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Reston e le lacrime del drago
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Reston e le lacrime del drago

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About this ebook

Reston e i suoi compagni di avventura hanno già salvato la Terra guarendo la Natura, ne hanno salvaguardato la pace sconfiggendo i Cronnis, e ora, sembra che un destino crudele stia distruggendo l’Umanità: tutti i bambini si ammalano e nessuno sa come curarli, solo le lacrime del Drago Azzurro possono riuscirci, ma nessuno sa se esiste e dove si trovi.
Aurora e Reston partiranno alla ricerca del Drago, spingendosi oltre i confini della Terra conosciuta, là dove nessuno si era mai spinto. Avranno la sorpresa di ricevere un aiuto inaspettato e dovranno superare prove durissime. La Terra Sconosciuta ha regole sconosciute. Dovranno impegnarsi fino all’ultimo respiro per riuscire nell’intento ma… riusciranno a portare le lacrime del drago in tempo per salvare i bambini?
Questo romanzo chiude la trilogia, chiude un cerchio aperto dalla prima avventura, si scoprirà il motivo per il quale Reston è nato con l’alicorno dorato e si imparerà che la lotta fra il bene e il male ha sempre una sola soluzione: l’Amore.
LanguageItaliano
Release dateNov 2, 2016
ISBN9788868671822
Reston e le lacrime del drago

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    Reston e le lacrime del drago - Milena Ziletti

    amore.

    Capitolo primo

    Lauriziana guardava la sua bambina addormentata. Sembrava un angioletto, ed era bellissima. Cinque anni avevano atteso la sua nascita. Un tempo interminabile per Leon e per lei che desiderava una famiglia numerosa. Fra pochi giorni avrebbe compiuto cinque anni ed era prevista una grande festa al castello. Avevano invitato tutti i bambini e ci sarebbero stati dolci e giochi per i piccoli e un grande banchetto per gli altri invitati.

    La guardava mentre dormiva, così come un tempo faceva suo padre con lei quando ammirava quella voglia gialla a forma di sole che aveva sul collo che ora non c’era più, sostituita da una cicatrice lasciata da una vecchia bruciatura.

    Come avrebbe amato questa bambina suo padre! Come le mancava il suo vecchio e saggio genitore! Dopo più di dieci anni da quando era sparito, e solo lei ne conosceva il destino, ancora si sentiva la sua assenza in ogni angolo del castello.

    Avevano chiamato quella bambina dolcissima Leorena. Aveva i capelli scuri di sua madre e gli occhi chiari di suo padre, due guance rosa e profumate da far pensare a rose fiorite, come quelle che c’erano nei giardini del castello e sarebbero fiorite fra poco.

    Era il mese di aprile e la natura si stava risvegliando. La campagna ricominciava la sua rinascita e i contadini la curavano con tutto il loro amore. Era una terra amata quella. Tanti sacrifici e tante sofferenze erano costati per mantenere in vita la natura e la pace.

    I ricordi riaffiorarono alla mente di Lauriziana mentre accarezzava delicatamente la sua bimba addormentata.

    Chissà dove erano andati gli unicorni! E i Sirtis, che non aveva più sentito o rivisto, tranne Suarele e Aurora che vivevano ancora nella casupola della vecchia veggente. E i Troschi che erano spariti nel loro mondo. Le ninfe avevano continuato a proteggere le loro terre e la Terra di tutti ma nessuno le aveva più disturbate. Finalmente, gli ultimi dieci anni erano passati senza problemi di sorta. Era piacevole poter vivere in pace: vedere crescere i propri figli e germogliare frutti e raccolti. Se fosse dipeso da lei avrebbe prolungato all’infinito quel tempo trascorso così in fretta e senza particolari turbamenti, ma una strana sensazione, una vocina dentro di lei, le sussurrava inquietudine. Allungò la mano e scostò i lunghi capelli dalla fronte della piccola e si accorse che era più calda del solito e ricoperta da un leggero strato di sudore.

