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Il libro della giungla
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Il libro della giungla

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Il libro della giungla di Rudyard Kipling è tra i romanzi per ragazzi più amati. Si presenta come una raccolta di racconti a cui ha fatto seguito Il secondo libro della giungla nel 1895. Le storie del libro della giungla narrano del piccolo Mowgli, "il cucciolo d’uomo" rapito da una tigre, Shere Khan, e poi adottato dai lupi che lo educano insegnandogli come riuscire a sopravvivere nella giungla.

LanguageItaliano
Release dateDec 23, 2013
ISBN9788897543442
Author

Rudyard Kipling

Rudyard Kipling was born in India in 1865. After intermittently moving between India and England during his early life, he settled in the latter in 1889, published his novel The Light That Failed in 1891 and married Caroline (Carrie) Balestier the following year. They returned to her home in Brattleboro, Vermont, where Kipling wrote both The Jungle Book and its sequel, as well as Captains Courageous. He continued to write prolifically and was the first Englishman to receive the Nobel Prize for Literature in 1907 but his later years were darkened by the death of his son John at the Battle of Loos in 1915. He died in 1936.

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    Il libro della giungla - Rudyard Kipling

    Il libro della giungla

    Rudyard Kipling

    Karta Edizioni

    Indice

    Prefazione

    1. I Fratelli di Mowgli

    Canto di caccia del Branco Seeonee

    2. La caccia di Kaa

    Canzone di marcia delle Bandar-log

    3. La tigre! La tigre!

    La canzone di Mowgli

    4. La foca bianca

    Lukannon

    5. Rikki-Tikki-Tavi

    Cantata di Darzee

    6. Toomai degli Elefanti

    Shiva e la cavalletta

    7. Al servizio della Regina

    Canzone della Rivista degli animali al campo

    © 2013 Rotfuchs Ltd

    Titolo Originale: The jungle books


    Prima edizione: 2013 • Seconda edizione: 2015 • Terza edizioni: 2016

    Copertina di Jessica Marino


    kartaedizioni.it

    Prefazione

    Le infinite notizie che un lavoro di questo genere richiede costringono il compilatore a ricorrere alla generosità di specialisti, e gli mancherebbe qualsiasi titolo a tale loro generosità se non fosse disposto al riconoscimento più ampio possibile di quanto a loro egli deve.

    I suoi ringraziamenti sono dovuti, in primo luogo, al colto e abilissimo Bahadur Shah, elefante facchino 174 nei Registro Indiano, il quale, con la sua amabile sorella Pudmini, molto cortesemente fornì la storia di «Toomai degli Elefanti» e molte delle informazioni contenute in Servi della Regina. Le avventure di Mowgli furono raccolte in tempi e luoghi diversi e da una moltitudine d’informatori, la maggior parte dei quali desidera conservare il più stretto incognito. Però, dopo tanto tempo, il compilatore può ringraziare un signore indù del vecchio stampo, stimato abitante degli alti pendii di Jakko, per la sua convincente, se pur alquanto caustica valutazione delle caratteristiche nazionali della sua casta: i Presbiti; Sahi, un sapiente dalle infinite ricerche e abilità, membro della recente dispersa Banda Seeonee e un artista ben noto alla maggior parte delle fiere dell’India meridionale, dove la sua danza alla museruola col suo padrone, attrae con la giovinezza, bellezza e cultura di molti villaggi. Questi hanno contribuito con i più preziosi dati su gente, usi e costumi, liberamente trattati nelle storie di La tigre!, La caccia di Kaa e I fratelli di Mowgli. Per la trama di Rikki-Tikki-Tavi il compilatore è debitore ad uno dei principali erpetologisti dell’india superiore, un investigatore senza paura e indipendente, il quale avendo deciso «di non vivere, ma conoscere», sacrificò ultimamente la sua vita per troppa applicazione allo studio della nostra Tanatofidia orientale. Un fortunato accidente di viaggio rese possibile al compilatore, allorché viaggiava sull’Imperatrice d’India, di rendere un piccolo servigio ad un compagno di viaggio. Quanto largamente il suo piccolo servigio sia stato ripagato, possono giudicarlo i lettori de La Foca Bianca.

    Capitolo Uno

    I Fratelli di Mowgli

    Ora Chii, il Nibbio, riconduca la notte

    che Mang, il Pipistrello, lascia libera...

    Le mandrie sono chiuse in stalle e capanne,

    ché liberi noi siamo sino all’alba.

    Ora d’orgoglio e di potenza è questa

    tallone e zanne e artiglio.

    Oh ascoltate il richiamo!... Buona caccia a tutti

    quelli che rispettano la Legge della Giungla!


