charme prorompente ma attirava gli sguardi. Il tallone d'Achille era la sua personalità. Una trottolina mai ferma, dalla battuta pronta e tagliente. Non era facile domarla, perché amava la propria indipendenza. Forte di un carattere deciso e per nulla accondiscendente. Anzi assai ruvido.

    Era metà mese di agosto, quando pensò di dar vita al progetto.

    Se voglio organizzare qualcosa, devo darmi da fare pensò Laura, seduta davanti al computer. Settembre non è il mese ideale per uscire all'aria aperta. Le giornate sono corte. Le probabilità di temporali in montagna sono elevate. Devo sbrigarmi prima che sia troppo tardi.

    Decise che Facebook sarebbe stato il veicolo ideale per trovare un compagno di viaggio, o meglio qualche pazzo come lei.

    ‘Cerco un compagno o compagna che ami l'avventura per un progetto pazzesco nelle vicinanze di Bologna’ così si presentava l'annuncio sulla sua bacheca del social network, frequentato in modo saltuario.

    Mi dò una settimana per trovare qualcuno, poi vado da sola si disse dopo averlo pubblicato. Però dovrei farlo circolare per garantirmi che venga letto. Da chi? Gli amici si contano sulle dita di una mano. Le visite ancora meno. Devo allargare il giro.

    Si dedicò con puntiglio alle visite, stringendo nuove amicizie, creando un certo movimento intorno al suo account. Scrisse qualche riflessione intelligente, diverse battute tra l'ironico e il sornione, finché una settimana dopo racimolò due contatti. Le parvero interessanti: una ragazza di Modena e un ragazzo di Ferrara. Entrambi avevano più o meno la sua età, tra i ventidue e ventiquattro anni.

    La ragazza, Eva, studiava architettura a Ferrara, era incuriosita dal progetto e mostrava segni di vivo interesse. Da quello che lasciava trapelare dai commenti, Eva giudicava che potrebbe essere un'ottima occasione per applicare quello, che stava studiando, e un buon argomento di tesi.

    Il ragazzo, Giacomo, amava i viaggi, le avventure anche pericolose ed era attratto da tutto quello che era fuori dell'ordinario. Si era appena laureato in Ingegneria. Si concedeva questa avventura come premio del traguardo raggiunto.

    Si diedero appuntamento il primo sabato di settembre sotto casa di Laura, nel quartiere Mazzini, alle nove del mattino.

    Cominciava la grande impresa, tra allegria e una buona dose d’incoscienza.

    Capitolo 4

    Il cinque settembre del 2009 Laura scese in strada per aspettare i compagni di questo viaggio. Era eccitata, come la prima volta che aveva affrontato da sola un tour in Germania, e nel contempo intimorita per la complessità del progetto da avviare.

    La giornata prometteva bene. Un sole caldo riscaldava l'aria, appeso in un cielo terso e limpido privo di nuvole. Aveva trepidato leggendo le previsioni meteorologiche di Arpa nei giorni precedenti. Oggi annunciano sole pieno e tempo sereno con temperature sui venti gradi si disse Laura per esorcizzare il timore che avessero sbagliato le stime. Non sarebbe la prima volta e neppure l'ultima.

    Stava riflettendo sulle previsioni, quando notò una vecchia Punto, che accostava timida al marciapiede qualche metro dopo di lei. Non aveva mai visto i loro visi, come loro non avevano avuto la possibilità di vedere una sua fotografia. Quindi era un incontro al buio. Tutte le cautele erano d'obbligo per non incappare in malintesi antipatici.

    Forse è Giacomo pensò Laura, rimanendo immobile dov'era.

    Dall'auto scese un ragazzo non molto alto, coi capelli scuri, abbastanza corti. Una leggera peluria biondo rossiccia incorniciava il viso. Lo sguardo era franco e accattivante. Si mossero quasi all'unisono andandosi incontro.

    «Laura?»

    «Giacomo?» rispose, allungando la mano.

    «Felice di conoscerti» replicò, stringendola con vigoria.

    Una risata ruppe i loro timori, sciogliendo quel leggero velo d’incertezza che li aveva colti.

    «Manca solo Eva» fece Laura, tacendo per una frazione di secondo. «Hai qualcosa da caricare sulla mia Panda?»

    «Si» disse, aprendo il baule della Punto per estrarre uno zaino della Invicta, gonfio e pesante.

