Ombre di sabbia
By Fabio Berti
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Ombre di sabbia - Fabio Berti
Fabio Berti
Ombre di sabbia
Edizioni EVE
Fabio Berti
Ombre di sabbia
Edizioni EVE
Tutti i diritti sono riservati
Ogni riferimento a cose, luoghi o persone è da
ritenersi del tutto casuale.
Capitolo 1
I capelli di Micaela gli stavano solleticando l’addome. La sua lingua era insistente e agiva con colpetti rapidi e umidicci su un glande turgido e liscio come una ciliegia. Mentre se lo lavorava in questo modoteneva ben stretta la sua mano destra intorno al pene e ne trascinava delicatamente la pelle prima in su e poi in giù, fornendogli un godimento multiplo. Il cliente era cotto al punto giusto: lei per esperienza sapeva che continuando ancora a lavorarselo proprio sulla punta lo avrebbe fatto venire. Era giunto il momento di cambiare. Quindi aveva deciso di stringere qualche centimetro di quel lungo membro tra le sue labbra morbidissime e di praticargli un differente, lento esercizio di fellatio. L‘uomo godeva, gemendo con un filo di voce. Stava trattenendo con fatica la propria voglia di afferrarle la testa per penetrarla fino a farle cozzare il proprio pube depilato sul labbro superiore ma continuava a tenere le proprie mani dietro la schiena perché gli piaceva sentirsi consumare il corpo come se questo fosse stato miele sulla lingua di una golosa. Sì, immaginava che sul suo coso lei avesse spalmato del miele e che in quel momento lo stesse leccando con voluttà.
Era il fatto di immaginare di subire in qualche maniera una violenza a rendergli manifesta la propria inclinazione verso il masochismo ma quel pomeriggio, purtroppo, presagiva che non avrebbero superato la soglia della normalità sessuale e che tra non molto si sarebbe annoiato , col rischio di perdere vigore.
Comunque lo stava sorprendendo. Non gli era sembrata poi così affamata di sesso quando si erano conosciuti in chat. L’aveva trovata, come dire, alquanto insignificante in quell’unica foto a mezzo busto che esponeva sul profilo di un sito per incontri, dove era riuscita a spacciarsi per una acqua e sapone. Gli unici motivi che lo avevano spinto a interessarsi a lei erano stati la sua giovane età e il fatto che il suo amico Renato gliene avesse già parlato bene da tempo. Ma, se Micaela non fosse stata fin dall’inizio molto aperta e disponibile, il suo interessamento sarebbe svanito in meno di un minuto.
Comunque sia, ora stavano giocando al gioco dell’amore in una cabina su una spiaggia in Toscana: la cabina di Renato.
Le tette della ragazza erano un richiamo irresistibile per Daniele. Immaginava, dall’alto, di strizzargliele con forza quelle grandi mammelle pallide mentre lei avrebbe cavalcato sul suo palo supplicandolo di fare piano. Si trattava di fantasie ma alimentavano il fuoco della sua passione e servivano eccome, povero uomo che avrebbe potuto correre il rischio di sfigurare di fronte a tanta energia giovanile. Quella bocca poi faceva il resto, provocandogli un senso di accudimento che lo proiettava ad altri tempi. Si sentiva manipolato sessualmente ma era quel genere di attenzione morbosa che un uomo può cercare per una vita senza trovarla mai mentre lui, ora, la stava ringraziando di esistere.
Sua moglie Monica invece era a Marina di Ardea, litorale Sud di Roma, a badare al loro figlio Mirko. Daniele si trovava in Toscana perché faceva il conducente di pullman e aveva trasportato lì un gruppo corale romano, pensando bene di procurarsi un comitato di accoglienza personale per farsi sollazzare a dovere. Monica pareva non sospettare niente, forse grazie all’abilità di Daniele nel mentire o forse perché non voleva badare a certe sottigliezze.
In quel momento il piccolo Mirko costruiva un castello con la sabbia. Intorno la sua opera tanti piedi la lambivano e minacciavano di distruggerla. Ci si metteva pure il mare, adesso, con quelle onde sempre meno simpatiche perché non sapevano restarsene calme dentro l’acqua. E una mano aveva cominciato ad accarezzarlo sulla testa: il bambino, alzando gli occhi, aveva incrociato lo sguardo con quello di una persona buona.
La giovane ci metteva passione senza mollare un solo istante la presa e Daniele, per non deluderla, teneva duro. Le sussurrava frasi romantiche e riempiva la stanza con sommessi mugolii eccitanti e lei voleva sentirsi amata, perché lo desiderava come mai nessuno prima di lui.
« MIRKOOO »: la mamma non trovava più suo figlio. Stava setacciando la spiaggia insieme ad alcuni amici e del bambino non c’era traccia.
Daniele e i venti centimetri di coso che madre natura gli aveva donato facevano un figurone: peccato che la suoneria del suo smartphone da qualche minuto stesse squillando a un ritmo incalzante di Salsa. Lui l’aveva lasciata fare ma per Micaela era troppo fastidiosa. Quindi, esasperata, aveva esclamato « rispondiii ! », facendogli patire il ruvido e repentino sfregamento dei denti sul suo membro gonfio dovuto allo scatto con cui se lo era sfilato dalla bocca. Dopo un istante di dolore lui aveva risposto e Micaela, ammansita, si era di nuovo cimentata nella sua arte preferita riattivandosi con la lingua proprio sulla morbida ciliegia che un attimo prima aveva fatto soffrire ma che ora stava riempiendo di calda saliva riparando il danno arrecato e lui, assorbito da quel gioco che gli toglieva le forze e con un filino di voce, si era disposto a rispondere al telefono:
« Broondoo ... ».
