Paura del Biker
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About this ebook
Jordan Steele (il Giudice) è stato assunto per fare da guardia del corpo a Jessica Winters, la nuova figliastra di Schianto. In genere non si occupa di sicurezza, ma non riesce a rifiutare l’offerta quando la incontra di persona.
Jessica Winters non vuole avere niente a che fare con il Giudice, né con qualsiasi altro biker, se è per questo, soprattutto dopo essere stata violentata da uno dei Devil’s Rangers tre anni prima. Tuttavia, quando scopre che la sua vita è in pericolo, accetta con riluttanza di affidarsi ad un uomo che la fa tremare in più di un modo
**Questo libro è rivolto ai lettori che abbiano compiuto almeno diciotto anni, per la presenza di linguaggio esplicito, situazioni di tipo sessuale e violenza che potrebbero infistidire alcuni lettori. Questa è un'opera di fantasia e non si pone come vera rappresentazione dei club di motociclismo. È stata scritta per puro intrattenimento.
Questo libro può essere letto da solo, ma sarebbe meglio leggere prima gli altri due libri della serie (per saperne di più sui personaggi).
Cassie Alexandra
USA Today bestselling author Cassie Alexandra (pen name of NY Times Bestselling Author, Kristen Middleton) has published over 40 titles since 2011. She writes romance, horror, fantasy, and suspense thrillers. www.kristenmiddleton.com www.cassiealexandrabooks.com
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Paura del Biker - Cassie Alexandra
Sommario
Prologo
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 11
Capitolo 12
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 15
Capitolo 16
Capitolo 17
Capitolo 18
Capitolo 19
Capitolo 20
Capitolo 21
Capitolo 22
Capitolo 23
Capitolo 24
Capitolo 25
Capitolo 26
Capitolo 27
Capitolo 28
Capitolo 29
Capitolo 30
Capitolo 31
Capitolo 32
Capitolo 33
Capitolo 34
Capitolo 35
Capitolo 36
Capitolo 37
Capitolo 38
Capitolo 39
Capitolo 40
Capitolo 41
Capitolo 42
Prologo
––––––––
«Chi è tuo padre?» chiese l’altro ragazzino, Flint. Eravamo nella stanza sul retro del circolo, a giocare ai video games. Lui aveva tredici anni, uno più di me, e gli stavo facendo il culo ad un gioco di football.
«Acido» dissi, schiacciando rapidamente i bottoni sul joystick.
«Come pensavo. Non sarebbe più facile senza quelli?»
Guardai i guanti di pelle senza dita che indossavo. «Forse, ma ho freddo alle mani. Sì! Un altro touchdown!»
«Che noia» disse Flint buttando a terra il joystick. Si alzò in piedi e si stiracchiò. «Propongo di fare qualcos’altro.»
Mi allungai per spegnere la console. «Tipo?»
Lui restò in silenzio per qualche secondo. «Ti va di andare al parco?»
Era inverno e faceva un freddo cane, ma ero felice di stare con qualcuno che non fosse il mio cuginetto Tommy. Aveva solo nove anni e gli piaceva giocare con i soldatini, di cui mi ero stufato. «Certo» risposi prendendo la giacca.
Flint prese il suo zaino e se lo mise sulle spalle. «Come hai detto che ti chiami?»
«Jordan.»
«Giusto.»
«Allora, chi è tuo padre?» chiesi mentre percorrevamo il corridoio, diretti alla porta principale.
«Macho.» Si fermò di botto e sorrise. «Senti?» sussurrò.
Eravamo fuori da una camera da letto. La porta era chiusa ma si sentivano due persone fare sesso.
Sorrisi sornione. «Sì.»
Appoggiò l’orecchio alla porta. «Sembrano Idolo e Gena.»
Sapevo chi era Idolo. Era il vice presidente dei Demon Rebels, il club di motociclismo dei nostri padri. «Chi è Gena?»
«Una Zuccherina.»
«Forte» dissi.
