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Per Salvare Elizabeth
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Per Salvare Elizabeth

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About this ebook

Prendendosela con Dio per la morte di suo padre, la sedicenne Elizabeth Bridges giura con tutta se stessa che non pronuncerà mai più il suo nome. La ragazza tenta di prendere le distanze da tutto ciò che ha a che fare con la spiritualità, ma gli eventi che accadono dopo un trasferimento inaspettato glielo rendono difficile. Prima arrivano i sogni – sogni di creature malvage ed incontri con un bellissimo sconosciuto che crede sia solo un frutto della sua immaginazione creato per evadere dalla sua vita infelice. Ma il suo primo giorno a Glacier High le dimostrerà che è molto più di quello. Elizabeth incontra Riele, il ragazzo dei suoi sogni, ed egli conosce fin troppo su di lei. Le dice di essere dotata di un dono ambito, che tutto l’Inferno sta cercando di ottenere. I mostri dei suoi sogni sono reali e stanno lottando per la sua anima. Presto Elizabeth viene catapultata in un regno spirituale dove non è in grado di riconoscere gli amici dai nemici. Dovrà battersi contro i demoni negli stanzini della sua scuola insieme a Riele, la sua unica protezione. Riuscirà Elizabeth a fidarsi di Riele ed aiutarlo a salvare la cosa più importante, o si uniranno entrambi alle forze oscure, voltando le spalle all’unico che possa offrir loro l’amore e la pace che desiderano così ardentemente? 

LanguageItaliano
Release dateDec 1, 2016
ISBN9781507164907
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    Per Salvare Elizabeth - Tell-Tale Publishing Group

    elizmast.jpg

    Capitolo 1

    Riele

    "Non farlo, Abby. Ti prego. Dalle a me." Le mie ginocchia sbatterono sul pavimento di legno massiccio. Trovandomi adesso allo stesso livello degli occhi della ragazza, allungai una mano, pregando che ascoltasse il mio consiglio e lasciasse andare il flacone di pillole che stringeva nel palmo della mano come se fosse un prezioso possedimento.

    Non devi farlo.

    No! Lasciami stare! Abby si scansò in fretta il più lontano possibile da me e premette la schiena contro la cassettiera. Una bottiglia vuota di Vodka vacillò sopra di essa. Scivolando oltre il bordo, cadde in frantumi sul pavimento. Per la prima volta da quando mi ero precipitato nella stanza, avvertii l’odore dell’alcol, la puzza del sudore di Abby, la paura mescolata alla morte incombente.

    Non c’è più tempo.

    Abby, ci sono altre soluzioni, soluzioni migliori in cui possiamo affrontare tutto questo insieme. Non devi stare a sentire le voci nella tua testa. Ti stanno mentendo. Ti hanno mentito sin dal primo giorno. Lascia che ti mostri la verità. Conosco qualcuno in grado di aiutarti.

    Abby incominciò a dondolarsi avanti e indietro. No. No, mormorava. Tu non sei reale. Sei solo un frutto della mia immaginazione. Tu non esisti.

    Ascoltami, Abby. E’ quello che le Ombre ti vorrebbero far credere, ma loro si sbagliano. Io sono reale, Abby. Se l’accetterai, se mi consegnerai quel flacone, ti mostrerò che sono reale. Non ti lascerò come tutti gli altri. Sarò qui per te a qualsiasi costo. Non lascerò che tuo padre e nessun altro ti faccia più del male. Ti proteggerò io.

    Abby rise ossessivamente, i suoi occhi si fecero vitrei, e quel piccolo barlume di luce ancora presente dentro di lei iniziò a scivolar via dal suo corpo.

    Abby? Abby! Resta con me! Non lasciare che vincano loro. Non sai in che cosa ti stai cacciando. Non è il tuo momento! Non sei pronta per questo.

    Abby mise di dondolarsi. I suoi occhi sbarrati fissarono dritti i miei. Vedi, è qui che ti sbagli. Io sono pronta per questo. Non sono mai stata più pronta di così in tutta la mia vita.

    Con quell’ultima parola, portò la boccetta mezza vuota verso le sue labbra sottili.

