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Un tè tra amiche
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Un tè tra amiche

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Un tè tra amiche consiste nel viaggio di sei amiche dall’adolescenza alla maturità, in un crocevia di passioni, sentimenti, storie d’amore, riflessioni introspettive, componimenti poetici e vita reale. Agata ed Elisabetta Cappelli, conosciute con il nomignolo di Ghitina e Bettina, insieme alle amiche di sempre: Lorena, Beatrice, Iole e Maria Sole, si riuniscono per il tè-incontro delle cinque nel loro antiquato salotto anni ‘50. La casa è frequentata anche dal fratello Francesco, aitante, gioviale e passionale, coinvolto in storie amorose tra la Sicilia e il gruppo di donne romane che lo ammirano e lo corteggiano. Compagne dai tempi del liceo, le sei amiche hanno vissuto le stesse esperienze di vita: la scuola, la chiesa, la causa femminista, la famiglia, il volontariato parrocchiale, l’impegno sociale, oltre alle infatuazioni amorose e alle trasgressioni della giovinezza. In ultima analisi è il racconto della quotidianità di vita di un gruppo di ragazze e poi di donne che si svolge attraverso gli anni, in una panoramica poetica e introspettiva del sentimento dell’amicizia e dell’amore.
Maria Rosaria Fortini Ho iniziato il mio percorso letterario scrivendo favole. Lette, animate, recitate in numerose scuole, centri ricreativi, biblioteche e librerie, in varie regioni d’Italia. La scrittura è un’antica passione, nata sui banchi di scuola. ‘Un tè tra amiche’ è il mio primo romanzo e l’ho voluto creare come una favola. Con personaggi che vivono, soffrono, amano e agiscono con sincerità e spontaneità, in armonia con i sogni, le speranze, i desideri e i valori autentici della loro giovinezza.
LanguageItaliano
Release dateOct 5, 2016
ISBN9788822852397
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    Book preview

    Un tè tra amiche - Maria Rosaria Fortini

    Conclusioni

    In casa Cappelli

    Brrr…che freddo fa stasera. Ma pensa, Bettina, Lorena è appena arrivata da Bologna e già deve ripartire domani per Venezia.

    Le sorelle gemelle Agata ed Elisabetta stavano preparando il tè per la riunione, alle cinque, alla quale le loro quattro amiche, Lorena, Beatrice, Iole e Maria Sole, avrebbero preso parte.

    Lorena, architetto di successo, veniva da Bologna, Beatrice da un quartiere elegante della città, Iole dalla vicina scuola media di cui era vicepreside e Maria Sole, brillante insegnante afflitta da periodiche crisi di identità, dal palazzo accanto al loro.

    Amiche dal tempo del liceo, le quattro donne e le due sorelle, familiarmente chiamate Ghitina e Bettina, avevano circa la stessa età, quarantaquattro anni.

    Alta e quasi statuaria Agata, con le spalle un po’ scese, differiva dalla sorella per il carattere più chiuso, riflessivo e tollerante. Elisabetta era briosa ed estroversa, amava il canto e aveva una fluente chioma nera di cui andava molto orgogliosa. Meno alta dell’altra, dominava le persone che le stavano vicino con l’intelligenza e il buonumore.

    Erano vissute sempre insieme, fatto le stesse esperienze, seguito gli stessi interessi religiosi che duravano ancora oggi. Assidue della loro chiesa, non erano bigotte. Se c’era da scherzare con gli uomini, lo facevano volentieri.

    Elisabetta, molti anni prima, era stata fidanzata con un coetaneo di nome Pino. L’aveva incontrato nella merceria di famiglia dove, con Agata, vi lavorava fin dal tempo del diploma. Pino era entrato più di una volta per acquistare il necessario da cucito per sua madre. Le negozianti erano state affabili, si erano interessate al suo lavoro e alla salute dell’anziana signora tant’è che, dopo qualche tempo, il ragazzo aveva trovato il coraggio di chiedere ad Elisabetta di uscire con lui; naturalmente durante il pomeriggio, di domenica e con altri conoscenti. La ragazza aveva accettato e Agata se ne era rallegrata. Ma fu felice quando i due, dopo qualche mese, si lasciarono.

