Cuori sull'abisso
By Claudio Aita
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Cuori sull'abisso - Claudio Aita
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Copyright 2016 Claudio Aita
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Uno
O mio diletto,
se tu fossi meno sicuro del mio amore!
(Lettera di Eloisa ad Abelardo)
«Glielo giuro,» esclamò premendo il tasto di apertura della cassa, «non ce li ho. Non ce li ho proprio. Se potesse avere la bontà di pazientare ancora qualche giorno. Qualche giorno soltanto. Non le chiedo di più.»
L’uomo al di là del bancone lanciò uno sguardo rassegnato al contenuto. «La capisco, mi creda. Ma è la terza volta che mi chiede di ripassare. Per una somma del genere, poi...»
«Ha perfettamente ragione, ma ormai non si riesce a vendere più nulla. Lo vede anche lei che in questo momento, qui dentro, c’è il vuoto assoluto. Sembra quasi che di comprare libri non gliene freghi più niente a nessuno. Non è semplice tirare avanti in queste condizioni, glielo garantisco. Speriamo solo che le cose cambino, che questa crisi, prima o poi...»
«La capisco, glielo ripeto. Temo che saremo obbligati a chiuderle il conto. Non dipende da me, spero comprenderà. Ma quelli là...» e non terminò la frase. Non ce n’era bisogno.
«Come le ho detto, avrei bisogno solo di qualche giorno ancora. Se ce la faccio, le effettuo un bonifico bancario domani o domani l’altro, di quello che posso. Ma un segnale di buona volontà, almeno, ve lo vorrei dare.»
«Va bene. Sento cosa mi dicono in amministrazione. Ma non ho più margini di manovra, mi creda.»
«Faccia il possibile. I prossimi mesi andranno sicuramente meglio e non avrete altri problemi.»
L’altro si strinse nelle spalle. «D’accordo. Però lo faccia quel bonifico, mi raccomando, per quelli là... Insomma, ci siamo intesi. Arrivederci.»
«Stia tranquillo. Arrivederci… e grazie.»
Michele guardò l’uomo uscire richiudendosi la porta alle spalle. Avrebbe voluto mettersi a piangere. Con quali soldi glielo avrebbe fatto quello strameledetto pagamento? Un altro fornitore che quasi sicuramente gli avrebbe chiuso il conto. L’unico che ancora non pretendeva i soldi alla consegna. Come avrebbe fatto d’ora in avanti, costretto ormai a pagare tutti i libri in contanti? Con margini sempre più ridicoli e senza un soldo in cassa? Un’impresa disperata. Si mise a gironzolare fra gli scaffali. Gli spazi vuoti aumentavano giorno dopo giorno e nemmeno il sotterfugio di girare i libri in modo da farne vedere la copertina serviva più a compensarli. Michele si mise a osservare la porzione di mondo che si intravedeva oltre la vetrina. Passanti frettolosi, un campionario di umanità degno di un paese che si vantava di essere la patria delle lettere e della cultura, ma che aveva dimenticato da tempo cosa fossero i libri e quali ricchezze contenessero. Un paese che per oltre la metà leggeva, come recitavano le statistiche, meno di un volume all’anno. Meno di niente, insomma.
Come gli era venuto in mente, cinque anni prima, di aprire una libreria in una via secondaria di questa strafottuta città? Un negozio di oggetti inutili, di parallelepipedi dalla candida anima macchiata d’inchiostro dei quali non gliene fregava più nulla a nessuno? Qualche persona, ogni tanto, si fermava, gettava uno sguardo veloce sulle copertine colorate esposte in vetrina e poi se ne andava via. Qualcuno scattava una foto con il cellulare e poi riprendeva a camminare digitando qualcosa sui tasti.
