390 a.C. BRENNO. Guai ai vinti
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Tre o quattro protagonisti di quel periodo sono epici: Furio Camillo, uno dei più grandi condottieri dell’antica Roma, pluridittatore, plurivittorioso; Brenno, arrogante capo dei Galli Senoni; Caio Fabio Dorsuone, un giovane romano che per adempiere un obbligo religioso, attraversa due volte le linee nemiche, andata e ritorno; Marco Manlio Capitolino, l’ex Console che scaraventa giù dal colle i Galli assalitori.
Memorabili, anche, altri episodi: la conquista di Veio, secolare rivale; la disastrosa sconfitta dell’esercito capitolino nella battaglia sul fiume Allia; la distruzione di Roma; le oche del Campidoglio.
E, poi, un paio di frasi diventate patrimonio dell’umanità: “Vae victis” (Guai ai vinti) e “Non auro, sed ferro, recuperanda est patria” (Non con l'oro, ma con il ferro, si riscatta la patria).
Buona lettura.
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390 a.C. BRENNO. Guai ai vinti - Antero Reginelli
© Copyright 2016 by Antero Reginelli
Via Enrico Ferri 16
00046 Grottaferrata - Roma
e-mail: anteroreginelli@yahoo.it
Finito di scrivere ad Ottobre del 2016
INDICE
Illustrazioni: il Lazio, Roma.
0. Preambolo.
1. Roma, Veio e Furio Camillo.
2. Giunone a Roma.
3. Un Trionfo chiacchierato.
4. Proposta assurda.
5. Ancora la decima.
6. Furio contro i Falisci.
7. I pirati di Lipari.
8. Contro gli Equi.
9. Veto venduto.
10. Il giorno della votazione.
11. Esilio.
12. Clusium (Chiusi) assediata.
13. La migrazione.
14. Venti di guerra.
15. La battaglia sul fiume Allia.
16. Il nemico alle porte.
17. In Campidoglio.
18. Il Sacco di Roma.
19. Attacco al Campidoglio.
20. Si rivede Furio Camillo.
21. Ardeatini ed Etruschi.
22. Ad ogni costo.
23. Furio Camillo di nuovo al comando.
24. Le oche del Campidoglio.
25. Vae victis.
26. Non auro, sed ferro, recuperanda est patria.
27. Prima d'ogni altra cosa.
28. Discorso al popolo.
Il Lazio

Roma

0. Preambolo
Roma è stata saccheggiata parecchie volte, le seguenti, se si escludono le più recenti:
390 a.C. Invasione e distruzione da parte dei Galli Senoni di Brenno.
410 Ottocento anni dopo. I Visigoti di Alarico la occupano e la devastano.
455 Entrano i Vandali di Genserico: nuova distruzione.
472 Assedio e sacco della città da parte del Goto Ricimero.
846 Incursione Saracena. Saccheggio delle Basiliche romane extra muros di S. Pietro e S. Paolo.
1084 Sacco di Roma. Invasione dei Normanni di Roberto il Guiscardo.
1527 Nuovo Sacco da parte dei Lanzichenecchi al soldo dell'Imperatore Carlo V d'Asburgo.
Argomento del racconto è il primo saccheggio di Roma, uno degli eventi più scioccanti della sua storia, tanto che da allora i Galli diventarono un incubo per i romani, dal quale si liberarono solo trecento cinquant’anni dopo, quando Giulio Cesare conquistò la Gallia.
In pratica rielaboro, ristrutturo, svecchio e spolvero il quinto libro di Ab Urbe Condita
di Tito Livio. Premetto che non è un libricino per gli addetti ai lavori, i quali conoscono Tito Livio come le proprie tasche, è rivolto, agli altri, agli amanti di storia e no, ai giovani e ai vecchi, acculturati o meno, purché curiosi.
Tre o quattro protagonisti sono epici:
Furio Camillo, uno dei più grandi condottieri dell’antica Roma, pluridittatore, plurivittorioso. Adesso è conosciuto a Roma soltanto per essere una fermata della Metropolitana.
Brenno, spietato capo dei Galli Senoni: un tipaccio.
Caio Fabio Dorsuone, un giovane romano che per adempiere un obbligo religioso, attraversa due volte le linee nemiche, andata e ritorno, tranquillo, disarmato e solenne, senza tentennamenti, non dando il minimo peso alle loro urla intimidatorie dei Galli.
Marco Manlio Capitolino, un ex Console che scaraventa giù dal colle Campidoglio un gran di Galli assalitori.
Memorabili, anche, altri episodi: la conquista di Veio e la definitiva sottomissione dei Veienti, secolari rivali; la disastrosa sconfitta dell’esercito capitolino nella battaglia sul fiume Allia; la distruzione di Roma; le oche del Campidoglio; la grandezza delle matrone romane.
