Discover millions of ebooks, audiobooks, and so much more with a free trial

Only $11.99/month after trial. Cancel anytime.

La farfalla dalle ali di ceramica: le indagini del commissario Olivares
La farfalla dalle ali di ceramica: le indagini del commissario Olivares
La farfalla dalle ali di ceramica: le indagini del commissario Olivares
Ebook201 pages2 hours

La farfalla dalle ali di ceramica: le indagini del commissario Olivares

Rating: 0 out of 5 stars

()

Read preview

About this ebook

E’ il secondo episodio della serie ambientata nella Terra dei fuochi dal titolo Le indagini del commissario Olivares. A Caserta Claude Mancini, un pittore di origine francese, assiste involontariamente all’omicidio del gioielliere Franco Esposito, senza tuttavia riuscire a identificare il colpevole. Lo stesso giorno l’assassino uccide in maniera del tutto fortuita una prostituta di nazionalità ucraina, sviando completamente le indagini. Il caso viene assegnato al commissario Olivares, in servizio alla questura di Caserta.

Il pittore manifesta la propria preoccupazione alla fidanzata, Anna, e all’amico Sergio, cercando invano di ricordare un particolare che gli è rimasto impresso quando, per un attimo, ha visto in faccia il killer, cioè un piccolo tatuaggio sul collo. Ma, una notte, solo il caso riesce a salvare Claude dall’assassino, entrato furtivamente in casa sua.
Nel frattempo il misterioso omicida elimina altre due persone, che si scoprono legate, come Esposito, all’ambiente casertano delle sette sataniche.
Il commissario Olivares, dal canto suo, riceve una telefonata anonima da qualcuno che lo invita a recarsi nel cimitero di Caserta per rivelargli scottanti particolari che si celano dietro la sequenza di delitti. Quando il commissario arriva sul luogo dell’appuntamento, scopre che il suo informatore è già stato ucciso.

Grazie al suo fiuto da segugio, il poliziotto scopre che il filo conduttore di tutti i delitti lo porta ad una misteriosa villa sulle colline di Caserta vecchia, e ad una collezione di farfalle molto particolare. Dopo un finale avvincente, che non consente un attimo di tregua al lettore, Olivares riuscirà a catturare l’assassino.

La farfalla dalle ali di ceramica è un giallo originale ed emozionante, dal gradevole sapore argentiano.
LanguageItaliano
PublisherEracle
Release dateOct 19, 2016
ISBN9788867431649
La farfalla dalle ali di ceramica: le indagini del commissario Olivares

Read more from Ciro Tammaro

Related to La farfalla dalle ali di ceramica

Related ebooks

Performing Arts For You

View More

Related articles

Reviews for La farfalla dalle ali di ceramica

Rating: 0 out of 5 stars
0 ratings

0 ratings0 reviews

What did you think?

Tap to rate

Review must be at least 10 words

    Book preview

    La farfalla dalle ali di ceramica - Ciro Tammaro

    23

    La farfalla dalle ali di ceramica

    Le indagini del Commissario Olivares

    CIRO TAMMARO

    LA FARFALLA DALLE ALI

    DI CERAMICA

    Le indagini del Commissario Olivares

    Il romanzo giallo-poliziesco della «Terra dei fuochi»

    «Era nel mondo e il mondo è stato

    fatto per mezzo di lui; eppure

    il mondo non lo ha riconosciuto.

    Venne fra i suoi, e i suoi

    non lo hanno accolto».

    (Vangelo di Giovanni, Prologo, 10-11)

    CAPITOLO 1

    Mentre dalla Bmw nera parcheggiata in strada osservava l’interno illuminato della gioielleria «Giochi d’oro» nella centralissima Piazza Margherita, a Caserta, dove un cliente stava guardando la merce messa sul banco dal noto orafo Franco Esposito, terribili ricordi ritornarono alla sua mente.

