Viola E Verde
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Book preview
Viola E Verde - Pamela Della Mina
Bicromia
DALLA VITA SECONDO ME
Sono qui fedelmente riportati fatti realmente accaduti, o solo immaginati, che come fumetti indipendenti si creano nella mia mente mentre penso e specialmente mentre non penso.
Sono le cronache di vignette, sono elogi alla follia.
Come ogni storia anche questa è accompagnata da una colonna sonora, che ne è parte sostanziale e integrante. Le scene narrate, nella realtà come nella fantasia, sono spesso nate sulle prime note di una canzone, arrivata all’orecchio per caso o inseguita di proposito. Hanno preso vita avvolgendosi attorno al pentagramma musicale, per poi morire senza fretta, proprio sugli accordi finali.
Un sottofondo incostante di squarci di canzoni, incastrati tra le pagine, fa da filo conduttore alle parole tratte dai Vangeli profani della vita dei protagonisti.
Una nessuna e centomila sono le persone dentro di noi.
L. Pirandello
Il viola è il colore della metamorfosi, della transizione, del mistero e della magia. È un colore freddo, indicativo dell’estro creativo e della forza spirituale. Al limite dello spettro del visibile, rappresenta il pensiero e l’intelletto. Favorisce l’ispirazione, agevola la meditazione.
Abbinato tradizionalmente alla mistica, alla spiritualità, indica l’unione degli opposti, la suggestionabilità. Nella persona sana modera l’irritabilità e seda gli stati impetuosi di irragionevolezza improvvisa.
È un insieme di rosso e di blu, ne mantiene alcune proprietà, anche se ne perde la nettezza di significato. Tenta di unificare la conquista impulsiva del rosso e la dolce sottomissione del blu.
Il viola è preferito dai bambini, dalle donne incinte, dalle personalità immature, da coloro che desiderano rapporti fiabeschi. È una sorta d’incantesimo, sogno realizzato, nel quale i desideri sono soddisfatti. Ma il carattere irreale e fantasioso del viola può anche indicare incapacità di distinguere, esitazione, insicurezza, irresponsabilità. La scelta di questo colore in età adulta dimostra invece una tensione prolungata, le conseguenze di uno choc o di situazioni difficili vissute durante tutta la prima infanzia. Prediligono il viola soggetti che necessitano di una comprensione particolare, di un trattamento pieno di riguardo e di molto affetto. Hanno l’esigenza di un partner nel quale identificarsi, ma non vogliono che le proprie relazioni li trascinino in responsabilità troppo grandi da affrontare.
Il viola è collegato al settimo chakra, Sahasrara, situato all’estrema sommità del capo.
Al verde corrispondono sensazioni di solidità, forza, perseveranza, volontà nell’azione, tenacia. È il colore dell’energia interiore, dello spirito di giovinezza, della speranza, della crescita. Il verde esprime la fermezza, la resistenza ai cambiamenti, la costanza nei punti di vista e attribuisce un grande valore all’Io in tutte le forme di possesso e di autoaffermazione. Accresce la stima e la sicurezza di sé. Nel verde è raccolta un’energia potenziale, una tensione interiore. Agisce come una barriera dietro la quale l’eccitazione si accumula, senza venire liberata. Aumenta il sentimento di fierezza, di superiorità, di potenza, di predominio sugli avvenimenti, fino a sentirsi in grado di condurli e dirigerli.
Il soggetto che sceglie il verde è competitivo e ha difficoltà a collaborare con gli altri. Desidera vedere dominare le proprie opinioni, comandare, avere una giustificazione della sua persona, come rappresentativa di principi fondamentali e immutabili. Si mette su un piedistallo e ha la tendenza a far la morale agli altri. Vuole impressionare, ha bisogno di essere considerato, di fare a modo suo, malgrado l’opposizione o la resistenza generale.
Il verde è il colore della vegetazione, della natura e della vita stessa. Della rinascita primaverile, rigenerazione, continuità della forza della natura.
Talvolta il verde è associato a una simbologia negativa: malattia, veleno e invidia.
È collegato al quarto chakra, Anahata, con sede in centro torace, all’altezza del cuore.
1- Le parole disegnate
DALLA VITA SECONDO BAMBULÉ
Lunedì 08 maggio 1995
Sette. Credo sia il catrame inumidito. Otto. Oppure il gas di scarico sbuffato dai tubi catalitici. Furgone vale doppio, dieci. Io sono Bambulé, o meglio, ancora non so di esserlo, ma tra dieci anni è così che tutti mi chiameranno.
Ora che di anni ne ho solo otto vaneggio nella mia inconsapevolezza, scappo di casa e cammino fino alla stazione dei pullman. Mia madre dà di matto, ma prima o poi ci farà l’abitudine. Moto mezzo punto, dieci e mezzo.
A volte salgo su un bus, specialmente mi piacciono quelli della Linea z225 per Sesto San Giovanni-Primo Maggio. Il nome così lungo mi fa pensare di andare lontano.
Fingo di essere accompagnato da qualche vecchietta, sedendole a fianco come un amorevole nipote, tanto l’autista i biglietti non li chiede mai. Scendo dove capita e inizio a camminare facendo Il gioco dei punti. Le regole sono semplici: ogni veicolo che mi passa davanti fa aumentare il punteggio, ogni riga della strada che calpesto lo fa abbassare.
Porto sempre con me una bella piuma di cicogna, grande e bianca. La tengo davanti agli occhi e contemplo il mondo attraverso la sua purezza. A volte fingo di scrivere nel cielo, disegno parole, quelle che non riesco a dire. Vago e osservo senza troppe pretese, d’altronde a otto anni non hai un grande bisogno di cercare, quasi tutto ciò che ti appare davanti lo guardi come fosse la prima volta.
