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Le Eredi del Faro Sepolto
Le Eredi del Faro Sepolto
Le Eredi del Faro Sepolto
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Le Eredi del Faro Sepolto

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About this ebook

“Un viaggio su un’isola lontana, una casa stregata, antichi incantesimi e sotterranei sepolti.

Tre ragazze partono per una vacanza,ignare di quel che le aspetta: l'impetuosa Lucrezia,la bella Jen, in fuga dalla grigia città, e la timida Conny, che vorrebbe solo attirare lo

sguardo di quel ragazzo appena incontrato.

Quando un giovane misterioso le trascinerà in un mondo sconosciuto fatto di sortilegi e

mistiche creature, scopriranno la verità su loro stesse e su poteri a lungo sopiti. Presto

dovranno superare le loro paure per svelare il mistero che avvolge l’eredità che le attende

da secoli e… trovare l’amore.”
LanguageItaliano
Publishereditrice GDS
Release dateDec 11, 2016
ISBN9788867825714
Le Eredi del Faro Sepolto

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    Le Eredi del Faro Sepolto - Ilaria Baviera

    Ilaria Baviera

    Ilaria Davoli

    Le Eredi del Faro Sepolto

    EDITRICE GDS

    EDITRICE GDS

    Ilaria Baviera – Ilaria Davoli

    Le eredi del faro sepolto

    ©Editrice GDS

    Via Pozzo 34

    20069 Vaprio d’Adda-Mi

    Mail: edizionigds@hotmail.it

    Ogni riferimento a cose, luoghi o persone citazioni o quant’altro descritto in questo romanzo è del tutto casualè

    TUTTI I DIRITTI SONO RISERVATI

    Alla nostra cara amica Agnese

    che ha letto questo libro per prima,

    ma solo dopo mesi di suppliche, lacrime e malocchi

    (e ora ha un bellissimo paio di baffi).

    1

    Il viaggio

    La ragazza cadde a terra esausta sulla fragile erba coperta di brina. L’abito, un tempo bianco, era strappato e macchiato di sangue, per la maggior parte non suo.L’alito si condensava nell’aria gelida della notte, creando forme sinuose che si dissolvevano nel buio. Un'altra fanciulla s’inginocchiò al suo fianco, aiutandola a rialzarsi. Si chiamava Dafne e le assomigliava molto, se non fosse stato per i capelli, che erano biondi e contrastavano con la folta massa corvina che incorniciava il bel volto della ragazza.

    –Dobbiamo tenere duro, Cloe: tra poco verranno ad aiutarci. Vedrai che ce la faremo – disse Dafne in un debole sussurro, cercando di trasmettere una sicurezza che non provava.

    L'altra sorrise mestamente: – Se arriveranno in tempo, Dafne. –

    Dafne la guardò seria, i capelli dorati risplendevano alla pallida luce della luna. Poi osservò il campo alle loro spalle: la collina immersa nelle tenebre era punteggiata da molteplici ombre scarlatte, vittime della sanguinosa battaglia. Un corpo disteso supino, disarmato e immobile, spiccava in mezzo agli altri per la veste di velluto nero che indossava.

    Avanti, l’ultimo sforzo, Cloe: non è ancora morto –la incitò Dafne, scorgendo un bagliore di speranza negli occhi viola della gemella. – Possiamo ancora fare qualcosa per lui. –

    Sollevando la gonna lacera e incrostata di fango, con fatica Dafne si fece strada tra i corpi dei caduti e si chinò ad accarezzare il volto dell’uomo dalla tunica nera.

    – Ce l’abbiamo fatta, padre. Abbiamo vinto – mormorò la fanciulla trattenendo le lacrime.

    Quando Cloe la raggiunse, Dafne si alzò e la prese per mano. – Dobbiamo resistere fino a terminare l’incantesimo o sarà stato tutto vano. Andrà tutto bene – la confortò con un sorriso incoraggiante. Gli occhi verdi di Dafne tradivano l’incertezza e l’angoscia che cercava di celare alla sorella. Tuttavia non c'era tempo per i dubbi.

    Cloe scosse la testa, incerta. – Sei sempre stata troppo ottimista. Guarda: non c’è nessuno a distanza di chilometri, non abbiamo più nemmeno la forza di accenderci un fuoco per sopravvivere alla notte. E… e poi, sono morti tutti… – aggiunse con un filo di voce guardando il paesaggio alle sue spalle, dove il silenzio gravava come una sentenza capitale da cui nessuno di loro era riuscito a sfuggire.

