Ora lo sai
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Ora lo sai - Valter Garatti
Colonna
Capitolo 1
Il grande fuoristrada parcheggiò di fronte al piccolo albergo di fronte al lago. Il guidatore scese e scaricò le due valigie. Poco dopo uscì dall’auto anche la figlia, svegliatasi dal sonno che l’aveva accompagnata lungo il viaggio. Il luogo non era diverso dalle descrizioni dei depliant che l’agenzia di viaggi di fiducia aveva consegnato loro tre mesi prima. Il paese era piccolo e accogliente. Il lago di fronte al piazzale dell’hotel e la profusione di fiori che accoglievano gli ospiti non potevano passare inosservati. Le case attorno alla chiesetta e l’unica struttura turistica, oltre all’osteria, erano gli unici segni dell’uomo, e davano a questo piccolo paradiso, coccolato dalle montagne, un aspetto intimo, più che familiare. Questa sensazione era condivisa da tutti i viaggiatori che qui si fermavano, anche per poche ore soltanto.
Il papà e Stella, la figlia, entrarono accolti dal proprietario, un barbuto signore dall’aspetto imponente, con una invidiabile barba bianchissima che metteva in risalto i suoi occhi degni di un Husky. Stella non salì al piano di sopra. Non seguì nemmeno il padre mentre questi saliva le scale di legno per depositare i bagagli nella stanza loro assegnata. Le due finestre ospitavano i bellissimi, variopinti fiori. Questo spettacolo cromatico sembrava occhieggiare al lago, che appariva inizialmente come una rilucente tavola piatta. Il vento della notte se ne era andato per chissà dove improvvisamente, quasi non volesse disturbare i nuovi arrivati. Il lago diventava così ancora più bello, nella sua calma, nei suoi colori cangianti. Una qualche onda, se pur impercettibile, dava alle acque una sorta di eccitante tremore, quasi facesse parte di un invisibile cerimoniale di accoglienza ai visitatori venuti dalla città.
Trascorsa mezz’ora circa, il padre raggiunse la figlia nella piccola hall. Non aveva insistito con lei per farsi aiutare nella sistemazione dei bagagli. Lei gli aveva solamente chiesto di riservarle il letto di fianco alle finestre e alla lunga terrazza di legno. Le surfinie con i loro colori magnifici si offrivano alle montagne e allo specchio d’acqua.
Sapeva che non era il caso di insistere con la sua bellissima figlia. Più tardi, al momento di coricarsi, le valigie, il beauty-case e lo zaino sarebbero stati ispezionati
con cura da Stella.
E tutto il contenuto sistemato con architettonica precisione. La parte sporgente del lenzuolo sarebbe stata piegata come sempre: il cuscino appariva così diviso in parti uguali tra la destra visibile e la identica porzione nascosta. F., il padre di Stella, raggiunse il bar.
A che ora è prevista la cena?
chiese al cameriere.
Alle sette e trenta precise, signore,
rispose Franco.
Quel signore di mezza età sprofondò nella poltrona rossastra e iniziò a sfogliare senza interesse apparente il quotidiano con l’inserto locale. Stella uscì dall’ingresso principale e raggiunse il piazzale. Lungo tutto il perimetro alcuni portafiori di legno chiaro facevano bella mostra di sé con il loro contenuto: uno spettacolo di colori che assumeva sfumature particolari nel momento del tramonto. La luce che andava scemando donava loro effetti particolari: almeno finché l’ultimo raggio di sole decideva che era venuto il momento di coricarsi dietro la montagna a ovest.
La ragazza si sedette sulla prima panchina. Le prime luci crepuscolari si allungavano sulla piccola valle. L’area antistante l’albergo era illuminata a sufficienza, in modo discreto. Una luce più intensa ammantava invece la veranda. L’interno dell’albergo era luminoso, ma con delicatezza. Si venivano a creare, in questo modo, tre tonalità di luce.
I fari dell’auto che stava parcheggiando in quel momento restituivano al piazzale una luce più intensa. I tre occupanti scesero contemporaneamente. Il più giovane, un ragazzo alto, aprì il portellone posteriore per primo. Con una valigia per mano si diresse verso l’ingresso dell’albergo.
Passando a pochi metri da Stella, inciampò. Era nel punto in cui le due luci, quella della terrazza, più forte e intensa, e la luminosità più attenuata del piazzale si incrociavano, quasi creando un effetto di morbida fusione cromatica. Si chinò a raccogliere la valigia caduta alla sua sinistra. Le sue guance si accesero di un rosso marcato, che unendosi ai capelli color frumento maturo ricordavano certi quadri moderni, almeno nel rigore cromatico. Si girò verso quella giovane seduta sulla panchina, nel piazzale prospiciente l’albergo, con le gambe incrociate. Il capo inclinato a sinistra dava ai suoi capelli la forma di una cascata. Ripresosi dallo smarrimento, raccolse il fiato e le rivolse la parola.
