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Nannina e altri racconti
Nannina e altri racconti
Nannina e altri racconti
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Nannina e altri racconti

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Racconti, poesie ed ancora racconti. Ciò che la penna di Giovanna Brienza è riuscita a tracciare è il contorno netto e preciso di una realtà, vista attraverso gli occhi di chi sa ancora emozionarsi. Il punto, tuttavia, è proprio nell’esprimere il concetto di “contorno”. I racconti, che aprono e concludono l’opera, sono scritti con sicurezza e sincerità, senza brusche frenate, senza voli pindarici, con fedeltà e, talvolta, quasi con un certo distacco. Perché è così che funzionano le emozioni. La stessa immagine suscita sensazioni diverse in cuori diversi, ed è l’universalità del linguaggio ad unire tutto. Il lettore troverà, in queste pagine, immagini chiare e limpide, ma saranno i suoi occhi a colorarle. Ed è compito delle poesie porre dei contrappesi puramente emotivi sulla bilancia, creando macchie di colore affascinanti, ma altrettanto universali, sulla tela bianca. Un piccolo viaggio composto da tante tappe, ciascuna delle quali avrà un messaggio da lasciare, un profumo particolare ed un posto nel cuore.
LanguageItaliano
Release dateNov 10, 2016
ISBN9788856780284
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    Nannina e altri racconti - Giovanna Brienza

    Albatros

    Nuove Voci

    Ebook

    © 2016 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l. | Roma

    www.gruppoalbatrosilfilo.it

    ISBN 978-88-567-8028-4

    I edizione elettronica ottobre 2016

    NANNINA

    Capitolo 1

    1947, era appena finita la seconda guerra mondiale e l’Agro Pontino riceveva la seconda invasione da parte degli altri miserabili che la guerra aveva prodotto.

    La prima invasione era appena terminata con la bonifica della palude pontina, fatta da Mussolini e data alle famiglie degli sfollati dell’alta Italia, i polentoni, tramite l’istituzione dell’ONC.

    A ciascuna famiglia veniva consegnato un podere a seconda delle braccia lavorative di cui la famiglia disponeva, con l’obbligo di riscattarlo dall’opera nei successivi vent’anni.

    Non era proprio la terra promessa ma ci si poteva vivere.

    L’opera di bonifica era stata così grandiosa che la palude pontina ora era l’Agro Pontino.

    Era costata fatica, sudore e vita a molti operai costretti a lavorare in condizioni non umane. Le famiglie a cui venivano assegnati questi poderi erano venete, friulane o lombarde insomma tutte del nord e quindi avevano creato nel sud del Lazio una città, Littoria, che la gente delle colline e delle montagne circostanti chiamavano la città dei polentoni perché la polenta era la base della loro alimentazione.

    Anche le piccole frazioni o borgate che venivano fondate nei dintorni della città avevano un nome che richiamava il ricordo di fiumi e di monti situati appunto nel nord come: Borgo Isonzo, Borgo Grappa, Borgo Sabotino, Borgo Piave, ecc.

    Questa piccola comunità di polentoni era molto unita e così restò anche dopo la seconda guerra mondiale sino l’arrivo dei Marocchini, quelli cioè che subirono l’invasione dei Mori nella seconda guerra Mondiale, i quali spinti dalla miseria in cui una seconda guerra l’aveva riportati quando appena stavano risorgendo dopo la prima e senza più possibilità e coraggio di ricominciare arrivarono così in pianura, ma al contrario della discesa dei polentoni trovarono solo case crollate e terreni pieni di pezzi di ferro (e qualche bomba bellica).

    Chi più chi meno stavano tutti sulla stessa barca e invece di darsi una mano e di unirsi nella lotta della ricostruzione, si disprezzavano gli uni con gli altri rendendo così più lungo il cammino della convivenza civile rimanendo ognuno con la propria gente, le proprie abitudini, senza integrarsi. Ed è appunto la storia di due giovani Nannina ( abruzzese) e Federico (veneto) di cui voglio parlare e delle vicissitudini a cui andarono incontro nel clima sociale dell’epoca di cui vi ho parlato. La famiglia di Nannina era composta da undici persone, tutte sotto il comando di Ottavio che si faceva in quattro per mandare avanti la sua famiglia che era formata soltanto di donne, bambini e vecchi, ve li presento: Filomena la moglie, i figli Giannina di sette anni e Enzo di sette mesi, Maria la sorella più anziana di Filomena che era rimasta vedova con due figli maschi di otto e nove anni, Michele e Tonino, e che non avendo nessun mezzo di sussistenza piano piano si era ancorata a Filomena e Ottavio tanto da diventare anche loro membri della famiglia. I genitori anziani di Filomena con l’ultima figlia di diciotto anni Nannina e la vecchia e cattiva madre di Ottavio. Cattiva perché ogni giorno rinfacciava al resto della famiglia che campavano tutti sulle spalle di suo figlio. Questo umiliava molto le tre sorelle che erano molto unite e molto affezionate ai vecchi genitori. A Ottavio non importava questo, pur dovendo così sgobbare molto e avere sulle spalle un fardello troppo pesante per i suoi ventotto anni; perché amava molto Filomena così da considerare tutti e quattro i bambini suoi figli e le cognate come sorelle e i vecchi come genitori e il resto della famiglia era sicura della sincerità di Ottavio nei loro riguardi che si prodigava tutta per lavorare quel podere che l’ONC gli aveva dato.

