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Le Navi dei tesori. La Cina sul mare: storia della flotta che poteva conquistare il mondo e che sparì nel nulla
Le Navi dei tesori. La Cina sul mare: storia della flotta che poteva conquistare il mondo e che sparì nel nulla
Le Navi dei tesori. La Cina sul mare: storia della flotta che poteva conquistare il mondo e che sparì nel nulla
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Le Navi dei tesori. La Cina sul mare: storia della flotta che poteva conquistare il mondo e che sparì nel nulla

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About this ebook

Nel 1400 una immensa flotta cinese composta da centinaia di navi e con decine di migliaia di uomini percorse i mari, giungendo in Indonesia, in India, in Persia, in Arabia ed in Africa: inviata da un imperatore orgoglioso per far conoscere al mondo la gloria e la potenza dei Ming, era comandata dal più famoso degli ammiragli cinesi, un eunuco di nome Zheng He. Le navi trasportavano libri, stoffe preziose, ceramiche delicate e bellissime oltre ad ori ed argenti destinati ai principi dei paesi visitati, e riportavano in Cina merci esotiche da mostrare a corte insieme agli ambasciatori del mondo asiatico che si prostravano in segno di sottomissione: per questo erano chiamate Navi dei Tesori. La storia e le descrizioni delle destinazioni toccate sono esposte basandosi sulle notizie raccolte da viaggiatori precedenti e successivi, oltre che dai cronisti che seguirono la Flotta lasciando una testimonianza dei viaggi compiuti. Nonostante che le informazioni sopravvissute siano molto poche, questo libro narra le missioni compiute dalla Flotta dei Tesori tra il 1405 ed il 1433, tentando di ricostruire le rotte probabilmente seguite sulla base delle condizioni del mare e dei venti, cadenzate dal ciclo monsonico e rilevate oggi con precisione dai satelliti. Un'impresa enorme che avrebbe potuto cambiare la storia se fosse proseguita nel tempo, ma ciò non accadde. Dopo un'epopea durata trent'anni i cinesi si ritirarono dal mare, cancellarono i resoconti dei viaggi, distrussero le navi rinunciando a navigare e rimasero impotenti di fronte alla penetrazione delle marine europee prima e dell'aggressione giapponese dopo. Oggi la Cina sta ricostruendo una grande flotta che già fa sentire il suo peso nelle acque di casa ed in quelle dei paesi vicini, rivendicandone il dominio e ripercorrendo nuovamente l'impresa compiuta 600 anni fa.
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateDec 7, 2016
ISBN9788893212106
Le Navi dei tesori. La Cina sul mare: storia della flotta che poteva conquistare il mondo e che sparì nel nulla

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    Le Navi dei tesori. La Cina sul mare - Stefano Cariolato

    Tesori

    Prefazione

    L'intento di questo libro é quello di raccontare la vicenda storica delle Navi dei Tesori cinesi e delle loro straordinarie missioni oceaniche, integrando le purtroppo scarse informazioni documentali con i dati ampiamente conosciuti relativi alle condizioni del mare e dei venti prevalenti in ciascuna stagione ed in ogni area marittima. Molti storiografi, soprattutto negli ultimi decenni, hanno esaminato e descritto questa fondamentale vicenda, facendo ovvio riferimento a tutte le possibili e purtroppo esigue fonti disponibili, ma raramente le hanno verificate, nella loro possibile interpretazione, con le effettive condizioni dei venti e delle correnti nei vari periodi, così importanti in mari soggetti a fortissime variazioni stagionali causate dal ciclo monsonico. Questo lavoro invece, oltre che semplicemente raccontare lo svolgimento dei viaggi compiuti, confronta il loro svolgimento con le condizioni meteorologiche effettive nel periodo, giungendo a confermare e talvolta escludere delle ipotesi storiche rimaste sfortunatamente non chiarite a causa della completa perdita dei diari di bordo e della cronistoria originale della flotta cinese.

    Ovviamente il risultato finale di questa ricerca non intende e non può essere una ricostruzione storica esatta, ma semplicemente il tentativo di riproporre una cronaca compatibile con le condizioni reali di navigazione in quei mari: non certo allo scopo di individuare una impossibile esattezza storica ma quantomeno di limitare ulteriormente il campo delle ipotesi possibili ed offrire una base per una narrazione verosimile dei viaggi compiuti.

    Si vedrà che l'abbandono delle missioni oceaniche da parte cinese, con la rinuncia ad una flotta d'alto mare ed il conseguente dissolvimento delle esperienze operative e cantieristiche, espose in seguito il paese ad un plurisecolare periodo di debolezza durante la fase di espansione coloniale europea prima e di aggressività giapponese poi, generando infine immensi costi umani: la Cina apprese che l'esperienza é la maestra più dura, prima ti fa l'esame poi ti spiega la lezione.

    Questa vicenda torna oggi di attualità perché la Cina ha oramai cambiato la sua strategia marittima dalla semplice difesa delle acque costiere ad una più ampia presenza in tutti gli oceani, testimoniata dalle correnti frizioni causate dalla volontà cinese di appropriarsi del dominio del Mar Cinese Meridionale e delle sue isole, come anche dalle recenti manovre nel Mediterraneo in collaborazione con la Flotta Russa. E' molto probabile che le direttive militari impartite alla Flotta cinese e le sue future zone d'influenza ricalchino quanto già compiuto 600 anni orsono, e la conoscenza della storia passata potrà aiutare nella previsione di quanto ci attende nei prossimi anni.

    Come tutti i libri di storia sull'Oriente anche questo deve per forza riportare date oramai sepolte, luoghi lontani e personaggi dai nomi a volte impronunciabili, rischiando così di rendere il racconto meno scorrevole ed appesantirne la lettura, ma ciò non deve scoraggiare perché, per motivi nel seguito chiariti, questi dati storiografici, se pur interessanti, perdono di importanza di fronte al valore globale dell'avventura della Flotta di Zheng He. Le date esatte infatti non sono, tranne poche eccezioni, né conosciute né ricostruibili oltre un certo grado di approssimazione, i luoghi sono a volte noti ma anche spesso non individuati, quanto ai protagonisti poi é importante il ruolo storico avuto e non il nome col quale li identificavano i cinesi. Questo libro non vuole né può essere, viste le particolari circostanze, una cronistoria particolareggiata, bensì piuttosto l'affresco di un particolare momento storico e di una impresa eccezionale che avrebbe potuto anche cambiare il mondo in cui viviamo. Se quindi il lettore si affatica non deve pentirsi di trascurare date, luoghi e personaggi incontrati, ma semplicemente proseguire per cogliere il senso globale della storia delle Navi dei Tesori.

    Il motivo per cui non si conoscono i dati storici ? Perché sono stati cancellati. E da chi ? Ma dai cinesi, naturalmente.