    Subito si agitò, ma represse il suo solito allarmismo. Tutti i bambini si possono ammalare, è nella natura della vita, inutile preoccuparsi senza motivo. Asciugò delicatamente la fronte di Leorena. La sfiorò con un bacio e la lasciò a riposare in quel pomeriggio tiepido di primavera.

    Lauriziana aveva compiuto 32 anni. Era dispiaciuta di non aver avuto altri figli, li avevano tanto desiderati Leon e lei, ma ora si erano rassegnati. Così come lei era rimasta figlia unica, lo stesso sarebbe stato per la sua bambina: era già stato un mezzo miracolo la sua nascita e, se non fosse stato per l’intervento e l’aiuto di Suarele, non sarebbe stato possibile portare a termine nemmeno quella gravidanza. Sembrava fosse un destino avverso, ma tre gravidanze si erano interrotte al terzo mese prima della nascita di Leorena. Ora sapeva con certezza che non ce ne sarebbero state altre.

    Percorreva i corridoi del suo castello. Ora era lei la Gran Castellana e il suo popolo l’amava davvero. Leon si stava allenando con le sue guardie e il clangore delle armi entrava dalle finestre aperte.

    Lauriziana si fermò e guardò giù nel cortile. Più che un allenamento sembrava un convitto di amici, ma Leon era intransigente sull’importanza di mantenersi attivi e vigili. Accettava momenti di rilassamento e di battute spiritose ma non tergiversava sul risultato finale. Accortosi di essere osservato, alzò gli occhi verso la finestra. Sorrise a sua moglie, le fece un inchino spiritoso e ritornò al suo lavoro.

    Lauriziana si recò nel suo luogo preferito: il giardino. Molti fiori erano già sbocciati, molte rose erano in fiore e un ronzare di api sembrava il concerto d’apertura delle danze per la grande festa che ci sarebbe stata al fine di festeggiare la rinascita della natura.

    Alcuni giardinieri erano all’opera. Le aiuole erano davvero meravigliose e, fra poche settimane, tutto il giardino sarebbe stato un tripudio di colori e profumi. Si fermò ai bordi della grande fontana circolare. Un piccolo uccello spruzzava acqua dal suo becco aperto e, nella fontana, cominciavano a schiudersi le ninfee. Si sedette sul bordo, era il suo posto preferito: lo zampillio dell’acqua e il verde delle grandi foglie lucide erano un tranquillante per il suo spirito sempre in apprensione.

    Il pomeriggio era appena iniziato ma già sulla pelle il sole faceva sentire la sua voglia di estate. Immerse la mano nell’acqua e fece piccoli cerchi che sparivano lentamente. Si immerse nei suoi pensieri e il ricordo andò subito a suo padre, al sacrificio che aveva fatto per salvare lei e la sua gente dalla guerra che i Cronnis avevano portato al mondo intero. Ora, egli si ritrovava appeso nella Grotta Proibita, su un disegno trattenuto alla parete con il triplo cordone, quello riservato ai peggiori personaggi esistiti; proprio suo padre, che era un uomo retto, coraggioso, amorevole e di parola. Forse per questo gli Dei avevano voluto proprio lui: unico personaggio per bene in mezzo a tanti personaggi malvagi. Nemmeno le ninfe avevano avuto spiegazioni dai loro Padri, si erano accontentate di vedere salva la natura che dovevano proteggere. Ma quanto le mancava, e quanto avrebbe amato la sua piccola nipote. I più anziani dicevano che somigliasse molto alla madre di Lauriziana, la tanto amata Gran Castellana di un tempo, che era vissuta così poco in quel castello a fianco di Olmos che l’aveva amata con tutto il suo cuore e che, alla sua prematura e oscura morte, aveva riversato su sua figlia tutto quell’amore. Nessuno, oltre a lei e alle ninfe, conosceva il destino del Gran Castellano; tutti sapevano che era partito in cerca di sua figlia, quando era stata rapita dai Cronnis, e non aveva più fatto ritorno. Tutti custodivano ancora la speranza di vederlo un giorno ritornare.

