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Racconti per sognare Cuori per donare
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Racconti per sognare Cuori per donare

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About this ebook

La Terra ha tremato, ma noi siamo ben piantati a terra e vi chiediamo sostegno, solidarietà e un pensiero.

Abbiamo chiesto a numerosi scrittori un racconto in regalo, per creare un'antologia che mettiamo in vendita. Tutto il ricavato sarà devoluto alle popolazioni colpite dal sisma. Il pensiero e il denaro arriveranno dove devono e sappiamo che, in ogni caso, ci sarà un pezzo di cuore di ciascuno di noi assieme ai fondi necessari a ripartire. Ripartire è l’obiettivo principale, senza una mano tesa nessuno può sperare di riuscire in qualcosa. Noi siamo qui per questo. Anche voi.
LanguageItaliano
PublisherAutori vari
Release dateOct 26, 2016
ISBN9788822859679
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    Racconti per sognare Cuori per donare - Autori Vari

    Racconti per sognare

    Cuori per donare

    Antologia di racconti

    Il ricavato sarà interamente devoluto alle popolazioni colpite dal sisma di agosto 2016

    a cura del blog

    Babette Brown Legge per Voi

    Indice

    Prefazione

    Passione in... noir

    Mariangela Camocardi

    Josephine

    Monica Serra

    Mille istanti di te

    Sabrina Grementieri

    Vecchia Roma sotto la luna nun canti più…

    Laura Costantini e Loredana Falcone

    Il primo ballo

    Velma J. Starling

    Aliti di roccia

    Elisabeth Gray

    Una luce nel buio

    Laura Gay

    Canto alle stelle

    Maddalena Cafaro

    Esci subito dai miei pensieri

    Amneris Di Cesare

    La stanza 555

    Alexandra Maio

    Amore a modo mio

    Linnea Nilsson

    Colonia Felina

    Antonella Sacco

    Apocalisse

    Amneris Di Cesare

    Fantasmi, sì...

    Linda Lercari

    Fai un salto

    Federica D'Ascani

    Sesso a pagamento

    Nicola Rocca

    Ukemi (la caduta)

    Emilia Cinzia Perri

    L’altra parte della tua isola

    Francesco Mastinu

    Zucchero, cannella e cioccolato

    Maddalena Cafaro

    L'ultimo regalo per te

    Monia Rota

    L’amante di Lady Chatterley

    Silvia Menini

    Luna che fu

    Grazia Maria Francese

    La preghiera

    Beatrice da Vela

    Blackout

    Angelica B.

    Perdite

    Libera Schiano Lomoriello

    Sulle ali della libertà

    Simona Liubicich

    Zoe

    Laura Randazzo

    Il dono più prezioso

    Daniela Jannuzzi

    Rumiko e Sam

    Antonella Albano

    Marti non vuole diventare grande

    Roberta Poggio

    La danza degli amori perduti

    Elle Eloise

    Il sorriso di mio padre

    Morgana D. Baroque

    L'amore attende sul pianerottolo

    Sarah Bernardinello

    Notte eterna

    Maddalena Cafaro

    Sotto un cielo di stelle

    Valentina G. Bazzani

    La piccola storia di un grande amore

    Erika Bissoli

    Isabella e Filippo

    Giovanna Barbieri

    Il tepore dell'illusione

    Viviana Giorgi

    San Valentino

    Antonella Sacco

    Killiar e Izhrad-Il primo incontro

    Fernanda Romani

    Ringraziamenti

    Terremoto. C’è stato un terremoto. Lo sappiamo tutti, come ignorarlo? La Terra s’è sgranchita le ossa e sulla superficie le case non hanno retto. Con loro, anche le persone che vi abitavano. Città rase al suolo, altre in bilico tra il crollo e la resistenza, altre ferite di striscio che ancora si guardano attonite, come fossero persone sopravvissute, ascoltando l’eco straziante che si è levato in pochi istanti e che ha inglobato tutto il resto.

    Di notte, sempre di notte. Come fu in Emilia, come avvenne per l’Aquila. La Terra sembra sentirsi a proprio agio al buio, ma noi non riusciamo a dire la stessa cosa. Al buio non si vede a un palmo dal naso, al buio ci si sente ancora più piccoli, ancora più fragili. Al buio tutto acquista l’aroma inquietante dell’ignoto. E noi non siamo fatti per stare al buio. Noi vogliamo la luce, la vita, la speranza.

