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Vento di scirocco e profumo di zagara
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Vento di scirocco e profumo di zagara

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About this ebook

Giorgia è una ragazza madre siciliana che mette da parte i suoi sogni per dedicarsi alla figlia. Dopo dieci anni riprende in mano la sua vita e diventa una fotografa di grande fama.

Dall’altra parte del mondo, Andrea, un italo-argentino, ha abbandonato una prestigiosa carriera per realizzare il suo vero sogno di uomo libero e amante della musica, aprendo un Caffè Letterario nella sua Buenos Aires.

Uno strano gioco del destino li farà incontrare facendo loro scoprire che gli eventi della vita sono inverosimilmente intrecciati al punto da pensare che il caso non esista. Tra loro nasce un rapporto intenso e contraddittorio, una storia, quasi surreale che porta entrambi a scoprire legami inaspettati.

Il vento di scirocco e il profumo di zagara unisce tutti quanti alla Sicilia attraverso verità nascoste provenienti dal passato e rivelatesi dopo lunghi anni.

LanguageItaliano
Release dateNov 7, 2016
ISBN9788822862761
Vento di scirocco e profumo di zagara

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    Vento di scirocco e profumo di zagara - Antonella Costa

    siciliana.

    I parte

    Se l’universo è frutto di un complesso ordinato caos

    in perfetto equilibrio

    e  il concepimento è il frutto di una complessa combinazione casuale

    in perfetta armonia,

    allora gli eventi che accadono nella nostra vita,

    disorganizzati e in modo apparentemente casuale,

    sono il susseguirsi di combinazioni sensate

    che ci invitano

    a pensare al grande mistero della vita.

    Giorgia

    Ero riuscita ad organizzare l’ultimo viaggio di nozze, una crociera nei fiordi norvegesi ad una coppia ultra cinquantenne. Erano entusiasti, si prendevano per mano, sorridevano e dagli sguardi era evidente che tra loro ci fosse una bella intesa, ci vedevi l’amore dentro. Mi portarono una ventata di solarità, offrii loro dei dolcini che avevo portato quella mattina all’agenzia viaggi per salutare i miei colleghi. Mi dispiaceva non poter più osservare quella meravigliosa piazza, che ero solita ammirare seduta alla mia scrivania. Davanti ai miei occhi troneggiava il meraviglioso castello medievale, l’elemento principale che caratterizza la ridente e accogliente cittadina di Giorgione. Ormai, potevo chiudere gli occhi e descrivere ogni sasso, ogni merlo, ogni torre di quella parte storica della città. Le mura molto alte, di mattoni rossi, comprendono quattro torri d’angolo, una delle quali trasformata come campanile del duomo. Entrando nel castello attraverso la porta principale, sopra la quale il leone di San Marco osserva i visitatori con aria trionfante, si prosegue all’interno delle mura, e si arriva in Piazza Duomo. Una piazza raccolta, da sembrare quasi intima, rispetto all’altra piazza della città, più ampia e maestosa, dove mi recavo ogni giorno per lavorare nell'agenzia Volatour.

    Mi commossi quella sera nel salutare definitivamente i miei colleghi, i quali invece cercarono di sdrammatizzare quel saluto attraverso dei regali con biglietti spiritosi e fantasiosi che esprimevano il loro più sincero affetto. Emma, la proprietaria dell’agenzia, mi regalò la riproduzione di un dipinto che a me piaceva tanto. Un regalo inaspettato che mi rese felice, e tuttora quando lo guardo mi sento di essere ancora là, di trovarmi al Duomo di quella cittadina del nord est dove avevo trascorso i dieci anni più importanti della mia vita. Emma è rimasta un’amica speciale a cui devo la mia riconoscenza, tante volte infatti dedicava parte del suo tempo a Rebecca e il suo essere protettiva, amorevole e gentile diede la possibilità a mia figlia di avere un’altra figura di riferimento su cui poter contare. Volevo che il nostro saluto rimanesse eterno attraverso una frase che esprimesse la nostra profonda amicizia, così le dedicai un biglietto, che spedii al suo indirizzo la sera prima di partire, in cui cercai di esprimere l’amabile sentimento della gratitudine: "L’amicizia vera non ha tempo e non ha spazio… rimane immutabile nel tempo e non diminuisce di intensità anche se si è lontani anni luce; perché l’amicizia assomiglia alla luce riflessa della stella che riesce ad emanare la propria essenza anche se si è infinitamente lontani. Grazie di tutto! Ti voglio bene!!!"