    Rivide la stanza buia e la branda su cui era legato. Era accaduto tanti anni prima, ma le scene erano ancora vive. Vive e angoscianti. Si guardò intorno e vide solo il buio, e ascoltò il silenzio che lo circondava, profondo e lacerante. Le sue mani tremavano e il suo cuore batteva all’impazzata. Il terrore che lui ritornasse, che lui lo rifacesse ancora una volta – l’ennesima volta – lo paralizzava. Non sapeva più ormai da quanto tempo fosse lì, forse un mese o forse un anno. Aveva perso il senso del tempo. Sapeva solo che se lui fosse tornato gli avrebbe, come sempre, coperto il capo con un cappuccio di tessuto nero. Gli avrebbe sussurrato all’orecchio, mentre lo spogliava, la stessa frase che egli aveva già udito tante volte: «ora sei una crisalide cieca, presto sarai una farfalla bellissima».

    In seguito sarebbe partita, come sempre, quella orribile musica. Un «Notturno» di Chopin. Poi l’aguzzino con questa melodia di sottofondo avrebbe abusato di lui e, mentre si muoveva ed ansimava, gli avrebbe alitato addosso il solito odore nauseante dell’alcool. Infine, il carnefice avrebbe spento la luce, gli avrebbe sfilato il sacco e senza aggiungere una parola sarebbe uscito dalla porta della stanza, facendo scattare diverse serrature.

    Quindi tutto sarebbe ritornato buio e silenzio.

    Nella gioielleria il cliente aveva scelto un bracciale da regalare alla moglie, un gioiello molto prezioso di oro bianco con tre diamanti al centro. L’impiegato della gioielleria raccolse con espressione torva lo sguardo d’intesa del proprietario e si allontanò verso la stanza sul retro, portando con sé il bracciale per incartarlo in una confezione da regalo.

    Franco Esposito con un’espressione di orgoglio accennò un sorriso e disse laconicamente: «ottima scelta. Regalo raffinato, bellissimo».

    Il cliente prese dalla tasca interna del cappotto il libretto di assegni e ne staccò uno. Poi con una vistosa stilografica color rubino lo compilò e lo porse al gioielliere.

    «Le ho fatto un ottimo prezzo. Veramente è un affare», continuò quest’ultimo con la stessa aria di saccenteria che ne connotava costantemente l’atteggiamento. «Per quello che ha pagato non avrebbe potuto trovare altrove né lo stesso articolo, nè altro equivalente, glielo assicuro...».

    «Spero di riuscire a riconquistare mia moglie...sa, stiamo attraversando un brutto momento...», replicò l’acquirente con un’espressione dubbiosa. Poi emise un sospiro e aggiunse: «Le donne, le donne. Tutto si fa per loro. Sono capaci de’ ce fa’ perdere a’ capa...».

    «Con un dono come questo potrà ottenere da sua moglie tutto quello che vuole», commentò Esposito con aria allusiva. «Vedrà...si tratta di una chiave che può aprire i cuori più duri e insensibili. Poi mi dirà...», proseguì nel mezzo di una fragorosa risata. Dalla stanza sul retro riapparve l’impiegato con una scatola elegantemente incartata tra le mani. Esposito strizzò l’occhio al cliente mentre gli porgeva il pacchetto, chiedendogli a bassa voce se si poteva evitare di rilasciare la ricevuta fiscale. Quando l’uomo annuì con un cenno del capo, il gioielliere fu definitivamente soddisfatto di come si era concluso l’affare.

    Quando il cliente uscì, squillò il telefono. Franco Esposito alzò la cornetta ed il suo viso, divenuto nuovamente teso dopo le innumerevoli espressioni di circostanza che aveva dovuto assumere durante l’acquisto del bracciale, poté finalmente rilassarsi in un sorriso di sollievo.

    «Ah, sei tu...Ti ho chiamato prima...Sì, ti volevo parlare...Aspetta, ti richiamo io». Poi riagganciò, con l’intenzione di recarsi nella stanza sul retro per poter parlare lontano da occhi ed orecchie indiscreti, e senza essere disturbato.