    Non mi dilungherò su ciò che è stato, sulle persone che dormivano e che sono state buttate giù dal letto con una violenza inaudita. Le notizie si sono rincorse, anche troppo. Forse l’offerta, questa volta, ha superato la richiesta, eppure siamo stati informati abbastanza di ciò che è avvenuto nel Centro Italia da voler chiudere gli occhi per respirare. Sapete? È stato proprio questo bisogno a cui ho pensato la mattina dopo il terremoto di Amatrice e Accumuli. Il 24 agosto mi sono svegliata nel mio letto, accanto a mio marito e mio figlio, e ho pensato al respiro che i miei polmoni chiedevano, un respiro pulito, privo di polvere, calcinacci, ansia, terrore. Come me, tutti gli altri. Specialmente loro: le vittime. E allora mi sono chiesta cosa fare, come intervenire. Per dare una mano, sì, ma anche per regalare a chi ha vissuto quei momenti in presa diretta un momento di grazia. Quella grazia che la Terra si è presa e che non restituirà tanto velocemente.

    Tra le pagine del blog di Babette Brown abbiamo imparato a condividere le nostre conoscenze, le sensazioni e i sentimenti. Perché non farlo anche adesso? Per questo abbiamo deciso di mettere in campo la nostra arte.

    Leggere trasporta in universi paralleli, distende il cuore e fa viaggiare la mente. Non è questo che spesso ci porta a staccare con il reale? Non è questo il bisogno che sentiamo, quando decidiamo di immergerci nella fantasia altrui? La Terra ha tremato, ma noi siamo ben piantati a terra e vi chiediamo sostegno, solidarietà e un pensiero. Abbiamo chiesto a numerosi scrittori un racconto in regalo, per creare due antologie che mettiamo in vendita. Una destinata ai bambini, l’altra a un pubblico adulto. Tutto il ricavato sarà devoluto alle popolazioni colpite dal sisma. Il pensiero e il denaro arriveranno dove devono e so che, in ogni caso, ci sarà un pezzo di cuore di ciascuno di noi assieme ai fondi necessari a ripartire. Ripartire è l’obiettivo principale, senza una mano tesa nessuno può sperare di riuscire in qualcosa. Noi siamo qui per questo. Anche voi.

    Apre la nostra rassegna di racconti Mariangela Camocardi, con Passione… in noir. L’autrice si è divertita a scrivere una storia che si discosta completamente da quelle che siamo abituati a leggere. Vi piacerà.

    Meeka aveva la pelle color cioccolato, profondi occhi neri e un corpo che a un uomo andava dritto al cervello: guardarla provocava su di lui lo stesso effetto di un drink superalcolico bevuto a digiuno. Federico non riusciva a controllare la voglia di lei. Quando erano insieme, il bisogno di toccarla lo faceva sentire una specie di maniaco sessuale.

    Non gli era mai successo con nessuna donna.

    Si erano conosciuti a una fiera di artigianato artistico. Lei era nello stand dell’arte etnica africana e sembrava una Venere dalle fitte treccine nere e i denti di perla. Una statua di carne tra le sculture di ebano messe in mostra negli espositori di cristallo. Erano manufatti di pregio e lui aveva acquistato quasi l’intero stock senza neppure mercanteggiare sul prezzo. Con Meeka si era accordato per avere in esclusiva monili di gioielleria locale scelti dai cataloghi che lei gli aveva mostrato. Rifornire con pezzi di qualità il suo negozio di oggettistica esotica non era ovviamente l’unico motivo per cui l’aveva invitata a cena. Meeka non si era fatta pregare. Davanti a un piatto di fettuccine ai funghi, il ghiaccio tra loro si era sciolto in fretta, tra una battuta e una risata. Ascoltandola raccontare della sua gente in Congo, lui si era incantato. Discendeva da un re dal nome impronunciabile che aveva sottomesso diverse tribù nemiche, almeno un paio di secoli prima.

    All’epoca l’Africa non era ancora stata sfruttata da sciami di speculatori attirati dalle enormi ricchezze del continente misterioso. Comunque in Meeka c’era qualcosa di inafferrabile e seducente da esserne stregato. L’accento straniero, cantilenante come quello di una sacerdotessa pagana, si riverberava sui suoi sensi: impossibile concentrarsi su altro, con Meeka a meno di mezzo metro. Faceva da sottofondo il tintinnio dei numerosi braccialetti che lei portava ai polsi sottili. Era bellissima e lui trovava ipnotico il semplice schiudersi delle labbra carnose: sorrisi afrodisiaci che alimentavano la sua eccitazione.