    In quegli anni, anche grazie a lei, avevo capito il valore dell’indipendenza. Non avevo più bisogno di un uomo in grado di salvarmi. Avevo maturato che si può vivere una vita serena e felice senza aver necessariamente qualcuno che si occupi di te. Avevo imparato ad avere una casa, a crescere mia figlia da sola, a cucinare, a lavorare…in poche parole avevo imparato ad amare me stessa, valorizzando ciò che avevo, senza perdermi nei rimpianti. Avevo imparato ad andare avanti e a credere in me anche quando il mondo mi stava voltando le spalle, comprendendo che la fine di una relazione o i fallimenti in generale non avrebbero plasmato la mia immagine; ma ciò che avrebbe invece definito la persona che realmente sono diventata, sarebbe stata la capacità di cambiare, di dare una svolta alla mia vita regalandomi sempre un’altra possibilità per la realizzazione dei sogni che tenevo gelosamente custoditi nel mio cuore. In quel momento, mi stavo appunto regalando un’altra possibilità, desideravo fortemente farmi trasportare dal vento del cambiamento. Rinunciare per paura di sbagliare sarebbe stato l’errore più grande che potessi commettere nella mia vita.

    Rebecca, in quei giorni sembrava immobilizzata, chiunque la osservasse percepiva infatti che il cambiamento la spaventava. La mattina di quel giorno che preannunciava la nostra partenza ci recammo in piazza e ci sedemmo in una panchina da cui vedevamo i portici, illuminati in lontananza dalle luci delle vetrine dei negozi, a dirci che un nuovo giorno stava per cominciare. Per tanti era un giorno comune, uguale agli altri: il via vai della gente che freneticamente si accingeva a raggiungere la propria sede di lavoro era la testimonianza che quel giorno per gli altri era un giorno normale, mentre per noi era diverso, particolare, un giorno che avrebbe lasciato il posto ad una notte speciale, perché avrebbe permesso al sole di sorgere per noi in altri meridiani. Rebecca aveva un’espressione pensierosa e un atteggiamento serioso. Sgranocchiava le patatine, prendendole delicatamente con le sue tenere dita ed era seduta con le gambe accavallate, con le consuete espressioni e posture da piccola adulta. Rebecca non mi assomiglia né fisicamente né caratterialmente, ha preso dal padre che non ha mai conosciuto, il quale non sapeva di avere una figlia in questo mondo. Ha dei begli occhi verdi, la carnagione chiara, lunghi capelli dorati e labbra piccole e carnose. Io, invece ho un colorito olivastro, occhi castani e lunghi capelli mossi che in gioventù portavo quasi sempre raccolti con una coda. Sono una persona semplice con la mente complicata. Il mio carattere estroverso mi ha dato la possibilità di poter sempre guardare all’orizzonte con vitalità. L’orizzonte rappresenta per me qualcosa di misterioso, è un luogo surreale dove si incontrano l’infinito del cielo e l’immenso del mare e in quella linea immaginaria riversiamo i nostri pensieri, le nostre speranze e i nostri desideri.

    Ricordo perfettamente quell’orizzonte in cui riversai le mie paure, le mie angosce e le mie incertezze…e poi bastò solo un vagito per trasformarsi nella mia gioia più grande! Rebecca era il mio equilibrio, quella parte di me diversa ma in perfetta sintonia. Stavamo crescendo insieme, mia figlia gradualmente si accostava all’adolescenza lasciandosi alle spalle l’infanzia mentre io mi facevo spazio con i gomiti in una nuova fase della vita, regalando frammenti di gioventù .