    Dovendo convivere con i genitori, cagionevoli di salute, nessuna delle gemelle aveva pensato di protrarre gli studi. Molto brave a scuola, amavano la lettura e la cultura, soprattutto teologica. Il loro punto di riferimento era Francesco, il fratello commercialista per il quale avevano una vera adorazione.

    Dal quinto ginnasio iniziarono a frequentare quattro compagne di classe di cui divennero inseparabili amiche: Lorena, Beatrice, Iole e Maria Sole. A turno uscivano a due o a tre, ma s’incontravano spesso tutte insieme a casa ora dell’una ora dell’altra.

    Beatrice, essendo figlia unica, poteva ospitare più spesso le altre. Erano tutte entusiaste della libreria del suo salotto stracolma di libri, portati dai genitori, proprietari di una libreria in centro. Era la ragazza più bella del loro corso ma molto riservata e modesta.

    Anche Lorena invitava a casa sua una volta al mese per una festicciola, per la maggior parte al femminile. In ogni occasione, se non c’erano i genitori, era presente il fratello Guido, più grande di lei di due anni. A turno, le compagne di Lorena si erano invaghite del bel giovane ma con scarso successo. Secondo Lorena, il fratello aveva grandi ambizioni e, finché non avesse raggiunto i suoi scopi, non avrebbe accettato legami di alcun genere. Solo con Beatrice, la più bella e dolce della compagnia, Guido ci aveva ‘provato’.

    Di capelli biondo-rossi, con tante efelidi sul viso, sicura di sé, Lorena era la più spiritosa e brillante tra loro. D’estate compiva viaggi all’estero per seguire corsi di lingue che le sarebbero serviti quando, ne era sicura, sarebbe stata un architetto affermato con la necessità di spostarsi in tutto il mondo. Probabilmente non mi sposerò mai aggiungeva.

    Dello stesso parere era Iole la quale aveva deciso di dedicare ogni energia alla causa femminista e alla politica quando, inaspettatamente, all’età di diciassette anni, le era nata una sorella, Santa.

    Dopo la maturità era andata ad abitare con due amiche di fede anche se amava molto la famiglia. Da allora, aveva tagliato i capelli cortissimi e adottato un abbigliamento hippy.

    Nonostante soffrisse di complessi, era un tipo vivace e simpatico, con la battuta pronta ed arguta e un grande desiderio di rapporti umani.

    Hai sentito Lorena per telefono? chiese Elisabetta con una punta di risentimento, attaccando un festone alla finestra.

    Scusa, ho dimenticato di dirtelo. Ha chiamato Iole questa mattina per confermare l’appuntamento di oggi e mi ha riferito gli impegni di Lorena. Agata porse un pezzetto di scotch alla sorella, arrampicata su una scala.

    E’ una fortuna che tutte le nostre amiche abbiano accettato di venire al nostro tè-incontro, non è vero Ghitina? Ahi! Elisabetta si era data il martello sul dito. Stavano cercando di abbellire una casa che aveva molto bisogno di un tocco di modernità.

    E’ un espediente originale per rivederci riprese Agata. E poi, se ricordi bene, noi due abbiamo sempre accentrato l’attenzione di tutte… E tu di tutti, naturalmente. Agata si voltò per non mostrare alla sorella il moto di dispetto che sempre provava al vecchio ricordo.

    Che vuoi dire? esclamò Elisabetta contrariata, massaggiando il dito dolente.

    Che, a quell’epoca, eri un po’ civetta e chiacchieravi di preferenza con i maschi che ti capitavano a tiro.

    Che c’entra? A quell’età eravamo tutte un po’ civette e tu, per contrasto, eri fin troppo seria.

    Non ricordi la severità dei nostri genitori? Solo Francesco ha potuto godere di un po’ di libertà in quegli anni.

    Adesso che i genitori non ci sono più, potremmo darci da fare.. disse Elisabetta azzardando un modo di dire spregiudicato.

    Per carità, io ho chiuso con questo argomento. Il festone blu e oro faceva finalmente mostra di sé intorno alla finestra.

    Lo so, da quando Pino si fidanzò con me invece che con te, non mi hai più perdonato.

    Che ti viene in mente, Bettina? Dici delle sciocchezze! Senza saperlo, Elisabetta aveva colto nel segno.

    Altro che sciocchezze. Sono convinta che, dopo quella delusione, non ti sei più riavuta. Non è vero, forse?

    Stai scherzando? Se fosse vero, quando vi siete lasciati, mi sarei fatta avanti io assicurò Agata.

