Goccia dopo goccia
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Book preview
Goccia dopo goccia - Laura Percassi
Laura Percassi
Goccia dopo goccia
Al mio Piccolo Ometto e alla mia Principessa
che hanno saputo condire le mie giornate
con il miglior balsamo per l’anima:
il loro amore.
Foto di copertina realizzata da Sergio Scandella
UUID: 477cedd2-a20f-11e6-9689-0f7870795abd
Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write (http://write.streetlib.com)
un prodotto di Simplicissimus Book Farm
INDICE
PREFAZIONE
QUANDO TUTTO E' PERFETTO
PAURA TI PREGO FAMMI SCENDERE
IL DOLORE NEL CUORE
UN MACIGNO TRAVESTITO DA PIUMA
BI.DI.ESSE. ROMPI BOLLE
PICC O PORT
INVISIBILE PRESENZA PREZIOSA
GOCCIA DOPO GOCCIA
PICCOLA STELLA SENZA CIELO
FOULARD E CAPPELLI
SAN SIRO
WEEKEND AL MARE
CORRIERE ESPRESSO
MAMMA
WONDER MOMMY
CAFFE' NERO BOLLENTE
PAOLA
NUMERO VENTITRE'
ECCO I QUARANTA
IL BLOG
L'ALBERO DELLA VITA
E POI C'E' QUEL SOGNO
L'ESSENZIALE E' INVISIBILE AGLI OCCHI
Ringraziamenti
PREFAZIONE
Se fossi un frutto, sarei una mela: tonda, succosa, nutriente.
Se fossi una forma geometrica, sarei un quadrato: spigoloso quanto basta ma perfettamente simmetrico.
Se fossi un animale, sarei un cane: fedele e sempre pronto a vegliare su chi amo.
Se fossi un fiore, sarei un ranuncolo bianco.
Se fossi un piatto, sarei una pasta al pomodoro.
Se fossi un mobile, sarei un comò: nei miei cassetti riporrei con cura le persone che abitano la mia anima, le profumerei e le chiuderei per proteggerle da tutte le avversità.
Se fossi uno stile, sarei lo stile shabby chic che letteralmente significa elegante trasandato. Stile romantico ed etereo, dove sembra di vivere sulle nuvole, in un altro mondo. Dove tutto è soft ed ovattato e dove l’ambiente è molto rilassante.
Se fossi una macchina, sarei una jeep: perché oltre ad avere le cinque marce canoniche, avrei le marce ridotte e le ruote motrici, quelle che ti permettono di fare le vie più impervie e in pendenza.
Se fossi un’attrice, sarei Julia Roberts.
Se fossi un leader, sarei Martin Luther King, perché credo ancora nei sogni. "Io ho ancora un sogno, sogno che sulle rosse colline della Georgia, i figli degli antichi schiavisti e i figli degli antichi schiavi, siedano insieme al tavolo della fratellanza".
Se fossi un pilota, sarei Alex Zanardi, per la capacità che ha avuto di raccogliere dalla pista i pezzi di se e trasformarli nei suoi punti di forza, per andare a vivere.
Se fossi uno scrittore, sarei Paulo Coelho.
Se fossi una Capitale Europea, sarei Parigi.
Se fossi uno sport, sarei la pallavolo.
Se fossi un colore, sarei decisamente il lilla.
Se fossi un segno zodiacale, sarei Pesci.
Se fossi un mare, sarei l’Adriatico.
Se fossi una città, sarei Venezia.
Se fossi un dipinto, sarei il bacio di Klimt.
Se fossi un cantante sarei sicuramente Luciano Ligabue.
Se fossi una Nazione, sarei l’Italia.
Se fossi un asteroide, sarei ovviamente il B 612.
Se fossi un capo d’abbigliamento, sarei un vestito, morbido, in chiffon, leggero, comodo da portare.
Se fossi un paio di scarpe, sarei un paio di anfibi: fermi, sicuri, pronti a qualsiasi evento.
Se fossi una luce, sarei una candela, con quel colore caldo, con quella forma indefinita e sempre in movimento, che avvolge tutto ciò che gli sta intorno.
Se fossi un disegno, sarei una casa con fiori sui balconi, un bell’albero con frutti, due cagnolini, una bella famigliola, un orticello, un sole giallissimo e tanti sorrisi.
Se fossi una canzone, sarei Piccola Stella Senza Cielo
: perché a volte mi sono trovata senza il mio cielo.
Se fossi un libro, sarei L’Alchimista
: Ascolta il tuo cuore. Esso conosce tutte le cose
Se fossi un numero, sarei decisamente il 23
: il messaggio d’amore continuo di mio marito.
Se fossi una data, sarei il 15.06.2004 e il 27.03.2009: i giorni in cui sono diventata mamma.
Se fossi una malattia, sarei decisamente il cancro.
Ma qui ci vuole un po’ di tempo per spiegare il perché.
E ora inizia il vostro viaggio nel mio mondo.
Benvenuti a bordo.