    Andrea

    La mattinata appariva molto frenetica all’interno delle mura di casa. Una sorta di dinamicità nella staticità. Così come la terra gira su sé stessa in un moto apparente, stavo rivoluzionando la mia vita partendo da me stesso…stavo completando il mio moto apparente che mi stava portando ad osservare un determinato fenomeno secondo punti di vista diversi. Mi ero appena alzato e dopo aver sorseggiato il caffè osservai la mia vita dentro tanti scatoloni, più o meno grandi, pronti ad essere lanciati in una altra dimensione. Non cambiavo città, il mio trasloco avveniva materialmente all’interno della stessa Buenos Aires in cui sono cresciuto, solamente in un quartiere diverso. Cambiavo casa, cambiavo lavoro, cambiava soprattutto il mio sguardo nel cogliere le forme e i colori, cambiava finalmente la mia percezione della vita. Mi guardai allo specchio, l’unico oggetto rimasto ancora appeso lungo un corridoio che divideva la zona giorno dalla zona notte e capii di essere ancora un uomo affascinante, anche se i miei quarantasei anni mi avevano regalato i capelli brizzolati e un po’ di rughe, che rappresentano la lettura della vita trascorsa e delle esperienze vissute. Avevo venduto la mia villa in stile antico per comprare un attico stile moderno, nell’elegante quartiere Palermo. Nella vita sono stato un amico fidato, un marito fedele, un figlio ubbidiente e un padre esemplare. Lavoravo come bancario in una delle banche più note della città, di cui ero il direttore. Sono stato l’orgoglio dei miei genitori, il loro riscatto sociale, la realizzazione delle loro aspettative, il sogno negato della loro giovinezza. Guadagnavo abbastanza per permettere una vita agiata ai miei tre figli, nati dal matrimonio con Ines. Un amore sbocciato all’Università di Economia e cresciuto negli anni. Lei lavorava in un prestigioso studio di commercialisti dove il suo obiettivo era far quadrare i conti; io intrapresi invece la strada della finanza dove il più meritevole era colui che aumentava di fama quando agli altri i conti non quadravano più. Così da lì a poco avrei avuto un altro premio che mi avrebbe portato alla dirigenza di più banche. Ebbene, proprio quella mattina, dopo aver consegnato la mia vita disseminata in vari pacchi alla ditta traslochi, mi diressi alla sede della Banca Centrale per rassegnare le mie dimissioni. Lavoravo per la fama e per il prestigio altrui, per la gloria dei miei genitori e per il compenso economico che quel lavoro influente offriva alla mia famiglia. I miei figli Pedro, Isabel e Julia sono nati e cresciuti nel lusso. La loro madre apparteneva ad una famiglia argentina benestante mentre io, figlio unico di genitori emigrati dalla Sicilia per trovare fortuna in Argentina, ero cresciuto con la consapevolezza che nulla è dovuto, nulla ci appartiene e tutto va conquistato con forza e tenacia; che nulla finisce ma tutto si modifica e si trasforma per dare nuovi titoli ai vari capitoli del grande libro della vita. La nostra unione, ai tempi dell’università, non era ben vista dai genitori di lei, suo padre aveva troppi pregiudizi su di me e poterlo guardare negli occhi a testa alta divenne l’unica mia soddisfazione. Dopo quel maledetto incidente la mia vita diventò insignificante. Avevo cercato in ogni modo di riempire le vite dei miei figli trascorrendo più tempo con loro per colmare quel senso di vuoto lasciato inevitabilmente dalla perdita della madre, ma a poco a poco presi coscienza che certe ferite sarebbero rimaste indelebili, insidiandosi col tempo come ricordi sempre vividi. Le mie esperienze mi hanno insegnato che la vita è bella anche se dolorosa, che da un giorno all’altro tutto può cambiare, che non tutti possono comprendere le tue scelte e i tuoi errori, che la musica è l’arte più divina perché è l’unione per eccellenza tra il trascendentale e il trascendente. E’ qualcosa di indefinito che diventa percepibile ai nostri sensi, tanto da condizionare il nostro stato d’animo e principalmente ho capito che la vita è imprevedibile e non finisce mai di sorprenderci.