    Canto notturno nella Giungla


    Erano le sette di sera di una caldissima giornata nelle colline di Seeonee, quando Papà Lupo si destò dal suo riposo diurno, si grattò, sbadigliò, e stirò le zampe una dopo l’altra per liberare le estremità dal torpore del sonno. Mamma. Lupa stava distesa col grosso muso grigio tra i suoi quattro cuccioli che si rotolavano guaendo, e la luna splendeva nella bocca della tana dove tutti abitavano.

    «Augrh!», disse Papà Lupo, «è ora di andare nuovamente a caccia». Stava infatti per lanciarsi giù per la collina, quando una piccola ombra con una coda folta attraversò la soglia e mugolò:

    «La buona fortuna t’accompagni, o Capo dei Lupi; e buona fortuna e forti denti bianchi ai tuoi nobili figli, e che essi non dimentichino mai gli affamati di questo mondo».

    Era lo sciacallo, Tabaqui, il Leccapiatti, e i lupi dell’india disprezzano Tabaqui perché egli corre intorno a far guai, a raccontar frottole, mangiando cenci e pezzi di cuoio nei mucchi di immondizie dei villaggi. Ma hanno anche paura di lui, perché Tabaqui, più di ogni altro nella Giungla, può perdere la ragione e allora dimentica che ha sempre avuto paura di tutti, e corre per la foresta e morde tutto ciò che incontra. Persino la tigre scappa e si nasconde quando il piccolo Tabaqui impazzisce, perché la pazzia è la cosa più vergognosa che possa capitare a una creatura selvatica. Noi la chiamiamo idrofobia, ma loro la chiamano dewanee, la pazzia, e fuggono.

    «Entra, dunque, e guarda», disse Papà Lupo, burbero; «ma non c’è nulla da mangiare qui».

    «Per un lupo, no», disse Tabaqui; «ma per un miserabile come me un osso spolpato è un lauto banchetto. Chi siamo noi, iGidurlog (il popolo degli sciacalli), per esaminare e scegliere?». Sgattaiolò in fondo alla tana, dove trovò un osso di capriolo con un po’ di carne sopra, e si accoccolò a rosicchiarlo tutto felice.

    «Infinite grazie per questo buon pasto», diss’egli, leccandosi le labbra. «Quanto sono belli i vostri nobili figli! Come sono grandi i loro occhi! E così giovani ancora! Veramente, veramente, avrei dovuto ricordarmi che i figli dei re nascono adulti sin dal principio».

    Ora, Tabaqui sapeva quanto ogni altro che non vi è nulla di maggior malaugurio del far complimenti in faccia ai bambini; ma gli faceva piacere di veder Mamma Lupa e Papà Lupo turbati.

    Tabaqui rimase tranquillamente accoccolato a godersi il male che aveva fatto, poi disse malignamente:

    «Shere Khan, il Grosso, ha mutato i suoi campi di caccia. Caccerà da queste colline durante la prossima luna, così mi ha detto».

    Shere Khan era la tigre che viveva vicino al fiume Waingunga, venti miglia lontano.

    «Non ne ha alcun diritto!», cominciò Papà Lupo in collera, «e secondo la Legge della Giungla, non ha alcun diritto di mutare i suoi luoghi senza debito avviso. Spaventerà tutti i capi di bestiame per dieci miglia all’intorno, e io... io ho da ammazzare per due, in questi giorni».

    «Sua madre non l’ha chiamato Lungri (lo Zoppo) per nulla», disse Mamma. Lupa, tranquillamente. «È zoppo da un piede sin dalla nascita. Per questo ha soltanto ucciso armenti. Ora i contadini della Waingunga sono in collera con lui, ed egli è venuto qui per far andare in collera anche i nostri contadini. Batteranno la Giungla per dargli la caccia quand’egli sarà già lontano, e noi e i nostri figlioli dovremo fuggire quando sarà dato fuoco all’erba. Davvero, siamo molto grati a Shere Khan!».

    «Debbo dirgli della vostra gratitudine?», domandò Tabaqui.

    «Fuori!», ringhiò Papà Lupo. «Vattene a cacciare col tuo padrone. Tu hai fatto abbastanza male per una notte».

    «Me ne vado», disse Tabaqui, tranquillamente. «Potete udire Shere Khan giù nelle macchie. Avrei potuto risparmiarmi l’ambasciata».

    Papà Lupo stette in ascolto, e, giù nella valle che scendeva a un piccolo fiume, udì l’ululare rabbioso e rauco di una tigre che si lamentava di non aver preso nulla, e non le importava che tutta la Giungla lo sapesse.

    «Che stupido!», disse Papà Lupo. «Cominciare una notte di lavoro con simile chiasso! Crede forse che i nostri caprioli siano come i suoi grassi giovenchi della Waingunga?»