    Lauriziana alzò gli occhi al cielo: era limpido e con piccoli sbuffi di nuvole bianche. Che preghiera avrebbe dovuto elevare agli Dei per riavere suo padre? Sarebbe stato possibile vederlo ritornare? Le ninfe non le avevano lasciato alcuna speranza, doveva rassegnarsi. Ogni mese andava alla Grotta del Cordone, dalla sua madrina, la ninfa Astele e, insieme, si fermavano in silenzio per alcuni minuti davanti al disegno di Olmos, altro non potevano fare. In quegli anni, l’unica radice del vecchio platano bruciato dai Cronnis era rigermogliata: ora un giovane platano accoglieva i visitatori della caverna. Giovane e flessuoso sì, ma con tutta l’esperienza e la conoscenza del vecchio platano bruciato dai Cronnis, dopotutto era sempre lo stesso.

    Era assorta e si rigirava l’anello con la pietra azzurra che le aveva donato la ninfa Astele. Aveva deciso di portarlo al collo in sostituzione del monile che aveva ricevuto alla sua nascita e che ora non c’era più. Era un vezzo che aveva fin da quando era bambina: quando era assorta o pensierosa rigirava il ciondolo che portava al collo, all’inizio una piccola fiala di cristallo, poi una pietra che sembrava d’oro ma che si era rivelata tutt’altro, e ora questo anello con la pietra azzurra, ultimo dono della ninfa che tanto aveva fatto per lei fin dalla sua nascita.

    Sentendo dei passi avvicinarsi, accantonò i suoi ricordi. Una cameriera le si avvicinò e le disse che Leorena si era svegliata. Si alzò e ritornò ai suoi doveri di madre, quelli che preferiva.

    Il breve tragitto era colmo di rumori e di profumi. Nelle casupole era stato cotto il pane e l’aroma avvolgeva tutto il villaggio.

    Entrò nel salone ma non vide, come al solito, la sua bambina con la scodella di latte e miele.

    Dov’è Leorena?

    È ancora nella sua cameretta. le rispose la bambinaia.

    Lauriziana corse come un fulmine nella stanza di sua figlia.

    Leorena era ancora nel suo lettino. Era madida di sudore e scottava. Faticava a tenere aperti gli occhi e questo la spaventò moltissimo.

    Portatemi acqua fresca e la tisana calmante. La piccola prese la mano di sua madre e la strinse come a cercare conforto, si sentiva stanca ed era strano per una come lei che non riusciva mai a stare ferma.

    Arrivò anche Leon e si avvicinò alle sue adorate donne:

    Cosa succede, amore mio?

    La piccola ha la febbre. Non dobbiamo allarmarci, può succedere.

    Leon si sedette vicino a sua moglie e accarezzò dolcemente la fronte della sua piccola.

    Leorena si era già riaddormentata.

    Il pomeriggio volgeva al crepuscolo e Lauriziana stava ancora asciugando la fronte di sua figlia con panni umidi e freschi, ma la bambina non si era ancora svegliata. Cominciava a essere veramente preoccupata.

    Era sera e la bambinaia chiese di darle il cambio così Lauriziana poteva scendere a cenare. Non avrebbe voluto lasciarla ma era in buone mani e, dopo un’ultima carezza e un bacio leggero, scese da suo marito.

    Fu un pasto breve e silenzioso. Ritornarono in fretta nella cameretta di Leorena che ancora dormiva. La bambinaia li lasciò e si ritrovarono silenziosi e impauriti di fronte alla loro bambina.

    La notte fu lunga per Lauriziana e Leon. A turno rinfrescavano la fronte della loro piccola. Il respiro si era fatto affannoso: sembrava faticasse a respirare; erano sempre più preoccupati. Ormai era mattino (non avevano chiuso occhio) quando sentirono bussare alla porta.

    Ettore, il vice comandante delle guardie e amico di Leon, si fece avanti:

    Ho cattive notizie, comandante. Le guardie arrivate questa mattina mi hanno riferito che i loro bambini sono tutti con febbre e mancanza di fiato. Ho paura che la malattia, qualunque sia, abbia colpito molti bambini. Ora esco in perlustrazione: mi fermerò nei vari villaggi per sentire come è la situazione. Appena avrò informazioni tornerò subito a riferire.