    Introduzione

    Abbiamo traversato più di 100.000 Li di immensi spazi marini ed abbiamo visto nell'oceano onde enormi come montagne innalzarsi nel cielo, ed abbiamo messo gli occhi su lontanissime regioni barbariche nascoste in una trasparenza blu di vapori leggeri, mentre le nostre vele, orgogliosamente spiegate giorno e notte come delle nubi, continuavano la loro corsa rapide come una stella cadente, traversando quelle onde selvagge come se percorressimo una grande strada. *

    — Stele eretta da Zheng He, Changle, Fujian, 1432

    Un uomo ci ha lasciato queste parole, e noi percepiamo sia l'immensità e la potenza dell'oceano che l'orgoglio e la determinazione di una flotta che l'attraversa senza sforzo. Quest'uomo era Zheng He, l'ammiraglio cinese che nel 15° secolo compì sette lunghissimi viaggi nell'Oceano Indiano, arrivando in India, in Persia, in Arabia ed in Africa. La sua flotta era enorme, formata da centinaia di navi e decine di migliaia di uomini, costituita proprio allo scopo di comunicare al mondo la potenza della Cina e la volontà della dinastia Ming.

    Facevano parte della flotta navi colossali destinate agli inviati dell'imperatore cinese, che trasportavano regali e preziose mercanzie ai paesi visitati ed erano perciò chiamate Navi dei Tesori.

    Nella prima metà del XV secolo, quasi un secolo prima delle scoperte geografiche europee, una grande flotta cinese attraversò per trenta anni l'Oceano Indiano, dalla Cina fino all’Africa e all'Arabia, stabilendo una sorta di egemonia navale cinese in quei mari.

    Sono passati 600 anni da allora, ma solo recentemente queste imprese sono uscite dall'ambito degli studiosi di storia dell'estremo oriente, sia in patria che altrove. Soprattutto in Cina, fino a tempi recenti, il suo nome era dimenticato, prima perché il Celeste Impero aveva esercitato il gran rifiuto di aprirsi al mondo, cancellandone quasi per intero la memoria, poi perché il regime comunista era deciso a seppellire il passato per imporre la sua nuova visione della società e della storia.

    Oggi le cose sono cambiate, la Cina ha ripreso a scavare nella sua storia per recuperare il senso del suo grande passato. Nel 2005 in Cina si è festeggiato il seicentesimo anniversario del primo viaggio di Zheng He, compiuto 87 anni prima della traversata di Colombo verso l'America. Un'impresa colossale che si erge come una montagna isolata nel corso della storia cinese.

    Ma nel 1435 la Cina prese la storica e malaugurata decisione di non continuare più tali spedizioni navali, anzi fu proibito di costruire navi adatte ad affrontare viaggi oceanici e persino di esercitare la pesca in mare aperto, e tutte le navi della flotta furono smantellate. Furono anche cancellati i rapporti e le registrazioni riguardanti i viaggi oceanici intrapresi. Una vera e propria damnatio memoriae.

    Questa posizione di rifiuto assoluto nei confronti dei viaggi in mare fu poi mantenuta dalle successive dinastie cinesi: non fu quindi solo una decisione temporanea dovuta a difficoltà economiche o a contrasti sulla politica estera, fu invece una presa di posizione quasi filosofica sull'atteggiamento da tenere nei confronti del mondo esterno.

    La Cina, quindi, si rinchiuse nel proprio ambito territoriale tornando al proprio tradizionale e orgoglioso isolazionismo e ad una politica estera di concezione unicamente terrestre. Meno di un secolo dopo gli europei esploravano il resto del mondo alla ricerca di nuove rotte commerciali, colonizzando poi immensi territori e creando giganteschi imperi coloniali.

    Solo alla fine dell'800 i Cinesi dovettero accettare la dolorosa e sconvolgente verità che non erano più il centro del mondo, come avevano sempre creduto, fermamente, da migliaia di anni, ma dovettero anzi subire l'assedio occidentale ed il colonialismo europeo, le concessioni territoriali, la guerra dell'oppio ed infine l'invasione giapponese. La continuità storica del loro impero generò la convinzione che il passato fosse il maestro del presente e del futuro e la conseguente fede cieca nella tradizione finì per tradirli.

    Ovviamente non possiamo sapere quale sarebbe stata la catena degli eventi storici se la Cina avesse continuato nelle spedizioni marittime o almeno avesse mantenuto una flotta oceanica in grado di difenderla, ma sicuramente gli occidentali avrebbero trovato un ostacolo alla loro espansione e un baluardo contro la loro aggressione.

    Per questo motivo sia le imprese marittime di Zheng He sia la loro successiva condanna costituiscono un punto di svolta eccezionale nella storia del Celeste Impero, ed è ciò che questo libro intende raccontare. **

    * 100.000 li equivalgono a 50.000 chilometri o 30.000 miglia (1)

    ** Il lettore che volesse approfondire potrà trovare nelle note ad ogni capitolo i riferimenti necessari. Si rammenta inoltre che la visualizzazione del libro in formato digitale e la sua qualità dipendono fortemente sia dal dispositivo utilizzato che dal software di lettura, e che le loro differenti caratteristiche possono comportare effetti notevoli; ad esempio le tabelle contenute possono o meno essere riprodotte correttamente, e la medesima cosa si può dire delle immagini. Si raccomanda pertanto di scegliere il software migliore, specializzato per la riproduzione di questo formato digitale (EPUB).

    Note

    1) Unità di misura medievali cinesi

    Poiché non esisteva una norma comune le misure variavano non solo nel tempo ma anche tra le diverse province, incluso il denaro; le precedenti conversioni quindi devono essere interpretate come puramente indicative.

    La Cina del tempo

    L'inizio dei Ming

    Nel 1211 Temujin, poi noto come Gengis Khan, attaccò la Cina del Nord-Est allora governata dalla dinastia Jin, conquistandola e saccheggiandone la capitale Yanjing (l'odierna Pechino) nel 1215: forse questo grande rivolgimento storico fu causato dalla diminuzione delle temperature, seguita al periodo caldo medievale che aveva provocato l'espansione della popolazione mongola, e dalla conseguente carestia sfruttata magistralmente dalla personalità di Temujin. L'espansione verso sud ed ovest dell'Impero Mongolo continuò dopo la morte di Gengis fino al 1279 con la caduta della dinastia cinese dei Song meridionali, quando i conquistatori di una Cina oramai unificata iniziarono a governarla come dinastia Yuan. I mongoli, di temperamento più aggressivo e pragmatico dei cinesi, concretizzarono la loro influenza sulla storia della Cina attraverso una accresciuta militarizzazione del paese ed una maggiore mobilità sociale, facilitata dallo sviluppo del commercio, di una nuova classe mercantile e della cultura degli strati popolari.

    I mongoli sostanzialmente governarono la Cina non come la propria patria bensì come un paese occupato da una potenza coloniale: infatti non solo tutte le cariche militari e di governo erano appannaggio dei mongoli, ma era addirittura vietato ai cinesi qualsiasi pubblico ufficio, tanto da renderli discriminati nel loro stesso paese anche rispetto agli stranieri. Avevano infatti suddiviso la popolazione in 4 distinte categorie gerarchiche, ponendo ovviamente in cima alla piramide del potere e delle opportunità loro stessi, indipendentemente dalle peculiari caratteristiche personali come ricchezza o talento; seguivano poi gli stranieri come i musulmani o i cristiani nestoriani, poi i cinesi della dinastia Jin che si erano arresi, infine gli Han meridionali della dinastia Song che avevano resistito per oltre sessant'anni all'invasione guadagnando la posizione di paria in patria.