    La risata spettrale delle Ombre permeava l’aria.

    Abby versò il resto delle pillole nella sua bocca e deglutì a fatica per mandar giù quel mucchio.

    La risata echeggiò più forte. Era esultante, ora.

    No! Abby! Che cos’hai fatto?

    Lei sorrise. Ho sistemato tutto. I suoi occhi si aprirono e chiusero velocemente, mentre le pillole si mescolavano all’alcol nel suo organismo.

    Avrei voluto che mi avessi ascoltato, sussurrai mentre impotente, la guardavo cadere in preda delle convulsioni, e poi immobilizzarsi.

    Ne avevamo persa un’altra.

    elizmast.jpg

    Capitolo 2

    Elizabeth

    La luce tenue del sole filtrava dalle finestre della Chiesa che avevo frequentato per tutta la mia vita. Mi sedetti sulla panca, provando a levigare con le mani le pieghe formatesi sul mio vestito. La mia mente era in cerca di una distrazione: le rose nella composizione dei fiori, la grana del pavimento sotto ai miei piedi, gli innari polverosi sistemati con cura nelle fessure dietro le panche. Era tutto inutile. I singhiozzi delle persone dietro di me mi rendevano impossibile dimenticare. Erano tutti lì con buone intenzioni, certo, ma questa sarebbe stata l’ultima volta che avrei più visto mio padre, e non era giusto condividerlo con delle persone che non si erano mai interessate abbastanza da restargli accanto durante i suoi ultimi giorni. Non erano loro che l’avevano guardato venir consumato dalla chemioterapia. Non l’avevano visto invecchiare prima del tempo o perdere la sua dignità, assieme ai suoi capelli, mentre combatteva per la sua vita.

    Il ministro prese il suo posto dietro il pulpito. Cercando di attenuare la mia irritazione, feci un respiro profondo, ma il profumo pungente delle rose mi stringeva lo stomaco.  Il parroco cominciò a leggere i passaggi che avevano segnato gli eventi più importanti della mia vita. Provai ad ascoltare, ma nonostante quelle fossero le sacre scritture più care a mio padre, quelle a cui ci eravamo stupidamente aggrappati durante la sua lotta, non riuscivo a focalizzarmi su di esse.

    Dovetti usare ogni briciolo del mio autocontrollo per trattenere quelle lacrime arrabbiate che si sporgevano agli angoli dei miei occhi.

    Devi essere forte per lei.

    Rivolsi uno sguardo furtivo a mia madre, seduta vicino a me. Era avvilita. La pelle pallida e le guance incavate non la facevano assomigliare affatto alla donna che era stata appena qualche giorno prima. Dio se l’era portata via assieme a mio padre.

    Le lacrime che avevo trattenuto per tutta la mattinata incominciarono a sgorgare incontrollabilmente lungo le mie guance.

    Non tornerà mai più.

    La mia mente sfogliò tra quei sedici anni di ricordi, cercando di afferrare quello che più era in grado di dar conforto al mio cuore infranto. Si soffermò su un ricordo speciale, che si era aggiunto alla collezione quando ero una bambina.

    Papà! Papà! Le mie grida irruppero il silenzio della casa.

    Sembrava che gli ci fosse voluto solo mezzo secondo per arrivare in camera mia.

    Shh. Papà è qui. Papà è qui, disse, sedendosi sul bordo del mio letto. Le sue braccia si avvolsero attorno a me e mi strinsero forte. Hai avuto un altro brutto sogno, tesoro?

    Aha, biascicai tra i singhiozzi. La mia testa trovò un comodo riparo nell’incavo del suo collo.

    Ho paura, Papà.

    Tutti a volte abbiamo paura, tesoro, ma ti prometto che non c’è nulla di cui esser spaventati. E’ stato solo un brutto sogno. I sogni non possono farti del male.

    Mi accarezzò i capelli, spostandoli dal mio viso e mi baciò sul capo. Le lacrime mi rigavano le guance.

    Stesso sogno di sempre?

    Tirai su col naso. L’uomo nero vuole prendermi.

    Non c’è nessun uomo nero, disse mio padre dolcemente. Vuoi che controlli, tanto per esser sicuri?