    Capitolo II

    I bambini raccoglievano il ferro vecchio e l’ottone nei campi con la raccomandazione di non toccare le eventuali bombe rimaste, le vecchie facevano i lavori di casa, stavano dietro alle galline al maiale ecc. Le tre sorelle lavoravano nei campi e la mattina presto e la sera facevano la stalla, Ottavio usciva di casa con la bicicletta che ancora non era giorno per commerciare qualche bestia e qualche prodotto della campagna così di avere qualche soldo liquido per assicurare ogni giorno il minimo necessario alla famiglia. Le donne facevano il pane, il sapone i formaggi, le calze e si arrangiavano nel cucire, i bambini col bel tempo andavano scalzi e Ottavio ogni giorno percorreva più chilometri in bicicletta o a piedi tirando la corda delle bestie che aveva contrattato o sul carretto con il grano con la paglia ecc. Così in questo clima di economia ben presto, al posto della misera casa lasciata in piedi dalla seconda guerra mondiale, ottennero una vera casa con più stanze in modo da poter avere quasi tutti una stanza da letto che costituiva a sera il problema principale per poter avere un po’ di vita intima per tutti: per Ottavio e Filomena, per la madre malata di Filomena, per i bambini e per Nannina che sognava il suo principe azzurro. Ben presto la madre di Filomena, la nonna tanto amata dai nipotini morì, lasciando solo il povero marito che senza più la sua compagna che gli dava forza con la sua fragilità, con il suo bisogno di protezione e con il parlar e raccontare insieme. Il vecchio era rimasto solo a subire l’umiliazione e il disprezzo della vecchia madre di Ottavio. Anche per i bambini era stato un brutto colpo, rimasti ora soli con la nonna di cui avevano paura per l’aspetto fisico e per il carattere. Nannina capì che ora era soltanto a carico del cognato che fino ad allora poteva dire sto con mio padre e mia madre e l’insoddisfazione che già serpeggiava dentro di lei ora diventava palese anche alle sorelle. A Nannina non bastava più come per Filomena e Maria scambiare qualche chiacchiera quando si andava a tingere l’acqua al pozzo del confinante, ( poiché l’acqua del loro pozzo era salatissima) così ci si scambiava qualche favore con i confinanti, andare ad attingere l’acqua era la gioia dei bambini che seguivano tutti e quattro o la madre o la zia contenti perché incontravano altri bambini con cui giocare, o ascoltare discorsi intorno al pozzo. Ma per loro il tempo era sempre troppo poco e quando chiedevano alla mamma perché non restavano più a lungo si sentivano rispondere: é meglio non dare molta confidenza sono altra gente e dietro la curiosità ci potrebbe essere soltanto la voglia di prendere in giro. Ecco ci risiamo sempre la solita storia del Marchigiano,del Marocchino, del polentone. Povere sorelle non erano più nel loro paese d’Abruzzo dove erano tutti abruzzesi dove si parlava un solo dialetto, si avevano le stesse abitudini si facevano gli stessi scherzi, si ballava lo stesso ballo con la stessa musica.