E, poi, un paio di frasi diventate patrimonio dell’umanità: Vae victis
(Guai ai vinti) e Non auro, sed ferro, recuperanda est patria
(Non con l'oro, ma con il ferro, si riscatta la patria).
Nello sfondo l’eterna lotta tra Patrizi e Plebei, tra Aristocratici e Popolari, tra ricchi e poveri.
1. Roma, Veio e Furio Camillo
Per raccontare la storia di Brenno, del suo Vae victis
, del primo Sacco di Roma, per inserirla in un quadro completo di avvenimenti, bisogna prima parlare di Furio Camillo e di Veio, una delle dodici città più potenti dell’Etruria, situata su un’altura fortificata dalla natura, ad una quindicina di chilometri da Roma.
Veio? E sì Veio che ha dato filo da torcere ai capitolini per secoli.
Con Veienti le questioni, cioè le guerre, sono nate da subito, dalla fondazione dell’Urbe: mal digerivano una nuova città sull’altra sponda del Tevere, per cui già Romolo, durante i primi anni di regno, fu costretto ad affrontarli per vendicare un rovinoso saccheggio della campagna romana, compiuto solo a scopo dimostrativo, per mostrare i muscoli, per impaurire i neo residenti, per, magari, fare in modo che si allontanassero.
Avevano attaccato all’improvviso e a tradimento.
Il primo Re di Roma rispose con prontezza, vinse, devastò la regione, conquistò una piccola parte del loro territorio e stipulò una tregua di cento anni.
Nonostante la batosta e la sospensione delle ostilità, Veio rimase acerrima rivale, tanto che anche i successivi Re entrarono spesso in conflitto con il bellicoso popolo Etrusco, senza mai risolvere la faccenda in modo definitivo.
Contrasti, scontri e battaglie proseguirono anche con Roma Repubblicana: finalmente, nel 407 a.C., il Senato dichiarò guerra a Veio, deciso a farla finita una volta per tutte: inviò l’esercito ad assediare la città. Ma andò per le lunghe, come la guerra di Troia, durò dieci anni con alterne fortune, molte sconfitte e poche vittorie, fino a che una batosta subita dalle truppe romane, mandate contro le città di Falerii (Civita Castellana) e di Capena che volevano aiutare i Veienti, non sbloccò la situazione: da un evento negativo, una conseguenza positiva.
Ecco perché: pur non essendo stata una grave sconfitta, per un pelo non si trasformò in disastro vero e proprio a causa del panico che si diffuse non solo a Roma, dove arrivarono notizie ingigantite, ma anche tra le milizie che assediavano Veio. Nell’accampamento, i comandanti riuscirono a malapena a trattenere gli uomini dal fuggire: si era sparsa in giro la voce, falsa e tendenziosa o forse esagerata dagli stessi soldati per effetto della paura, che i Capenati, i Falisci e tutta la gioventù Etrusca, terminato il massacro di un grande esercito romano che andava a rinforzare le fila degli assediatori, stavano marciando minacciosi contro di loro.
Parecchi riuscirono a squagliarsela.
Nell’Urbe, i rumors provenienti da nord erano ancora più preoccupanti: distrutto l’esercito mandato ad affrontare Falerii (Civita Castellana) e Capena; truppe di fronte a Veio circondate dagli Etruschi; nemici in colonna, armati fino ai denti, pronti a battersi ed a massacrare gente, marciavano su Roma.
Caos, città imbordellata.
Le donne piagnucolanti a pregare nei Tempi, gli uomini terrorizzati, in bambola, il Senato in fibrillazione, indeciso sul da fare. Popolo e Patres giocarono l’ultima carta rimasta nelle loro mani: designarono Marco Furio Camillo Dittatore della Repubblica con il compito di difendere il paese ed eliminare i pericolosi nemici.
Era il 396 a.C., Furio, uomo dotato di uno spiccato senso del dovere, nominò Maestro della cavalleria, suo Vice, Publio Cornelio Scipione, e s’impegnò subito a preparare la guerra.
Marco Furio Camillo, uno dei più prestigiosi condottieri romani di tutti i tempi, si era già distinto per abilità militare e carisma in precedenti conflitti e sembrava in quel momento l’unico in grado di salvare la traballante baracca.
Con il Dittatore al comando dell'esercito le cose cambiarono come il giorno è diverso dalla notte: riaccese nell’animo dei soldati la speranza di vincere, in loro riapparve lo spirito combattivo di un tempo e persino Roma, ed i suoi cittadini, sembravano rigenerati.
Per prima cosa, Camillo si occupò dei soldati che erano fuggiti dall’assedio: li punì con la severità prevista dal codice militare. Poi, dopo aver chiamato alle armi i giovani in età, convocati per un determinato giorno, si recò a Veio ad incoraggiare le truppe: fece capire ai legionari che il nemico era forte sì, ma non uno spauracchio, avevano affrontato eserciti e situazioni ben peggiori.
Quindi