    Annuii subito.

    Lui si sporse accanto al mio letto ed accese la lampada, poi tirò su le coperte ai piedi del letto per ispezionarlo.

    Non è nascosto sotto il mio letto,dissi io, strofinandomi il naso sulla manica del pigiama. Non questa volta.

    La coperta gli scivolò dalle dita. Bè, allora dove credi che sia?

    Indicai le ante dall’altro lato della stanza.

    Lui si alzò, camminò verso l’armadio e l’aprì. Vedi. Non c’è niente lì, tesoro. Nessun uomo nero.

    Tremando, fissai quel punto lì, cercando il mostro dagli occhi rossi. Non avevo bisogno di vederlo per sapere che fosse lì. L’odore nauseante di fumo mi confermava la sua presenza. Il mio battito accelerò. Appena un attimo prima un’ombra era filtrata oltre lo stipite della porta e aveva iniziato a farsi strada verso il mio letto. Quando avevo chiamato mio padre si era rintanata nella sicurezza del mio armadio.

    Ma Papà, è ancora lì!

    Mio padre soppresse uno sbadiglio. Elizabeth. Te lo giuro. Non c’è niente lì. E’ stato solo un brutto sogno. Si fece avanti verso il mio letto e mi prese nuovamente tra le braccia. Anche se esistesse un qualcosa come l’uomo nero, noi conosciamo qualcuno di fidato.

    Qualcosa sibilò.

    Forse era la mia immaginazione. Un’ombra slittò oltre ai piedi del mio letto.

    Dio ti darà la forza e ti proteggerà. Egli è più grande di qualsiasi uomo nero che la tua immaginazione riesca a creare.

    Un altro sibilo.

    Forse era solo il vento, stavolta.

    Qualcosa si mosse verso l’uscita della mia camera. La porta si aprì in una fessura con un lieve cigolio, per poi richiudersi.

    I miei tremori si attenuarono ed una sensazione di pace sostituì la paura.

    Papà sapeva sempre che cosa dire per scacciare via i mostri.

    Sdraiatami sul letto, sorrisi. Mio padre mi rimboccò le coperte per la seconda volta quella notte. Mi accarezzò di nuovo i capelli, spostandoli via dal mio viso e mi baciò sul capo.

    Adesso va’ a dormire. Sarò appena in fondo al corridoio, se hai bisogno di me. Ti voglio bene, piccolina.

    Ti voglio bene, Papà, sussurrai.

    ––––––––

    Sorpresa dal suono fragoroso dell’organo, ebbi un sussulto, poi afferrai il braccio di mia madre e l’aiutai ad alzarsi.

    E’ ora di andare, Mamma.

    Lei sbatté le ciglia e seguì le mie istruzioni come una bambina obbedisce alla madre. Le misi giù il velo, pensando a quanto fosse ironico che un evento tragico potesse far ribaltare i nostri ruoli in tal modo – il forte che diventa il debole, il debole che diventava forte. Ciò mi fece apprezzare i sedici anni che avevamo avuto, lei come mia madre, ed io sua figlia.

    Qualcosa mi disse che sarebbe cambiato tutto.

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    Capitolo 3

    Riele

    Non tornerà più indietro. L’abbiamo persa, Riele.

    Il mio cuore era colmo di tristezza.

    Perché? Perché non mi ha ascoltato? Mi chiesi, frustrato. Perché non si è accorta che stavo solo cercando di aiutarla?

    Sapevo già il perché, ma ciò non Gli impediva di ricordarmelo, così come faceva ogni volta che venivo angosciato dalla sconfitta.

    Non c’erano molte battaglie perse, ma le facce di coloro che scivolavano nell’oscurità mi rimanevano impresse nella mente. Le vedevo quando ero sveglio. Le vedevo quando dormivo. Le vedevo adesso, mentre fissavo il corpo senza vita di Abby.