    Seduta di fronte a lui, posando il bicchiere dopo l’ultimo sorso di vino, lo aveva fissato dicendo: «Mi offri un caffè a casa tua?»

    Poteva forse risponderle no?

    Si erano spogliati e avvinghiati appena messo piede nel suo appartamento da scapolo. La bocca tumida di lei aveva ribaltato il precedente concetto di erotismo di Federico. Gli sguardi che gli aveva scoccato prima, durante e dopo la passione, gli avevano messo a nudo l’anima più del corpo.

    Nei tre mesi che erano seguiti il loro rapporto si era così intensificato da far scaturire in Federico l’esigenza di stare sempre con Meeka. Lei lavorava in un centro di accoglienza per migranti e aveva orari impossibili, perciò era persino disposto a sposarla, caso mai fosse contraria alla convivenza. Prima che lui potesse anche solo discutere di un eventuale futuro con lei, da un giorno all’altro era comparso sulla scena, reduce dal villaggio africano di Meeka, un tizio dal gergo incomprensibile e con un fisico che nulla aveva da invidiare a un nerboruto guerriero Masai. Probabilmente Babukar, così si chiamava il nuovo arrivato, aveva cacciato leoni fino al momento di prendere l’aereo per l’Italia.

    Spiazzando Federico, si era installato nel bilocale di lei perché l’ospitalità era sacra per Meeka, e diamine, mica poteva offendere un cugino.

    Cugino? si era detto Federico, divorato dai crudeli morsi della gelosia. Nelle occhiate che Babukar le lanciava c’era la concupiscenza di uno con la mentalità da branco, altro che affetto parentale. Il sospetto che l’intruso nutrisse sentimenti di genere ben diverso per Meeka era sorto spontaneo, mettendo solide radici nella sua mente fin troppo dubbiosa.

    Non bastasse, lei aveva diradato i loro incontri per dedicarsi al cugino, e i due trascorrevano praticamente ogni minuto in reciproca compagnia. Per Federico, ovviamente, Meeka non aveva più tempo.

    Voleva forse lasciarlo, si tormentò di nuovo, osservandosi nel vetro della finestra. Federico era conscio di non essere il clone di George Clooney, ma alle donne piaceva. Aveva una corporatura alta e asciutta, capelli e occhi chiari, l’eloquio ironico e accattivante… dannazione, finora se l’era cavata senza problemi perché ci sapeva fare con loro. L’aspetto di Babukar non era affatto banale e rappresentava per lui una spina nel fianco, doveva riconoscerlo, a cominciare da quell’aura selvaggia e indomita, da quei denti bianchissimi da lupo, da quelle spalle possenti…

    Inoltre, come rivale era certamente avvantaggiato dalle abitudini e da gusti che coincidevano perfettamente con quelli di Meeka.

    Era per questo che lei lo sfuggiva? Gli preferiva Babukar, ora?

    Esasperato nel sentirla elusiva anche al telefono, l’aveva attesa al varco sotto casa.

    «Sono innamorato di te, Meeka, e affermavi di esserlo anche tu, al punto da volermi presentare alla tua famiglia.»

    «Sì, loro sanno del nostro legame e quanto tengo a te.»

    «Allora perché mi trascuri per quel tuo cugino?»

    «Devi sforzarti di capire, Federico.»

    «Che cosa dovrei capire? Che mi stai scaricando?»

    «Ho degli obblighi: Babukar è spaesato e il mio supporto è fondamentale per lui.» Meeka si rifiutava di incontrare i suoi occhi.

    «Obblighi? Quali? Per che maledetto motivo continua a bivaccare da te? Gli hai trovato lavoro, perché non si sposta in un altro alloggio?»

    «Federico, tu vuoi sposarmi, vero?»

    «Anche domani.»

    Lei fece un sospiro. «La famiglia non ostacola la mia volontà di stare con te, ma lui è il marito che loro mi hanno scelto.»

    «Cosa?! E io?»

    «Tra noi le cose potrebbero proseguire come prima, credimi.»

    «Ma in che senso, scusa?»

    Lei si morse il labbro. «Ho cercato di ribellarmi a questa nostra tradizione, ma se voglio stare con te devo accettare qualche compromesso. Vedi, lo zio di Babukar è uno stregone e lancerà una maledizione su di me e su tutta la mia famiglia se non sposo suo nipote.»

    «Non crederai veramente a scemenze nate dell’ignoranza e da superstizioni ormai obsolete…?» Federico era rimasto allibito.