    Gli occhi di Dafne vagarono sul campo desolato, dove niente più si muoveva. La nebbia aleggiava tra l’erba umida, nascondendo i particolari dell’orrore che si era consumato quella notte. Si concentrò per distogliere lo sguardo dall’unica immagine che l’avrebbe sicuramente fatta crollare in quel momento, ma anche se i suoi occhi non la videro, quella figura le perforò l’anima, facendole tremare le labbra. Quel giovane soldato che sapeva farle dimenticare ogni cosa con un sorriso, che sempre splendeva di vita e di speranza, ora giaceva immerso in una pozza di sangue, con un pugnale conficcato nella schiena. E pensare che avrebbero dovuto sposarsi, la prossima luna. Insieme per sempre, era la promessa...

    Dafne si morse il labbro finché il dolore non le permise di allontanare quella terribile pena in agguato, pronta a dilaniarle l'anima.

    Cloe guardò la distesa di morte alle loro spalle: non c’erano superstiti. Erano caduti tutti, uno dopo l’altro: i loro amici d’infanzia, i parenti, quelli che un tempo erano loro alleati.

    Dafne chiuse gli occhi per impedirsi di piangere e strinse forte la mano della gemella. – Il traditore è stato eliminato e noi abbiamo prevalso sul male. Non sono morti invano. – affermò con sicurezza, impedendo alla sorella di precipitare nella disperazione. Non avevano tempo per quello, non ora. – Avanti, iniziamo! – esclamò, stringendosi a Cloe.

    Cominciarono a salmodiare all’unisono una lenta melodia. Si alzò un forte vento e una luce azzurrognola si sprigionò dal corpo del padre, disteso ai loro piedi. La voce di Dafne tremò: le forze la stavano abbandonando rapidamente, come previsto da Cloe, e la vista cominciava ad appannarsi, mentre il mondo attorno a lei si faceva nebuloso. Cloe vide la sorella cadere a terra priva di sensi e iniziò a tremare, sotto il tremendo sforzo di mantenere attivo da sola l’incantesimo che avrebbe salvato il padre.

    All'improvviso, il corpo dell’uomo iniziò a contorcersi e a mutare, accompagnato dalla voce tremula della figlia che sfidava il silenzio.

    La ragazza cadde in ginocchio cercando di resistere, ma invano: scivolò a terra inerte, mentre il vento calava e la luce svaniva, lasciando il posto al buio della notte.

    L’ultima cosa che Cloe vide fu un gatto bianco dagli occhi gialli e intelligenti che si avvicinava a lei per leccarle una ferita sulla mano. Poi l’oscurità l’avvolse.

    –Maestro… –

    – Dimmi Arben – rispose l’Anziano, richiudendo il voluminoso manoscritto che stava leggendo. La luce della candela tremò per lo spostamento d’aria facendo danzare le ombre del sotterraneo.

    –Ce l’abbiamo fatta, signore: le abbiamo trovate. –

    –Eccellente. – La figura incappucciata si avvicinò al giovane, mentre una mano scheletrica lo esortava a proseguire.

    –Saranno qui per l’estate, le sto facendo seguire da due dei nostri. Faranno rapporto per la fine della settimana. Tuttavia, date le prime informazioni, temo ci siano delle complicazioni… – Il discepolo esitò, cercando le parole giuste da usare per non mandare in collera il suo superiore.

    –Di che genere? – chiese l’uomo incappucciato con voce pacata.

    –Ecco, non sono esattamente come le avevano descritte, eppure sono certo che siano loro. Non voglio affannarvi con dubbi infondati, però – si affrettò ad aggiungere Arben, avvicinandosi all’antico tavolo dove il saggio stava lavorando.

    – E voi Maestro, avete trovato la formula negli scritti della Veggente? –

    –Devo finire di tradurre. Penso che farò un viaggio alla biblioteca della Città delle Vette, alle Torri di Pietra, per cercare nuove informazioni. Porterò con me gli alti sacerdoti per terminare i preparativi. Mentre sono via lascio tutto in mano a te – concluse con un lieve sorriso disegnato sulle labbra sottili, circondate da una ragnatela di rughe. Il giovane spalancò gli occhi per un attimo, sorpreso, ma riuscì a riacquistare subito l'abituale compostezza.