    Sfortunatamente, la famiglia di Abby non era sconosciuta al nemico. Ella era stata esposta a molta più oscurità che luce, grazie alle scelte dei suoi genitori. Sai che spettava a lei prendere l’ultima decisione. Non potevi costringerla a credere che tu fossi reale o a farti consegnare quelle pillole più di quanto il nemico non poteva costringerla a prenderle. Hai fatto del tuo meglio per proteggerla ed esporla alla verità.

    Ci fu una pausa.

    Questo lo so, ma non mi fa comunque sentire niente di meno che un fallimento. E’ sempre così.

    Lasciai in fretta New York quel pomeriggio. Non potevo sopportare di restare in una città dove ogni singola ragazza perduta mi ricordava di quell’anima tormentata che aveva rifiutato la mia assistenza, e mentre preparavo i bagagli non potei fare a meno di domandarmi se non avessi potuto fare di più per salvarla.

    Almeno tutti questi quesiti e ripensamenti servivano a qualcosa. Mi dicevano che ero pronto a spostarmi su un’altra città, su un’altra anima perduta che aveva bisogno della mia guida.

    Forse la prossima volta i miei sforzi non sarebbero andati in vano.

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    Capitolo 4     

    Elizabeth

    Guardavo fuori dal finestrino, osservando la vita che conoscevo scivolare sempre più lontana dopo ogni cartello stradale. Mi accigliai al ricordo della conversazione che ci aveva portato a questo punto.

    Elizabeth, che cosa ne diresti di ricominciare? Andare da qualche parte...di nuovo?

    Feci un respiro profondo, più per il fatto che Mamma stava parlando con me che per le parole che stava dicendo. Era passato quasi un anno dal funerale di mio padre, e potevo contare su una mano il numero di volte in cui si era riscossa dalla sua depressione abbastanza a lungo da accorgersi della mia esistenza. Adesso era in piedi di fronte a me con sguardo speranzoso.

    No! Volevo gridare. Non puoi farmi questo!

    Nel corso di un anno avevo perso tutto ciò di cui mi importava, il mio amato padre, una madre sana, e la felicità che ognuno al mondo sembrava dare per scontato. Grazie ai miei amici avevo catturato piccoli barlumi di quella felicità qua e là, e adesso lei mi stava minacciando di togliermi anche loro.

    La guardai negli occhi imploranti e feci un respiro tremante.

    Se è quello che vuoi, mormorai, trattenendo un fiume di lacrime.

    Gli angoli della sua bocca si sollevarono verso l’alto nel primo sorriso che le avessi visto fare dalla morte di mio padre.

    Afferrai un mela dal bancone e le tirai un morso, così che la mia bocca non potesse tradirmi e lasciarsi sfuggire le parole di disapprovazione che avevo sulla punta della lingua, pronte a fuoriuscire con bruschezza.

    La vita che conoscevo era finita.

    Non è emozionante, Elizabeth? domandò mia madre, distogliendomi dai miei pensieri. Pensaci. Questa potrebbe essere l’avventura più grande delle nostre vite.

    Certo, Mamma, borbottai io, i miei occhi non lasciarono mai la finestra. Ma io non la chiamerei proprio   un’avventura.

    Incubo è la parola giusta.

    Mi incupì mentre oltrepassavamo un altro segnale stradale. Ci stavamo avvicinando a Kalispell, Montana.

    Staccai gli occhi dal panorama di passaggio e guardai mia madre, la guardai davvero per la prima volta dall’inizio del nostro viaggio. Era davvero bellissima. I suoi capelli ramati svolazzavano al vento mentre manipolava i pulsanti della radio in cerca di qualche vecchia canzone anni settanta.

    Dovevo ammettere che era bello vedere mia madre così.

    Sorridente, spensierata, felice. Finalmente avevo di nuovo la mia mamma. Era la madre che ricordavo dalla mia infanzia, la madre che morivo dalla voglia di rivedere sin dalla morte di mio padre.

    Tutte le soste negli autogrill lerci e nei locali fast food avrebbero dovuto valere questo istante. La mia mente lo sapeva, ma il cuore soffriva ancora al pensiero di quello che avevo abbandonato. Certo, c’era una possibilità che Mamma avesse ragione. Lasciare la California avrebbe potuto essere esattamente ciò di cui avevamo bisogno per iniziare a guarire dal dolore lasciato dalla morte di mio padre. Ma se si fosse sbagliata? Se stare lì insieme fosse stata l’unica cosa che mi teneva insieme?