    «Per favore, occupatene tu», disse all’impiegato riferendosi ad una nuova cliente che stava entrando nel negozio. Questi, ancora una volta infastidito per gli ordini perentori e autoritari impartiti dal suo datore di lavoro, imprecò con un impercettibile movimento delle labbra.

    Il gioielliere si sedette dietro una grossa scrivania e compose il numero di telefono dal suo cellulare. «Sì...sono sempre io...Ho ricevuto un’altra di quelle cazzo di lettere anonime...E’ la terza...», esordì Esposito a bassa voce. «Ma no...ma quali nemici posso tenere io? Ma nun dicere strunzate...Ascoltami, quando qualcuno vuole fare del male ad un gioielliere in quanto tale entra nella gioielleria e gli fa una rapina o gli spara, di certo non manda lettere anonime...Le lettere? Dicono sempre le stesse cose...».

    Si accese una sigaretta Rothmans ed aspirò una profonda boccata di fumo. «Minacciano, minacciano di divulgare i cazzi nostri...Eh? Sissignore, quei fatti privati...quindi loro sanno...e non vogliono rompere le palle solo a me, ma a tutti noi...».

    Esposito prese a tamburellare nervosamente le dita sulla scrivania. «No, io onestamente non mi preoccupo più di tanto...le lettere le ho bruciate...per il resto staremo a vedere. Di certo non intendo chiamare la polizia...Non solo è inutile, ma ci tireremmo addosso un sacco di guai, ‘o sai buon’...». Spense la cicca della sigaretta nel posacenere. «D’accordo. Appena ci sono sviluppi ti aggiorno, ciao».

    Il gioielliere concluse la telefonata e incominciò ad andare su e giù per la stanza.

    Dopo alcuni minuti dalla sala principale giunse l’impiegato, al quale non sfuggì l’espressione tesa e pensierosa di Franco Esposito.

    «Dovrebbe prendersi una vacanza, dottore. Ha veramente un brutto aspetto...E’ troppo stressato...Se arriva l’esaurimento nervoso, so’ dolori...» mormorò con espressione solenne, scandendo bene ogni parola mentre fissava negli occhi il suo principale.

    «Hai ragione, Luca. Dovrei riposarmi un poco, ma purtroppo in questo momento non me lo posso proprio permettere» rispose Esposito.

    «Io vado in pausa pranzo. Sono le tredici e trenta. Ci vediamo più tardi...Lei ha bisogno di qualcosa?»

    «No, grazie. Non mi serve nulla. Io sono qua, ti aspetto», disse il gioielliere mentre sprofondava sulla sedia dietro la scrivania, prendendosi la testa tra le mani.

    Quindi si accertò che l’impiegato fosse uscito dalla stanza sul retro per andare a pranzare, dopo di che prese dalla tasca un flacone, ingurgitò una manciata di tranquillanti e bevve un sorso d’acqua per mandarli giù. Accese il computer e visualizzò i bilanci della gioielleria relativi agli ultimi mesi, controllandoli accuratamente.

    Dopo una decina di minuti, sentì un rumore proveniente dalla sala principale. «Ahò, Luca...sei già qua?»

    Non ricevette risposta.

    «Luca? Sei tu?» domandò ancora. Poi, tutto intorno a lui fu buio e silenzio, un silenzio profondo e lacerante.

    Franco Esposito si alzò di scatto dalla sedia e si guardò intorno perplesso. Poi nervosamente si morse il labbro, mentre lentamente si spostava, rasentando il muro, tutto intorno alla scrivania, per poter guardare con circospezione nella sala principale, senza essere visto da qualunque potenziale visitatore.

    «Possibile che siano entrati dei ladri? Quel coglione di Luca avrà lasciato la porta aperta...», pensò tra sé e sé, mentre cercava di adocchiare nella stanza uno strumento contundente con cui eventualmente difendersi, ma non trovò niente di utile.