    Non ne avevi il coraggio. Chissà che avrebbero detto mamma e papà. Elisabetta deplorò in cuor suo la severità dei genitori. In fondo, non esisteva alcuna legge che vietasse di innamorarsi dell’ex fidanzato della sorella.

    Senti, non ne parliamo più tagliò corto Agata ..e poi, Pino, non sappiamo nemmeno che fine abbia fatto.

    Non ne parliamo, va bene, però a quarantaquattro anni siamo ancora piacenti, non trovi?.. Mi dai quell’altro festone, per piacere? Elisabetta si spostò alla porta-finestra che dava su un balcone a ringhiera, di moda cinquant’anni prima.

    Chissà, speriamo che tu abbia ragione.

    Agata sistemò i capelli castani raccolti a coda e si guardò fugacemente nella vetrina del mobile antico mentre prendeva il festone richiesto.

    Per le due sorelle avere battibecchi di questo genere non era raro, su ogni argomento. Adesso poi, che erano in procinto di rivedere le compagne di scuola, molti conflitti e rivalità della gioventù si affacciavano di nuovo alla coscienza. Alla fine, comunque, facevano sempre pace.

    A proposito di Francesco disse Elisabetta chissà se pensa ancora a Maria Sole.

    Vorresti che nostro fratello si sposasse con lei, vero?

    Perché no? Sono sicura che sono ancora innamorati e a lei farebbe molto bene l’allegria di lui.

    Tra le sei amiche Maria Sole era stata sempre la più riservata e problematica. A quattordici anni portava sulle spalle una treccia castana che le dava un aspetto distinto ed austero. Nonostante la ritenessero all’antica, i ragazzi si invaghivano della sua aria sfuggente e misteriosa.

    Molto studiosa, non dava confidenza ai compagni e prediligeva la letteratura e le discussioni scientifiche ai discorsi sulla moda e gli innamoramenti ma, incapace di provare sentimenti di invidia o di gelosia, aiutava tutti con gioia. Il suo cruccio era costituito dalla severità dei genitori e dal loro difetto di voler decidere del suo futuro. Fin dall’infanzia, le avevano imposto di laurearsi in matematica per seguire poi la carriera universitaria. Appartenenti a note famiglie di matematici e accademici, in mancanza di un figlio maschio, a suo parere, entrambi avevano riversato su di lei le proprie ambizioni.

    Francesco, a ventiquattro anni, se ne era innamorato. Era un ragazzo agile e volitivo. Nel viso regolare spiccavano gli occhi verdi, ironici ed attenti. Gli zigomi alti e la bocca carnosa, facevano di lui un ragazzo piacevole ed attraente.

    Aveva fatto una corte serrata all’amica delle sorelle, fino a che la ragazza gli aveva detto di sì. Il loro passatempo preferito era stato quello di scambiarsi, declamandoli, versi poetici.

    Dieci anni più tardi si erano persi quasi tutti di vista. Lorena, Iole e Beatrice si erano sposate molto giovani. Maria Sole e Francesco si erano lasciati. Le sorelle Cappelli erano rimaste tali e quali, molto indaffarate ad accudire i genitori malati proprio quando il fratello si era allontanato da casa per lavoro.

    Da Agata ed Elisabetta era partito il desiderio, l’anno precedente, di rivedersi come ai vecchi tempi.

    Ehilà sorelline, per quanto tempo ancora occuperete questa sala? Francesco si affacciò con aria sorniona sull’entrata facendo finta di essere indifferente all’avvenimento che preoccupava tanto le sue sorelle.

    Perché? chiese Agata.

    Perché ho intenzione di starmene chiuso nello studio fine a che non avrete finito con il vostro tè.

    Non essere scortese. Sono secoli che non vedi le nostre amiche. Non c’eri neanche quando venne Lorena al tè-incontro dell’anno scorso. Ci chiedono sempre di te. Agata coprì il tavolino del salotto con un centro ricamato.

    Soprattutto Maria Sole precisò Elisabetta sistemando dei fiori in un vaso.

    Con ciò? Non sono obbligato a rivedere nessuno.

    No, ma Maria Sole non si è sposata, e nemmeno tu.

    Che significa?

    Che si potrebbe sempre aggiustare qualcosa che si è rotto tanto tempo fa aggiunse Agata sistemando sul tavolino il vaso adornato dalla sorella.