    –Grazie signore, sono onorato della vostra fiducia – rispose Arben compiaciuto, chinando appena la testa.

    –Non mi deludere. C’è ancora qualcosa che mi sfugge in questa faccenda. Spero di trovare ciò che mi serve alle Torri di Pietra. Sarò qui fra tre lune. E tu non le perdere di vista. Studiale e cerca un modo per convincerle, a qualsiasi costo – disse il vecchio incappucciato, con voce grave, guardando l’allievo negli occhi.

    –Ma signore, sono solo due ragazze... – protestò il discepolo con la fronte corrucciata.

    –Non possiamo permetterci di sbagliare, è troppo importante – affermò con voce dura il saggio. – Tu limitati a fare quello che ti è stato ordinato. Che il Guardiano ci guidi sempre. – Poi lo congedò, indicandogli la porta con un cenno.

    –E che la sua saggezza ci illumini – s’inchinò il giovane. – Buon viaggio, Maestro.–

    Arben si allontanò dall’Anziano in silenzio, chiudendosi alle spalle la pesante porta di quercia. Sospirò, quindi estrasse da una tasca il cellulare e scrisse rapidamente un messaggio. Esitò un attimo, poi premette Invia. Portale qui. Subito.

    E speriamo che siano pronte, pensò, lo sguardo perso lungo il vuoto corridoio di pietra.

    Conny aprì gli occhi di scatto, trattenendo a stento un grido di disperazione. Sono in ritardo, sono in ritardo, sono in ritardo!

    Gettò le coperte di lato e si precipitò giù dal letto, il cuore che batteva a mille. Lanciò un’occhiata angosciata all’orologio a forma di gufo che quel giorno sembrava voler deridere ancor di più la sua pigrizia. Non sarò mai pronta in tempo, gemette, guardando fuori dalla finestra il sole che splendeva alto, incurante della sua tragedia. La ragazza corse in bagno, si lavò il viso e gettò appena uno sguardo allo specchio; passandosi una mano tra i capelli decise che non aveva tempo di domare quella chioma ribelle: tra le ciocche color miele regnava la più totale anarchia.

    Quindi infilò un paio di jeans, le scarpe da ginnastica e si lanciò giù dalle scale, correndo come inseguita da una muta di cani inferociti.

    Appena fuori da casa un vento caldo le accarezzò il viso, scompigliandole ulteriormente i capelli e facendoli brillare di riflessi dorati. Scosse la testa per ricacciarli indietro facendo tintinnare i pendagli del suo orecchino a forma di luna, con una pietra blu incastonata e tre ciondoli stellati, che non toglieva mai.

    Era una giornata serena, le foglie dei platani frusciavano allegre lungo il viale, un cane abbaiava dietro un cancello imponente e un gruppo di ragazzini rideva giocando in un giardino vicino.

    Conny si fermò per un attimo a godersi il bacio tiepido del sole del mattino, respirando a fondo la fragranza di settembre e pregustando la vacanza che si meritava. Aveva lavorato tutta l'estate per pagarsi questo viaggio: per la prima volta da sola con le sue amiche del cuore!

    Poi si riscosse, ricominciando a correre lungo i viali alberati.

    Jennifer la stava aspettando seduta al bar, tamburellando le unghie laccate sul tavolino di plastica. Protetta dal sole da un cappello a tesa larga, con i lunghi capelli neri che scendevano in onde sinuose sulle spalle, indossava un abitino viola che metteva in risalto il suo fisico snello. Appena la vide si tolse gli occhiali da diva e le lanciò uno sguardo seccato.

    –Sei...– iniziò.

    –… in ritardo! Lo so. Mi dispiace – la interruppe Conny, esausta, lasciandosi cadere su una sedia.

    Jen la studiò con occhio critico, alzando un sopracciglio. – Ti sei pettinata stamattina? –

    Conny trattenne il fiato, sgranando i grandi occhi blu. – Certo… – balbettò incerta. O almeno credo...

    –E quella è una maglia del pigiama – aggiunse Jen, scuotendo la testa nel vedere la t-shirt celeste con una buffa stella sorridente.