    «Ho delle responsabilità verso le persone che dipendono da me.»

    «Sul serio?»

    «Dalle nostre parti non si scherza con gli spiriti maligni. Il potere della superstizione esiste ed è terribilmente concreto. I miei genitori hanno preso un impegno con il clan di Babukar: devo onorare la parola data da mio padre a quello di lui.»

    «Se è così, tra noi due è finita.»

    «Come vuoi.»

    Se n’era andato furibondo, consapevole di non poterla dimenticare, la qual cosa acuiva la sua frustrazione. Ma l’indomani, rincasando, Federico aveva notato la porta aperta. Meeka era lì.

    «Ti ho riportato le tue chiavi.»

    Lui non riusciva a distogliere gli occhi dai seni delineati dal tessuto leggero del vestito. «Non lasciarmi.» Quelle parole gli erano uscite irrefrenabili. Rinunciare a lei equivaleva a morire di nostalgia.

    «Non sono forse qui con te?» sussurrò lei prima di baciarlo.

    La passione esplose come un temporale d’estate, violenta e liberatoria.

    «E ora?» la sondò più tardi, tenendola stretta tra le braccia.

    «Se tengo Babukar mi è consentito tenere anche te.»

    «Cioè? Se lui è tuo marito per le vostre leggi tribali, io sarei l’amante su cui si chiuderebbe un occhio?»

    «No, un marito con pari dignità. Nel mio popolo la poliandria consente a una donna di sposare più uomini non congiunti da vincoli di parentela che convivono con lei, o si alternano nel visitarla secondo turni prestabiliti. Un privilegio connesso alla elevata posizione sociale della moglie.»

    «Questo significa che dovrei dividerti con un altro individuo?»

    «Non ti amerei di meno e rispetterei il volere della famiglia.»

    «Stai mettendo a dura prova la volontà di un uomo che ti ama.»

    «Ti amo anch’io, ma nei paesi poveri di risorse come il mio, ci sono ancora tradizioni che si praticano da secoli» gli spiegò lei, «per salvaguardare il patrimonio familiare.»

    «Sacrificando la tua felicità?»

    «No, perché non posso pensare di non averti nella mia vita.»

    «E se rifiutassi…?»

    «Mi perderesti e ti perderei per sempre, ma se mi ami farai questo per me e saresti il preferito.» Lei lo seduceva con quei suoi occhi di velluto.

    Federico ci stava riflettendo dal giorno prima: l’amore per Meeka era forte e viscerale e lui non era tanto stoico da contemplare un addio definitivo.

    Il rimpianto lo avrebbe ucciso.

    All’inferno Babukar, si disse, prima di risponderle semplicemente sì.

    Mariangela Camocardi, la regina del romance storico italiano, collabora con il nostro Blog. Potete trovate QUI gli articoli della Rubrica La Belle Époque. I romance di una carriera ultra trentennale li trovate QUI.

    Monica Serra ci trasporta in un mondo di sogno e magia. Un essere fantastico, Josephine, incontra un Pittore. E una mela.

    Josephine ha la pelle che sembra di carne sbiadita

    ma forse è soltanto fatta di plastica gommosa,

    sicuramente non si tratta di porcellana, poiché non vi sono crepe sul suo volto.

    È pallida, come una lampadina di quelle che trovi in chiesa;

    l’aspetto è longilineo, ma indefinito

    e preferisce essere ritratta dalla vita in su.

    Lei vive qui e altrove: compare se la chiami,

    pronta a dialogare come in un sogno lucido…

    Fornisce risposte che devono essere interpretate.

    Non puoi aspettarti che ti dia un tris di numeri da giocare al lotto

    ma piuttosto che ti proponga

    un’equazione da risolvere.

    Dunque, se stai cercando una risposta, c’è il rischio che i tuoi dubbi aumentino a dismisura,

    fino a gonfiare il cielo di cattivi presagi.

    Eppure dovrà pur esserci una valenza positiva…

    Josephine è fatta così.

    Non so se ti conviene incontrarla.

    Josephine è uno e molti. È fatta di respiri, ricordi, paure. Sogni, anche. Il suo nome è sconosciuto ai più, ma chi la incontra sa riconoscerla. Ha tanti volti. I suoi occhi ciechi esplorano intensamente tutti i mondi. E possiede un’anima per ogni universo.