Da quello che avevo sentito dire, Zuccherina
era un altro nome attribuito alla maggior parte delle ragazze che frequentavano il circolo. Avevano un debole per i biker e amavano far festa. Acido ne portava qualcuna a casa, di tanto in tanto, e scomparivano in camera sua per qualche ora. A volte uscivano con un’espressione spaventata sul volto e non tornavano mai più. Quelli erano i giorni in cui di solito mi lasciava in pace. Altrimenti, se Acido passava una giornataccia, quasi sempre sfogava la sua rabbia su di me. Purtroppo erano più frequenti le giornatacce, di quelle belle.
«Hai mai palpato una ragazza?» chiese Flint.
«Sì» mentii, non volendo sembrare un moccioso. La verità era che non avevo mai baciato una ragazza, figuriamoci toccata. «Certo.»
«Non è vero» disse Flint, guardandomi attentamente.
«È vero» ribattei. «Tu non c’eri, perciò non puoi saperlo.»
«Come si chiamava?»
M’inventai subito un nome. «Lisa. Si chiamava Lisa.»
«Lisa, eh? Che taglia aveva?»
«Taglia?»
Lui si portò le mani al petto. «Quanto erano grandi le sue tette?»
Risi nervosamente. «Ah, sì. Giusto. Beh, mi stavano nei palmi delle mani. Niente di meglio» dissi, ripetendo una frase che avevo sentito dire ad Acido.
«Quante cazzate» disse ridacchiando. Mi mise un braccio intorno al collo e mi tirò via dalla porta. «Forza. Andiamo a renderti uomo.»
Non sapevo bene cosa intendesse dire, ma sembrava interessante. «Ehm, certo.»
Mentre uscivamo dal circolo, avvisammo una delle Signore, Carla Jean, che saremmo andati al parco lungo la strada. Lei era al bancone e stava bevendo un Bloody Mary mentre parlava con uno dei candidati.
«Fa freddo fuori. Siete sicuri?» chiese, facendo cadere un po’ di cenere dalla sigaretta nel piattino.
«Abbiamo bisogno di aria fresca» disse Flint mentre raggiungevamo la porta. «E poi ci stiamo rompendo il cazzo qui.»
Carla Jean si accigliò. «Bada a come parli, Flint.»
«Scusa» rispose lui con un sorrisetto.
Accorgendosene, lei grugnì. «Li avviso io. Non combinate guai.»
Il parco era a meno di due isolati da lì. Quando arrivammo, seguii Flint su per lo scivolo e ci sedemmo sotto il tettuccio con le gambe incrociate.
«Guarda qui» disse, prendendo una rivista femminile e un pacchetto di sigarette dallo zaino. «Tieni» disse, porgendomi una sigaretta.
Mio padre fumava, perciò non credevo si sarebbe arrabbiato. Mi misi la sigaretta tra le labbra e aspettai.
Flint tirò fuori un accendino e accese le sigarette.
«Devi inspirare» disse dopo avermi visto fare qualche tiro. «Non si fa così. Guarda qua.»
Lo guardai inspirare il fumo e poi soffiarlo fuori, formando un anello grigio-biancastro.
Sorrisi. «Bello.»
«Prova» disse rifacendolo.
Provai ad inspirare ma mi sentii bruciare i polmoni e tossii.
Lui ridacchiò. «Continua ad esercitarti. Ci prenderai la mano.»
«Ok» dissi, schiarendomi la gola quando aprì la rivista.
«Bella, eh?» chiese, indicando la foto di una ragazza nuda con le braccia e le gambe divaricate.
Mi sentii eccitare e mi abbassai la giacca sulle gambe. «Minchia.»
«Vorrei tanto scoparmela. O anche lei» disse, facendomi vedere un’altra tipa nuda.
«Anche io.»
«Manca solo una birra» disse Flint. «Il tuo vecchio ti fa bere?»
«Ogni tanto» dissi, mentendo di nuovo.
Lui sollevò la rivista e mi fece vedere la modella del paginone centrale. Entrambi eravamo d’accordo nel dire che le tette di quella modella non ci stavano in un pugno.