    –Certo che no! – ribatté Conny drizzando la schiena, nervosa. – È successo solo una volta, non puoi rinfacciarmelo ancora! –

    Ma l’amica la ignorò e si alzò con un movimento disinvolto, facendole cenno di fare altrettanto. Con movimenti esperti le annodò la maglietta gigante appena sotto l’ombelico e la costrinse a indossare la sua giacchetta di jeans. Poi fece un passo indietro, sorridendo compiaciuta del suo operato.

    –Ora possiamo farci vedere insieme – disse, raccogliendo la sua valigia. – Per i capelli invece servirebbe un miracolo... –

    Conny decise di non offendersi e lanciò uno sguardo imbarazzato ai pochi centimetri di pancia che adesso restavano scoperti e la facevano sentire nuda. La giacca che le aveva prestato Jen probabilmente costava più del suo intero guardaroba e decise di restituirgliela il prima possibile, ovvero appena avesse avuto tempo di sostituire la maglia del pigiama con una di quelle in valigia, pensò arrossendo.

    – Mostrare un po’ di pelle non ti ucciderà, Conny – intervenne Jen, vedendola esitare. – E adesso andiamo a recuperare l’ultimo membro del terzetto, l’impavida Lucrezia – sospirò, iniziando a camminare verso la sala d’attesa, ancheggiando sinuosa sui sandali griffati. – È arrivata prima di me, ma poi ha incontrato un vecchio amico e ha deciso di litigare con lui invece di farmi compagnia al bar. Scommetto che sarà ancora lì a far impazzire quel poveretto. –

    Conny sorrise divertita. Luki infatti era un idealista-attivista-femminista e un sacco di altri -ista. Intemperante e dal carattere focoso, quando iniziava un dibattito non smetteva di parlare finché l’avversario non si dichiarava sconfitto o non chiamava la polizia.

    – Speriamo che si muova perché sono già di pessimo umore: stanotte ho fatto un sogno strano, con delle ragazze vestite malissimo e un vecchio incappucciato che blaterava cose inquietanti… – aggiunse Jen, trascinando il trolley lungo i marciapiedi appiccicosi della stazione con aria schifata.

    Come aveva previsto la discussione era ancora in atto. Alta, con lunghi capelli rossi e una camicia dello stesso colore, Lucrezia era perfettamente riconoscibile in mezzo ai pendolari del mattino, anche perché stava importunando un ragazzo moro e dinoccolato, vestito in modo elegante, e lo faceva a tutto volume.

    Le due amiche si lanciarono uno sguardo sconfortato: interrompere Lucrezia non era cosa facile e comunque assai pericolosa.

    – Luki, muoviti! Vuoi farci perdere il treno? – l'apostrofò Jen seccata, avvicinandosi a passo di marcia.

    Lucrezia la ignorò.

    Jen sbuffò dalle narici furiosa, stringendo i pugni. – Lucrezia! – ringhiò, stringendo a fessura gli occhi smeraldo che avevano già conquistato tanti cuori. Stava per inveire contro di lei quando fu interrotta.

    –Ivan, andiamo! Hanno annunciato il nostro treno. Tu e la rossa volete invecchiare lì? – esclamò un ragazzo alle loro spalle.

    A sentire la voce calda e divertita del nuovo arrivato i radar di Conny si attivarono, portandola a voltarsi di scatto per vedere chi stesse parlando: era alto, con i capelli castani raccolti in numerose treccine, e sotto la camicia hawaiana s’intravedeva un fisico da capogiro. Il cuore di Conny iniziò a battere all’impazzata, mentre il viso le s'imporporava senza motivo. La ragazza si voltò, nascondendosi alla vista degli altri per portarsi le mani alle guance bollenti: maledizione a lei e alle sue reazioni adolescenziali! In fondo quello era soltanto un ragazzo qualunque. Un bellissimo ragazzo qualunque che non l'aveva degnata di uno sguardo.

    – Che modi! – si lamentò Jen, spintonata di lato senza tante cerimonie.

    – Ivan, sbrigati dai! – esortò il nuovo arrivato, afferrando il braccio dell’amico. Il giovane gli lanciò uno sguardo di disprezzo, staccandosi dalla sua presa. – Da quando comandi tu, Treccine? – sibilò, sfidandolo con lo sguardo. Poi afferrò la sua valigia con gesto brusco e si allontanò.

