Impossibile Ignorarti
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Chi è Ryan? E ce la farà Samantha a trovare ciò che cerca?
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Book preview
Impossibile Ignorarti - Joey Marshall
1. GALEOTTO FU STARBUCKS
Ok lo ammetto. Nel curriculum ho un po' barato. Ho detto qualche bugia a fin di bene.
Cioè non è che io sia stata davvero una responsabile nel negozio di Gap, ero più una piega magliette. E no, non ho fatto la vetrinista da Calvin KIein, c’ho lavorato solo per il periodo dei saldi.
Fare la commessa non è la mia aspirazione massima, a dire il vero, sarei anche laureata. Potrei fare la maestra in qualche asilo privato, e rincorrere i marmocchietti rampolli dell’alta società.
Ma la mia voglia di indipendenza totale, e diciamolo, il lavoro che non arriva, mi ha portata a cambiare strada. O meglio, a scegliere una via alternativa.
Così ho creato un curriculum per ogni occasione. In fondo, a ventotto anni, ci si aspetta che io sia in grado di mantenermi da sola.
Ho lavorato per tutto il corso degli studi, per poter ripagare il mio prestito scolastico.
I miei genitori sono di origini italiane. I veri italiani sono i miei nonni, e da veri patrioti, gestiscono un ristorante a little Italy.
Cucinano bene, e seguono abbastanza le tradizioni… almeno credo… ma non hanno mai puntato al successo.
Io d’altronde, non sono mai stata la figlia perfetta, a scuola ero discreta, ho sempre avuto un milione di passioni, neanche una degna di nota, e ovviamente, non ho un ragazzo dalla fine della prima guerra mondiale.
L’ultimo è stato una storia lampo. Conosciuti, amati, siamo andati a vivere assieme, l’ho trovato a letto con la sua collega, mi sono trasferita. Tutto nell’arco di un mese.
Così quando ho ricevuto la chiamata da Prada, sulla Fifth Avenue, non ci potevo credere.
Prada è italiano giusto?! E io sono italiana, almeno in parte. Poteva andare meglio di così?!
Ammetto di essere un po' nervosa, sono le 8.05 e sono già più o meno davanti al negozio, il colloquio è alle 9.00. Poco male, faccio un salto da Starbucks.
Amo il caffè di Starbucks, il frappuccino è il nettare degli dei. Spero che il suo inventore vinca il Premio nobel per il gusto.
Sono anche una patita della moda. Il che mi fa credere che posso avere una chance in più per questo posto. Cerco sempre di abbinare i colori in modo quasi asimmetrico, e se dovessi dare un nome al mio stile, lo definirei Bohémien.
Ho optato per un look sobrio. Camicia bianca, trench nero, jeans attillato nero, e non possono mancare le mie bebè tacco 12.
Su una cosa non ho mentito, ne so più io di scarpe che tutte le commesse di Foot Locker. Ne avrò un centinaio, di ogni sorta e colore, tutte tacco 12 ovviamente. Cosa che da Foot Locker non hanno mai visto.
Il tacco è la mia prolunga, senza di lui, io sarei solo un metro e sessanta di simpatia.
La signorina di Sturbucks è un po’ scorbutica, non credo le piaccia fare il turno di mattina.
- Che nome metto nel bicchiere?
- Sam
Mi guarda con occhio storto.
- Sam… diminutivo di Samantha!
Vorrei aggiungere un ma che problemi hai?
ma non mi sembra il caso.
Mentre aspetto tiro fuori il mio smartphone, per controllare l’ora e il mio profilo Facebook, in realtà è anche uno stupido modo per ingannare il tempo.
A volte mi soffermo a pensare, su cosa facevano una volta per colmare questi buchi di tempo.
Soprattutto agli uffici pubblici. Ore interminabili di attesa a guardarsi tutti negli occhi?
- SAAAAAAM… SAAAAAM!!
Sento urlare il mio nome da una voce dolce come quella del gabbiano di Ariel quando canta. Ma cosa urla?! Vuole far sapere a tutti che il mio diminutivo ha un che di maschile?!
Afferro il mio adorato frappuccino, mi giro e, succede tutto in un secondo, o io sbatto contro un muro, o lui viene verso di me.
Il caffè cade, aprendosi in volo, colpendo in pieno la mia camicetta, scelta con cura, e il muro dove involontariamente ho sbattuto.
L’unica cosa a cui riesco a pensare in questo momento è per fortuna avevo aperto il trench
.
Oltre ovviamente alle mille insolenze che stanno girando nel mio cervelletto. Potrei sfoggiare due delle paroline italiane insegnatemi dal nonno, ma a New York meglio sempre essere prudenti, gli italiani sono ovunque.
Alzo lo sguardo dopo circa 10 secondi di stato di shock e i miei occhi incontrano due gemme azzurre. Fredde come il ghiaccio.
Il muro in questione, non è solo umano, forse in realtà è anche un po' alieno.
Il suo viso è virile e dannatamente perfetto, mascella squadrata, naso dritto, labbra carnose, capello sbarazzino. Insomma, una cosa da tutti i giorni.
Si, tutti i giorni, quando sei seduta in una tavola calda e c’è il magazine settimanale e lo vedi… li, in copertina.
- Ma si può sapere che cosa stava guardando?