« DANIE’ ! NON C’E’ PIU’ ! ».
Era rimasto di sasso: l’urlo di sua moglie all’altro capo della linea lo aveva terrorizzato.
« Monica, che è successo. Aoh, parla, dì ».
« MIRKO, NOOO ! ».
« Mirko! NO CHE ? ».
« È sparito, non lo troviamo più ! ».
« Ma come è sparito ? ».
« Non lo trovo più, non lo trovo più ».
Micaela non riusciva a proseguire: il momento aveva cambiato l’umore di entrambi.
«Ho parlato coi carabinieri, coi vigili urbani, con Guido pure ho parlato e mi ha detto che tiene sotto controllo tutta la spiaggia, ha detto ».
«Và a vedere se sta da Venturi, che quello cerca sempre i giocattoli ».
« Non c’è. Lo capisci che non lo troviamo da nessuna parte?».
« Ma come cavolo hai fatto a perdertelo, come cavolo ! ».
« Non lo so, amore. Scusa, scusaaa !».
«Dai, su. Devo scendere, mo’ chiamo giù e faccio salire un altro».
«Sbrigati a venire giù, sto male».
Chiusa la conversazione avrebbe voluto solo essere a casa in un istante.
« Me dispiace Micaela, capisci che situazione! Mio figlio è sparito e mia moglie non sa che pesci prendere, poveraccia. Devo andare a casa, lo trovo io, lo trovo ».
« Che pesci prendere? Daniele, dispiace. Ma voglio rivedere te, mi piaci Daniele », un’insistenza fuori luogo ma quando dirglielo poi.
« Micaela non ce sto a capì niente! Grazie, anche tu mi piaci, sentiamoci. Sì che voglio rivederti, ma ora devo andare a casa. Dio che male che me sento allo stomaco, me sta a fa’ un maleee ! ».
« Amore, nervoso. Stai calmo che lo trovi il figlio ».
« Prego Dio de trovallo, sennò non lo so che combino, scasso qualcuno, scasso ! ».
Non era più in sé : il pavimento gli sembrava arroventato tanto che non riusciva a starsene fermo neanche un secondo. Rivestitosi con quel poco che aveva da indossare era uscito dalla cabina, seguito dalla ragazza.Si erano lasciati con un bacio. Dopo la chiamata fatta al lavoro, ottenendo che un collega sarebbe salito da Roma nel minor tempo possibile per permettergli di rientrare, aveva fatto uno squillo anche a Renato per riconsegnarli la chiave della cabina. Rimaneva ancora del tempo per restare solo con se stesso e lo aveva impiegato riflettendo, quasi ipnotizzato dal suono di una canzone che gli ricordava suo figlio. Ma non solo .
E riviveva quel passato ...
Lui e Monica avevano preso la decisione di visitare una mostra di quadri a Roma. Già a partire dal viaggio in treno qualcosa era andato storto.
Poi una voce di uomo lo aveva fatto trasalire:
« Daniele, tutto fatto? ».
Renato, che non sentiva bene e quindi parlava sempre ad alta voce, era giunto lì per riprendersi la chiave della cabina. Zompettava su un piede e sull’altro e come un bambino che non resiste più a soddisfare la propria curiosità voleva sapere com’era stato farsi una fighetta del genere.
« Missione compiuta, Renà ».
« Non mi racconti niente ? ».
« Il solito, Renà ».
« Ma insomma. È una .. Brava ? ».
Annuiva ma sforzandosi di apparire sereno. Evidentemente senza un buon risultato.
« Senti, ma che hai in testa, Daniele, che sembri un cane bastonato ! ».
« Tutto a posto, tutto a posto ».
« Dammi la chiave, và. Tu non me la conti giusta, ma tanto se non parli, non parli. È inutile che insisto ! ».
« Renà ... Capito no .. ».
« Ma certo. Acqua in bocca. Non mi dire che hai fatto cilecca e stai così per questo ! ».
« Renà .. N’è aria, fidate ».
A questa affermazione-minaccia il vecchio si era arreso. Infine si era diretto verso la cabina un po’ rassegnato perché Daniele quel pomeriggio proprio non era in vena né di scherzi né di confidenze piccanti. Anche il romano
aveva ripreso il suo cammino: meta l’albergo. E riaffioravano i ricordi di quel giorno.
Una domenica di ottobre, soleggiata e ottima per passeggiare al centro di Roma, sua moglie aveva proposto di andare a visitare una mostra di un grande pittore alle Scuderie del Quirinale e lui, anche se riluttante, si era offerto di farle compagnia. Non che l’arte fosse una delle sue passioni, però pensava che sarebbe stata utile per passeggiare abbracciato con lei e quindi se l’era fatta piacere. Al centro della capitale e a quattro passi da Fontana di Trevi e da via del Corso,