    Solo in quel momento Lucrezia le notò. – Era ora! Dove eravate finite? Volevate farmi perdere il treno? – sbottò indignata, incrociando le braccia sul petto.

    Jen aprì la bocca per ribattere, sconcertata, ma l’amica fu più veloce. – Cosa state aspettando? – le incitò Luki irritata. – Il treno è sul binario – e si incamminò verso la carrozza senza guardarsi indietro.

    Jen respirò a fondo, cercando di calmarsi. – Ti giuro che le voglio bene – sospirò, sfregandosi la fronte – ma a volte la strozzerei. –

    Il ragazzo con le treccine guardò per qualche secondo Lucrezia e la sua enorme valigia che si allontanavano, poi scosse le spalle e si voltò verso le due ragazze, tendendo loro la mano.

    –Piacere, io sono Adam, è un peccato che ci dobbiamo incontrare in queste circostanze… – disse sorridendo per l’insolita situazione.

    – Ciao, io sono in ritardo – ribatté Jen, afferrando Conny per un braccio e trascinandola verso il binario. Le gambe di Conny opposero resistenza, tentando con tutte le loro forze di rimanere vicino ad Adam. Era solo un treno, dopotutto. C'erano un sacco di Intercity Plus diretti al mare ogni giorno: perderlo non sarebbe stato poi così grave. Conny si divincolò dalla presa dell’amica e porse la mano ad Adam, sorpresa di riuscire a pronunciare il proprio nome senza soffocare.

    – Conoscevi già la nostra Lucrezia? – chiese Conny, convincendosi che il rossore delle sue guance fosse dovuto al caldo e non al contatto con la pelle del ragazzo. E poi c’è il sole. Potrei essere stata in piscina. Non lo noterà di sicuro... Vero? si domandò, distogliendo gli occhi dal sorriso smagliante di Adam.

    – Ci siamo conosciuti in un locale: ha litigato con un mio amico – sorrise Adam, ricordando il loro primo incontro. Dove state andando di bello, ragazze? –

    Jen raggiunse in fretta Conny, esasperata – Treno. Binario. Ritardo. Noi. Andare – scandì a gesti, come se stesse parlando a due idioti.

    Conny annuì rassegnata e radunò le sue cose per raggiungere il vagone. I treni sono sempre in ritardo e oggi spaccano il minuto, si lamentò mentalmente tra sé e sé. – Stiamo andando all’Isola dei Narcisi a salutare l’estate… – spiegò sovrappensiero Conny, rispondendo alla domanda del ragazzo.

    – Anche noi! –

    A Conny cadde la borsa dalle mani e si affrettò chinarsi per riprenderla, mentre Adam controllava gli orari sul tabellone. – Che coincidenza – commentò il ragazzo, estraendo il biglietto da una tasca dei jeans.

    – Fantastico! – interruppe sarcastica Luki, che nel frattempo era tornata indietro accorgendosi dell’assenza delle sue compagne di viaggio: – Sono veramente felice! Ora abbiamo due bei guastafeste a rovinarci la vacanza! – Con un gesto di stizza raccolse il bagaglio e tornò sui propri passi, trascinandosi dietro Jen. – Siamo al binario 3. Quello non era il nostro treno – esclamò senza voltarsi.

    – Un discorso breve, ma intenso – commentò Conny con disappunto. – È meglio lasciarla perdere – concluse ridendo di gusto insieme ad Adam, e si avviò verso quella che sarebbe dovuta essere una vacanza come tutte le altre.

    Trovarono uno scompartimento libero dove poter stare seduti tutti e cinque insieme, anche se alcuni di loro gradivano questa vicinanza più di altri. Conny si sedette di fronte ad Adam, cercando di far sembrare la cosa del tutto casuale.

    Dopo che si furono sistemati nello scompartimento scese il silenzio, un profondo e imbarazzante silenzio. Conny si mise a sfogliare una rivista trovata sul sedile, una scusa qualsiasi per costringersi a non ricadere nella solita pessima abitudine, facendosi scoprire intenta a fissare Adam con sguardo inebetito: sarebbe stato un inizio terribile! Scoppiò a ridere immaginandosi in impermeabile grigio, nascosta dietro a un giornale con i buchi per gli occhi, mentre faceva la guardona. Si coprì il viso con le pagine della rivista, cercando di non attirare troppo l’attenzione. Accidenti, perché tutte le volte che cerco di non sembrare pazza finisco per sembrare idiota? Controllò più volte che l’intervento di Jen sulla sua maglia non mostrasse cose imbarazzanti, ma per fortuna restando seduta immobile riusciva a non sembrare una femmina impudica.