    Erano intenti nel trasbordo, quando videro una Polo grigia che avanzava verso di loro con lentezza, come se stesse cercando qualcuno. Laura notò che era una coppia, un ragazzo e una ragazza. Non li associò a Eva. Dovrebbe arrivare una ragazza e non una coppia. Forse stanno cercando qualcuno che non sono io rifletté, osservando l'auto con la coda dell'occhio, mentre manovrava per accostare al marciapiede. Parcheggiò dinnanzi alla macchina di Giacomo, perfettamente allineata al cordolo.

    Forse vogliono chiedere delle informazioni si disse, controllando le mosse degli occupanti.

    La coppia si mosse verso di loro. La ragazza non era molto alta ma aveva un sorriso luminoso. A Laura piacque subito. Il compagno era alto e biondo, dal viso serio e leggermente annoiato. Però si faceva notare per il modo franco di camminare. Sicuro di sé e per nulla altezzoso.

    «Ciao» esordì la ragazza. «Laura?»

    «Ciao. Benvenuta in questa compagnia di visionari amanti della natura».

    Osservò il ragazzo, domandandosi se era un semplice accompagnatore oppure un aggregato inatteso dell'ultima ora.

    «Questo è…» disse Eva, girandosi verso chi stava alle sue spalle. «Questo è Luca, il mio compagno. Se non è d'impiccio, ci farà compagnia in questa escursione».

    «Ciao» rispose Laura con un sorriso franco sulle labbra volgendosi verso di lui. «Certo. È il benvenuto tra noi».

    Colta da un'improvvisa folgorazione, arrossì per l'imbarazzo. «Non vi ho presentato Giacomo, l'altro componente della spedizione».

    Una serie di Ciao e un intreccio di mani misero fine alle presentazioni.

    «Ho strappato Luca dal suo antro, la camera oscura» disse Eva per giustificare la presenza del compagno. «Ama la fotografia ed è un valente fotografo. Credo che le sue magie ci possano essere utili oggi. Ma anche domani se il progetto prende forma».

    «Meraviglioso!» esclamò Laura, battendo le mani come una bambina per la felicità di un regalo inatteso.

    «Calma» replicò Luca senza troppi trionfalismi. «Eva mi spaccia per un Frank Capa in incognito ma sono molto meno abile. Un modesto dilettante al quale piace inquadrare oggetti e persone».

    «Non dategli ascolto» fece Eva, stringendolo. «Luca è bravissimo. Vedrete e toccherete con mano, quanto è abile con gli obiettivi».

    «Bene. Che ne dite di avviarci?» chiese Laura. «Avete qualcosa da scaricare, prima di metterci in viaggio?»

    Luca si avviò col suo passo deciso e svelto verso il baule della Polo, da dove tolse uno zaino, una sacca e delle borse da fotografo.

    Il viaggio stava iniziando sotto i migliori auspici. Lasciata Bologna, avevano deciso di percorrere la via Emilia per godersi un viaggio meno monotono rispetto all'autostrada.

    «Facciamo una sosta da Dino» disse Laura, dirigendosi verso Castelguelfo.

    «Chi sarebbe?» chiese Eva.

    «Un bar pasticceria dove possiamo fare un'ottima colazione e portare con noi un bel dolce della casa».

    «Ma lo conosci?» chiese curioso Giacomo.

    «No» spiegò Laura che guidava. «Cercando sul web qualche notizia ho trovato sul sito Itinerari a Bologna che andando verso Castiglioncello c'è questa ottima pasticceria».

    «Ma allora ci usi come cavie?» proseguì per nulla convinto Giacomo.

    A questa battuta risero, perché era stata detta con un tono talmente serio che era impossibile resistere.

    «Ma no! Ne ho sentito parlare. Un tempo era famosa. Cosa costa fermarci?» disse Laura, cercando di eliminare i dubbi.

    «Ma perché parli al passato?» continuò imperterrito Giacomo accigliato.

    Il dialogo pareva surreale: da una parte Laura che tentava di fugare le perplessità senza riuscirci, dall'altro Giacomo che incalzava con nuove domande senza essere persuaso dalle spiegazioni.

    «Ma sei sempre così diffidente?» chiese Eva.

    «No, non sono diffidente» si difese. «Mi piace capire quello che si fa e…».

    «Spaccare il capello in quattro» sbottò Luca, sbuffando.