    Josephine vive su una stella. O nel fango delle paludi. O tra gli sterminati campi di grano delle praterie. Su ruvide montagne di roccia o tra le sabbie rosse di pianeti lontani. Sopra di lei, un cielo carico di oscuri presagi. Intorno, ombre dense e un corposo silenzio.

    Acque fluide la avvolgono e la cullano.

    Josephine è ovunque, e in nessun luogo.

    Seduta sulla sua stella, scruta attraverso l’oscurità. Gira lo sguardo verso uno dei mille universi in cui esiste e, a un tratto, lo vede. Allora si libra nell’aria; l’assenza di gravità sublima la sua danza. Come rugiada estiva all’apparir del sole, Josephine si dissolve. È il suo segreto. Nessuno sa come riesca a passare da una realtà all’altra, da uno spazio fatto di vuoto e stelle a un mondo verde di prati e abitato da umani. Eppure lo fa.

    Sfiora con i piedi fatti di vento la verde distesa che circonda il lago. L’erba sussurra al suo passaggio, ma Josephine è invisibile. Lei si mostra soltanto a chi può vederla.

    Lui è lì, sulle sponde del lago. È un Poeta, forse. O un Musicista. No, no. Ecco. È un Pittore. Tiene un pennello sottile tra le dita che scorrono agili sulla tela, mostrando agli altri universi che lui solo può vedere. Questa notte l’Artista è in cerca di risposte. Ha posto le sue domande, affidandole al vento, ed è per ciò che Josephine è lì. Ha udito il suo muto richiamo ed è accorsa per dargli parole su cui riflettere.

    Egli fissa con aria sognante la superficie d’acqua tremula che scintilla di luna. I suoi occhi somigliano a quelli di Josephine, tanto che i due potrebbero essere una sola persona: grandi occhi, ciechi alle immagini del mondo, e spalancati su universi meravigliosi.

    L’uomo è immerso nei ricordi. O nei sogni. Neanche lui saprebbe dire se ciò che ricorda l’ha vissuto veramente, oppure se tutta la sua vita è stata essa stessa un sogno. Un sogno fatto di suoni e colori, d’immagini astratte e di bizzarre creature.

    La gente guarda l’Artista e pensa che sia un po’ strano. Ma lui conosce la verità, sa che quelli strani sono loro, chiusi nell’arida quotidianità delle proprie vite, ciechi (oh sì, loro sì che lo sono veramente!) alla bellezza e ai sogni. Nel profondo del suo cuore, l’Artista sa di non essere solo. Ci sono al mondo altre creature come lui, scaraventate lì da un altro luogo, diverso eppure così uguale. Esseri che si riconoscono quando s’incontrano, perché le loro anime sono fatte della medesima sostanza. Soltanto a loro Josephine può rivelarsi. Perché la sua anima è simile alla loro. Perché la sua anima È la loro.

    Si avvicina all’uomo, sfiorandogli il volto con dita invisibili, sussurrando al suo orecchio parole fatte di vento, che soltanto lui può udire.

    Non è proprio la risposta che l’Artista cercava, ma si sa, Josephine non dice mai quel che vorresti sentire. Piuttosto, lei dà la traccia. Sei tu che devi trovare la soluzione. E la valenza positiva.

    Tradimento. Bugie.

    All’uomo sembra di ascoltare simili parole. Lui sa. Sa che non tutti sono gentili, che non tutti sono davvero chi dicono di essere. E tra i suoi ricordi affiora il simbolo di questa verità.

    Una mela, rossa e succosa. Affiora dalle nebbie con i suoi colori brillanti. Un raggio di luna rimbalza sulla buccia lucida, frantumandosi in una miriade di schegge che risplendono come preziosi rubini.

    L’Artista studia la perfezione dei colori. Assorbe la potenza scarlatta dei significati nascosti in quel soggetto. E intanto il suo volto si sovrappone alla mela. Si fonde in essa. Un viso gentile, le labbra piegate in un sorriso appena accennato, uno sguardo imperscrutabile. Sembra quasi triste.

    Prende la mela tra le mani e Josephine gli narra la sua storia.

    Una storia fatta di bellezza e crudeltà, di amore e dolore, di lealtà e tradimenti.

    Parole come oscura foschia avvolgono il frutto, vorticano attorno alla forma perfetta, ai colori brillanti. E allora la mela si trasforma sotto gli occhi smarriti dell’Artista.

    Parole, colori. E quando tutto questo svanisce, un morso deturpa la perfezione della mela.

    Tradimento. Bugie.

    Adesso l’Artista conosce la risposta e può dipingerla perché anche il mondo riesca a vederla.