    Quella mattina, agli occhi degli altri apparivo un folle e forse lo ero…ma iniziavo ad amare la mia folle follia, quella che mi stava trascinando verso altri orizzonti. Ero sicuro che le dimissioni mi avrebbero ridato la felicità e la libertà di inseguire i miei sogni. In un angolo della casa, avvolto nella custodia c’era infatti un sogno ad aspettarmi: la chitarra! Non avevo più il tempo per lei, sentendone la mancanza. Compresi che riprendere a suonare sarebbe stato vitale perché avrei riversato nelle note le ansie, le preoccupazioni e i miei amori negati. Imparai così a trasformare il dolore in divine melodie. Mi era sempre piaciuto comporre brani, scriverne la musica e poi mettermi là, in un angolo della casa ad ascoltare la voce della chitarra. Erano anni che non suonavo più, che non davo ascolto alla mia anima. Ero un gabbiano che si era creato una bella gabbia dorata, che tutti invidiavano, ma la vera bellezza sta nel poter volare libero, sentendo il vento che spira! Quella mattina, dopo aver presentato la lettera di dimissioni dovevo recarmi in un locale da ristrutturare per poter aprire la mia nuova attività: Il Caffè Letterario. Avevo ideato un progetto che avrebbe permesso a me e agli avventori di usufruire di un ampio spazio dedicato alla cultura: dalla musica alla lettura; dalla lettura alle mostre di fotografia. Almeno quello era il programma del giorno. Ma dopo aver presentato la lettera di dimissioni, un senso di colpa mi assalì e mi paralizzò al punto che mi sedetti nella piazza di fronte la Banca e il pensiero volò a mio padre. Alzai la mia camicia e sul braccio sinistro lessi il suo nome: Alessandro Belli, che mi ero tatuato sulla pelle dopo la sua morte. Era la sua firma, presa e copiata dal suo vecchio passaporto, quando partì per la prima volta a soli quindici anni con la sua famiglia verso l’America del Sud. Mio padre era un uomo eccezionale, lo ringrazio per i suoi insegnamenti fatti di esempi quotidiani e di piccoli gesti d’amore. Avevamo tanti progetti in mente, dovevamo fare un sacco di cose ancora, insieme. La sua morte fece maturare in me il vero senso della vita, incominciai a vivere intensamente giorno per giorno, senza mai guardare indietro. Tra i discorsi che ascoltavo con profondo interesse ricordo perfettamente il racconto del suo viaggio verso l’America, quando durante la partenza si indossavano solo le vesti della speranza, con niente in tasca. Un dolore immenso accompagnava i migranti durante il viaggio per il senso di abbandono della propria terra, anche se la speranza di una vita migliore li incoraggiava a partire e una sorta di umile compostezza li conduceva in altri meridiani, con la fierezza di guardare avanti senza mai più voltarsi indietro. Mio padre era nato e cresciuto fino a quindici anni in un piccolo paese dell’entroterra della Sicilia, in cui la povertà e la miseria portarono una grossa fetta di abitanti all’emigrazione verso l’America del Sud. L’Argentina divenne per mio padre la sua seconda patria, mi diceva di amarla e di esserle sempre grato perché accolse molti stranieri dando loro la serenità e offrendo una vita migliore per le generazioni future. Mia madre era anche lei di origine siciliana, proveniente da un paesino dell’entroterra distante pochi chilometri da quello di mio padre. I miei genitori si conobbero naturalmente a Buenos Aires, tra loro c’era una considerevole differenza di età che non impedì lo sbocciare di un amore sincero. Dalla loro unione nacqui io, Andrea Belli!

    Non ho fratelli, perché mia madre Pina ebbe un parto difficile, al punto di rischiare di perdere la vita. Così rimasi figlio unico, in compenso però sono cresciuto con i miei cugini materni non provando affatto solitudine, al punto che anzi, a volte, nell’adolescenza ricercavo un po’ di serenità fatta di silenzio, mentre la mia casa era aperta a tutti e sempre piena di voci e risate. I miei, infatti erano molto accoglienti e amavano stare in compagnia, cercavano di conservare alcune tradizioni legate alle loro origini che mi hanno anche tramandato ma destinate a diventare ricordi sempre più vaghi. Ricordo perfettamente alcune sere, quando finalmente in un momento di pace e di intimità familiare mio padre ritornava da lavoro, stanco ma vitale, si sedeva accanto a me e raccontava di sé mentre io lo guardavo estasiato. Era l’uomo più importante per me, ero orgoglioso di lui e ringraziavo mia madre per averlo scelto come padre per il suo unico figlio. In gioventù, mio padre lavorava in una fabbrica e comprò un pezzo di terra non tanto grande dove costruì la sua dimora nella periferia dell’epoca, divenuta oggi quartiere centrale della città. Mia madre abita ancora là, una bella zona con delle villette e un folto verde rilassante intorno. Mio padre non ebbe la possibilità di poter studiare, mancava di cultura ma era un uomo intelligente e curioso e la curiosità è la forza motrice che spinge l’uomo ad elevarsi. Un giorno mi portò in un archivio della biblioteca cittadina per documentarci sull’emigrazione del dopoguerra, vero e proprio esodo di quegli anni. Volevo sapere di tutto, era nata in me la voglia di scoprire le mie origini e

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