    Quando nel XIV secolo il potere mongolo iniziò ad indebolirsi, anche a causa della tremenda pestilenza che fece milioni di vittime in Asia, Africa ed Europa, la cultura militarista che essi avevano iniettato nella società cinese si rivolse contro di loro, portando alla creazione di milizie regionali da parte di leader dissidenti, blandamente fronteggiati da un potere centrale oramai corrotto e minato da rivalità interne. Nel 1351 infatti una immensa e disastrosa alluvione ridusse alla disperazione centinaia di migliaia di contadini già colpiti dalla peste, la stessa pandemia che nel medesimo periodo uccise un terzo degli europei, portandoli alla ribellione aperta contro il governo centrale e fornendo ai dissidenti la massa di manovra ed il sostegno popolare che poteva far pendere l'ago della bilancia in loro favore. Seguirono quasi vent'anni di rivolte e secessioni che frantumarono il paese e la sua economia, capitanate spesso da leader di estrazione popolare, uno dei quali riuscì alla fine ad avere il sopravvento e decretò la fine del potere mongolo in Cina: il suo nome era Zhu Yuanzhang.

    La straordinaria storia di quest'uomo lo condusse dalla miseria più assoluta ai fasti dell'impero ed alla fondazione di una nuova dinastia: nato da una famiglia contadina nel Nord-Ovest della Cina, a diciassette anni rimase orfano dei genitori e trovò rifugio nel monastero buddista di Hoangkiosé come novizio, dove crebbe e studiò. Un periodo di tre anni durante i quali girovagò come bonzo mendicante gli fecero conoscere la reale situazione di miseria della popolazione, cosa di cui non si dimenticò in seguito quando fu a capo dell'Impero. Divenuto adulto abbandonò la vita religiosa per unirsi alle milizie Hongjin (Turbanti Rossi) di uno dei leader dissidenti che combattevano l'esercito mongolo, distinguendosi per la capacità militare e radunando sotto la sua guida forze sempre maggiori, di cui alla fine diventò il capo assoluto.

    Nel 1368, dopo avere riunificato diverse province, il 14 Settembre le forze di Zhu investirono la capitale della dinastia mongola Dadu (odierna Pechino), l'ultimo imperatore Yuan fuggì ed il vincitore si proclamò imperatore a sua volta, assumendo il nome di Hong Wu (Grande e Valoroso). (1)

    Così la dinastia di origine mongola collassò, sostituita dalla dinastia Ming, che significa Splendore: il consolidamento del nuovo impero cinese occupò Hong Wu per altri trent'anni, portando le armate cinesi a combattere a Nord in Mongolia, ad Est in Manciuria, ad Ovest in Asia Centrale sin quasi al lago Baikal, a Sud ai confini della Birmania e del Vietnam.

    La ribellione guidata da Hong Wu fu l'inizio del periodo di massimo splendore della civiltà cinese, considerato dagli storici una delle maggiori epoche di assennato governo, vigoroso sviluppo economico e grande stabilità sociale. La dinastia Ming ristabilì anche l'influenza ed il prestigio della Cina all'estero, sia nei confronti degli stati satelliti immediatamente confinanti che ne riconobbero l'autorità, sia con le potenze più lontane che scambiarono con gli imperatori Ming doni ed ambasciatori.

    NOTE

    * A proposito dei nomi degli imperatori è bene precisare che ordinariamente ve ne sono tre: il nome personale di nascita, il nome imperiale ed il nome postumo con il quale venivano onorati dopo la morte. Nella tabella seguente sono elencati i rispettivi nomi dei primi sei imperatori Ming che verranno citati nel seguito. (da http://it.wikipedia.org/wiki/Dinastia_Ming)

    L'opera di Hong Wu

    Hong Wu è stato senz'altro uno dei maggiori protagonisti della storia della Cina, in quanto la sua opera di fondazione prima e di riorganizzazione poi hanno posto le basi su cui si sarebbe sviluppata la dinastia Ming per i successivi tre secoli e 16 imperatori.

    Il periodo di monachesimo trascorso dal giovane Hong Wu come bonzo mendicante e l'educazione ricevuta ne fecero uno dei pochi uomini di governo che abbiano testimoniato con la loro opera l'aderenza ai precetti buddisti e confuciani, e che abbiano operato in favore di una maggiore giustizia sociale: nel 1387 ebbe a dire che il mandato imperiale ricevuto dal Cielo non si esaurisce con l'osservanza delle regole rituali, ma deve essere concretizzato con l'opera di governo indirizzata al bene del popolo, perché proprio questo è lo scopo ultimo del potere concesso all'imperatore. (1)

    Fu un despota severissimo con chi tradiva la sua fiducia, ma evitò di compiere vendette sugli oppositori sconfitti per non innescare una catena di conflitti che avrebbero impedito la stabilizzazione e ricostruzione del paese.

    Hong Wu riformò l'agricoltura distribuendo terreni incolti ai poveri e creando un rigido sistema di comunità rurali autosufficienti (simili alle Comuni dell'epoca di Mao); fece anche costruire migliaia di canali, argini e dighe, producendo così il surplus alimentare che consentì l'importante crescita delle città e delle loro attività manifatturiere. Il contemporaneo sforzo di miglioramento delle comunicazioni terrestri accrebbe i traffici aprendo nuovi mercati.

    A partire dal 1364 ordinò la redazione di un nuovo codice di leggi, estremamente chiaro e dettagliato, denominato Ta-Ming Lu che viene considerato uno dei maggiori risultati del suo regno.

    Nel 1370, 1381 e 1391 Hong Wu fece condurre censimenti della popolazione e redigere mappe dettagliate dell'intero territorio, con la registrazione della proprietà e delle tasse dovute. (2)

    Riformò la struttura di governo riorganizzando i sei Ministeri ed istituendo cinque Regioni Militari, organizzò concorsi per dotare l'impero dei migliori funzionari civili, sollecitò la collaborazione di eminenti intellettuali del tempo, raccolse informazioni sulle carenze dell'amministrazione, ricreò l'Ufficio delle Rimostranze dell'epoca Song per soffocare gli abusi.

    Abbassò le tasse in molte regioni che avevano sofferto per la guerra civile e comandò che in tutto il territorio dell'impero venissero aperte scuole e mense scolastiche per la popolazione.

    Istituì la pensione sociale per gli anziani (3) , liberò gli schiavi, aiutò i poveri e punì coloro che avevano abusato del loro potere inviandoli in colonie agricole di rieducazione.

    Era l'inizio di un miracolo economico i cui frutti sarebbero poi maturati nella prima metà del secolo successivo, l'epoca di Zheng He.

    Ci fu anche un'altra decisione minore presa da Hong Wu, illuminante sulle concezioni cinesi del tempo e sugli avvenimenti successivi: l'Imperatore proibì qualsiasi traffico privato con i paesi oltremare. In pratica solo le imbarcazioni dello stato potevano essere usate per mantenere rapporti commerciali e comunicazioni marittime. Con la motivazione forse pretestuosa di proteggere le coste ed i mercanti dalle scorrerie dei pirati (in parte cinesi, in parte giapponesi) lo Stato avocava a sé il monopolio sul mare. Molti mercanti furono rovinati da questa decisione, mentre altri fuggirono nel Sud Est asiatico spostando là le loro attività commerciali e continuando i commerci come contrabbandieri.