    Luki guardava fuori dal finestrino con aria pensosa, e quando aveva quella faccia era meglio non disturbarla: come diceva sempre lei, stava cogitando, e se veniva interrotta e perdeva il filo dei suoi pensieri si arrabbiava sul serio.

    Jen si guardò attorno, valutando i nuovi arrivati. Avrebbero dovuto fare tutto il viaggio insieme ed era probabile che se li sarebbero trovati attorno anche al mare. E allora addio alla vacanza solo donne! Sbuffò, irritata dalla piega inaspettata che avevano preso gli eventi. Non amava le sorprese, soprattutto se erano rappresentate da eccentrici ragazzi che si lanciavano in continuazione occhiate cariche d’odio e di sfida.

    Ivan, il ragazzo moro, si sistemava il polsino della camicia con fare nervoso. Neanche fosse un aristocratico, pensò Jen. Non solo indossava vestiti terribilmente fuori moda, ma portava anche un anello con smeraldo al mignolo: orribile! Treccine, invece, com’è che si chiamava? Ah già, Adam aveva acceso l’I-pod e sembrava non desiderare alcun contatto con Ivan o con il mondo esterno, nonostante studiasse tutti con sguardo attento e pensieroso.

    Il treno partì lento e in terribile ritardo, forse ascoltando le incessanti preghiere di Conny. L’unico rumore era lo sferragliare delle ruote metalliche sui binari.

    Conny chiuse la rivista, accartocciandola in un angolo del sedile: articoli su trucchi e scarpe potevano attirare la sua attenzione per un massimo di quattro minuti. Cambiò posizione un paio di volte, cercando di distrarsi. Stava prendendo tempo, tuttavia sapeva che non poteva resistere a lungo: doveva parlargli.

    – Adam... – esordì, cercando di far assumere alla voce un tono vago, come se avesse fatto fatica a ricordare il suo nome. Certo, come no?

    Il ragazzo si tolse una cuffia, rivolgendo a Conny uno sguardo interrogativo. Un bellissimo sguardo interrogativo. La mente di Conny si svuotò per un attimo. Bianco. Totale. Silenzio assoluto. Abbassò gli occhi di scatto e si accorse che la sua materia grigia ricominciava a lavorare a rilento.La ragazza sorrise, cercando di far finta di niente e ripromettendosi di non parlare più per il resto del viaggio, se non per il resto della vita.

    Certo, si disse Conny, potrei fare voto di silenzio per tutta la mia esistenza. Salire su un monte altissimo e diventare una specie di guru muto. Scriverebbero di me anche i giornali e allora...

    – Volevo chiedervi... come mai andate proprio sull’Isola dei Narcisi? Insomma, non è una meta molto frequentata. E poi tu e Ivan non sembrate molto amici... –

    Jen urlò mentalmente un insulto all’amica, terrorizzata dalla possibile reazione dei ragazzi: erano ben cinque minuti che restavano zitti, lanciandosi solo qualche occhiata d’astio ogni tanto. Si chiese se era per espiare qualche terribile peccato che era finita in uno scompartimento di tre metri per due con due pazzi e un’amica autolesionista.

    – Dobbiamo fare una ricerca per un esame dell’università, Storia e folclore locale, e grazie allo stupido metodo a sorteggio del prof. devo lavorare in coppia con una bocciatura sicura – rispose Ivan sospirando rassegnato, anticipando il suo compagno. – Un tempo l’isola era abitata da un popolo insolito, con tradizioni molto interessanti. Si faceva chiamare il popolo del Falco. Pare fossero ricchissimi e non si sa dove siano finiti tutti i loro oggetti preziosi dopo che la civiltà si fu trasferita sulla terra ferma. In realtà non ho ben capito cosa dobbiamo fare, spero non una caccia al tesoro. Anche se a Treccine piacerebbe: ha portato dietro anche il costume da pirata... – concluse sprezzante, continuando a guardare fuori dal finestrino.