    Non puoi pensarla così.

    Guardai fuori dal finestrino verso la campagna del Montana, mentre mia madre incominciò a cantare una versione stonata di Sweet Home Alabama. Sebbene il panorama che scorreva fuori dal mio finestrino fosse completamente diverso da casa, dovevo ammettere che era molto bello nel suo stile arido. La vista delle cime di montagna che si innalzavano in lontananza era mozza fiato.

    Per quanto ne abbiamo ancora, Mamma? domandai, distendendo le gambe per quanto fosse possibile nei confini della piccola auto. Mamma si piegò e frugò nel cruscotto in cerca della sua mappa fidata.

    Non credo che manchi ancora molto, disse, tentando di rimanere sulla strada mentre metteva la mappa in equilibrio sul volante. Qui dice che mancano ancora cinque miglia alla nostra uscita.

    Mi raddrizzai sul sedile e rovistai nel portaoggetti, cercando le foto della nostra nuova casa. L’agente immobiliare ce le aveva inviate dopo aver completato la transazione per comprare la casa quasi un mese fa. Le trovai nascoste sotto una delle tante scatole di CD che ingombravano il portaoggetti e le studiai per la milionesima volta da quando erano arrivate per posta.

    Era una piccola casa di campagna, ma era carina.

    Non guardai insù fino a che non sentii il rumore della ghiaia scricchiolante. Eravamo uscite dall’autostrada su una strada sterrata molto più stretta, che non sembrava proprio essere stata percorsa da un bel po’ di tempo. Un cartello di legno leggeva Lago Ashley, 13 miglia.

    Quando la brochure diceva remota, non credevo intendesse in mezzo-al-nulla, perfetta-per-girarci-i-film-horror.

    Mia madre sorrise e mi diede una pacca rassicurante sulla gamba.

    Molta della terra da questa parte del lago è ancora in fase di sviluppo. Stanno solo aspettando che i compratori si accorgano del suo potenziale e se ne accaparrino, così da poter iniziare a costruire. Non preoccuparti. Avremo un mucchio di vicini in men che non si dica.

    Fantastico, riuscì a mugugnare io.

    Guidammo in silenzio, concentrandoci sulla scarsa familiarità del bosco scuro. Fui assalita da una sensazione di inquietudine mentre svoltavamo di qua e di là senza sosta tra il fitto fogliame.

    Alla mia destra, un bagliore rosso attirò il mio sguardo. Scrutai la linea degli alberi, aspettandomi di vedere una qualche creatura guardinga sfrecciare di fianco alla strada. Qualsiasi cosa fosse, era veloce.

    L’unica visuale confortante era l’occasionale casa annidata tra i boschi.

    Almeno non siamo completamente sole, qua fuori, sussurrai.

    Quella dev’essere la casa del Signor Smith, disse Mamma, mentre la nostra macchina si faceva strada lentamente accanto alla quinta cabina di legno che avevamo visto dopo la nostra uscita.

    L’agente immobiliare mi ha detto che sarebbe stato il nostro vicino più prossimo finché non arrivino le scavatrici e non inizino i lavori delle nuove case. Si è offerto di aiutarci con qualsiasi riparazione di cui potremmo aver bisogno una volta trasferite.

    Che carino mormorai io, preoccupata da una grande ombra che incrociò il nostro cammino e scivolò oltre il cofano della macchina.

    L’hai vista? mi piegai in avanti per scrutare il cielo oltre il parabrezza.

    Ancora una volta, non trovai nulla.

    Visto cosa? domandò Mamma, ignara.

    Lascia stare, sospirai io.

    Viaggiamo lentamente per un altro paio di miglia prima di vedere una cassetta della posta e un’altra radura, appena di fronte a noi, sulla destra.

    Credo che sia quella, disse Mamma.

    Svoltammo nel viale sporco che ci portò alla nostra nuova casa e parcheggiamo alla fine di esso. La spessa nuvola di polvere innalzata dalle nostre ruote si depositò alle nostre spalle. Io uscì e distesi le gambe mentre Mamma rovistava nella sua borsa in cerca delle chiavi.