Ciao.
Lei alzò e abbassò leggermente la testa, ma nessuna parola uscì dalle sue labbra. Il ragazzo continuò a camminare con fatica: il peso dei bagagli, ma non solo quello, lo faceva altalenare. I due genitori lo seguirono poco dopo.
Stella entrò nella hall dopo che quel ragazzo alto e impacciato, almeno in quell’occasione, era salito al piano superiore. Lei lo aveva seguito con lo sguardo, senza ruotare la testa.
All’ora stabilita per la cena i diciassette commensali si accomodarono ordinatamente nel ristorante. Un leggero brusìo li accompagnava durante i pasti e non solo. Qualcosa di indefinibile, una sorta di messaggio subliminale, era parte della quotidianità di questo luogo. Nessuno parlava ad alta voce. Mai.
Tantomeno i suoi abitanti. E nessuno parlava velocemente. Questo aspetto della vita nella piccola valle veniva trasmesso a coloro che vi si recavano attraverso invisibili fili consolidati nel tempo. E nessuno veniva meno a questo comportamento.
Solo la montagna si faceva sentire, di tanto in tanto, quando richiamava il tuono, un colpo di frusta nel cielo temporalesco. Talvolta il compito di rompere il silenzioso incantesimo era affidato al lago. Ma il vento continuo delle serate invernali o autunnali, primaverili o estive, non intimoriva alcuno e non dava fastidio, anzi. Sembrava un soffio di corno, prodotto da bonarie, gigantesche presenze paniche. Paolo e Stella si alzarono da tavola per primi. Raggiunsero la veranda camminando uno di fianco all’altro, senza scambiare una parola. Questo ragazzo dall’andamento ora atletico non capiva il motivo per cui quella ragazza, che gli appariva come quasi coetanea, non avesse risposto poco prima al suo saluto.
Lui aveva soltanto voluto essere educato. Nulla più.
Stella girò la poltroncina in modo da trovarsi con lo sguardo di fronte al piazzale e al lago. Paolo era seduto di fianco a lei, ma i loro sguardi non potevano incrociarsi. Nessuna parola uscì dalle loro bocche. Lui era tentato di parlare con quella enigmatica ragazza, ma il solo pensiero di un suo secondo diniego, di una sua mancata risposta, gli strozzava le sillabe in gola. Questa immagine quasi bizzarra, di due ragazzi seduti l’uno vicino all’altro in silenzio totale, si protrasse per alcuni, imbarazzanti, minuti.
Paolo iniziò a pensare. Tante ipotesi percorrevano tumultuosamente, come le rapide di un fiume di montagna, la sua immaginazione. Perché quella bella ragazza non gli aveva nemmeno concesso un saluto? Rispondere è un gesto di semplice cortesia, una cosa semplice, naturale, non impegnativa. Forse non era contenta di quel luogo? A ben pensarci non appariva come il posto più adatto per coloro che uomini o donne non sono ancora.
Aveva litigato con il padre? No. Paolo aveva una memoria fotografica notevole; il viso del padre di Stella non aveva trasmesso niente che facesse pensare a un, anche minimo, contrasto con la figlia.
Forse è timidezza, pensava tra sé e sé. O forse no.
Mentre altri pensieri, altre immagini continuavano a bersagliarlo, Stella si alzò e in silenzio si pose di fronte a lui.
Ti va di uscire? Potremmo attraversare il piazzale e camminare un po’ attorno al lago. Verresti con me?
Paolo, rimasto senza salivazione, si alzò, cercò di emettere qualche parola che avesse un significato, ma non aveva fiato sufficiente. Lei lo guardava. Un impercettibile, indefinibile espressione le apparve sul viso stupendo. Sembrava una sorta di riproduzione del loro primo «incontro» corredata dal sonoro. Un breve film muto impreziosito da note musicali. Il commento musicale del loro primo incontro, affidato fino a quel momento ai suoni della vallata, era sostituito adesso dalla voce di lei, calda e inaspettata.
Alla fine, recuperata dalla pancia un po’ di forza, Paolo rispose quasi balbettando:
Certo!
E con ritrovata naturalezza si tolse il giubbino. Lo porse a Stella dicendole: "Credo che a quest’ora l’aria sia un po’