Michele trattenne a stento un moto di rabbia. Quarantotto anni e già si stava avviando verso il suo secondo fallimento. Il primo era stato il licenziamento da un lavoro frustrante di impiegato. Riduzione di organico in seguito alla crisi, questa era stata la motivazione ufficiale. Ma lui vi aveva visto un’opportunità. E con la sua liquidazione e i risparmi che aveva in banca era riuscito ad aprire questa attività. Era l’occasione per smetterla di essere costretto a dire «signorsì» a un branco di imbecilli, gente molto più ignorante di lui. E poi i libri gli erano sempre piaciuti. Aveva persino conseguito un’inutile laurea in Lettere. Cazzo! Possibile che si fosse lasciato guidare da una visione ideale della vita? Come poteva essere stato così cieco da non capirlo? Aveva preteso di coltivare la speranza in un futuro migliore grazie a un lavoro onesto. Non lo sapeva che il mondo è crudele e che dall’esistenza di tutti i giorni non può nascere che il male? Un male spesso sottile, impalpabile, che si impossessa man mano di te, con discrezione, ti penetra nella pelle, si insinua nelle vene e ti imbottisce il cervello. Come un cancro. E quando il precedente proprietario gli aveva ceduto l’attività commerciale, decantando la clientela affezionata e i rapporti consolidati, non avrebbe dovuto credergli. Anche lui mentiva. Come tutti, come questo stato di merda la cui unica finalità è quello di dissanguarti per mantenere le banche e quella casta che sei costretto periodicamente a legittimare nella farsa della cabina elettorale. Si fermò per un attimo. Erano riflessioni che non servivano a nulla. E lui, completamente disilluso, da anni non andava più a votare. E non nutriva più speranze in un cambiamento. Da qualunque parte provenisse. Per lui, stato
era soltanto una parola vuota, priva di significato. E che apparteneva al vocabolario dei ricchi e dei potenti. Di un mondo al quale lui, il povero Michele, non aveva accesso.
Inspirò profondamente. Si mise a spolverare uno scaffale e a sistemare i libri, pur di tenersi impegnato in qualcosa. La porta si aprì ed entrò una signora sui quarant’anni, il trucco e l’abbigliamento standard delle donne di quell’età.
«Buongiorno. Avete questo titolo?» gli chiese, porgendogli un trafiletto di giornale ritagliato.
«Un attimo solo, che controllo» rispose lui, ricercando il titolo sul computer. «Mi dispiace, non ce l’ho. Se vuole, però, glielo posso far arrivare in un paio di giorni.»
«Non importa» rispose la donna. «Sono di passaggio.»
Siamo tutti di passaggio, mia cara signora, stava per replicare, ma si trattenne. «Allora, grazie lo stesso e arrivederci. Se ha bisogno di qualcosa, può telefonare o inviarci una mail. Questi sono i contatti» le disse, porgendole un biglietto da visita.
«Arrivederci» fece lei con un sorriso affettato.
La porta si richiuse alle sue spalle. Un’altra cliente che non sarebbe più tornata. Se non puoi permetterti di avere i libri che ti servono per mancanza di soldi, questi sono i risultati. È una spirale perversa. Michele sentiva formarsi un nodo allo stomaco. Fu tentato di stappare una bottiglia di vino. Sentiva il bisogno di intontirsi di quel fiume ambrato, caldo, materno. Ma riuscì a dominarsi, seppur a fatica. Bere a quell’ora del mattino, per giunta a stomaco vuoto. Meglio lasciar perdere. Magari, all’ora di pranzo... Si lasciò cadere sulla sedia e aprì un cassetto. Dentro, un pacco di carta legato con un elastico. Da quanto tempo se ne stava lì sepolto? Prese il fascicolo in mano, delicatamente, come si fa con un bambino in fasce, e lo appoggiò sul ripiano. Circa centocinquanta cartelle a doppia interlinea, trenta righe per sessanta, milleottocento battute a pagina. Carattere: times new roman 12. Tutte le sue speranze di scrittore erano lì, assieme alla sua esistenza o a ciò che ne era rimasto dopo il diluvio che tutto aveva travolto. Anni di lavoro, di ripensamenti, di riscritture, di fatica mentale e fisica. Un thriller di ambientazione storica per scrivere il quale aveva dato fondo a tutte le sue competenze acquisite per laurearsi in storia medievale. E tante ricerche di archivio per qualcosa che doveva risultare inattaccabile. Una storia forse non eclatante, ma i sentimenti, le vicende, non erano certo cambiate nel corso dei secoli. Gli uomini e le donne soffrivano, amavano, uccidevano spinti dalle stesse passioni. Spesso, nello stesso modo, senza dimostrare una particolare fantasia. Perché non era mai riuscito a impegnarsi fino in fondo per promuoverlo? Gli mancava il coraggio di mettersi in gioco? Era questo il vero problema? Oppure aveva paura che anche l’ultimo suo appiglio a una fortuna che pur doveva, prima o poi, arrivare, andasse in frantumi al primo ostacolo? Che gli editori, che agiscono per logiche diverse dalle capacità intrinseche e letterarie dei testi, glielo avrebbero rifiutato perché non commerciale
, o perché non ha senso investire economicamente su di un autore già avanti con gli anni come era lui? O, forse, aveva semplicemente