    Ma dove le ho messe? Aggrottò la fronte, frustrata.

    Io feci una risatina nervosa. Quant’era sbadata proprio.

    Qualcosa frusciò nel bosco alla mia destra. I miei occhi scrutarono il verde.

    Trovate, esclamò finalmente. Fece dondolare le chiavi in aria sopra la sua testa mentre ci incamminammo per le scale che portavano alla porta principale.

    Mi strinsi le braccia attorno al corpo, riparandomi dai brividi dell’aria fredda del Montana mentre Mamma faceva fatica a trovare tra le tante chiavi, quella che apriva la casa.

    Mi voltai nuovamente con ansia verso il bosco.

    Perché non si sbriga!

    Finalmente trovò la chiave, tolse la serratura e aprì la porta con una spinta. Oltrepassammo il legno massiccio dell’ingresso e camminammo fin dentro al soggiorno, trovando l’interno della casa in condizioni ben peggiori del suo esterno. La carta da parati color canarino si era scrostata in diversi punti, e il tappeto sudicio aveva un gran bisogno di un lavaggio a vapore.

    Sembra che abbiamo un bel lavoro da fare, disse Mamma, passando la mano lungo i pezzi mancanti della tappezzeria.

    Già, risposi con noncuranza, addentrandomi ulteriormente nella stanza per vederla più da vicino.

    Dopo una breve ispezione, i miei occhi si soffermarono sulle portefinestre. Erano un dettaglio di quella stanza che la rendeva bellissima, nonostante la sua condizione fatiscente. Si aprivano su un portico avvolgente, ma non erano le porte stesse ad essere incredibilmente belle. Fu vista dietro al vetro a togliermi il fiato. Una catena di montagne torreggianti faceva da sfondo colorato alle acque del Lago Ashley, il nostro nuovo giardino. Le acque che si increspavano pigramente nella brezza facevano da specchio, riflettendo gli alberi e le montagne circostanti.

    Mi ricordava l’immagine di una cartolina.

    Un forte colpo contro la porta mi fece trasalire. Il mio sguardo balzò nervosamente su mia madre. Chi potrebbe essere?

    Jack lo Squartatore?

    Mamma sorrise. Probabilmente sono solo gli addetti al trasloco. Non erano molto dietro di noi.

    Ah, già. Tirai un sospiro di sollievo. Vivere in una casa in mezzo al nulla circondata da animali selvatici sarebbe stato qualcosa a cui avrei dovuto abituarmi.

    Mamma attraversò la stanza e aprì la porta principale. In piedi sul portico, con i porta blocchi in mano, c’erano i due uomini che avevano caricato le nostre cose in California.

    Ehi, Signorina Bridges, grugnì un uomo barbuto. Era enorme secondo qualsiasi standard, e con un disperato bisogno di radersi. Ritenni dalla sua voce rauca e dall’intenso odore di fumo proveniente dai suoi vestiti, che fosse un fumatore accanito. Un fumatore accanito che non si faceva una doccia da un bel po’ di tempo.

    Arricciai il naso, nauseata da quell’odore.

    Dove vuole che iniziamo? Gli occhi dell’uomo guizzarono oltre mia madre e si posarono su di me in modo osceno.

    Rabbrividii.

    Potete cominciare con i mobili della sala da pranzo, disse Mamma sorridente. Non sembrava essersi accorta di quello sguardo errante mentre passava oltre agli uomini per condurli al piano di sopra.

    La sensazione di angoscia che mi ha aveva pervasa durante il nostro tragitto nel bosco si intensificò. Mi girai rapidamente per esplorare il resto della casa, lontana dai traslocatori, mentre Mamma dava loro ordini. Gli uomini incominciarono a trasportare i mobili all’interno, uno per uno.

    Durante la mia ispezione mi accorsi che era tutto piccolo e incredibilmente bisognoso d’essere dipinto e riparato, inclusa la mia stanza. Era più piccola della metà delle dimensioni della mia vecchia camera, e l’armadio, più

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