    Successivamente l'Imperatore ordinò la costruzione di 480 navi oceaniche per provvedere alle necessità di comunicazione oltremare: fu questo l'inizio di una nuova politica di presenza sul mare dell'Impero Cinese, che fu poi proseguita con molto maggiore slancio nel secolo successivo. (4)

    Probabilmente la vera motivazione di questi provvedimenti fu quella di controllare strettamente le esportazioni di prodotti cinesi come oro, argento, bronzo, valuta, seta ed armamenti, di cui il Sud Est asiatico era privo, ma contemporaneamente generò fenomeni di contrabbando che vennero combattuti con severità.

    Ritratto ufficiale di Hong Wu, Wikimedia Commons

    Il benessere economico ebbe anche ricadute nelle arti, nelle lettere e nelle scienze, con un ritorno allo spirito conservatore confuciano da un lato e l'emersione di una classe intellettuale che favoriva una concezione più dinamica e innovativa dello stato e della sua politica: una premessa per futuri contrasti fra le classi nobiliari e le nuove classi mercantili emergenti.

    Per comprendere questo fenomeno è obbligatorio un accenno alla filosofia dello Stato e della società di Confucio.

    La concezione di Confucio

    In un paese vastissimo e con una popolazione immensa il problema da sempre è stato quello di garantire coesione e stabilità sociale, e questo fu vero soprattutto all'epoca dei Regni Combattenti, durante la quale visse il grande filosofo.

    Confucio (Kung Fu-zi) nacque cinque secoli prima di Cristo in un'epoca di anarchia politica e caos sociale, ed ebbe quindi il fondamentale proposito di indicare i principii da seguire per assicurare moralità nell'azione di governo ed ordine nella vita sociale: trovò la soluzione nella universale accettazione di un rigido sistema gerarchico in base al quale ogni uomo nasceva con un ruolo già assegnato, a partire dall'imperatore che lo ereditava dal passato e dalla volontà del Cielo, fino all'ultimo contadino che faticava nei campi. Era essenziale che ciascuno riconoscesse ed accettasse il suo ruolo nel mondo, i propri doveri e responsabilità, il suo posto nella gerarchia sociale.

    Qualsiasi scostamento da questa linea di condotta avrebbe fatalmente portato al disordine e all'anarchia.

    La cellula fondamentale della società cinese è sempre stata la famiglia, sia pure concepita nella forma allargata tipica delle società contadine, soggetta alla dominazione degli anziani sui giovani e dei maschi sulle donne, regolata da un inflessibile sistema di diritti e doveri reciproci.

    Così come in una famiglia il padre comanda ed i suoi figli obbediscono, allo stesso modo la società si deve configurare come una immensa famiglia in cui ad ogni livello devono essere rispettati diritti e doveri, la disubbidienza punita e la virtù premiata.

    Le concezioni confuciane si applicarono da allora in poi ad una società composta da tre strati:

    - una massa enorme di contadini prevalentemente analfabeti che vivevano in condizioni ai limiti della sussistenza in piccoli villaggi di capanne, obbligati al lavoro coatto oltre che alla coltivazione dei campi per la propria sopravvivenza;

    -la piccola nobiltà costituita sia dai proprietari terrieri che amministravano il contado, sia dai militari, sia da burocrati civili e studiosi selezionati con un sistema di esami statali; essa era accentrata prevalentemente nelle città e fungeva da collegamento e cinghia di trasmissione tra il potere centrale e la vita rurale; (5)

    - il nucleo ristretto della corte imperiale, dei funzionari di governo e dei vertici militari.

    La mobilità sociale tra questi strati, se pur teoricamente possibile, era di fatto ridotta sia dalle differenze di censo che si traducevano in mancanza di opportunità per lo strato più basso, sia dall'esteso nepotismo dello strato più alto, e solo in parte realizzata da mercanti arricchiti che acquistavano le cariche pubbliche per i familiari o da giovani contadini resi eunuchi per poter passare al servizio della nobiltà.

    In pratica la Cina era bloccata da un sistema pseudo-feudale senza una significativa mobilità sociale tra questi tre strati, congelata in un ordine immutabile, in cui la maggior parte della popolazione nata in un contesto sociale vi apparteneva per tutta l'esistenza.

    L'imperatore governava in forza del mandato del cielo, qualcosa di simile al mandato divino dei regnanti dell'Europa cristiana, che lo impegnava a perseguire il benessere della popolazione: se non si rivelava all'altezza del compito rischiava di perdere questa investitura giustificando la rivolta del popolo.

    Chi riusciva a detronizzarlo dimostrava con i fatti di avere a sua volta ricevuto il mandato superno a governare la Cina, il che ne giustificava le azioni. Nei fatti nulla di diverso da quanto accadeva in Occidente, salvo che questa concezione sembrava volere catalogare anche le lotte di potere come parte integrante di un sistema di governo prestabilito, alternando fasi di stabilità a fasi di rivolta. Un'altra differenza rispetto all'Occidente é che, mentre nell'Europa medievale e nell'Islam ancor oggi l'etica della stato e la moralità pubblica scaturivano da principii religiosi, in Cina esse derivavano da concezioni filosofiche e regole sociali funzionali al governo di un immenso e popolosissimo impero.

    Sebbene l'etica confuciana raccomandasse lo studio e la riflessione sul mondo e su se stessi, l'astensione dal male, la morale familiare estesa a tutta la società, il valore ed il rispetto della persona, nondimeno la classe dirigente cinese adottò questi principii allo scopo di perpetuare se stessa e garantirsi il potere, facendo della conservazione un credo irrinunciabile.

    Per Confucio l'insegnamento del comportamento corretto doveva procedere dall'esempio offerto dai superiori ed essere imitato dagli inferiori: da ciò conseguì una moralità pubblica dei governanti indipendente dal loro vero sentire, come anche degli atteggiamenti ipocriti quando le decisioni concrete si discostavano dall'etica ufficiale Ad esempio membri delle classi alte come nobili, eunuchi e burocrati investivano di nascosto il loro denaro nel disprezzato commercio o nella proprietà immobiliare attraverso prestanomi, oppure le aggressioni militari erano giustificate dicendo ti faccio la guerra perché mi hai costretto e comunque è per il bene del tuo popolo. La benevolenza verso il prossimo predicata dal confucianesimo divenne una maschera indossata ritualmente, così come il riconoscimento del superiore ruolo dell'imperatore, da parte delle popolazioni non direttamente assoggettate, spesso da concreto divenne simbolico. Per questo motivo gli imperatori cinesi, a differenza dei capi mongoli, nelle relazioni internazionali con i paesi più lontani pretendevano, ma anche si accontentavano, di tributi poco più che formali.

    Essi infatti si consideravano già Signori di tutte le genti sotto il Cielo per diritto divino, esenti da sete di conquista di ciò che già apparteneva loro, e semplici amministratori di premi e punizioni.

    In sostanza una filosofia di governo adatta ad un mondo chiuso e statico, privo di confronti decisivi con altre civiltà evolute, tutta tesa alla pura conservazione; questa visione del mondo, che alcuni considerano come ispiratrice del più stabile di tutti i sistemi conservatori, alimentata dal rispetto e dall'attaccamento dei cinesi al passato, funzionò per molti secoli ed entrò in crisi quando ci fu il contatto ravvicinato con l'Occidente.