    Te l’ha detto lei?

    No ma.. sai, stavamo parlando. Agata si voltò per nascondere il rossore del volto. Non era abituata a parlare di questioni d’amore con il fratello.

    Per favore lasciate stare!

    Più divertito che contrariato, Francesco chiuse la porta del salotto e si rintanò nel suo studio. Chi gli avesse detto che dopo venti anni avrebbe provato il desiderio di rivedere la sua antica fiamma, l’avrebbe altamente deriso, invece da qualche mese, proprio da quando era stato lasciato da Sibilla, la sua donna siciliana, l’immagine di Maria Sole gli era tornata alla mente con insistenza.

    Francesco e Sibilla

    Dottore commercialista impiegato in un’azienda farmaceutica di livello europeo, Francesco era stato incaricato da alcuni anni di seguire l’attività della filiale siciliana e ciò gli comportava di trascorrere cinque giorni alla settimana a Catania. Proprio qui aveva conosciuto una splendida ragazza con cui aveva iniziato, all’insaputa delle sorelle, una relazione che presto era finita. Dopo un periodo di delusione, aveva ricominciato a pensare a Maria Sole. Si era informato discretamente da Elisabetta e aveva saputo che tempo prima la donna era stata corteggiata da un collega, insegnante di scienze al suo stesso liceo, ma che era stato respinto.

    Era sicuro che la ragazza avesse ancora seri problemi di adattamento e di realizzazione di sé. Ricordava il tema delle sue frequenti inquietudini, cioè l’insofferenza alla convivenza in famiglia e il senso di frustrazione sofferto nell’ambito lavorativo. Francesco aveva risolto presto questo aspetto della sua vita. Si era allontanato da casa il più presto possibile ed era stato ben felice quando la sua azienda gli aveva proposto il trasferimento in Sicilia. Con le sorelle, esageratamente attaccate ai genitori finché erano stati in vita, aveva ora un discreto rapporto.

    Non aveva voluto confessare loro che quel giorno si trovava in casa proprio per rivedere la sua ex ragazza.

    Eh sì, la storia con Sibilla l’aveva cambiato. Di una bellezza straordinaria ai suoi occhi, l’aveva conosciuta nella sala d’attesa di uno studio medico. Tempo prima aveva avuto lancinanti dolori ai denti ed era stato costretto a cercare con urgenza un dentista a Catania.

    Stava seduto aspettando il suo turno quando la vide. Indossava il camice verde delle assistenti del dottore. La ragazza stava facendo passare un giovane e si rivolse a lui pregandolo di aspettare ancora qualche minuto. Francesco fece un cenno d’assenso quasi inebetito. L’avvenenza dell’assistente, bionda e dalla pelle levigata, l’aveva lasciato senza parole. Anche il ragazzo che stava entrando prima di lui la guardava estasiato.

    Conscia e incurante dell’effetto che aveva sugli uomini, Sibilla li trattava con condiscendenza, quasi con affetto.

    ‘Avrà migliaia di corteggiatori’ pensò Francesco scoraggiato.

    Poco dopo stava a bocca aperta sotto le sue mani: Il dottore viene subito, io lo sostituisco per i lavori semplici precisò la ragazza.

    Si accorse di esserle simpatico. Starei su questa poltrona a farmi curare da lei per secoli mormorò guardandola. Sibilla sorrise, compiaciuta, e quando la seduta terminò, Francesco si accorse che aveva aspettato quel momento per poterlo salutare. Cominciò a pensare a lei, ai suoi occhi, al suo sorriso, alla sua pelle vellutata.

    Riteneva che il suo datore di lavoro, il dentista, avesse sui quarantacinque anni. 'Niente di più facile che abbia un debole per quella meraviglia’ pensava spesso con apprensione, punto da un sentimento di gelosia.

    La cura durò più di un mese. Scambiò con lei diverse frasi gentili e scherzose. Quando varcò la porta per l’ultima volta, lei gli disse: Mi dispiace di non vederla più.

    Ci rivedremo, ci rivedremo, non dubiti affermò Francesco con sicurezza prendendo il leggero giubbino dall’attaccapanni.

    Un giorno, come per caso, si fece trovare nei pressi del portone alla chiusura dello studio, verso le otto. Era un portone di legno decorato a rilievo con il muso di due leoni completi di battente. Attese con impazienza.