- Mi scusi io… sinceramente non pensavo ci fosse qualcuno dietro di me, anzi in realtà non pensavo ci fosse nessuno in generale dentro a Starbucks a quest’ora del mattino…
Ovviamente, come il mio solito, parto a raffica con i miei discorsi. Quando sono nervosa, poi non smetto più!
- Non sia ridicola - mi interrompe - non sono mica le 5 del mattino!
Va bene che è bello, direi da bocca spalancata , ma non ha di certo il diritto di trattarmi così, infondo, non l’ho mica urtato apposta.
- Le chiedo scusa di nuovo signore, ma veramente non l’avevo vista.
- Lo immaginavo, lei ha la classica faccia di chi vive sulle nuvole e non si accorge di chi gli sta intorno.
Non ne posso più, ma che problema hanno tutti. E comunque, nessuno gli da il diritto di giudicare una persona con questi termini.
- Beh senta, io le ho anche chiesto scusa, ma lei cosa ci faceva esattamente dietro di me? Mai sentito parlare del metro d’aria?
Il muro fa una faccia strana e lo ammetto, ma solo a me stessa, il metro d’aria me lo sono inventato così su due piedi, non sapevo cosa dire.
- Lei era esattamente davanti alle bustine di zucchero signorina SAM, volevo solo addolcire il mio caffè.
Quindi non voleva solo annusare i miei capelli mentre era in coda dietro di me?! Peccato.
Prima che la mia fantasia prenda il volo, riesco ad assestare il mio affondo.
- Direi che il suo aspetto e il suo carattere distino anni luce uno dall’altro. Peccato perché per l’aspetto c’è quasi sempre un rimedio, per il carattere, quasi mai. Questo è il mio numero - dico decisa porgendogli un tovagliolo - porti le sue cose in una tintoria qualsiasi e mi faccia chiamare per il conto.
Orgogliosa di me, giro i tacchi e me ne vado, ho 10 minuti di tempo per trovare una camicia nuova, cambiarmi e andare al colloquio.
Ce la posso fare, l’unico pensiero che ho in testa è… chissà di chi sarà il numero che ho scritto nel tovagliolo, spero sia disabilitato.
2. PIOVE SEMPRE SUL BAGNATO, CON ME E’ UN EUFEMISMO
Sono riuscita a cambiarmi in tempo, ho comprato una splendida blusa incrociata per la modica cifra di quarantanove dollari. Spero solo ne valga la pena.
Occhi di ghiaccio stava quasi per rovinarmi la giornata. E il colloquio.
Arrivo addirittura con cinque minuti d’anticipo e trovo ad accogliermi Ronald, classico ragazzo patito della moda, perfettamente vestito, pettinato e truccato. Troppo preciso per essere etero. Direi anche troppo bello. Decisamente gay.
Purtroppo sono convinta che madre natura, come qualsiasi altra femmina al mondo, odi le sue simili, e come punizione, ha fatto in modo che tutti i ragazzi dall’aspetto meraviglioso, amassero altri ragazzi dall’aspetto meraviglioso. Punendoci così con delle copie rozze e scialbe con cui rovinare gran parte delle nostre vite.
Ronald mi accoglie con le braccia aperte, ma non direi che sta sorridendo, sembra quasi di plastica, forse è botulino quello che in realtà sto guardando. Non mi stupirei.
- Benvenuta Samantha, ti faccio subito accomodare, il nostro responsabile del personale arriva subito, ti avviso - mi dice girandosi - non ha avuto un bell’inizio di giornata, è entrato in negozio con il volto livido. Borbottando qualcosa su come qualcuno gli avesse rovesciato addosso un litro di caffè o cose del genere… - dice liquidando la cosa con la mano.
Ecco, a questo punto dovrei essere talmente sveglia da esserci arrivata giusto?! Invece no, continuo a guardare la faccia di Ronald che è riuscito miracolosamente a dire una frase così lunga, senza muovere un muscolo della faccia.
Il suo aspetto è molto mascolino, a differenza del solito cliché. Ha la barba lunga e folta, i capelli rasati e si vede che dedica molto tempo alla cura del fisico. Sarà sicuramente dedito alla palestra. Un abbonato di tutto rispetto.
Io invece sono quell’abbonata di cui le palestre hanno bisogno per vivere, cioè mi iscrivo, per la prima settimana vado cinque volte, la seconda vado due, la terza una e ci passo davanti mentre vado a mangiare sushi nel mio ristorante giapponese preferito.
- Prego, accomodati pure qui. Il signor Hock la chiamerà subito.
Subito dopo essersi pulito… - e inizia una risatina isterica. Eh si penso, di etero qui non è rimasto più nulla. Belle scarpe però, se fossi un uomo le prenderei anche io.
Cerco di sembrare indaffarata a leggere un quotidiano, dandomi così un tono, in realtà me la sto facendo sotto.
Ho proprio bisogno di questo lavoro, i miei liquidi scarseggiano, e la mia brillante idea di vivere da sola, sta portando i miei a pensare quasi che io possa cavarmela.
Non posso deluderli in questo momento. Per me è una svolta, dopo ventotto anni di rimproveri, o come dice mia mamma non rimproveri Sam, i nostri sono consigli
.
Ne ricordo