    Per questa notte, Josephine ha terminato. Un nuovo ricordo (ma forse è un sogno o la visione di un’altra realtà?) ha preso forma tra le dita febbrili dell’Artista e lei può tornare alla sua stella.

    Una lacrima scivola sul volto dell’uomo quando Josephine si allontana. Percepisce il distacco, il silenzio-assenza quasi lo soffoca. Ma lui sa che tornerà. Lei torna sempre. Con una nuova storia. Con nuove parole e colori e suoni. Con nuove risposte da interpretare.

    Il cielo sembra di nuovo gonfio di oscuri presagi mentre Josephine scivola via, tra il richiamo di un picchio e il grido di un corvo.

    C’è un altro mondo in cui guardare. Un’altra voce che chiama. Un altro Artista cui dare risposte e sussurrare ricordi. Josephine lo vede. Perché si sa, lei è cieca ma scruta in tanti universi.

    È uno e molti. Ma non so se ti conviene incontrarla…

    Non lo so.

    Potresti non essere pronto.

    Racconto ispirato ai dipinti Josephine e Mordimi di Giuseppe Fontana, pittore pop surrealista.

    Monica Serra esordisce nel 2009 con Cuore di drago (Runde Taarn Edizioni), romanzo fantasy autoconclusivo pubblicato in nuova edizione, La Canzone del Drago (La Mela Avvelenata Bookpress), nel 2014. Dello stesso anno sono gli ebook della serie di fantascienza Sangue alieno, curata da Filomena Cecere per Diversa Sintonia Edizioni. Nel 2015, il suo racconto Le sabbie delle Balakhad entra nell’antologia del collettivo Specchio Nero, dello scrittore Alessandro Fusco. Dal 2013, insieme alla scrittrice Filomena Cecere, collabora con la Biblioteca comunale di Formello all’organizzazione di Fantàsya, evento dedicato al fantastico, e del relativo premio letterario. Nel 2014 e nel 2015 fa parte della giuria del Premio Cittadella, concorso letterario nazionale per il genere fantasy. Scrive articoli e recensioni per i blog Sognando Leggendo, Temperamente e Art Litteram. La trobate su Amazon.

    Sabrina Grementieri, con "Mille istanti di te", ci fa conoscere Cassandra e il suo desiderio di ricominciare.

    L’aria della notte era elettrica e frizzante e profumava di neve e ghiacciai. Il cielo era punteggiato da una miriade di stelle luminose che contendevano il palcoscenico alle lanterne appese nel giardino esterno del pub.

    Cassandra era seduta su una poltroncina di vimini, avvolta in un morbido plaid, in attesa dell’arrivo di Valeria, la sua migliore amica, borbottando improperi contro se stessa per aver accettato di abbandonare il caldo del proprio caminetto e le fusa di Nerone. Il fortunato felino l’aveva guardata perplesso lasciare il tepore del divano per affrontare il gelo della notte, poi si era acciambellato e si era riaddormentato.

    Pensare al fuoco scoppiettante e al calore di Nerone non l’aiutava a scaldarsi, ma la notte era troppo bella per restare all’interno del locale. E Simone le aveva portato il suo tè corretto al rum. Non stava poi così male.

    «Non mi hai aspettato!» trillò Valeria, raggiungendola trafelata e prendendo posto accanto a lei. «Cosa bevi?»

    «Tè.»

    «Al rum, spero.»

    «Naturalmente.»

    Valeria fece un cenno al barman attraverso la vetrata, indicandogli la tazza dell’amica, poi prese le sigarette dalla borsa e si avvolse in un altro plaid.

    «Allora?» riprese Valeria, guardandola da sotto il berretto di lana bianca, gli occhi verdi che brillavano allegri.

    «Allora cosa? Sei tu che hai detto che dovevi parlarmi» replicò Cassandra. «Io e Nerone stavamo benissimo sul divano.»

    «A rimuginare, certo» sbottò l’altra. «Stai diventando di una noia mortale. Per fortuna ci sono qui io…»

    «No.»

    «No, cosa?»

    «Niente incontri combinati. Ho chiuso.»

    «Prima ascoltami…»

    «Non ci penso nemmeno!» la interruppe Cassandra, afferrando il pacchetto di sigarette dell’amica. «Vogliamo parlare dell’ultimo? Con quegli occhi che gli uscivano dalle orbite? Mi guardava come se fossi un pezzo di manzo!»

    «In effetti, Davide non era il massimo...»