    «Sss! Non caccia né caprioli né giovenchi stanotte», disse Mamma Lupa. «Caccia l’Uomo».

    Il lamento s’era mutato in una specie di sonoro mugolio, che sembrava giungesse da ogni parte dell’orizzonte. Era il rumore che sgomenta i taglialegna e gli zingari che dormono all’aperto, e li fa correre talvolta proprio in bocca alla tigre.

    «L’Uomo!», esclamò Papà Lupo, mostrando tutti i suoi denti bianchi. «Puf! Non ci sono abbastanza scarafaggi e rane negli stagni, che egli debba mangiare l’Uomo, e sul nostro campo per giunta?».

    La Legge della Giungla, che non ordina mai nulla senza una ragione, proibisce a tutte le bestie di mangiare l’uomo, eccetto quando uccidono per mostrare ai loro figli come si uccide, ma allora debbono cacciare fuori dai luoghi di caccia del loro Branco e della loro tribù. La vera ragione di questo è che l’uccisione dell’uomo significa, presto o tardi, l’arrivo di uomini bianchi su elefanti, con fucili, e di centinaia di uomini di colore con gong, razzi e torce. Allora tutti nella Giungla ne soffrono. La spiegazione che le bestie si danno tra loro è che l’uomo è il più debole e il meno difeso di tutti gli esseri viventi, e che non è cavalleresco attaccarlo. Dicono pure, ed è vero, che i mangiatori di uomini diventano rognosi e perdono i denti.

    Il mugolio divenne più forte e finì nell’«Aaarh!» a piena gola dell’assalto della tigre.

    Poi vi fu un urlo, un urlo non da tigre, di Shere Khan.

    «Non è riuscito», disse Mamma. Lupa. «Cos’è?».

    Papà Lupo corse qualche passo fuori e udì Shere Khan borbottare rabbioso mentre rotolava qua e là nella boscaglia.

    «Quello stupido ha avuto così poco buonsenso da saltare nel fuoco dell’accampamento di qualche taglialegna, e s’è bruciato le zampe», disse Papà Lupo con un grugnito. «Tabaqui è con lui».

    «Qualche cosa sale il pendio», disse Mamma Lupa, drizzando un orecchio. «Tienti pronto».

    S’udì un lieve fruscio nel folto dei cespugli, e Papà Lupo si piegò sulle zampe posteriori, pronto a lanciarsi. Allora, se foste stati là a guardare, avreste visto la cosa più meravigliosa del mondo, l’arrestarsi del lupo a metà del suo slancio. Egli spiccò il salto prima di veder su che cosa si lanciasse, poi tentò di arrestarsi col risultato di balzare diritto in aria per quattro o cinque piedi di altezza, ricadendo quasi allo tesso punto.

    «Uomo!», ringhiò. «Un cucciolo d’Uomo. Guarda!».

    Proprio davanti a lui, reggendosi ad un ramo basso, stava un bambino nudo, bruno, che poteva appena camminare; una creaturina morbida e paffutella come non era mai capitata di notte in una tana di lupi. Il bambino alzò gli occhi in faccia a Papà Lupo e rise.

    «È quello un cucciolo d’Uomo?», chiese Mamma Lupa. «Non ne ho mai visto uno. Portalo qui».

    Un lupo abituato a trasportare i suoi cuccioli può, se è necessario, prendere tra i denti un uovo senza romperlo, e benché le mascelle di Papà Lupo si chiudessero sul dorso del piccino, non un dente gli graffiò la pelle nel deporlo fra i cuccioli.

    «Come è piccolo! E come è nudo... e ardito!», esclamò Mamma Lupa, dolcemente. Il bambino si faceva largo tra i cuccioli per avvicinarsi al petto caldo di Mamma Lupa. «Ahi ! Vuol fare il pasto con gli altri. E così, questo è un cucciolo d’uomo. Ebbene, c’è mai stata una lupa che abbia potuto vantare un cucciolo d’uomo tra i suoi figlioli?»

    «Ho udito parecchie volte una cosa simile, ma mai nel nostro Branco o ai tempi miei», disse Papà Lupo. «È completamente senza pelo e lo potrei uccidere con un solo tocco della mia zampa. Ma vedi, ci guarda e non ha paura».

    Il chiaro di luna scomparve dall’entrata della tana, perché la grossa testa quadrata e le spalle di Shere Khan l’occupavano tutta. Tabaqui, dietro di lui, guaiva:

    «Mio signore, mio signore, è entrato qui!».

    «Shere Khan ci fa grande onore», disse Papà Lupo, ma i suoi occhi esprimevano una grande collera. «Di cosa ha bisogno, Shere Khan?»

    «La mia preda. Un cucciolo d’uomo è venuto da questa parte», disse Shere Khan. «I suoi genitori sono fuggiti. Dammelo!».

