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Il calice di luce
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Il calice di luce

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About this ebook

Nell'eterna lotta tra Bene e Male, in una terra magica e senza tempo, tra stregoni e cavalieri, sarà compito di una giovane fanciulla aprire la porta di un mondo nascosto, ma solo l’Eletta potrà bere alla Fonte, risvegliare il potere del Calice di Luce e riscrivere le pagine del Libro del Tempo.
LanguageItaliano
Release dateDec 23, 2016
ISBN9788898419760
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    Book preview

    Il calice di luce - Giordana Ungaro

    Indice

    Cover

    Quarta

    Copyright

    Indice

    Capitolo I

    Capitolo II

    Capitolo III

    Capitolo IV

    Capitolo V

    Capitolo VI

    Capitolo VII

    Epilogo

    A mio nonno,

    un grande Maestro

    Non tutto quel ch'è oro brilla,

    Né gli erranti sono perduti;

    Il vecchio ch'è forte non s'aggrinza,

    Le radici profonde non gelano.

    Dalle ceneri rinascerà un fuoco,

    L'ombra sprigionerà una scintilla;

    Nuova sarà la lama ora rotta,

    E re quel ch'è senza corona.

    (poesia di Bilbo Baggins su Aragorn)

    J.R.R.Tolkien

    Capitolo I

    Il vento soffiò nelle buie sale di Amenti e sfogliò le pagine del Libro del Tempo. Un cono di luce discese dall’alto, illuminò il leggio e una mano invisibile prese a scrivere le pagine vuote. Un tonfo risuonò nel silenzio, la porta si aprì cigolando sui cardini arrugginiti e il vecchio apparve in cima alle scale di pietra. In mano, tra le dita nodose, stringeva una lanterna che emanava un debole chiarore. Il mento era ricoperto da una lunga candida barba, indossava una tunica bianca che gli arrivava fino ai piedi e legato in vita un cordone rosso lo avvolgeva in tre spire; sul capo la testa fiera dell’ureo s’innalzava al centro della fronte. L’anziano discese le scale lentamente poggiandosi a un bastone ricurvo. Un fuoco divampò improvviso nel camino e rischiarò la sala. L’uomo poggiò il lume e cominciò a leggere. 

    E fu il principio, l'albero della Vita germogliò, la Natura, gli Elementi e le Creature formarono i due Regni, quello degli Dei e quello delle Ombre. Abbiamo dato agli uomini la libertà di operare nell’uno o nell’altro ma essi ci hanno dimenticato, deboli e fiacchi si sono arresi alle schiere selvagge asservite al Maligno, preda dei vizi, ciechi alla Luce, dominati dagli istinti sono morti nella loro coscienza..

    E ora NOI nell’Era dell’Acquario scuoteremo di nuovo la Natura affinché li distrugga, per dimostrare che in essa vigono il Bene e il Male. L’ira degli Dei cadrà sugli idolatri cechi e selvaggi, schiavi del Signore delle Ombre, avvolti nella tenebra delle sue illusioni.

    Eppur nella collera splenderà la misericordia, e doneremo loro un nuovo raggio di Luce affinché vedano la Nostra Gloria.

    Il vecchio sospirò, richiuse il libro e il cono di luce si dissolse. Si avvicinò alle fiamme, sfilò dalla tasca un sacchetto e vi rovesciò il contenuto sul palmo. Si accucciò e lasciò cadere sul pavimento le sacre rune, baluginarono illuminate dal chiarore del fuoco. Socchiuse le palpebre e le scrutò assorto, corrugò la fronte e piegò le labbra in un lieve broncio. Le raccolse, si rialzò e le ripose con cura nel sacchetto. Afferrò con entrambe le mani la grande clessidra sulla mensola, la girò e la sabbia prese a scorrere. Raccolse lume e bastone, tornò sui suoi passi e risalì lentamente i gradini. Uscì dalla stanza e si chiuse la porta alle spalle. Il fuoco si spense e nelle sale di Amenti calò di nuovo l’oscurità.

    *

    Dairin Cole lasciò i panni, immerse le mani a coppa nell’acqua gelida del ruscello e rimase in ascolto. Quando suo fratello Natan le fu alle spalle si volse di scatto e lo spruzzò. Il bambino sobbalzò colto di sorpresa, la lucertola che gli penzolava tra le dita cadde a terra e sparì tra i fili d’erba allontanandosi fulminea.

    «Iri come accidenti fai? Pensavo di non aver fatto alcun rumore stavolta!» esclamò imbronciato. 

    Quella buffa espressione le strappò un sorriso. In tutta risposta lei alzò le spalle e riprese a sciacquare gli indumenti. «Tra poco è il mio compleanno lo sai?» domandò il fratellino e si accucciò accanto a lei.

    «Lo so»

    «Compio otto anni» esclamò e gonfiò il petto «dici che mamma mi regalerà una spada?» 