«Come mai Acido non ti porta spesso con sé?» chiese girando pagina.
Feci spallucce. Non volevo dirgli che era perché non sopportavo stare con quello stronzo. Di solito lo evitavo a tutti i costi, passando la maggior parte del tempo a casa di zia Peggy. Era sua sorella e, anche se sapeva essere una grande stronza, non le piaceva tormentarmi come Acido. Quando non mi faceva la predica sul rispetto, mi prendeva a frustate. Per fortuna ultimamente andava spesso in viaggio con il club e mi lasciava da solo.
«È vero quello che dicono sul suo conto?»
«Cioè?»
Flint formò un’altra nuvola di fumo. «Usa davvero l’acido sulle persone? Per questo lo chiamano in quel modo.»
Fissai la mano con cui tenevo la sigaretta, ricordando l’ultima volta che l’aveva usato su di me. Era successo circa tre mesi fa. Acido era tornato a casa dal bar, ubriaco e arrabbiato perché una tipa non era voluta tornare a casa con lui. Se l’era subito presa con me, dicendo che la casa era in disordine, e io gli avevo lanciato un’occhiataccia. Purtroppo mi aveva beccato e io mi ero beccato l’inferno.
«No» dissi, ricordano il suo avvertimento. Se l’avessi detto a qualcuno, l’avrebbe usato sulla mia lingua. «Almeno non su di me.»
«Io so il contrario» disse Flint, guardandomi attentamente.
Prima che potessi rispondere, sentimmo qualcuno chiamarci da sotto.
«Merda» sussurrai, riconoscendo la voce di Acido. «Mio padre mi ucciderà se ci vede così.»
Spegnemmo di corsa le sigarette e Flint rinfilò la rivista nel suo zaino.
«Che cazzo state facendo?» chiese mio padre, salendo sulla scaletta. Quando raggiunse la cima, aggrottò la fronte. «C’è puzza di sigaretta qui. State fumando?»
«No» rispose Flint con aria tesa.
«No, signore» dissi cercando di mantenere la calma.
Lui notò della cenere in un angolo e il suo viso si rabbuiò. «Cosa ti ho detto sulle bugie, ragazzo?»
Aprii la bocca, ma non dissi nulla.
«Credi che non sappia cosa stavate facendo?» sbottò.
Non rispondemmo.
Acido indicò Flint. «Muovi il culo e torna al circolo. La riunione è finita e tuo padre ti sta cercando.»
Senza dire una parola, Flint scese dallo scivolo e si mise a correre con il suo zaino.
Acido mi fulminò con lo sguardo. «Non impari mai, cazzo, vero?»
Ricacciai indietro le lacrime, sapendo di essere nella merda fino al collo.
Lui sorrise freddamente. «Allora, cos’hai da dire, ragazzo?»
«Mi dispiace di aver mentito» dissi con voce roca.
Lui allungò una mano e mi prese per il polso. «Ti dispiacerà ancora di più quando torneremo a casa. A quanto pare dovrò farti vedere di nuovo cosa succede ai figli che mentono ai genitori. Ora scendi da questo cazzo di coso.»
Scesi velocemente dallo scivolo, mentre lui usava la scaletta, e tornammo in silenzio al circolo. Quando cominciò a fischiare, gli lanciai un’occhiata furtiva e notai la sua espressione. Era quasi euforica. Stava già pregustando la mia punizione.
Un giorno ti farò vedere cosa succede ai genitori che si divertono a picchiare i figli, giurai, odiandolo più che mai.