E la mia novità di oggi è stata davvero sensazionale. Quel maledetto di mio fratello maggiore ha spaccato la Mummia Mostr-uovo con cui stavo giocando, io mi sono così arrabbiato che ho preso la piuma bianca, ho aperto la porta e sono scappato. Le vie di Nova Milanese le conosco quasi tutte a memoria, a casa quando mi annoio leggo e rileggo il Tutto Città. Camion +4, quattordici e mezzo. Crisi di astinenza da asfalto. Penso sia questo che mi obbliga a buttarmi in strada di tanto in tanto. I piedi che si susseguono meccanicamente, tentando di non calpestare le linee del marciapiede e delle strisce pedonali. Linea del marciapiede schiacciata, penalità -2, dodici e mezzo. Un insieme di suoni, odori e rumori a volte impossibili da identificare, in un’armonia disgustosa e perfetta che nausea e dà dipendenza. Il sapore della città e la confusione del traffico mi riempiono la testa, ma la mia piuma è una spada affilata che taglia il grigio in due, lasciandomi uno spiraglio per sgusciare via. Una volta calamitato in questa incantevole agitazione industriale ho cinquanta punti di autonomia, poi devo raggiungere un luogo verde e schermato, pena overdose da cemento. Macchina +1, pullman +3, moto ½ punto. Diciannove.
Oggi per far sbollire l’arrabbiatura ho deciso di andare a fare una passeggiata per via Veneto, quella con gli alberi rinsecchiti. Volevo raggiungere i campi dietro a via Aldo Moro, per nascondermi tra il grano. Mi sono infilato in via Doria e proprio mentre camminavo alla cieca, percorrendo la strada a memoria, ho spostato la piuma da davanti agli occhi e ho visto lei. Se ne stava accucciata tra i gradini dell’Associazione Culturale Aylis.
Le sono passato davanti una, due volte, volevo osservarla da vicino. Poi mi sono mimetizzato tra i passanti, dall’altra parte della strada, per non disturbarla. Sono stato a guardarla tutto il pomeriggio, calpestando a ripetizione le strisce pedonali, per abbassare l’implacabile crescita dei punti al passaggio di ogni veicolo. Striscia pedonale schiacciata, penalità -3.
Era una bambina circa della mia età, piccola e gracile, sembrava quasi malaticcia. Aveva i capelli nerissimi, la pelle del viso pallida, le labbra sottili e gli occhi viola, viola e verdi. Credo.
Da quegli occhi però sembrava non vederci, persi nel vuoto, piangevano senza lacrime, in silenzio.
Chissà forse anche a lei il fratello aveva rovinato un giocattolo (magari aveva tagliato la criniera ai Mini Pony o qualche altra cosa così, che fa piangere le femmine). Allora mi è venuto in mente che era un po’ stupido dispiacersi tanto per un gioco rotto. Volevo dirglielo: «Non ne vale la pena, i giochi da femmina fanno pure schifo!»
Ma non mi sembrava interessata ad ascoltarmi, allora l’ho scritto con la piuma. Forse però da quegli occhi davvero non ci vedeva, o forse non aveva voglia di leggere. Sta di fatto che di consolarla proprio non ne sono stato capace, perché ha continuato a piangere in quel modo per tutto il pomeriggio.
Attorno alle cinque è uscita una signora incantevole, lei l’ha guardata sorridendo, le ha teso la mano e sono andate via insieme.
Prima di incamminarmi verso casa le ho lasciato un ultimo messaggio con la piuma. Le ho scritto di ritornare prima o poi, perché di bambine così belle non ne avevo viste mai, mai.
«Ciao Melarancia, a presto».
Questa è la storia che ho imparato
da 3 clown che ho conosciuto
Audio: Alberto Camerini - Bambulé, 1977 (Cramps Records)
2- Mostri in cravatta
DALLA VITA SECONDO FUTURA
Mercoledì 21 maggio 2008
Io sono Futura, ma mi sento quanto mai presente. A volte anche un po’ passata, a volte persino assente, ma mai, mai futura. Eppure è quello che sono, come un diamante è un diamante e come il letame è il letame. Magari nemmeno loro si sentono così.
Mi chiamo Futura Ripamonti de-Lie. Ho un nome idiota, io lo definisco costruito, gli altri solo idiota.
Mia mamma diceva: «Quando inizierai a capirci qualcosa ti piacerà da matti».
Beh, sarà che ancora non ci sto capendo proprio niente, perché Futura non mi piace.
Ho quasi vent’anni e troppa poca voglia di parlare. Infatti sto quasi sempre zitta, al mio posto parlano le emozioni. Le ho tutte ben schedate in un archivio, nell’armadio viola di fianco al letto, ognuna in una scatolina. Le ho messe in ordine alfabetico, ma solo per il gusto di aprirle a caso.
Una alla volta faccio prendere loro un po’ d’aria, permettendo di entrarmi dentro e di farmi vivere. Ultimamente la più gettonata è Noia. Non disturba ed è poco pretenziosa, ma ovviamente si annoia in fretta e la devo alternare con Tristezza e Indifferenza. Il problema però è che loro annoiano me e allora è sempre un gran casino: prendi, togli, apri, chiudi, ributta a posto (quello giusto, metti che mi capita di aprire Apatia e salta fuori Passione, sai che macello).
Insomma un disastro, come la mia vita d’altronde. Un disastro.
A otto