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Domani leggerà i miei occhi
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Ebook89 pages1 hour

Domani leggerà i miei occhi

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About this ebook

“Durante la conversazione, Gianni scoprì che Amelia quando rideva abbassava lo sguardo, e con una delle sue mani sottili delicatamente nascondeva il sorriso. E scoprì che quel gesto gli piaceva immensamente.” Una storia d’amore difficile, ma solo perché i protagonisti sono due anziani, Gianni e Amelia, e vivono in una casa di riposo, luogo dove sembra avere un senso solo l’attesa della fine e la solitudine dei ricordi. La loro storia ci dimostrerà che il cuore è il nostro organo più importante, e vive e ci fa vivere oltre ogni impedimento, oltre la rassegnazione per una vita al crepuscolo. E capiremo se siamo ancora in grado di credere a tutto questo, all’amore oltre ad ogni convenzione. Fino in fondo.
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateOct 13, 2016
ISBN9788892629479
Domani leggerà i miei occhi

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    Domani leggerà i miei occhi - Maurizio Caldini

    sempre.

    I.

    Sveglia, signor Gianni: è l'ora dell'iniezione!

    Ogni volta che Ines era di turno al mattino, non si poteva non apprezzare il tono della voce delicato con cui accompagnava per mano la consuetudine. L'altra infermiera aveva qualcosa di sgradevole nell’intona-zione. Era immancabilmente spazientita, squittiva. Lo faceva sentire un peso e basta. Ma quella volta gli parve comunque difficile svegliarsi. Il lento riemergere verso la realtà fu doloroso e sparso in tutto il suo vecchio corpo. Aveva sempre odiato gli aghi, quindi non salutò neppure. Considerò uno sbuffo sommesso e rassegnato più che sufficiente. Si scoprì e si voltò sul fianco, concedendosi per l'esecuzione. Un altro sbuffo e tutto si concluse. L'enorme salone suddiviso in stanze, chiuse tra pareti prefabbricate, iniziò a brulicare risveglio: rumori di armadietti di metallo aperti e richiusi, voci sempre più decise, il trottare di zoccoli di infermiere e ausiliarie, le prime conversazioni tra compagni di stanza. La vita nell'ospizio, racchiusa in sterile candore, sembrava talmente ripetitiva da far nascere il tremendo sospetto che il tempo si fosse fermato, che un medesimo giorno continuasse a ripresentarsi e scorrere. Di nuovo. Aveva visto un film, nella sala TV, che trattava proprio quell’argomento. Gli era parsa una felice intuizione, che aveva trovato corrispondenza nell’amara quotidianità. Avrebbe voluto alzarsi, andare in bagno a sbrigare le faccende del mattino. Forse era proprio quella voce a scatenare un automatismo che, purtroppo, non poteva più esistere. Da qualche tempo, infatti, all’interno della casa di riposo ero stato imposto l’obbligo della pulizia assistita anche ai cosiddetti autosufficienti. Sì, forse sarebbe riuscito ad accordarsi con le ausiliarie, poteva tentare. Ma non ne aveva più voglia. Qualcuno si sarebbe occupato della sua igiene personale nel solito modo, così umiliante. Non c'erano alternative. Quella voce. Ricordò sua moglie, scomparsa già da tre anni. La domenica mattina lo svegliava e gli portava la colazione a letto. Anche quello era un rito. E aveva superato tutte le avversità della vita. Tutte eccetto una. Tre anni erano passati, ma gli occhi diventavano ancora lucidi e un groppo in gola rischiava di soffocarlo ogni volta. Il solito respiro sospeso, chiuso nello stomaco.

    Ines comparve sulla soglia, preceduta dalla sedia a rotelle che veniva utilizzata per la toilette. Entrarono insieme nella stanza, seguite da una giovane ragazza di colore. Corporatura minuta, non sembrava proprio adatta per quel tipo di lavoro, pensò. Sbrigarono quello che c'era da fare con la solita insensibile rapidità. In fondo non poteva biasimarle: ne avevano un'altra trentina da preparare, non c'era tempo da perdere in inutili pudori.

