Da quel momento in poi
By Giada Cugini
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Da quel momento in poi - Giada Cugini
visto.
CAPITOLO 1
Questa parte di vita la chiamo caos
. Il caos di chi si sveglia da un incubo e spera in tutti i modi che fosse solo un sogno. Il caos di chi piange ma non sa bene per cosa. Il caos di chi vive domandandosi se sia questa la vera vita.
Anche io ho sperato più volte che si trattasse soltanto di un brutto sogno, peccato che non era un incubo dal quale svegliarsi ma una realtà dalla quale scappare.
Aprii gli occhi. Dovetti sbattere le ciglia più volte per riuscire a mettere a fuoco le immagini difronte a me. E l'attimo in cui entrai a conoscenza del posto in cui mi trovavo rimpiansi di essermi svegliata.
Non capivo, perché ero all'ospedale?
<
La voce di mia madre mi rapì per un attimo da quella sensazione di smarrimento, non mi ero accorta della sua presenza sul lato destro del mio letto ma ero contenta che fosse lì. Lo ero davvero. Mi strette così forte che quelle miriadi di aghi che avevo puntato nelle braccia li sentii entrare in profondità, gemetti in silenzio per evitare che si allontanasse. Volevo dirle qualcosa ma la mia gola bruciava e per quanto mi sforzassi le parole continuavano a rimenare incatenate.
<
In un attimo il medico vestito di un camice verde pallido entrò nella camera, i suoi passi li sentivo rimbombare nelle orecchie.
<
Non mi diede il tempo di rispondere, dalla sua tasca estrasse una piccola torcia e me la puntò negli occhi. <
Feci come mi aveva detto.
<
<
In quel momento, in quelle parole riuscii a rivedere la mia condanna e a rivivere quella sensazione che mi trapassò l'anima un altra volta. Un altra dannata volta.
Il buio calò in quella stanza che prima era penetrata dalla luce della finestra. Il silenzio, quel silenzio che si distingue dai silenzi comuni, quel silenzio che ti urta l'anima e ti tortura la mente imprimendo la sua impronte su ogni piccolo pensiero, invase quel posto.
Non ricordavo bene cosa fosse accaduto ma riuscivo a ricordare quella stanza, quella sedia cigolante, il tappeto con disegni aztechi e nient'altro. Non vi erano finestre, soltanto una porta che permetteva l'accesso. Quella porta che veniva chiusa a chiave ogni volta per evitare che potessi uscire. All'improvviso provai dolore, gemetti. E quel <
<
Mia madre dovette accorgersi di ciò che stavo pensando e in un attimo ritrovai il suo calore addosso.
<
Poi inevitabilmente arrivò un altra fitta, un dolore tremendo, profondo: dov'era Daniel? Perché non era lì? Nei miei ricordi vicini lui era presente, lui era sempre presente.
Iniziai a tremare più forte, sentii il cuore accelerare i battiti. Volevo urlare, dimenarmi ma a malapena avevo la forza di respirare.
<
Mi guardò, scosse la testa. <
Piansi. Volevo sprofondare in quelle lenzuola bianche. Daniel non era lì e ovunque fosse stato in quel momento, io avevo un bisogno sfrenato di sentirlo. Di toccarlo, di stringerlo. Di baciarlo.
<
Ero stata dimessa da due giorni, mia madre mi aveva riportato a casa ed ero riuscita a riconoscerla.
Il dottore aveva spiegato che il trauma aveva procurato danni sulla mia memoria che si rifiutava di ricordare. Aveva detto che era come se mi difendessi da qualcosa che non riuscivo ad accettare o vedere come vero. Tutto ciò che era avvenuto prima lo ricordavo perfettamente era il dopo che dava problemi.
Diceva che col tempo, forse, sarei riuscita a ricordare oppure l'avrei scordato per sempre. Dentro di me sapevo che mia madre sperava per la seconda