Capitolo 1
Salt Lake City, Utah
Ventuno anni dopo
Aprendo la mia bevanda energetica in lattina, guardai il magazzino davanti a me. Quello in cui avevo sistemato degli esplosivi. Il proprietario dell’edificio, un pervertito di nome Gerald Piper, doveva arrivare da un minuto all’altro. L’uomo era un bastardo disgustoso, immischiato nel traffico di essere umani e in un giro di pornografia illegale. Mi avevano assoldato non solo per farlo fuori, ma anche per far saltare in aria il magazzino che aveva appena acquistato a Salt Lake City. Nonostante mi prudessero le mani dalla voglia che avevo di causare danni collaterali alla faccia di quel coglione, prima di porre fine alla sua miserabile vita, non era lui l’unico obiettivo. Gerald doveva incontrarsi con altri individui. Due biker del club dei Devil’s Sons: il presidente, Botta, e il suo vice, Ruspa. A quanto pareva, erano soci silenziosi che avevano fatto girare i coglioni a un club rivale un po’ troppe volte. Visto che l’FBI teneva i miei clienti sotto stretto controllo, questi dovevano mantenere un basso profilo, ma volevano togliere di mezzo Gerald, Botta e Ruspa. Ad esser sincero, dopo aver scoperto i loro precedenti nello sfruttamento di donne, bambini e animali da fattoria, avrei svolto quel compito gratis. Il mondo era già bello che fottuto, ma sarebbe stato sicuramente un po’ più tollerabile senza quelle tre canaglie. Meritavano di soffrire e il mio unico rimorso era che la loro morte sarebbe stata veloce e indolore, a differenza dei crimini orribili che avevano commesso.
Vedendo il mio riflesso sulla vetrina di un negozio di liquori lì vicino, quasi restai sorpreso. Al momento, con la lunga barba grigia, il naso tondeggiante, la pelle rugosa e l’impermeabile malconcio, sembravo un vecchio vagabondo e puzzavo come uno di loro. Di quelli che la gente faceva di tutto per evitare per strada. Era uno dei tanti travestimenti che usavo per i miei incarichi e probabilmente il più efficace. Nemmeno mia madre mi avrebbe riconosciuto. Ad ogni modo, non aveva idea di quale fosse il mio aspetto, visto che era scappata quando ero un bambino. Aveva una paura matta di mio padre, Acido, e se n’era andata, lasciandomi alla mercé di quel sadico. Ma il vecchio detto era vero: Ciò che non ti uccide ti rende più forte. Il fatto che fossi sopravvissuto ad un’infanzia con Acido mi aveva senz’altro reso più forte e tenace. Mi aveva anche reso cinico. Non avevo problemi a guardarmi allo specchio tutti i giorni, c’erano stronzi molto peggiori in giro per le strade. Se potevo eliminarne qualcuno e avere dei guadagni proficui, non avevo difficoltà a dormire.
Il rumore di motociclette in lontananza mi fece accelerare il battito. Sapendo che stava per scoppiare il caos, finii la bevanda energetica e gettai la lattina nel carrello che stavo spingendo. Dopodiché andai sul retro del magazzino e vidi due motociclisti entrare nel parcheggio. Mentre loro parcheggiavano le moto, spinsi piano il carrello, facendo finta di cercare altre lattine di alluminio.
Ignorandomi, i biker scesero dalle loro motociclette, salirono i gradini che portavano all’entrata dell’edificio per i dipendenti e bussarono alla porta. Non ricevendo risposta, si girarono e osservarono il parcheggio, senza dubbio in cerca di Gerald. Quando posarono gli occhi su di me, mi abbassai, presi una lattina vuota che avevo posizionato lì prima, e la lanciai nel mio cartello. Dopodiché ripresi a spingerlo, questa volta parlando da solo come un pazzo.
«Cazzo di barbone fuori di testa» sentii dire uno di loro mentre una Caddy entrava nel parcheggio. «Parla da solo. Tra poco si metterà a cantare.»
«Ehi, tu, levati dai coglioni» disse l’altro, guardandomi male. «Via. Sparisci, prima che ti facciamo sparire noi.»
Sorridendo, presi spunto da loro e mi misi a cantare.
«Tengo bene d’occhio questo mio cuore. Tengo sempre gli occhi bene aperti. Custodisco bene ogni legame. Tu sei mia... perciòrigo dritto...»