QUANDO TUTTO E' PERFETTO
La vita è come il caffè: puoi metterci tutto lo zucchero che vuoi, ma se lo vuoi far diventare dolce devi girare il cucchiaino. A stare fermi non succede niente
(Alex Zanardi)
Era inverno. Per la precisione febbraio. Una sottile nebbia si intravedeva dalle finestre. Ormai era l’imbrunire. La domenica stava volgendo al termine.
Lo scoppiettio della legna e le ombre che si creavano con il fuoco della stufa rendevano l’atmosfera calda.
In quelle lingue di fuoco andava il mio pensiero, che, come accadeva spesso, si ritrovava catapultato tra le mie montagne.
Pistaaaaaa
ero in gran forma quella mattina.
Tu sei tutta matta!
mi disse Anita.
E chi non lo è! Parli proprio tu!
Risposi con una risatina.
Era domenica. La neve era arrivata da pochi giorni.
Le sere precedenti, quando uscivo dal lavoro, guardavo le mie montagne e vedevo nelle ombre della notte le luci dei gatti delle nevi che battevano
la neve per preparare le piste da sci. Il loro movimento, da così lontano, era sospeso nel vuoto, lo sfondo era nero: era il cielo di notte. Il movimento di quelle luci era tanto lento quanto dolce, come se stessero stendendo con una cura maniacale, una coperta di seta. E con la mente ero già là, sugli sci, per fare la mia discesa liberatoria.
Adoravo quelle domeniche, il sole faceva riverbero sulla neve, raggiungevo Anita che nel fine settimana si fermava nel suo appartamento ai piedi delle piste da sci, per, poi, partire insieme.
Seggiovia e libertà pura.
Seguivo sempre i consigli di Anita, figlia di maestro di sci, perché sapevo che c’era sempre qualcosa da imparare.
Poi però, quando la lezione finiva, mi lasciavo andare: l’aria gelida arrivava sulle guance, la velocità nei piedi, il battito del mio cuore, e senza rendermi conto, a volte aprivo le braccia, come fossero due ali che spiccavano il volo e mi sentivo libera.
Ero in cima alla montagna. In quei momenti, se avessi voluto, il cielo l’avrei toccato davvero.
Durava pochi minuti, il tempo di una discesa, ma era un’emozione pura.
Chiudi le braccia, non vedi che hai il baricentro spostato indietro!?
mi urlò Anita.
Ma tu non sai cosa ti perdi a spostare il baricentro ogni tanto!
risposi con un urlo che riempì il cielo.
Poi un sussulto. Mi chiesi se mai, nella conduzione della mia vita, avessi spostato il mio baricentro. Almeno una volta.
Ci fermammo per il nostro caffè di metà mattina.
L’aria all’interno del rifugio era riempita dai profumi di cucina: polenta, spezzatino, affettati, formaggio, tè caldo, tisane, cioccolata e caffè si mescolavano tra loro.
Con quel cammino goffo a causa degli scarponi da sci, entrammo e ci trovammo un angolino vicino alla finestra che dava sulla pista.
Era una giornata meravigliosa. Il sole rendeva tutto unico.
Anita era un’amica meravigliosa. Quando voleva bene ad una persona, dava anche il mondo. E con me era così: premurosa, totalitaria, assoluta.
Si alzò, ordinò i caffè, aspettò che la cameriera gli preparasse tutto e poi con il vassoio arrivò al tavolo dove io ero seduta.
Chiacchierammo, con le mani incollate alle tazze, per riscaldarle.
Sorridevamo pensando a mia sorella, chiedendoci se mai l’avessimo vista con l’attrezzatura da sci indosso.
Mia sorella preferiva aspettarci a casa. La montagna non faceva per lei. Lei era nata a luglio, con il caldo, adorava il mare, i vestiti leggeri, i pizzi, i libri letti sotto l’ombrellone.
Le tazze erano ormai vuote da un po’. Era tempo di ritornare in pista.
Gli scarponi facevano un rumore sordo sul parquet del rifugio, quegli arnesi che obbligavano ad ancheggiare come simulando una camminata teatrale, di quelle che devono essere enfatizzate per arrivare nette e chiare al pubblico.
Attaccammo gli sci e cominciammo a sciare portandoci verso la seggiovia.
La neve sotto di noi si era scaldata ed ora gli sci riuscivano a lasciare una scia precisa e simmetrica.
Io adoravo le cose simmetriche. Tanto c’era a destra e tanto doveva esserci a sinistra. Questo mio modo di pensare credevo fosse dato dal fatto che ero del segno dei pesci, un segno doppio.
La giornata continuò tra discese, risate e anche ruzzolate nella neve, perché quando spostavo troppo il baricentro, il capitombolo era assicurato e lo sguardo di Anita quando mi rialzavo era di quelli che dicevano "Te l’avevo detto seguito dal suo sorriso inconfondibile che recapitava il messaggio
Però ti voglio bene lo stesso".
Pausa veloce per un pranzo fugace: panino, bibita e