    Molto lentamente e cercando di non fare rumore, l’uomo avanzò nel corridoio che lo separava dalla sala principale, fino a superare l’ingresso. Si sporse adagio con il collo dentro la sala, mentre i suoi occhi ruotavano rapidamente per ispezionare l’ambiente. Il suo sguardo fu attratto dalla porta che dava sulla strada.

    Mancava la chiave nella serratura, e non vi era traccia di essa neanche nel portachiavi appeso lì accanto.

    Franco Esposito si avventò verso la porta, mentre il suo cuore iniziò a battere forte, e tirando a sé la maniglia si accorse che era stata chiusa a chiave. Poi, indietreggiando confusamente, rovesciò una sedia. Si asciugò il sudore dalla fronte, e nella sua mente si affollarono mille pensieri.

    Non ebbe il tempo per fare altro. La mano coperta dal guanto nero rapidamente lo colpì alle spalle con un lungo coltello. Il fendente gli trapassò il fianco, mentre l’aggressore con l’altro braccio circondò saldamente il collo del gioielliere, immobilizzandogli la testa. Quindi la lama si abbassò di nuovo, penetrando nel ventre e poi, diverse altre volte, affondando in ulteriori parti del corpo.

    Infine, l’assassino con scrupoloso zelo si preoccupò di tagliargli la gola, fino a staccargli circa di netto la testa, quasi a voler fugare il rischio assai improbabile che il gioielliere sopravvivesse.

    Dopo di che il messaggero di morte pulì con uno straccio la lama ed i guanti di pelle imbrattati di sangue e con la massima calma ripose il coltello in un bauletto di ebano.

    Quindi aprì i cassetti del banco e prelevò tutti i preziosi che c’erano. Ma ciò che attirò la sua attenzione in mezzo ad orologi, bracciali e collane, fu una piccola farfalla di oro bianco con una pietra nera nel centro. La prese e la ammirò alcuni secondi, poi la mise in tasca. Il resto degli oggetti asportati li lasciò cadere in una sacca di tessuto bianco. Si abbottonò l’impermeabile scuro e si sistemò il cappello a falde, calandoselo sugli occhi. Ripensò un attimo alla farfalla d’oro bianco che aveva in tasca. Gli ricordava la forma della piccola farfalla che aveva tatuata sul lato destro del collo. Infine guardò con attenzione dalle vetrine della gioielleria cercando di trovare il momento giusto per uscire in strada senza essere visto.

    In quel preciso istante Claude Mancini attraversò la strada, diretto alla gioielleria Esposito. Aveva intenzione di acquistare un anello di fidanzamento per la sua ragazza.

    Ormai erano tre anni che stavano insieme, e Anna aveva iniziato a chiedergli un «impegno» d’amore in maniera sempre più insistente, sebbene con la solita discrezione che la caratterizzava, ossia semplicemente facendo continui riferimenti ad amiche che ricevevano in regalo anelli dai loro fidanzati oppure esprimendo sentimenti di gioia per aver rinvenuto, più o meno casualmente, anelli di suo gradimento sulle riviste di moda. Ad ogni buon conto, Claude aveva compreso che era giusto fornire alla sua ragazza un segno del suo amore sincero per lei, tuttavia l’unico problema in proposito era il denaro.

    Claude era un giovane artista, di origini francesi, e precisamente un pittore. Si era laureato all’Accademia di Belle Arti di Firenze con una tesi sulle «tecniche del chiaroscuro nelle marine di Joseph William Turner». A Caserta viveva e lavorava in una mansarda nella centrale piazza Vanvitelli, anche se per lui, come per qualsiasi altro artista alle prime armi, non era facile sbarcare il lunario. Esponeva le sue opere continuativamente nella Galleria «Sant’Antida» a Caserta, era riuscito ad organizzare una mostra collettiva a Parigi con altri pittori europei, dove pure aveva venduto alcune opere di pregio, e infine stava preparando la sua prima personale a Stoccolma. Nonostante tutto ciò, non era ancora riuscito a compiere il fatidico «salto di qualità».