«Ma lo senti questo pezzo di merda, Botta?» disse l’altro biker ridendo. «Sta cantando una canzone di Johnny Cash.»
«La cosa buffa è che questo coglione non ha una bruttissima voce» commentò Botta, prendendo una sigaretta.
Continuai.
«È molto facile per essere vero, mi ritrovo da solo a fine giornata. Sì, ammetto che sono pazzo di te. Tu sei mia... perciò rigo dritto...»
La Caddy si fermò accanto alle motociclette e il motore si spense.
«Ma guarda un po’, è venuto» borbottò Ruspa guardando la macchina.
«Perché non avrebbe dovuto?»
Lui scrollò le spalle. «Non si sa mai con quello stronzo.»
Un uomo basso e tozzo con in mano una valigetta scese dall’auto. Salì le scale e aprì la porta senza dire molto ai biker, che mi stavano ancora guardando.
«Che c’è, niente bis?» chiese Ruspa quando si accorse che avevo smesso di cantare.
«Davvero? Il bis? Muovi il culo» disse Botta, spingendolo nell’edificio.
Quando la porta si chiuse alle loro spalle, girai il carrello e mi allontanai.
«Quanto è vero che la notte è buia e il giorno è luce,
Ti penso giorno e notte.
E la felicità che sento dimostra che è vero.
Tu sei mia... perciò rigo dritto...»
Dietro di me sentii una forte esplosione. Uno di loro aveva azionato un detonatore. Seguì un altro scoppio violento che fece tremare l’asfalto sotto ai miei piedi.
Sorrisi soddisfatto, sapendo che i tre che avevo ucciso stavano rigando dritti... dritti all’Inferno.
Era in giorni come questi che amavo davvero il mio lavoro...
Capitolo 2
«Sono così fiera di te» disse mia madre, Frannie, seduta davanti a me da Jake’s Steak House. Dopo essermi laureata in infermieristica all’Università dell’Iowa, avevo da poco superato l’esame per l’abilitazione e stavamo festeggiando tranquillamente a cena. «So che te lo dico di continuo, ma non posso farne a meno.»
Sorrisi nel vederle gli occhi lucidi. «Tranquilla. È sempre bello sentirselo dire, mamma.»
«Ah, prima che mi dimentichi.» Mise una mano nella borsa e tirò fuori una scatolina incartata. «Questo è da parte mia e di Schianto. Voleva venire stasera, ma...» Sospirò. «Purtroppo è ancora in California con Tanca.»
Schianto, il mio patrigno, era il presidente di un club di motociclismo di nome Gold Vipers e suo figlio Tanca era il vice presidente. Erano proprio come li si poteva immaginare: robusti, presuntuosi e testardi da morire. Dovevo ammettere che erano anche dei duri, cosa che a volte andava a mio vantaggio. Soprattutto Tanca, che superava il metro e ottanta, aveva dei muscoli grandi quanto meloni ed era coperto di tatuaggi. Nessuno si metteva contro la nostra famiglia. Non di recente, almeno.
«Sono ancora a quel raduno per motociclisti?»
«Sì. Voleva portarmi lì per farmi conoscere un certo Bastardo
» disse ridacchiando. «Questi uomini e i loro stupidi nomi di strada.»
«È il fondatore dei Gold Vipers» dissi, ricordando che una volta Tanca ne aveva parlato.
Personalmente, non avrei mai capito lo stile di vita dei club. Se non altro quali fossero i vantaggi per le donne. Mi arrabbiavo quando vedevo alcune mogli e ragazze indossare toppe con scritto: Proprietà Di
. Come se non bastasse, spesso i loro uomini non si facevano problemi a tradire le suddette donne con delle prostitute di gruppo. Quelle puttane senza scopo di lucro stavano al circolo per far festa e scopare. Io lo ritenevo deplorevole, ma tenevo per me i miei pensieri. Non avrei mai osato discuterne con Schianto e Tanca. Erano troppo inflessibili e io ero un’estranea.
Quello che succede al circolo, resta al circolo