    Shere Khan era balzato sul fuoco di accampamento del taglialegna, come aveva detto Papà Lupo, ed era furioso per il dolore alle zampe. Ma Papà Lupo sapeva che l’entrata della tana era troppo stretta perché vi potesse passare una tigre. Persino lì dov’era, le spalle e le zampe anteriori di Shere Khan non si potevano muovere. Un uomo si troverebbe così, se cercasse di combattere dentro un barile.

    «I Lupi sono un popolo libero», disse Papà Lupo. «Ubbidiscono agli ordini del Capo del Branco, ma non a quelli di un qualsiasi ammazzarmenti tigrato. Il cucciolo d’uomo è nostro... e possiamo ammazzarlo, se vogliamo».

    «Che volere o non volere? Che discorsi sono questi? Per il toro che ho ammazzato, debbo io forse stare qui ad annusare il vostro canile, per avere quello che giustamente mi spetta? Sono io, Shere Khan, che parlo».

    Il ruggito della tigre fece rintronare tutta la caverna. Mamma Lupa scrollò il cucciolo di dosso e balzò innanzi. I suoi occhi, simili a due lune verdi nell’oscurità, fissarono quelli fiammeggianti di Shere Khan.

    «E sono io, Raksha (la Diavola), che ti rispondo. Il cucciolo dell’uomo è mio, Lungri, proprio mio, di me. Non sarà ammazzato. Vivrà per correre col Branco, e per cacciare col Branco; e alla fine, sentite... cacciatori di cuccioletti nudi... mangiaranocchi... ammazzapesci... esso darà la caccia a te! E adesso vattene, o per il Sambhur che ho ammazzato (io non mangio bestiame morto di fame), torna da tua madre, bruciacchiata bestia della Giungla, più zoppo di quando mai venisti al mondo. va’!».

    Papà Lupo guardò stupito. Aveva quasi dimenticato i giorni in cui si era conquistato Mamma. Lupa in leale combattimento contro altri cinque lupi, quando essa correva col Branco e non era chiamata la Diavola per complimento. Shere Khan avrebbe potuto affrontare Papà Lupo, ma non poteva tenere testa a Mamma Lupa, perché sapeva che dove egli si trovava essa aveva tutto il vantaggio del terreno e si sarebbe battuta a morte. Così si ritrasse dalla bocca della tana ringhiando, e quando fu fuori urlò:

    «Ogni cane abbaia nel suo cortile ! Vedremo che cosa ne dirà il Branco di questo allevamento di cuccioli d’uomo. Il cucciolo è mio e dovrà cadere sotto i miei denti alla fine, o ladri dalla coda di volpe!».

    Mamma Lupa si accasciò ansando tra i cuccioli e Papà Lupo le disse in tono grave:

    «Shere Khan dice purtroppo la verità. Il cucciolo deve essere mostrato al Branco. Vuoi ancora tenerlo, Mamma?»

    «Tenerlo!», esclamò ansando sorpresa. «È giunto nudo, di notte, solo e affamato; eppure non aveva paura. Guarda, ha già spinto da parte uno dei miei piccini. E quel macellaio zoppo avrebbe voluto ammazzarlo, e poi sarebbe fuggito alla Waingunga, mentre i contadini qui avrebbero fatto una battuta ai nostri covili per vendicarsi. Tenerlo? Sicuro che lo terrò. Giù, cuccia, piccolo ranocchio. O Mowgli, poiché Mowgli, il Ranocchio, ti voglio chiamare, verrà il giorno in cui tu caccerai Shere Khan come egli ha cacciato te».

    «Ma che dirà il nostro Branco?», domandò Papà Lupo.

    La Legge della Giungla stabilisce molto chiaramente che ogni lupo può, quando sposa, ritirarsi dal Branco a cui appartiene; ma appena i suoi cuccioli sono cresciuti abbastanza da reggersi in piedi, egli deve condurli al Consiglio del Branco, che si tiene generalmente una volta al mese a luna piena, affinché gli altri lupi possano identificarli. Dopo questa ispezione, i cuccioli sono liberi di correre dove vogliono, e finché non hanno ucciso il loro primo capriolo, nessuna scusa è accettata se uno dei lupi adulti del Branco li uccide. La punizione è la morte ovunque l’uccisore è trovato; e se tu ci pensi un momento, vedrai che dev’ essere così.

    Papà Lupo attese finché i suoi cuccioli furono in grado di correre un poco, poi, la notte della Riunione del Branco, li condusse con Mowgli e Mamma. Lupa alla Rupe del Consiglio: una cima di collina coperta di ciottoli e di massi, dove poteva nascondersi un centinaio di lupi. Akela, il grosso lupo

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