    Si trovò riposto sul letto, profumato e vuoto, come una bottiglia capovolta nel lavello. La colazione passò sotto ai suoi occhi come un inutile esercizio di sopravvivenza. La soglia dei settant'anni era già stata superata da altre stagioni; si ripetevano, come in un film, oltre la finestra. All'inizio della sua permanenza, si poteva permettere di andare in giardino a farsi accarezzare le guance dall'ultimo sole dell'autunno, dalla pungente brezza che risvegliava ricordi appena assopiti di decine di inverni indossati controvoglia. D'estate si poteva godere la frescura del mattino, il verde vivace degli alberi, il rigoglioso spettacolo delle aiuole fiorite, che arricchivano l'aria. Il profumo della libertà. Perduta con l'indipendenza. Ora la stanchezza, l’apa-tia, avevano preso il sopravvento. Ed era come l’af-fondare lento e inesorabile, giorno dopo giorno, di un uomo ammanettato, privo di un qualunque appiglio, in piedi sulle sabbie mobili.

    I neon della camerata erano ancora accesi, quel mattino. In uno strano inizio di primavera, pareva che l'autunno avesse ancora ingrigito le vetrate delle finestre, in attesa del ticchettio della pioggia. Un altro giorno di luce fredda avrebbe tinto ogni angolo, ogni letto, ognuno di loro. Ospiti. Dopo un breve attacco di tosse secca (ricordi di sigarette, forse), decise di alzarsi. Ogni volta era un'impresa dolorosa ma imposta. Non fermarsi. Non smettere di esserci. Voleva ritardare il più possibile il giorno dell'immobilità, la vittoria della stanchezza, degli anni, su quel corpo già provato, segnato dalle sottili ma profonde cicatrici del tempo. Si sforzò di trovare l'equilibrio e la vestaglia a quadri, la appoggiò lentamente sulle spalle curve. Infilare le maniche? Assolutamente no. Prima tappa, la soglia della camera. Il pensiero che tutta la struttura, vista dall'alto delle volte maestose, potesse ricordare un alveare o un formicaio, lo distrasse per un attimo. Perse la cognizione del tempo. La riacquistò un secondo dopo, o forse mezz'ora dopo: era ancora in piedi, pronto a lanciarsi in un nuovo, avventato passo.

    La via crucis del corridoio viveva ogni volta un misto di sensazioni contrastanti: l'educazione dignitosa del saluto agli altri ospiti, la sensazione che non fosse poi tanto difficile camminare, il cinico compiacimento di guardare persone anche più giovani che non si potevano alzare dal letto. Ma quell’inverno era stato duro, pensò. Maledisse l'improvviso attacco di tosse che lo costrinse a barcollare e fece sventolare la vestaglia come una coperta stesa ad asciugare. Una goccia di sudore iniziò a chiedere strada tra le rughe della fronte, per cercare forse riparo al sicuro tra le sopracciglia folte e innevate. La sala TV ormai era vicina: poteva farcela.

    Signor Gianni, i miei rispetti. Alla sua destra, Marchetti l'aveva salutato come al solito, unendo sottile sarcasmo a un'educazione forzata. Gianni pensò che sembrava un Babbo Natale calvo e un po' spelacchiato. Non riuscì a ricambiare il saluto se non con un timido gesto della mano. Tremava come tutto il corpo, preda della fatica. Quando l'amica sedia fu così vicina da offrirgli l'insana tentazione di abbracciarla, vide lei.

    Accanto al posto abituale di Marchetti, sedeva una donna anziana, in atteggiamento fiero, portamento elegante, sguardo attento alle immagini che crepitavano nel televisore. La vestaglia di seta si mostrava altezzosa nel suo violetto fiorito, i riccioli bianchi ricordavano un biondo passato. Le

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