Noa
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Noa - Stefano Andrini
@micheleponte
Stefano Andrini
N O A
Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono fittizi o usati in modo fittizio. Tutti gli episodi, le vicende, i dialoghi di questo libro, sono partoriti dall’immaginazione dell’autore e non vanno riferiti a situazioni reali se non per pura coincidenza.
Noa, o dell’imprevedibile realtà
Si può classificare, etichettare, chiudere in scatolette la realtà? No. La realtà è imprevedibile. Non folle, perché la follia è la perdita di senso. Ma imprevedibile, perché chiede di trovare un senso (che c’è, sempre) in mezzo alla moltitudine di accadimenti e di destini che ci vengono posti innanzi. Come lo scorrere infinito dei post di un social network: sembra che non esista un filo conduttore e invece, per chi sa leggervi dentro, il filo c’è, e porta dritto al cuore dell’uomo.
Come la realtà che così genialmente rappresenta, anche Stefano Andrini non è folle. E’ imprevedibile. E questo racconto sfugge ai soliti tentativi di classificazione. È una sorta di leopardiano Paralipomeni alla Batracomiomachia, che amalgama realismo e surrealismo, passato e contemporaneità, uomini e castori, disfatta e speranza. Dove le sorti dell’Emilia Romagna, ma in realtà del mondo intero, sono in mano a personaggi (casualmente?) femminili: da una presidentessa americana dal nome quanto mai tendenzioso di Himmary a Castoro De’ Boschi, che altrettanto tendenziosamente si scopre essere un animale, appunto, femmina; sino all’ispettore, ma in realtà ispettrice, Natiseau. Il salvatore del mondo, però, è un bambino che piange in lontananza.
Allusione, per chi si riconosce nelle radici cristiane della nostra civiltà, al fatto che tristezza e dolore sono necessari a una vita pienamente umana. Come in Inside out, cartone poco per bambini e molto per adulti. Già, perché anche i film c’entrano con questo racconto. Per la verità c’entrano un sacco di cose: Bud Spencer e Terence Hill, Bono Vox e Bruce Springsteen, Mick Jagger e Guccini, Dante e Manzoni. Insomma la vita, la realtà. Voci apparentemente sconnesse, che ascoltate insieme, a sorpresa, formano un unico coro.
Viene in mente il percorso di uno scrittore di cui si è tornati a parlare molto in questi ultimi tempi: Eugenio Corti. Verso la fine della carriera questo autore, che aveva fatto della realtà scrutata sino al dettaglio la fonte incondizionata della sua ispirazione, è stato preso dal desiderio di scrivere una favola, genere in cui non si era mai cimentato. Ha voluto ambientarla nel periodo storico che gli piaceva di più: il Medioevo. Ma la favola non riusciva a innamorare Corti come la realtà; o forse, più semplicemente, Corti non era fatto per la favola. E così la fantasia ha ceduto al documento, nel volto immaginato della santa protagonista lo scrittore cercava il volto della sua fidanzata, nel comportamento della Beata quello della ragazza reale. Sino alla confessione inaspettata: la favola gli era di ostacolo.
Nelle prime pagine di Noa, quando il lettore non ancora introdotto nella vicenda è totalmente arreso all’alterità e all’imprevedibilità di quanto verrà a conoscere, si rimane colpiti dalla frequenza delle similitudini, tutte germinate dalla realtà sperimentata (e sperimentabile).
Perché nulla potrà mai sconcertare, spiazzare, stupire come la realtà: basta saperla riconoscere.
ALBERTO SCOTTI
Presidente e direttore creativo di Curious Design
PROLOGO
Una massa informe, avvolta nella carta da forno, giaceva silenziosa nel parco del Grand Hotel.
A pochi passi la notte riminese, squarciata dalle luci della ruota panoramica, celebrava, ignara, il rito quotidiano del divertimento e dello sballo.
Sulle mura imponenti del monumento simbolo della città la proiezione tridimensionale di una vecchia intervista in bianco e nero al grande cantastorie della dolce vita.
Dal suo ambone laico il maestro Fellini ammoniva i fedeli: L'unico vero realista è il visionario
. Senza, per la verità, arruolare troppi seguaci. Le ombre dei vip stranieri, con qualche italiano irregolare, sembravano infatti più interessate a sorseggiare cocktail variopinti che ad ascoltare incomprensibili parole di vérita.
All’improvviso un grido lacerò l’aria, umidiccia e appiccicosa. Come nel vecchio gioco che si faceva da bambini – uno, due, tre per le vie di Roma – tutti si fermarono. Clienti, camerieri, orchestrali trasformati in statue di sale con tatuato sulla faccia un inquietante punto interrogativo. Ben presto la paura si sciolse in curiosità. E una piccola folla di persone, che nella coreografia dei movimenti richiamava il celebre Quarto stato
di Pellizza da Volpedo, si diresse verso il luogo dell’urlo.
Le avvisaglie di un temporale estivo illuminarono a giorno la scena. Vicino a una panchina di vimini una bambina dai boccoli alla Shirley Temple aveva gli occhi sbarrati. Fissavano spaventati l’involucro che una palla birichina aveva provveduto a rompere. Dalle pieghe della carta da forno, ormai inservibile, emerse, supino, uno strano profilo.
Mani più coraggiose delle altre completarono l’opera. E il pacco, aperto, rivelò il suo contenuto. Un uomo sui quarant’anni, razza bianca, con baffi e pizzetto, vestito da legionario romano. La targhetta appoggiata sul petto ne certificava anche l’identità. Tutti pensarono, senza aspettare il parere del medico legale, che il Vessillifero fosse morto. Irrimediabilmente.
CAPITOLO 1
La luna piena si specchiava nel lago Bidente mescolandosi al gioco di ombre della diga di Ridracoli che si stagliava verso il cielo con le fattezze rassicuranti di un gigante buono. Il popolo della foresta, animali notturni compresi, stranamente taceva. Le stesse acque, placide e annoiate, erano a