    Era un bravo pittore, senza dubbio, ma già abbastanza disilluso per aver compreso che nella vita poche volte il successo si consegue per merito, ma assai più spesso per fortuna.

    Si immaginò la vita come un grande tavolo da gioco dove vengono distribuite dal caso a ciascun essere umano al momento della nascita le carte che gli spettano: intelligenza, astuzia, bellezza, forza... «Puoi ricevere buone e cattive carte, e questo non dipende da te; però poi sta a te giocare», pensò il pittore dentro di sé. «Puoi anche essere un buon giocatore, ma se hai brutte carte come fai a vincere? Solo barando o bluffando...».

    Il suo ragionamento non faceva una piega. La fortuna aiutava gli audaci, senza dubbio, e la principale virtù richiesta per sfondare non era il talento bensì il coraggio, unito ad altre doti come l’intraprendenza e la determinazione. E forse anche una bella dose di cinismo e di mancanza di scrupoli non avrebbero fatto male. Anche se, però, malgrado l’opinione contraria sempre più diffusa in giro e il concreto riscontro fornito dai fatti del mondo, queste ultime non potevano considerarsi vere e proprie virtù...Comunque fosse, quello che non gli appariva ancora chiaro era se lui possedesse o meno queste virtù, vere o presunte tali.

    Inoltre, a prescindere da ogni filosofia spicciola, in quel momento la sua vera preoccupazione di certo non riguardava le proprie qualità, ma unicamente come avrebbe fatto a trovare i soldi che gli occorrevano per acquistare l’anello.

    Decise che avrebbe fatto un primo sopralluogo nella gioielleria, giusto per avere un’idea dei diversi articoli disponibili, e per incominciare ad orientarsi sui possibili anelli che sarebbero potuti piacere ad Anna. Poi si sarebbe posto il problema dei soldi, magari avrebbe chiesto un finanziamento, o un prestito ai suoi genitori...e solo allora sarebbe ritornato in gioielleria per scegliere l’anello giusto e comprarlo.

    Immerso in questi pensieri, svoltò l’angolo dell’isolato e vide la porta d’ingresso della gioielleria a pochi metri da lui. Mentre si avvicinava agli scalini, la aprì improvvisamente un uomo con un impermeabile scuro ed un cappello a falde. Lo sconosciuto lo guardò per una frazione di secondo, come fosse sorpreso di incontrarlo. Poi abbassò la testa, scese gli scalini e accelerando il passo rapidamente si dileguò. Claude osservò distrattamente l’uomo, poi spinse la porta lasciata socchiusa, entrò nella gioielleria e dopo un attimo vide il corpo di Franco Esposito, riverso a terra, al centro della stanza, in un lago di sangue.

    «Madonna, che scempio... Chi può avere fatto un macello del genere?» mormorò Claude, mettendosi una mano sulla fronte. Istintivamente guardò l’orologio e vide che erano le quattordici e cinque. Quindi pensò che avrebbe dovuto immediatamente avvertire la polizia, tuttavia qualcosa lo trattenne. Era indeciso circa il da farsi, quasi paralizzato; il timore dei fastidi che avrebbe subito, se avesse denunciato l’omicidio alle autorità, si trasformò rapidamente in panico. Claude ebbe paura di poter essere accusato lui stesso del delitto e concluse che era meglio non avere niente a che fare con le forze dell’ordine. Meglio fare finta di non essere mai entrato lì. C’era tutto da perdere e niente da guadagnare.

    Uscì in fretta dalla gioielleria e a passi veloci si allontanò, svoltando l’angolo e attraversando la piazza. Infine scomparve in un vicolo, in mezzo alla folla.

    Dopo una decina di minuti Luca Sepe, l’impiegato della gioielleria, rientrò dalla sua pausa pranzo. Restò sorpreso di trovare la porta aperta senza alcuna chiave nella toppa.

    Enjoying the preview?
    Page 1 of 1