    Solo un piccolo spiraglio per l'innovazione esiste nel credo confuciano, ed è quando una decisione che rompe le regole tradizionali del tessuto sociale e del comportamento politico è giustificata da un bene eticamente molto superiore: questa giustificazione fu invocata in occasione dei colpi di stato e della repressione delle rivolte popolari da parte del potere. ma nella normale attività di governo di essa non v'è traccia sino alla caduta di Pu Yi, l'ultimo imperatore cinese.

    La struttura del potere

    La piramide gerarchica del sistema di governo cinese ha sempre avuto due caratteristiche precipue, ovvero l'ampiezza dovuta alla enorme estensione territoriale e la sua profondità dovuta all'immenso carico amministrativo generato da una popolazione di molte decine di milioni di persone.

    Al vertice della piramide c'era ovviamente l'imperatore, che governava come monarca assoluto e personificazione dello Stato, circondato dal clan familiare e dai suoi collaboratori più fidati.

    Egli prendeva personalmente tutte le decisioni riguardanti le questioni, più o meno importanti, che i ministri e funzionari di governo non potevano o non volevano assumere sotto la propria responsabilità; era anche comandante supremo delle Forze Armate che presidiavano le frontiere e controllavano il territorio suddiviso in distretti militari. Al di sotto dell'imperatore vi era uno strato di potere, solo parzialmente formale, ma sempre sostanziale, costituito dal clan imperiale, da mogli e concubine, dagli eunuchi ed infine dalla nobiltà terriera padrona di estesissimi latifondi.

    Per forza di cose esisteva un meccanismo di delega amministrativa, regolato da precise leggi e disposizioni regolamentari, affidato ad una vastissima rete burocratica composta da decine di migliaia di funzionari e da centinaia di migliaia di scrivani, famosa storicamente per l'accuratezza formale e la puntigliosità del lavoro svolto. L'ideologia di questo strato burocratico fu il Confucianesimo, ed in questo senso questi studiosi-burocrati si consideravano una aristocrazia del paese, sebbene il diritto a farne parte non fosse ereditabile ma dovesse essere guadagnato con lo studio. L'appartenenza alla burocrazia, successivamente denominata mandarinato, apriva le porte al prestigio sociale ed al buon vivere e consentiva una capacità di influenza concreta attraverso le relazioni e la comunanza di interessi con gli altri componenti di questa casta.

    Di fatto e come sempre accade chi nasceva in questo strato sociale aveva molte possibilità di rimanervi indipendentemente dal proprio talento, mentre entrarvi dall'esterno era concretamente quasi impossibile per i contadini e difficile per i figli dei mercanti. Esisteva anche un sistema ispettivo mediante il quale l'operato dei burocrati veniva controllato, ed era diffusa l'abitudine di suddividere le responsabilità di un ufficio tra più funzionari, secondo il principio della responsabilità comune, e di effettuare una rotazione degli incarichi ogni tre anni; in questo modo tutti controllavano tutti e nessuno poteva far crescere le radici del proprio potere, ma in compenso nessuno era interamente responsabile e tutti cercavano di adeguarsi piuttosto che esporsi.

    Probabilmente fu la più grande burocrazia mai esistita, con tutti i suoi noti difetti, iperconservatrice nella difesa dei propri interessi ed ancorata a forme e rituali quasi religiosi, quindi adatta ad amministrare solo un mondo immobile che non cambia. In ciò si può ravvisare la ragione del contrasto che nacque in seguito nei confronti di un imperatore che invece voleva cambiare qualcosa, proiettare la Cina sul mare con una grande flotta e portare la voce dell'Impero alle genti al di là dell'oceano.

    L'ultima fascia della popolazione dotata di un qualche potere concreto ma assolutamente non istituzionale era costituita da commercianti e militari, i primi grazie al denaro i secondi grazie alla spada: entrambe queste componenti sociali erano di fatto poco apprezzate dalle classi superiori ma considerate purtroppo necessarie. I mercanti erano oggetto dell'invidia popolare mentre i militari, spesso reclutati tra la feccia, erano invece temuti ed odiati. Sotto vi era un oceano di popolo che sopportava, si defilava quando possibile e manifestava il suo potere solo con periodiche gigantesche rivolte, generate dal peso di uno sfruttamento divenuto intollerabile o da grandi calamità naturali. Quando ciò accadeva tutta la piramide tremava ed a volte crollava, segnando l'avvicendarsi delle dinastie.

    L'economia cinese e il sistema dei tributi

    Un'altra caratteristica del credo laico di Confucio era il disprezzo per i commercianti, ritenuti approfittatori sociali, la cui ricchezza andava regolata e limitata attraverso la tassazione, che quindi non aveva lo scopo di ridistribuire la ricchezza, bensì quello di controllare e quasi punire il successo economico (6) . Ciò può sembrare simile ad una concezione proto-marxista ma non lo è, in quanto Marx intendeva difendere il valore del lavoro come fattore della produzione di fronte alla preponderanza del capitale, mentre Confucio non solo non aveva nessun concetto di capitale ma intendeva difendere il valore morale della cultura e della buona amministrazione da parte della classe intermedia, non certo il destino dei contadini. Questo aspetto delle concezioni cinesi fu particolarmente preponderante durante il primo scorcio della dinastia Ming, che si distinse per le pesanti discriminazioni nei riguardi dei mercanti e per le limitazioni al commercio. Non solo i contadini erano considerati servi della gleba legati al territorio del villaggio dal quale non potevano uscire, ma il commercio libero era proibito e per effettuare dei viaggi era necessario ottenere un permesso ufficiale; il governo limitava le attività commerciali e sorvegliava sia i prezzi, che in buona parte erano calmierati, che la qualità delle merci, e le trasgressioni erano punite con la frusta. La classe dirigente del tempo temeva che una società basata sulla liberalizzazione dei consumi avrebbe generato una competizione distruttiva tra fasce sociali, che avrebbero destabilizzato una società povera e con risorse limitate basata su di un mosaico di comunità autosufficienti (7) . Solo lo Stato aveva il potere di effettuare importanti trasferimenti di risorse tra una regione e l'altra per imprescindibili necessità conseguenti a carestie o guerre. L'ideologia economico-sociale del tempo non era molto dissimile nei suoi effetti concreti da quella imperante nella Cina di Mao, anche se le rispettive fonti dottrinarie non avrebbero potuto essere più lontane: in entrambi i casi furono povertà e dimensioni del paese a determinare politiche simili.

    Un'altra caratteristica tipica della cultura cinese era il disprezzo per il lavoro e le attività manuali, esattamente come nel mondo greco-romano, per cui i commercianti arricchiti desideravano per i loro figli unicamente l'accesso allo strato sociale dei letterati-burocrati, e non lo sviluppo dell'impresa. Gli investimenti quindi si limitavano sostanzialmente al finanziamento del nepotismo ed all'acquisto di beni immobiliari.

    L'atteggiamento del potere nei confronti del commercio interno variò nei secoli secondo le esigenze economiche, alternando fasi di liberalizzazione a fasi di compressione, mentre il commercio estero più che un fenomeno di scambio economico fu percepito come un sistema di tributi e regalie.

