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Ferzan Ozpetek, Edoardo Winspeare
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Ebook82 pages1 hour

Ferzan Ozpetek, Edoardo Winspeare

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About this ebook

In questo agile volume, con una disamina critica inedita, sono trattati per intero i percorsi cinematografici dei due registi, Ferzan Ozpetek e Edoardo Winspeare, dagli esordi fino alle ultime pellicole. I due registi, secondo l'autore, sono accomunati dall'offrire un nuovo sguardo sul nostro paese, mettendo in collegamento il passato e il presente, la tradizione e il futuro.
LanguageItaliano
Release dateDec 1, 2016
ISBN9788899315641
Ferzan Ozpetek, Edoardo Winspeare

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    Ferzan Ozpetek, Edoardo Winspeare - Vincenzo Camerino

    Table of Contents

    Vincenzo CamerinoFerzan Ozpetek, Edoardo Winspeare

    Ferzan Ozpetek, Edoardo Winspeare

    Il cinema italiano medio e l’avventura registica di Ferzan Ozpetek

    Edoardo Winspeare. Perché «Pizzicata» in terra (e lingua) salentina.Un’intervista.

    Il cinema di Edoardo Winspeare nel cuore del Sud

    1.

    2.

    3.

    L’isola che non c’è e gli azzurri del Celio stellato nella filmeria Winspeariana

    In grazia di Dio

    Profilo biografico

    Vincenzo Camerino

    Ferzan Ozpetek, Edoardo Winspeare

    Progetto grafico Bookground

    © Musicaos Editore, 2016

    Musicaos Editore

    Via Arciprete Roberto Napoli, 82

    Neviano, tel. 0836.618232

    info@musicaos.it

    www.musicaos.org

    Isbn 9788899315641

    Ferzan Ozpetek, Edoardo Winspeare

    Vincenzo Camerino

    Il cinema italiano medio e l’avventura registica di Ferzan Ozpetek

    Nel disegnare e nel tratteggiare il cuore vivo del cinema di Ferzan Ozpetek, oltre alla normale visione di tutti i suoi film, si è dovuto leggere e rivisitare molteplici analisi critiche, recensioni, scritti, interviste e altro, ovviamente in riferimento alla produzione narrativa del regista in merito. Eccezion fatta per alcuni giornalisti e critici, la maggior parte delle elaborazioni e dei profili sull’avventura cinematografica ozpetekiana è risultata alquanto negativa, o sospesa tra qualche virtù e parecchi vizi nell’impostazione dell’intero amalgama divulgativo. Spulciando - ravvivando la mente - insistendo nella rilettura della visione del mondo del cineasta, si è voluto giustamente riflettere sulle sorti (progressive o meno) e sulle scansioni del cinema italiano da un lato, e sulle priorità indagative dall’altro. E il quadro dell’insieme è apparso in tutta la sua evidenza. Manca in campo indigeno, almeno così si crede, un cinema italiano medio, ovvero delle narrazioni nel cui ambito sguardo d’autore e richiamo popolare risultano monchi, deficitari, mal interrelati. Ad un cinema alto, ossia registicamente maturo e disvelatore delle reali contraddizioni insite nella società con relativo bagaglio estetico - etico (esemplature lampanti: il movie accorto e balsamico dei Ciprì - Maresco, dei Bellocchio, Olmi, Amelio, Moretti e dei giovani Marra, Sorrentino, Garrone), si oppone una costante filmativa zeppa di luoghi comuni, raccogliticcia, barzellettara, espressivamente mansueta, moderatamente cantabile, piuttosto lontana dai vissuti (esplosivi o implosi).