    Qui i dialetti erano tanti e difficili a capirsi e le differenze erano messe sempre più in risalto. Qui la gente teneva di più a ciò che li divideva non a ciò che le univa. Le tre sorelle scoprirono che erano l’unica famiglia abruzzese nel giro di molti chilometri, il che le trovo per la prima volta divise. Filomena era orgogliosa della sua terra d’origene e ci teneva a conservare le sue tradizioni ammirata per questo da Ottavio e dal padre e anche dalla suocera; invece Nannina con la sete dei giovani che non conosce frontiere e desiderosa di fonti nuove restava affascinata dal modo di vivere degli altri perché a lei ancora sconosciuto e quasi disprezzava il suo che conosceva molto bene e che a differenza di prima ora le sembrava ristretto, povero, privo di libertà. E con queste sue idee trascinava dietro di sé Maria che, poverina l’assecondava perché temeva che la sorella non si sarebbe mai sposata. Sposare: Nannina si doveva sposare, ormai aveva venti anni ed era ora che anche lei si sistemasse. Sì perché all’epoca per una ragazza di quella età non c’era alternativa, o il matrimonio o il convento. Quasi tutte optavano per il matrimonio dove vedevano almeno difeso il loro ruolo di donna mettendo al mondo una scaletta di bambini, come se anche questo non sarebbe diventato una clausura. E Nannina come tutte aveva già pronto il suo piccolo corredo tutto ricamato iniziato fin da ragazzetta a Nannina a differenza di Maria e Filomena non interessavano più i progressi che si facevano nel potere, cioè solo relativamente dato che lei era contenta per le sue sorelle, perché tanto lei come si sarebbe sposata avrebbe dovuto seguire il marito e ringraziare il cognato per il corredo e il vestito da sposa. Ma i paragoni sempre più soventi che Nannina faceva fra loro e gli altri finirono quasi per dividere quella famiglia, che invece, in quei due anni sotto la presa in giro delle altre razze era tanto apprezzata per la serietà, l’onesta, semplicità, la dedizione a lavoro dei suoi componenti e per il progresso che grazie alle loro doti facevano. E poiché l’interesse di Nannina era rivolto sopratutto al sesso forte guardando le altre razze, le quali lei preferiva per la loro costituzione e per il loro modo di porsi verso le loro donne così in modo da offendere il cognato Ottavio e la stessa Filomena che così tanto amava e apprezzava il suo uomo. Ma questo per Nannina non valeva perché lei vedeva questi uomini polentoni superiori ed anche le loro donne. E lei si lamentava in continuazione con le sue sorelle dicendo: Non vedi come lasciano libere le loro donne? Come le trattano? Quasi nessuna va nei campi e in stalla. Lavorano di cucito e di maglia o stanno in casa e sono sempre vestite decentemente e la domenica con le biciclette vanno a messa con bei vestiti e le calze fine. Noi invece viviamo come bestie, siamo proprio delle bestie da soma. Littoria non la conosciamo per niente, ma meglio così perché faremmo ridere con i nostri pedalini diceva con calore Nannina. Filomena ascoltava addolorata perché capiva che la sorella si sentiva umiliata da quella vita, ma forse perché non si sentiva umiliata anche lei come donna da quella vita? In fin dei conti anche se era sposata e aveva due figli aveva solo pochi anni in più di Nannina e vedere quelle donne passare in bicicletta con le gonne strette e le ginocchia di fuori dava fastidio anche a lei. Ma subito allontanò queste strane idee e ricordo che i bambini avevano sempre più fame e che adesso che andavano a scuola avevano bisogno di scarpe buone e tutto il resto della famiglia poi... erano sempre dieci persone da mantenere. E poi quando qualche volta ne aveva parlato con il marito lui gli aveva risposto che tutte le donne che andavano in bicicletta e si truccavano non erano poi tanto serie...Nonostante ciò la sera tardi quando Ottavio rientrò gli chiesero se potevano avere una bicicletta per casa(per far in modo che la Nannina potesse uscire e così essere conosciuta) Ottavio acconsenti dicendo che gli avrebbe lasciato anche la sua bicicletta da uomo perché si sarebbe fatto la motocicletta. La notizia rendeva felice Filomena anche se per il momento la moto le faceva paura. Ma no stupida(la rassicurava Ottavio)l’ho già provata così potrò andare anche in posti più lontani dove le bestie costano meno. Ho una partita per le mani che se mi va bene ci uscirà un vestito per tutti. Poi le bestie in stalla vanno strigliate, presentate meglio, vuol dire tanto. Ho bisogno della mano di un aiutante per limare le corna alle mucche, non e un compito di voi donne. Filomena: Ma facciamo fatica a campare noi, adesso porti un’altra bocca da sfamare stai già facendo dei debiti... rispondeva preoccupata e lui se non fai i debiti non vai mai avanti, il denaro deve circolare, non posso aspettare di avere i soldi per comprare una vacca porco... lo vuoi capire? Ci sono i debiti ma c’è anche il capitale. La stalla è piena questo è il commercio. E lei: Ma dobbiamo pensare a riscattare il podere allora si che e roba nostra ma così... no.

    Faremo pure quello piano piano, che cosa vuoi ? Sono appena passati pochi anni. Pensa piuttosto che in certi posti c’è già la luce elettrica e per mettere quella allora sì che ci vogliono un mucchio di soldi. Sì ma adesso non voglio più parlare di affari, già ne parlo tutto il giorno, dai, adesso vieni qua....

    E l’estate era arrivata e le tre sorelle erano diventate more come zingare con i capelli lunghi e mossi, scalze erano tre bei fiori ciascuna per la sua età. Anche Maria pur non volendolo perché ormai viveva solo come mamma era baciata dai raggi del sole; ma lei si nascondeva sotto quel nero e quasi facendolo apposta assumeva sempre più quell’atteggiamento di trascuratezza per la sua persona. E ogni giorno di più si attaccava a i suoi figli quasi soffocandoli con le sue attenzioni. Povera Maria ormai era troppo tempo che viveva la sua solitudine da vedova e trascurando la donna che era ma rifugiandosi nel suo compito di mamma. Filomena al contrario aveva molta cura della sua persona nonostante il poco tempo che aveva era sempre una donna che si notava nonostante i semplici vestiti. Nannina come bellezza era meno notata ma aveva un fisico più asciutto e suscitava una grande simpatia per la sua giovane età. Nannina imparò presto ad andare in bicicletta e Filomena, con la scusa che gli serviva qualche spagnoletta o qualche bottone di diverso la mandava spesso a comprare qualcosa, nei borghi limitrofi erano tutti in pianura tranne Borgo Montello che ha una salita faticosa e arrivati in cima una discesa pericolosa da scavezzacollo. Filomena raccomandava a Nannina di stare attenta

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