    Lo sviluppo commerciale crebbe durante la dominazione mongola e dopo la guerra che la rovesciò ricominciò a crescere all'inizio della dinastia Ming, sotto il suo primo imperatore Hong Wu, quando si manifestarono i primi segnali di un proto capitalismo, per poi essere nuovamente soffocato da un potere che ovviamente non vedeva di buon occhio una possibile concorrenza nella gestione del paese.

    Al contrario lo Stato incanalò a suo favore la crescita economica, stabilendo monopoli e tassazioni sugli scambi economici in un paese con surplus di manodopera ed il tradizionale obbligo al lavoro coatto di decine di migliaia di contadini per la realizzazione di opere pubbliche.

    Questo aspetto del Confucianesimo non influì negativamente durante molti secoli di economia contadina, ma si rivelò poi esiziale quando in Cina si manifestarono i primi segnali di un capitalismo nascente che avrebbe potuto, come accadde in Occidente, finanziare lo Stato e l'industria promuovendo lo sviluppo tecnologico e sottraendo le masse contadine al loro secolare ed endemico stato di povertà. Il forte contenuto conservatore della filosofia confuciana finì per impedire al paese di introdurre decisive innovazioni sia sul piano tecnologico che istituzionale, mentre invece favorì l'impiego della ricchezza accumulata per l'acquisizione di posizioni di potere nella gerarchia dello stato o la sua progressiva dispersione nei clan familiari. In una Cina in cui la tradizione secolare dei rapporti umani trasformava tutte le relazioni in binomi beneficato-benefattore, cliente-signore, servo-padrone, era impossibile l'emancipazione degli individui e dei gruppi sociali: il mondo cinese era strutturalmente immobile, congelato in strati successivi aventi alla base un oceano di contadini poveri che diventavano protagonisti solo in occasione delle cruente rivolte scatenate dai morsi della miseria e delle calamità naturali.

    L'economia cinese quindi si sviluppò in maniera bipolare, basandosi su di un sistema mercantile relativamente libero al livello dell'economia rurale ed un sistema economico controllato dallo Stato per quanto riguarda sia le importazioni che il commercio interno di alcune materie prime considerate strategiche, come granaglie, sale, ferro e argento.

    A titolo d'esempio si può citare il fatto che mentre in Cina l'accumulazione di capitale non tornava all'economia sotto forma di prestiti produttivi o investimenti, nel 1397 a Firenze veniva fondata la Banca dei Medici, primo esempio di banca moderna, poi seguita nel secolo successivo dalla fioritura di istituzioni bancarie nell'Italia rinascimentale. Proprio l'assenza di tali istituzioni nella realtà del Celeste Impero, al di là delle attività degli usurai, può contribuire a spiegare il suo successivo decadimento economico nei secoli successivi. Inoltre occorre ricordare che i grandi lavori statali venivano eseguiti da masse sterminate di contadini obbligati al lavoro coatto e gratuito, mentre gli imprenditori privati potevano disporre di una forza-lavoro estremamente abbondante e povera che si accontentava di compensi minimi per qualsiasi attività fosse richiesta: in questo modo i capitali disponibili non circolavano e rimanevano congelati in grandi patrimoni, senza innescare quei flussi monetari che avrebbe potuto sollevare dall'indigenza una parte dei contadini e creare le premesse per un largo sviluppo dell'economia, che continuava a funzionare a bassissimo regime.

    In pratica lo Stato e le classi agiate che rappresentavano una minima frazione della popolazione detenevano la quasi totalità della ricchezza, ma non esisteva alcun meccanismo per metterla in circolazione creando una larga domanda di mercato e la conseguente produzione di beni di consumo. Solo nelle città la popolazione minuta godeva di condizioni di vita relativamente migliori, proprio in quanto essa lavorava come servitù, o come operai, impiegati e artigiani al servizio delle classi abbienti e nobiliari. Al contrario nell'Europa mercantile del XV secolo la nozione ed il valore economico del denaro investito in nuove attività era oramai chiaramente emerso, tanto da fare affermare persino a San Bernardino da Feltre, fondatore dei primi Monti di Pietà, la moneta potest esse considerata vel rei vel, si movimentata est, capitale ( il denaro può essere considerato una cosa oppure, se investito, capitale).

    Probabilmente fu la mancanza di una economia di mercato completamente libera e la mancanza di capitale d'investimento a paralizzare lo sviluppo cinese nei secoli successivi all'epoca di Zheng He, provocando prima la stagnazione economica e poi vere e proprie carestie sfociate in rivolte sanguinose.

    Mentre in Occidente la mentalità del mondo greco-romano venne profondamente trasformata dalle culture germaniche durante il Medio Evo, valorizzando l'individuo ed i suoi raggiungimenti concreti, in Cina questo fenomeno non si produsse ed il suo declino iniziò proprio mentre l'Europa viveva l'alba del Rinascimento.

    Il commercio estero invece godeva di una gestione del tutto particolare, denominato dagli storici "sistema dei tributi".

    Esso aveva due scopi principali:

    - controllare e regolamentare il commercio con l'estero;

    - mantenere e disciplinare la sfera d'influenza cinese sugli stati limitrofi;

    ed era applicato soprattutto agli stati satelliti confinanti, ma in linea di principio e nell'ottica imperiale era legittimamente applicabile a tutti gli stati esteri in quanto comunque considerati di rango inferiore alla Cina.

    Periodicamente gli stati esteri organizzavano delle spedizioni diplomatico-commerciali aventi il duplice scopo di onorare l'imperatore cinese riconoscendone l'autorità e di trasportare merci all'interno della Cina; ad ogni paese tributario era assegnata una frequenza per le missioni, il numero di navi, merci e personale consentiti, e disponeva di passaporti numerati, ordinariamente 200, estratti da libri di riscontro che ne contenevano le matrici, consentendo così accurati controlli quando la missione arrivava in porto od alla frontiera. Alla dogana il carico, arrivato via terra o via mare, veniva esaminato da funzionari imperiali (solitamente eunuchi) che lo dividevano in due parti. La prima era assoggettata ad una lieve tassazione e poi resa disponibile per il commercio interno; la seconda, ovviamente quella considerata più preziosa, era destinata all'imperatore che ricambiava queste merci, considerate un doveroso tributo, con altrettanti regali costituiti da prodotti cinesi; questi ultimi, una volta giunti nello stato vassallo, venivano commerciati dal principe locale contribuendo così alle sue finanze. Ovviamente i cinesi mettevano in risalto la differenza tra un tributo dovuto e dei regali concessi con liberalità ma senza alcuna connotazione esplicita di scambio o baratto.

    Si trattava quindi di un ingegnoso sistema con il quale la Cina controllava rigidamente gli scambi con l'estero e contemporaneamente si garantiva la condizione di vassallaggio.

    Le delegazioni straniere venivano dettagliatamente istruite su di un elaborato cerimoniale che esse dovevano seguire durante i ricevimenti a corte ed il rituale di tributo: quando gli inviati stranieri venivano presentati all'Imperatore per offrire i tributi e manifestare obbedienza dovevano assoggettarsi al Kowtow, ovvero inginocchiarsi a terra toccando il pavimento con la fronte per tre volte consecutive; tale usanza fu rispettata da tutti i diplomatici stranieri fino al 1793, quando Macartney, primo ambasciatore inglese in Cina, rifiutò di seguirla per affermare la parità di condizione tra i due rispettivi imperi e sovrani.