    «No!» disse Laura, prendendo le difese di Giacomo. «È un ingegnere tosto e quadrato. Fa benissimo a chiedere».

    Laura distese il viso per stemperare l’atmosfera un po’ elettrica.

    «Beh! Insomma… manca molto per arrivare da Dino? Almeno il caffè lo fa?» fece Giacomo, arrossendo per essere stato troppo malfidente.

    «Credo di sì. La pubblicità parlava di pasticceria bar. Non siamo molto distanti. Ancora qualche minuto di strada» disse Laura.

    «Sembri pratica delle strade…» notò Giacomo, inarcando una sopracciglia.

    «Eh! Beh! Sì» farfugliò Laura in leggero affanno. «Mai sentito parlare dell'outlet di Castelguelfo?»

    «No, mai!» esclamò Giacomo con lo sguardo sorpreso. «È roba da donne».

    Di nuovo il suo viso era della persona seria.

    «Ci passiamo di fianco» spiegò Laura. «È ancora presto ma tra poco le strade saranno intasate».

    L'atmosfera nell'abitacolo s'era riscaldata per lo scambio di battute tra Laura e Giacomo.

    Fatta la sosta da Dino, ripresero la via Emilia fino a Imola, dove presero la provinciale, la Montanara, che li avrebbe condotti verso la meta del viaggio.

    Era passato poco più di un'ora dalla partenza, quando raggiunsero Castel del Rio, prima di affrontare l'ultimo tratto del viaggio verso il borgo fantasma. Si fermarono in paese per una rapida visita. Laura aveva letto che meritava una sosta, prima di proseguire per Moraduccio, quattro case immerse nel verde dei primi contrafforti dell'Appennino tosco-emiliano al confine con la Toscana.

    Luca estrasse una reflex per scattare istantanee degli angoli più caratteristici del paese. L'occasione permise a Laura di osservare meglio la coppia, che le pareva ben assortita e affiatata. Lui non aveva il sorriso contagioso, perché era serio ma mai col broncio. Dalla battuta pronta e incisiva non perdeva l'occasione per far sentire la sua voce. Alla ragazza fece un'ottima impressione e provò invidia nei confronti di Eva, solare e sorridente. Se il ragazzo appariva introverso, lei era estroversa. L'impressione era che fossero complementari e mai antagonisti. Mentre lo osservava, concentrato nello scegliere l'inquadratura giusta, la ragazza chiacchierava fittamente con Giacomo, come se fosse disinteressata a Luca.

    Laura si accorse che era solo apparenza, perché con discrezione seguiva l'armeggiare del compagno, pronta a portargli la borsa, qualora se ne presentasse la necessità.

    Di sicuro è una coppia affiatata. Nessuno dei due sta col fiato sul collo dell'altro.

    Poi si concentrò su Giacomo, che era rimasto defilato dopo lo scambio di battute sulla sosta da Dino.

    L'ho trascurato pensò la ragazza. Dopo il primo contatto ho scambiato quattro battute per lo più banali e scontate. Non era riuscita a inquadrarlo. Le sembrava tetragono al suo entusiasmo e di Eva ma forse era una sensazione falsata dal battibecco di poco prima.

    Mentre Laura era impegnata a valutare e riflettere sui compagni di viaggio, Giacomo analizzava le due ragazze e Luca.

    Gli era sembrato che Laura prestasse troppo interesse a Luca, che per contro pareva poco interessato a lei. Però era simpatica e piena d’idee. Un piccolo vulcano in perenne eruzione era l’opinione che si era fatto. Senza dubbio aveva fascino e aveva colpito la sua immaginazione. Alta per essere donna. È leggermente più bassa di me. Se mettesse i tacchi mi sovrasterebbe. Però sono quegli occhi mobili e luminosi il punto di forza del suo aspetto. Quel grigio per nulla slavato, appena venato di un azzurro pallido, mi ha colpito fin dal primo istante.

    Un altro aspetto lo aveva colpito: la capacità di parlare con proprietà su argomenti diversi tra loro. Fino a quel momento non era pentito di aver accettato questa avventura. Sarà realizzabile? si disse, scuotendo il capo. Ma alla fine sono tutti simpatici. Poco importa se poi non si arriva a niente.

    Capitolo 5

    Ripresero il viaggio dopo le fotografie e aver camminato per Castel del Rio come gitanti della domenica. La meta non

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