    Il cinema italiano degli ultimi lustri ha offerto quantità di titoli assistiti, o di conniventi delle piccole e grandi ipocrisie collettive. La destra ha lavorato di tv e disimpegno; la sinistra di grandi chiacchiere e retorica. Destra o sinistra, il cinema che ha vinto era il più gradito a un pubblico il cui palato è stato corrotto da decenni di tartuferie compiacenti verso i peggiori aspetti del carattere nazionale e le peggiori bugie. Quanti film ‘politici’ di ieri appena, resistono alla prova del tempo e a un sereno giudizio estetico? E quanti Capolavori d’Autore proclamati tali prima ancora di nascere? Per un Fellini o per un Pasolini (quello dei primi film e non degli ultimi) quante sciocchezze abbiamo dovuto mandare giù? E per un Salvatore Giuliano riuscito, quanti pessimi film di Rosi e quanti risibili film sulla mafia? E per un Sorpasso e un Tutti a casa, quante ignobili commediacce? E per un Benigni delle origini, quanti comici e quanti Benigni parrocchiali e codini e, ma sì, ‘reazionari’? (Goffredo Fofi). Il panorama dunque si tinge di sfasature, del prontuario agonico, di fiacchezze memoriali, di assenze nello sfogliare l’album delle inquietudini esistenziali e lo scartabellare la Storia di un Paese.

    E si ricorre sempre al Neorealismo, a quel-l’ondata aurea che è stata il primigenio motore della fertile modernità perlustrativa della realtà italiana. Il boato culturale che ha proiettato immagini ricostituenti l’identità nazionale stessa.

    Forse proprio per questo bisogno di un contatto immediato con il mondo circostante, si fece strada e si definì sempre meglio un bisogno di una vera e propria riscoperta geografica dei luoghi d’Italia: dalle mondine di ‘Riso amaro’ di De Santis, ai terreni paludosi dell’Emilia di ‘Ossessione’ di Visconti; dalla condizione dei pescatori analfabeti di Aci Trezza in ‘La terra trema’ (sempre di Visconti), alle sconsolate visioni della Roma in ricostruzione di ‘Ladri di biciclette’ di De Sica (Alessandro Izzi).

    Nella contemporaneità, invece, predomina la carenza di sguardi morali e di assetti ideativi verso il mutamento dell’universo nazionale. L’incapacità di raccontare la vita, i processi dell’incomunicabilità, il pensare collettaneo, la tensione alla catarsi, i cantieri della disgregazione, le destinazioni del desiderio. È cinema tiepido, di nascondimenti, di difesa e complice di irrealtà tematiche.

    L’idea di un’arte irriverente, estrema, radicale, anarchica o veramente drammatica li terrorizza, o più semplicemente hanno perso la sensibilità per riconoscerla (sempre Fofi).

    Eppure negli ultimi tempi si è avvertito un capovolgimento culturale di fecondo tenore, non solamente nell’agone cinematografico, soprattutto nei tornanti della letteratura, della poesia, della saggistica in argomentazione. Un fermento che proviene ulteriormente dal Sud (Campania, Puglia, Sicilia), ovvero dalle marginalità geografiche lontane dalla centralità ormai cloroformizzata e conformizzata. Certamente si è agli inizi, ai primordi (quasi), più ai particolari che non ad un discorso complesso e lentamente innovativo.

    Alcune risultanze critico-interpretative hanno ricevuto udienza, si sono sostanziate di libertaria ricerca e di ampio coraggio. Un cinema costituito di fosforescenti immagini, corporale, di nutrimenti sonori, sorretto da spaziali sensualità drammaturgiche.

    Ma, per quella sorta di dominio delle nequizie, esso è risultato cinema invisibile, mal sortito a livello distributivo, privo di sostegni economici che, in altri dipartimenti europei, sarebbero stati rallegranti e amplificati. E se, al primo e cruciale esordio, quel prodotto per il quale la linea del sacrificio si è materializzata in spossante prova, sembra chiaro che il seguito desiderante si colorerà di autocensure e di private rese al labirinto.

    A proposito si espone una indicazione di Umberto Galimberti: "Quando il presente si sente minacciato e il futuro appare sempre più incerto e buio, in un’assenza totale di pensiero (che forse è la più corretta definizione di pensiero unico) si ricorre frettolosamente al passato per reperire nella tradizione e nella religione

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