    Anche la Cina inviava legazioni e merci agli stati satelliti, ma i diplomatici cinesi anziché tributi portavano regali e buoni consigli o investiture politiche che, a scanso di pericolosi equivoci, i potentati periferici accettavano o addirittura cercavano come forma di protezione.

    Così funzionava la Pax Sinica nei confronti di tutti i popoli confinanti, almeno finché, ovviamente, la bilancia del potere pendeva a favore dell'Impero: altrimenti esso stabiliva relazioni più morbide ed equilibrate ove possibile o entrava in conflitto se aggredito.

    Questo sistema apparteneva già da lungo tempo alla tradizione cinese, e durante la dinastia mongola era stato affiancato da un commercio privato fiorente; con l'inizio della dinastia Ming invece gli scambi commerciali con l'estero vennero totalmente statalizzati ed il sistema dei tributi, reso sofisticato e burocratizzato, fu imposto a tutti gli stati confinanti con la Cina. Ma con le potenze più lontane (come il Giappone), meno sensibili all'intimidazione (come i Mongoli) o semplicemente quando la volontà di contatto proveniva dalla Cina stessa, come appunto nel caso delle spedizioni marittime di Zheng He, questo sistema si svuotava di contenuti concreti per divenire puramente simbolico e, per dirla in termini moderni, usato come strumento diplomatico e promozionale.

    Scienza, tecnologia, cultura

    Da secoli la Cina, favorita dalle condizioni geografiche e climatiche, era un paese molto avanzato nei confronti delle aree vicine; già in epoche preistoriche le pianure centrali avevano favorito l'insediamento di comunità sedentarie dedite all'agricoltura, abbastanza produttive da consentire un significativo incremento della popolazione e lo sviluppo di segmenti della società non impegnati in essa e dediti all'artigianato, alla milizia e allo studio. Ciò non era stato possibile nelle aride e ventose steppe della Mongolia e dell'Asia centrale, rimaste ancorate alla pastorizia e al nomadismo, così come nelle jungle del Sud Est asiatico tormentate dai monsoni o nei freddi altipiani del Tibet.

    I Cinesi, da che mondo era mondo, erano circondati da popolazioni più arretrate, abituati quindi ad essere un centro di civiltà isolato, resi inconsapevoli di ogni altro sviluppo storico dalle immense distanze e dalla mancanza di contatti diretti. Questa sensazione di superiorità col tempo si tramutò in disinteresse verso il mondo esterno nelle classi colte e disprezzo verso lo straniero nelle classi popolari, rimanendo come costante storica immutata anche quando gradualmente si svilupparono traffici mercantili per via di terra e di mare.

    Del resto fino al 15° secolo la plurimillenaria società cinese era sempre stata più avanzata e ricca di quella occidentale, con la sola eccezione forse del periodo dell'Impero Romano.

    La numerosità della popolazione, anche se non raggiungeva i livelli odierni, era come sempre una caratteristica del paese, che ovviamente favoriva le soluzioni produttive ad alta intensità di lavoro piuttosto che l'adozione di macchinari come avvenne poi in Europa. Nel settimo secolo la sola città di Guangzhou già contava 200.000 residenti stranieri (Arabi, Persiani, Indiani) e nel 12° secolo la capitale cinese contava oltre un milione di abitanti. Nello stesso periodo le città più popolose dell'Europa erano probabilmente Parigi con poco più di 100.000 residenti e Venezia con 200.000.

    La Cina, superata alla fine del 14° secolo la falcidia di popolazione dovuta alla invasione mongola prima ed alla peste nera poi, nel 1398 aveva recuperato dimensioni umane ragguardevoli, valutate come minimo in 65 milioni di abitanti (8); questo dato ci deve sempre accompagnare quando si esamina la storia cinese, perché ci troveremo sempre confrontati con numeri incredibili se rapportati con quelli europei del tempo. Sia il numero di uomini coinvolti nelle vicende storiche che la quantità di equipaggiamenti e materiali impiegati riflettono la capacità produttiva di una nazione con una popolazione immensa. Esempi conosciutissimi di questo gigantismo cinese sono la Grande Muraglia (lunga 8.852 km) ed il Gran Canale (1.776 km di lunghezza), che testimoniano in maniera concreta il metodo cinese per affrontare i grandi problemi: grandi soluzioni.

    Al tempo di Zheng He Cina e India insieme assommavano oltre la metà del prodotto mondiale lordo, ed ancora nel 1820, secondo l'economista storico Angus Madison, la sola Cina contava per il 30% della produzione mondiale.

    Anche la qualità e l'avanzamento tecnologico della produzione cinese erano superiori a qualsiasi altra nel mondo, il che rendeva i prodotti cinesi appetibili agli altri paesi, ma non viceversa: la Cina, fatto salvo qualche prodotto naturale importato in quantità modeste come ambra grigia, avorio e corni di rinoceronte, spezie, tè, minerali rari, legnami duri e metalli, non aveva alcun bisogno di commerciare con loro.

    Produzioni tradizionali come ceramiche, tessuti di seta e di cotone erano estremamente avanzate ed occupavano milioni di artigiani ed operai, ed erano da secoli esportate ed apprezzate in tutto il mondo antico.

    All'inizio della dinastia Ming la cultura era diffusa nelle classi agiate e facilitata dall'uso della stampa a blocchi mobili, conosciuta ed utilizzata da almeno 600 anni: esiste una valutazione secondo la quale la produzione editoriale cinese fino al 1750 fu superiore a quella totale del resto del mondo.

    In questo fenomeno culturale, come anche nello stesso processo di unificazione del paese, giocò un ruolo importante il sistema di scrittura, basato su ideogrammi semantici anziché caratteri di un alfabeto fonetico: quest'ultimo realizza lo scritto attraverso una sequenza di simboli rappresentanti i fonemi che compongono le parole della lingua parlata, mentre il primo utilizza segni grafici che rappresentano il significato delle parole indipendentemente dalla pronuncia locale. In questo modo i cinesi poterono unificare culturalmente ed amministrativamente un immenso territorio abitato da diverse etnie con molti dialetti; invece in Europa la scrittura, dipendendo dalle lingue parlate, fu costretta a seguirle nella loro diversità ed evoluzione storica, senza divenire fattore unificante ma al contrario ponendosi come ostacolo alla condivisione delle idee, fatto che ancor oggi costringe l'Unione Europea a pubblicare i suoi documenti in 24 lingue diverse. Peraltro il cinese non impiega né punteggiatura né spazi, non é evidente dal testo dove una frase inizia e dove finisce, e ciò ha comportato problemi di traduzione nelle lingue occidentali ed a volte interpretazioni scorrette e fuorvianti del testo originale. Un'altra conseguenza importante del sistema di scrittura cinese é che essa, dopo essere stata uniformata nel III secolo AC, rimase sostanzialmente invariata per secoli, costituendo così un elemento di uniformità culturale durante moltissime generazioni successive che determinò l'alto valore che i cinesi assegnavano alla tradizione ed alle professioni letterarie. In Europa invece l'evoluzione della lingua parlata rese progressivamente incomprensibili i testi più antichi, generando sia una maggiore attenzione ai testi della propria epoca che l'esigenza di rinnovarli riesaminando ogni tema con la nuova mentalità del momento: il sistema di scrittura comportò quindi un minore tasso di aggiornamento della cultura cinese rispetto a quella europea.