    Si sentiva ridicolo, un po’ ottocentesco ma era felice, provava l’entusiasmo di un ragazzino.

    Buona sera, Sibilla la salutò andandole incontro dopo essersi assicurato che fosse da sola.

    Buona sera, dottor Cappelli. Aveva bisogno del dottor Giunti? Vestita senza il camice verde, la ragazza era bella da mozzare il fiato.

    No, ero in giro da queste parti. Volevo parlarle, le dispiace?

    No, no.

    Ha qualcuno che l’aspetta?

    No, assolutamente.

    Neanche un fidanzato?

    Neanche un fidanzato.

    Sono proprio fortunato. Vorrei offrirle qualcosa al bar, mi permette?

    Sì, volentieri. Si incamminarono a passo lento.

    Mi sembra impossibile che lei non abbia tutti i giorni una fila di ammiratori fermi ad aspettarla quando esce disse Francesco con galanteria mentre si avviavano al più vicino bar.

    Grazie, ma ultimamente li ho scoraggiati tutti..

    E loro si sono fatti scoraggiare?

    La ragazza rise, divertita. Prima di arrivare al bar, avevano già scambiato diverse battute amichevoli.

    Prego, le faccio strada disse Francesco entrando per primo nel locale. Si accomodarono ad un tavolino rotondo e ordinarono due bibite.

    E’ proprio single, se posso chiederlo?

    Sì, mi sono separata da poco. Adesso vivo di nuovo in famiglia. Un velo di tristezza appannò i begli occhi neri.

    Mi dispiace.

    E lei?

    Io sono libero come un fringuello. L’uomo era orgoglioso di poterle dare tutta la sua disponibilità. L’altra ne sembrò lusingata.

    Mi sento di avere già un fallimento alle spalle continuò la ragazza.

    Non direi. Al contrario, ha fatto una bella esperienza che la farà agire con più lucidità la prossima volta. Il cameriere si avvicinò, i due tacquero per far posto a due bicchieri di granita.

    Speravo che non ci dovesse essere una seconda volta.

    Lo so, non siamo sempre noi a programmare la nostra vita.

    Con Roberto sono stata fidanzata per otto anni e sposata solo per due. Ho già trentadue anni. Sibilla si mosse sulla sedia a disagio.

    Non sembra, gliene davo al massimo venticinque.

    Grazie. Il sorriso tornò sulle labbra di Sibilla. Iniziò a bere la sua bibita. Francesco la guardava ammirato. A parte la bocca rossa e morbida, ciò che l’attirava in lei erano i suoi modi graziosi e simpatici.

    Suo marito dev’essere stato un pazzo a volerla lasciare si lasciò sfuggire.

    L’ho lasciato io. Era diventato di una gelosia morbosa. A volte non è proprio un vantaggio essere attraenti, non trova? Un giovane che sedeva accanto a loro guardò la ragazza rapito.

    Francesco cambiò discorso. Sembrava che l’argomento le fosse ancora molto doloroso.

    Da quanto tempo lavora per il dottor Giunti? L’uomo si girò sulla sedia per guardarla meglio.

    Dall’età di ventisei anni. Sono diventata una brava assistente. L’ho lasciato nei due anni del matrimonio, poi sono tornata. Sembrava che lo sguardo del compagno la mettesse a disagio infatti, appena finito di bere, la ragazza si alzò: Adesso devo andare, la ringrazio per la granita.

    Grazie a lei per non aver rifiutato l’invito di un ammiratore insistente.

    Dopo un mese di cura allo studio, mi sembra di conoscerla bene. Con lei mi sento a mio agio. Sibilla rimise a posto la sedia e imbracciò la borsa a tracolla. Francesco si affrettò a imitarla: Vorrei invitarla a cena una di queste sere. Mi hanno indicato un buon ristorante proprio da queste parti, le va?

    Mi telefoni uno di questi giorni, forse riesco a liberarmi. Varcarono la porta del bar e si salutarono.

    Francesco era felice e sollevato. ‘Ha detto che con me si sente a suo agio. Basta che non mi consideri un fratello maggiore.’

    Il giorno dopo, in ufficio, fu preso da mille occupazioni ma il suo pensiero andava continuamente alla ragazza dai capelli biondi e dalla bocca a forma di cuore. Pensava: ‘Ho quarantatré anni, non sono

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