    «E quello prima?» continuò imperterrita lei. «Puzzava! E faceva un sacco di strani suoni mentre mangiava…»

    «Non è vero che puzzava…»

    «Lasciamo perdere, ok? Apprezzo i vostri tentativi di trovarmi un uomo» la consolò con dolcezza riferendosi anche a Pietro, il suo fidanzato. «Ma sto bene così.»

    «Non stai bene!» la contraddisse l’amica «Passi tutto il tempo a struggerti per quel tuo poeta!»

    «Non è vero. Ormai Luigi è un capitolo chiuso.»

    «Non nel tuo cuore. E nemmeno nella tua testa. Continui a paragonare tutti a lui. Che sarà anche intelligente, affascinante, tenebroso e tutto quello che vuoi, ma è un grandissimo stronzo!»

    «Amen.»

    Valeria si accasciò sulla poltrona, aspirando nervosa una boccata di nicotina. Cassie portò la tazza di tè alle labbra, sbirciandola da sopra il bordo di porcellana: sapeva che era preoccupata per lei, ma quegli incontri combinati servivano solo a ricordarle tutto ciò che aveva perso. Non era più tanto cieca da non riconoscere che Luigi era un egocentrico patologico, ma la loro breve relazione era stata tanto intensa e travolgente da averla lasciata svuotata e tramortita. Lui aveva una cultura immensa, una dialettica imbattibile ed era un affabulatore nato. Quando era entrato la prima volta nella biblioteca dove lei lavorava, per proporre un ciclo di letture di poesie, Cassandra ne era rimasta incantata. Da lì a perdere la testa per lui era stato un attimo.

    Erano passati sei mesi da quando Luigi era definitivamente scomparso dalla sua vita, ma lei non era ancora riuscita a dimenticarlo. Si era lasciata convincere da Valeria a uscire con alcuni amici del suo fidanzato, tutti incontri a quattro, per fortuna, ma si erano rivelati un fallimento.Non era interessata agli uomini, in quel momento. Non con Luigi ben ancorato al sangue.

    Il barista portò il secondo tè corretto e, dopo averne bevuto un sorso, Valeria tornò all’attacco.

    «Questa volta andrà molto meglio» annunciò. «Conosco Stefano personalmente ed è un ragazzo speciale.»

    «No.»

    «È il migliore amico di Pietro, possiamo assicurarti che…»

    «E come mai non me lo avete presentato prima, se davvero è così speciale?» la interruppe, provocandola.

    «Ecco, vedi…»

    «Soffre di ipertricosi.»

    «Ma che schifo!» gridò Valeria,. «Come ti viene in mente?»

    Cassandra scoppiò a ridere, stringendo il plaid attorno alle spalle.

    «Quindi che problema ha?»

    «Sua moglie l’ha lasciato.»

    «Mi prendi in giro? Vorresti che uscissi con un cuore infranto?»

    «Vi capireste al volo.»

    «Certo. Come no?!»

    «Mettila così: questa volta non vogliamo trovare la tua anima gemella, ma solo far divertire un uomo abbandonato.»

    «Piantala. Mi viene l’angoscia solo a pensarci.»

    «Ti assicuro che è carino, ha due occhi strepitosi e un sorriso molto dolce.»

    «Lui lo sa?»

    «Dell’uscita a quattro? Pietro l’ha convinto.»

    Cassandra sbuffò, decidendosi ad accendere la sigaretta che aveva sfilato dal pacchetto.

    «Perché mi fai questo?»

    «Sono la tua migliore amica, no? Voglio che tu sia felice.»

    «Non vorrei offenderti, ma finora i tentativi sono falliti miseramente.»

    «Hai ragione» si arrese. «Devo dartene atto. Ma la colpa è di Pietro, è lui che ha proposto queste sue conoscenze senza riflettere.»

    «Quando sarebbe?»

    Valeria saltò sulla poltrona, incapace di contenere l’entusiasmo.

    «Domani sera!»

    «Così presto?» Cassandra la guardò inorridita.

    «Lui non esce spesso, e domani è venerdì..»

    «Giuro che è l’ultima volta» le intimò.

    «Promesso!»

    Cassandra la fulminò scettica, si liberò del plaid ed entrò nel pub per bere qualcosa di più forte. «Lo stesso per me!» le gridò dietro Valeria, trattenendo a stento una risata.