    Tuttavia le scienze in Cina erano avanzate, in particolar modo astronomia, matematica e medicina, ed esistevano inoltre notevoli conoscenze empiriche riguardo il trattamento e la lavorazione dei materiali; l'Europa invece aveva subito l'arretramento culturale dell'alto Medioevo, accumulando un ritardo che avrebbe cominciato a recuperare nel secondo millennio.

    I cinesi furono la prima nazione del mondo ad usare la cartamoneta (vennero stampate per la prima volta sotto la dinastia Song, 960-1279), che era particolarmente impiegata proprio nell'era Ming, ed era accettata come valuta internazionale in molti paesi asiatici confinanti. Agli emissari di questi paesi in visita presso l'impero venivano fatti regali preziosi ma anche effettuati pagamenti in valuta cinese. L'unità monetaria era la banconota da 1 guan, a sua volta divisa in millesimi, ognuno dei quali rappresentato da una moneta di rame.

    Anche gli armamenti erano i più avanzati del tempo grazie all'impiego della polvere da sparo: cannoni, bombe, mine, razzi costituivano una normale dotazione delle forze armate. Nel relitto di una nave cinese da guerra impiegata nel 13° secolo per il tentativo d'invasione del Giappone sono state ritrovate numerose bombe in ceramica riempite con polvere da sparo e frammenti di ferro: i moderni shrapnel.

    In Cina la maggior parte della popolazione era animista o agnostica, ma nel paese vigeva la libertà religiosa e le varie confessioni erano pienamente rispettate dal potere: erano quindi attive comunità religiose taoiste, buddiste, islamiche e cristiane, ognuna con i propri templi e riti, la cui esistenza dipingeva un paese tollerante ed una sostanziale indipendenza tra sfera confessionale e mondo laico. Anche il mandato del cielo che sosteneva il potere imperiale era concepito non come una investitura religiosa ma piuttosto come la concretizzazione di un fato impersonale che guidava il destino della Cina.

    In conclusione quindi essa era un paese più avanzato e più tollerante di quanto fosse l'Europa del tempo, ma che non aveva vissuto quel profondo rinnovamento del pensiero avvenuto durante il medioevo europeo, da cui nacquero in seguito il nostro pensiero scientifico con le sue ricadute tecnologiche e lo spirito imprenditoriale con il conseguente sviluppo del capitalismo.

    Da questo punto di vista infatti il pensiero cinese era in qualche modo simile a quello dell'Occidente Antico, caratterizzato dalla scarsa considerazione per le attività manuali e le applicazioni pratiche del sapere rispetto alle attività letterarie e artistiche ed alla speculazione filosofica. Un possibile cenno di novità avvenne forse nel XII secolo con le opere di Zhu Xi e la sua affermazione che lo sviluppo del sapere poggiava sull'investigazione della realtà (come disse tre secoli più tardi anche Leonardo), ma esso rimase totalmente inapplicato nella sua possibile interpretazione scientifica; la situazione iniziò a cambiare in Cina solo nel XVII secolo in seguito ai contatti con i Gesuiti, ma non si impose se non dopo le sconfitte subite nel XIX secolo.

    In cima al pensiero delle classi colte cinesi vi fu sempre la filosofia morale confuciana, che regnò incontrastata sul sistema culturale e politico della Cina senza produrre quegli stimoli che avrebbero potuto far germogliare scienze applicate ed invenzioni tecnologiche: chi voleva contare qualcosa nella società si dedicava alla filosofia e alla letteratura oppure cercava di scalare la piramide del potere burocratico, certo non spendeva tempo e denaro, in un mondo conservatore per elezione, per inventare nuovi strumenti o perfezionare quelli già conosciuti: questo compito semmai era lasciato ad artigiani e maestranze che procedevano unicamente per via empirica.

    Il legame tra ideologia tradizionale e potere, sia quello dell'Impero sia quello delle classi colte ed agiate, fece da freno ad ogni possibile innovazione del pensiero, percepita come una minaccia allo statu quo, similmente a quanto avvenne in Europa con l'Inquisizione Cattolica, che si oppose alla rivoluzione Copernicana e Galileiana per motivi del tutto simili. Ma mentre in Europa gli Stati di stirpe anglo-germanica superarono il problema generando ed alimentando il protestantesimo che li affrancò dall'autorità di Roma, in Cina invece l'unità dell'Impero e la forza della tradizione riuscirono ad evitare lo sviluppo di qualsiasi pensiero eretico o comunque a soffocarlo con la forza delle armi se si manifestava: il pensiero giusto era sempre quello che procedeva dall'alto verso il basso, mai il contrario, com'é vero ancor oggi che gli eretici sono chiamati dissidenti.

    In Cina non esisteva il concetto di scienza applicata, che poteva trasformare le conoscenze teoriche in novità tecnologiche e conseguenti aumenti di produttività. In sostanza non si manifestò quel circuito virtuoso che parte dalla ricerca, produce innovazione e in seguito rialimenta la ricerca mediante lo sviluppo economico.

    Forse i cinesi non erano stimolati in questo senso anche perché il loro problema è sempre stato quello di dare lavoro a masse immense piuttosto che risparmiare mano d'opera usando macchine, privilegiando quindi metodi produttivi a bassa intensità tecnologica. Inoltre hanno sempre potuto contare sulla tradizionale abitudine del lavoro coatto imposto alle masse contadine per l’esecuzione dei lavori pubblici , il che faceva risparmiare risorse finanziarie ma al tempo stesso impediva l’iniezione di liquidità nel sistema economico.

    Questa situazione non è in contrasto con l'asserito vantaggio dello sviluppo tecnologico della Cina rispetto all'Europa all'epoca di Zheng He, in quanto la differenza consiste nei lenti tempi di sviluppo che esso ebbe nella prima, dotata di una cultura più antica, rispetto ai tempi accelerati che esso sperimentò poi nella seconda, caratterizzata da una cultura rinnovata.

    I Cinesi vissero una Storia continua dall'evo antico in poi mentre l'Europa ebbe la frattura del Medio Evo che generò un arretramento culturale ma, cancellando la storia e le conoscenze precedenti, ci obbligò a rinnovare il pensiero e piantò il seme di un nuovo futuro: i cinesi partirono prima procedendo poi lentamente, mentre noi cademmo per poi rialzarci ed infine correre più veloci.

    La politica estera cinese

    La Cina insomma era l'unica superpotenza di allora, orgogliosamente isolata e sprezzante di ciò che la circondava: un mondo di barbari arretrati (denominati Yi o Fan), a volte pacifici come le genti del Sud a volte aggressivi come i mongoli e i giapponesi. Anche le persone più colte non si interessavano e sapevano poco degli altri popoli, abituate come erano a vivere su di un altro pianeta chiamato Cina; lo stesso Ma Huan, cronista e traduttore che partecipò ai viaggi della flotta, dice nelle sue memorie che non credeva che il mondo potesse

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