    Anche le donne arrivate al castello per i loro lavori avevano tutte la stessa notizia: i loro bambini erano ammalati. Preoccupazione, apprensione e perfino paura cominciavano a serpeggiare tra gli abitanti della zona.

    L’aria profumata di aprile inondava le grandi stanze del castello. I grandi lavori di pulizia e ricambio della biancheria erano iniziati. Nelle cucine il lavoro era a pieno ritmo per preparare dolci e grandi porzioni di pane e carne per la festa di compleanno di Leorena.

    Non si sentivano i soliti canti o pettegolezzi. Le donne erano silenziose e preoccupate. Su quella terra, così amata e protetta, erano successe già troppe tragedie e, i pensieri che attraversavano la loro mente, erano fatti di paura e angoscia. Cercavano di demonizzare i cattivi presagi mettendo impegno e forza nel lavoro, ma era molto difficile non pensare ai propri figli ammalati.

    Lauriziana era al fianco di sua figlia. La piccola si era svegliata ma non aveva voluto saperne di mangiare qualcosa. L’aveva allettata con i suoi cibi preferiti, come la frutta dolce che tanto amava, ma non c’era stato niente da fare. La fronte continuava a essere troppo calda e il sudore le ricopriva l’esile corpo.

    Chiamò la sua cameriera:

    Eurice, va da Suarele e chiedile di venire da me.

    La ragazza, fatto un piccolo cenno, uscì silenziosa dalla stanza.

    Lauriziana accarezzava sua figlia volgendo lo sguardo fuori dalla finestra: i campi pronti per la semina, le piante con le gemme verdi e delicate, tutto era pronto per la grande festa della natura, ma lei sentiva sul cuore il peso di un macigno. La paura aveva cominciato a insinuarsi dentro i suoi pensieri. Non avrebbe sopportato se fosse successo qualcosa a sua figlia, e il solo pensiero di poterla perdere le lacerava il cuore che, per l’apprensione, aveva cominciato a battere più in fretta.

    Come faceva spesso, cominciò a rigirare l’anello che portava al collo. Non se ne rese nemmeno conto e, mentre lo strofinava, le apparve Reston che correva felice con la sua compagna e con il suo piccolo. Un sorriso di piacere rischiarò il suo viso. Quanto tempo! Chissà dov’era ora l’Unicorno Dorato; come era stata la sua vita in quei brevissimi dieci anni? Si perse nel ricordo di quella giornata: il giorno del suo matrimonio e della festa che c’era stata nel prato fiorito.

    Reston e Luxiana stavano rincorrendo il loro piccolo Argex. Aveva due anni ed era bellissimo. Tutto il branco aveva atteso quella nascita e tutti avevano sperato che fosse semplicemente un unicorno. Sapevano benissimo che, essendo figlio di Reston e nipote di Fuxiana, sarebbe stato un animale intelligente e superbo. Infatti, il giovane Argex era la perfezione fatta unicorno: bianco, flessuoso, con la criniera lunga e setosa, e la coda! Ecco, l’unica diversità si era palesata nella lunga coda bianca in quanto, più che bianca, era argentata e rifletteva qualsiasi riverbero di luce. Gli zoccoli, pure bianchi, sembravano essere fatti di madreperla: era davvero stupendo. Garlia e Zabro, Fuxiana e Galieno stravedevano per quel piccolo unicorno e si contendevano ogni istante per coccolarselo. Quella piccola meraviglia era l’amore di tutto il branco e in lui riconoscevano colui che, un giorno, ne sarebbe diventato il capo.

    Giocavano sereni nel loro mondo così perfetto, immune dalle cattiverie, dove tutto ciò che li circondava era fatto di puro Amore e natura incontaminata. Reston aveva raggiunto suo figlio e stava per farlo rotolare su quel terreno setoso quando si fermò di scatto. Alzò il muso e l’alicorno verso il cielo e rimase in ascolto. Si era fermato talmente bruscamente che tutti gli altri unicorni si immobilizzarono guardandolo con stupore. Gli occhi di Reston rimanevano fissi verso l’immensità del cielo e

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