    – Il costume da pirata mi sta benissimo, per la cronaca – ribatté Adam sorridendo con strafottenza all'indirizzo di Ivan. – Vedi Conny – riprese rivolgendosi alla ragazza mentre cercava di escludere Ivan dalla conversazione – questa situazione non piace a nessuno, ma ci siamo finiti dentro e quindi faremo del nostro meglio. E cercheremo anche di divertirci – sorrise chinandosi verso di lei.

    Conny si portò una mano alla guancia, aspettandosi di trovarla bollente come al solito. E invece no: non era arrossita! Riusciva a pensare liberamente e a sorridere senza che il suo sorriso sembrasse una smorfia di agonia. La ragazza incrociò le gambe, appoggiandosi sui braccioli.

    – Quello che hai appeso al collo non è il simbolo Maya del fuoco? – chiese ancora, inclinando la testa, entusiasta della propria insolita lucidità. Aveva notato il ciondolo di Adam mentre cercava con tutte le sue forze di distogliere gli occhi dal suo sguardo ammaliante.

    – In effetti questo... –

    Jen scollegò l’audio: non aveva nessuna intenzione di ascoltare Conny che flirtava con Adam per tutto il viaggio. Dopo essersi rimproverata più volte per non aver comprato le parole crociate, Jen si mise ad osservare i nuovi arrivati. Adam aveva sempre il sorriso stampato sulle labbra e indossava una collana di perline di legno con un intricato simbolo tribale che il compagno di studi non avrebbe portato neanche per un miliardo di dollari. Ivan era torvo, alto e magrissimo. Vestiva solo di nero, il che stonava abbastanza in piena estate. Entrambi dovevano avere circa vent’anni.

    Adam, doveva ammetterlo, aveva un fisico che non aveva niente da invidiare a un nuotatore olimpionico. Ma sorride un po’ troppo per i miei gusti. Gli verranno le rughe. In più qualcuno dovrebbe insegnargli a vestirsi e a pettinarsi, prima di uscire.

    Conny intanto aveva già estratto i generi di conforto che teneva sempre in borsetta: due pacchetti di biscotti al cioccolato e quattro merendine. Era per questo motivo che Jen, a prima vista, l’aveva odiata: quella ragazza mangiava in ogni momento del giorno e non ingrassava di un etto. Non si poteva che invidiare il suo metabolismo astronomico, come lo definivano le amiche.

    Jen sbadigliò e si appoggiò meglio allo schienale. Aveva ancora molto tempo da trascorrere sul treno con quel gruppo di squilibrati: poteva permettersi un pisolino. Appoggiò la testa sul sedile e chiuse gli occhi, cullata dall’ondeggiare del treno e dalla voce melodiosa di Conny che chiacchierava con Adam.

    – Stai scherzando? –

    – No, è vero! –

    – Ma sei sempre stato così? –

    – Così come? –

    Jen era seduta in una stanza dalle fredde pareti di pietra. Abbassò gli occhi verso il suo interlocutore e vide un gatto bianco con la coda nera, seduto con aria regale su uno sgabello antico. Lei gli lanciò un’occhiata di rimprovero per la domanda un po' stupida.

    – Indisponente e irascibile – spiegò laconica.

    Il gatto le soffiò in faccia e si rimise a parlare. Jen abbassò lo sguardo e si rese conto d'indossare un vestito strano. Le ricordava… Oh che orrore! Sembro un confetto! pensò guardando il soffice abito bianco che l’avvolgeva.

    Si trovava in una stanza circolare di pietra, arredata con pesanti mobili di legno. Le finestre ad arco erano sbarrate e l’unica luce presente proveniva dai molti candelabri incastonati nelle pareti. Jen sentì un rumore alle sue spalle e voltandosi si accorse che l’unica porta della sala si era aperta lasciando entrare l’impiegato dell’agenzia di viaggi che aveva consigliato loro l’Isola dei Narcisi. Indossava una tonaca nera, aveva i capelli strinati e la guardava con astio. Il giovane uscì dalla porta di fronte a lei, facendo risuonare con ostentazione i propri passi sulle scale. Al piano di sotto c’era un'altra persona – una donna, a giudicare dalla voce – che ora stava ridendo insieme a lui.

    Sapeva di stare aspettando qualcuno, mentre faceva finta di ascoltare le chiacchiere insulse di un gatto parlante. Sentì un lieve rumore di passi che scendevano le scale e una voce austera ma gentile che la salutava,

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