    Il venerdì al lavoro fu estenuante. I terminali non funzionavano, le colleghe erano più litigiose del solito, i disguidi si moltiplicavano come funghi e, all’ora di chiusura, Cassandra era sfinita. Aveva tentato di convincere Valeria che non era la serata giusta per uscire con uno sconosciuto, ma l’amica, oltre a non darle retta, le aveva prenotato la messa in piega dal parrucchiere.

    «Cos’hanno i miei capelli che non vanno?» aveva protestato Cassandra, infastidita.

    «Nulla! È solo un regalo di buon auspicio per la serata.»

    «Non me la racconti giusta…»

    «Ti passo a prendere alle otto, d’accordo?»

    «Sì, sì, ok. Ora devo correre, però.»

    «Vai, vai! A dopo!»

    Le due ore successive volarono senza lasciarle il tempo di pensare alla poca voglia che aveva di vedere gente e, quando raggiunse il pub, Valeria e Pietro l’accolsero con grandi sorrisi.

    «Sei splendida!» esclamò l’amica abbracciandola. «Stefano arriverà a minuti.»

    Presero posto al bancone di legno scuro e Valeria la intrattenne lodando le mille qualità del misterioso accompagnatore. Cassandra l’ascoltava con il mento appoggiato alla mano, lo sguardo perso, immerso nello specchio di fronte a lei e sul quale scorrevano le immagini degli avventori del locale. Sebbene la porta fosse ben visibile dalla sua posizione, non si accorse dell’uomo che entrava e si avvicinava a loro.

    «Eccoti!» esclamò Pietro, dando pacche amichevoli sulla spalla del nuovo ospite. Cassandra si voltò insieme a Valeria che scese dallo sgabello per abbracciarlo.

    «Lei è Cassandra» la presentò, facendosi da parte e sorridendole incoraggiante.

    Cassie fissava muta lo sconosciuto, la bocca leggermente socchiusa dallo stupore, gli occhi persi nell’azzurro mare di quelli di lui, e una inspiegabile emozione che pizzicava sotto pelle. Una leggera gomitata dell’amica la riscosse dallo stato catatonico in cui era piombata e Cassandra, arrossendo, afferrò la mano dell’uomo.

    «Piacere, sono Stefano. Ho sentito molto parlare di te.» Pure, pensò lei tra sé, ripromettendosi di fare due chiacchiere con Valeria. In quel momento l’unica cosa che riusciva a fare era restare immersa in quell’azzurro rassicurante, ascoltando il battito del proprio cuore infuriare nel petto.

    «Prendiamo qualcosa da bere?» intervenne Pietro, divertito dal suo mutismo. Solo un istante dopo Cassandra si rese conto che stava cercando di salvarla dall’imbarazzo. Fece accomodare l’amico tra sé e Cassie e tutti ordinarono un mojito.

    Grazie alla parlantina di Valeria e Pietro, la conversazione non tardò a decollare e presto la tensione e l’imbarazzo si attenuarono. Stefano aveva una voce che scivolava addosso come un guanto di velluto, la barba di qualche giorno gli incorniciava il volto volitivo e faceva risaltare gli occhi grandi e chiari come fossero fatti di luce. All’orecchio sinistro portava un anellino che rifletteva la luce dei faretti sopra il bancone del bar e, quando sorrideva, il tempo sembrava fermarsi.

    Cassandra evitò il più possibile di incrociare il suo sguardo: già il braccio, che per mancanza di spazio era incollato al suo, sembrava stesse per prendere fuoco. Se si fosse arrischiata a guardarlo, temeva di perdersi di nuovo. La serata era appena iniziata, ma lei aveva collezionato figuracce sufficienti per tutta la settimana a venire.

    «Immagino che non debba chiederti cosa pensi di lui» le sussurrò Valeria mentre, più tardi, uscivano per andare a cena. «Però non sarebbe male se parlassi anche tu.»

    «Non so cosa dire» mormorò indispettita.

    «Vedi cosa succede a fare vita da eremita?» Valeria la prese a braccetto e seguirono i due uomini per raggiungere a piedi il ristorante. «Vedrai che dopo una bottiglia di vino ti tornerà la favella.»

    «Spiritosa!»

    Stefano camminava davanti a lei, il passo elastico e le mani affondate nelle tasche dei pantaloni. Cassandra pensò che sarebbe stato piacevole infilare il braccio nell’incavo del suo, stringersi a lui per ripararsi dal freddo della sera, ma si diede della stupida un attimo dopo. Com’era possibile essere così attratta da quell’uomo? L’aveva ascoltato parlare, lasciando che la sua voce le accarezzasse

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