    Dairin si rivolse a lui divertita «No Natan, nemmeno una di legno. Sei ancora troppo piccolo» rispose e sfiorò la sua guancia con le dita umide in una lieve carezza. Il bambino si sgonfiò, sbuffò contrariato, sporse le labbra in una smorfia e si guardò le punte dei piedi deluso.

    «Uffa!» esclamò e agguantò un ramo. Si alzò e cominciò a combattere contro invisibili nemici «voglio cacciare i draghi come un vero cavaliere» disse serio e fendette l’aria. 

    «Quando sarai più grande forse» cercò di rabbonirlo. Pensò alla sorpresa preparata per lui l’indomani, e sorrise, ne sarebbe stato entusiasta. 

    «Natan!» la voce della madre tuonò infuriata. I due si voltarono e la videro in piedi, sulla veranda, dinnanzi la porta di casa. Teneva le braccia piegate e i pugni poggiati sui fianchi in una posa che non prometteva nulla di buono. Spaziò tutt’attorno con lo sguardo finché lo vide, alzò un braccio e lo puntò con il dito. «Eccoti lì! Vieni subito qui e fai sparire quelle bestiacce dalla credenza!» urlò paonazza in volto. Natan guardò la sorella contrariato e sbuffò di nuovo. 

    «Ti consiglio di obbedire se non vuoi essere messo in punizione proprio il giorno del tuo compleanno» suggerì e lo spronò con una leggera pacca sul fianco. Lui non si mosse e puntò i pugni sui fianchi in atteggiamento di sfida.

    «Che lo faccia pure, io sono un cavaliere e non ho paura» rispose impettito senza muoversi. La madre si fece ancora più furiosa nel vederlo disobbedire.

    «Sappi che se non vieni qui subito te ne andrai a letto senza cena stasera» lo minacciò ma lui rimase impassibile «e domani non avrai il permesso di andare al villaggio» continuò lei. Quelle parole sortirono l’effetto sperato perché Natan diede un’occhiata fugace alla sorella, infine si mosse e trotterellò verso casa a capo chino.

    Dairin sorrise, aveva faticato un bel po’ per farsi dare il permesso di portarlo fin lì, ma alla fine la donna aveva acconsentito. Da quando il marito, Wallace, era morto Peig Cole non era stata più stata la stessa. 

    Natan quasi non ricordava il padre, quando era successo aveva appena tre anni. Dairin lo aveva amato profondamente e provava lo stesso sentimento per Peig pur sapendo che entrambi non erano i suoi veri genitori. La donna l’aveva trovata tutta sporca e rannicchiata nella cavità di un albero nel bosco lì accanto, all’epoca aveva soli cinque anni e ora ventuno. Peig l’aveva presa con sé e allevata come una figlia assieme al marito Wallace, e quando lui morì fu un grosso dolore per entrambe. Ripensare a quel momento risvegliò il triste ricordo della depressione in cui cadde Peig. La donna smise di mangiare, si fece cupa e silenziosa, sembrava aver perso completamente l’interesse per ogni cosa anche per il figlio piccolo; Dairin si era rimboccata le maniche e occupata lei di tutto finché pian piano il tempo aveva alleviato la pena e Peig era tornata in forze. 

    Natan somigliava molto a Wallace, aveva ereditato dal padre gli stessi capelli ribelli, i profondi occhi nocciola, ma anche la passione per gli insetti. Li catturava e li riponeva in barattoli che infilava poi nella credenza per catalogarli e studiarli, Peig si infuriava ogni qual volta lo faceva. 

    Dairin osservò il fratellino mentre camminava mogio verso casa. Natan, pur essendo evidente, non aveva mai nemmeno pensato che lei fosse una sorella adottiva.  Dairin superava Peig in altezza di una spanna abbondante, aveva gambe e braccia sottili lineamenti delicati e capelli lisci come lucenti fili dorati, a differenza dei Cole, di bassa statura, tozzi e dagli scuri capelli ribelli. 

    Seguì il fratellino con lo sguardo finché, con la madre, entrò in casa. Amava entrambi e aveva amato Wallace come un padre. 

    Osservò il cielo imbrunire e il sole calare a ovest dietro le montagne, una strana inquietudine aleggiava in lei. In quelle notti spesso si svegliava d’improvviso, madida di sudore, tormentata da sogni il cui ricordo svaniva assieme al sonno, eppure una voce in fondo al cuore le suggeriva fossero legati all’oscuro passato di cui non serbava memoria. Scacciò quei pensieri e proiettò la mente sull’indomani, sorrise all’idea di quanto Natan sarebbe stato felice. Trattenne quell’emozione nel cuore e, con essa a farle compagnia, riprese il lavoro.

    *

    Fedora arrivò puntuale a metà mattinata. Natan, alzatosi al canto del gallo, sedeva a tavola,  cincischiava con un barattolo mentre osservava attraverso il vetro il grosso ragno nero all’interno. 

    Quando sentì il rumore del calesse si precipitò alla porta trepidante. 

    Dairin guardò la madre, la donna sospirò, poggiò ago e filo e insieme lo raggiunsero; una volta fuori videro che il bimbo era già salito e aveva preso posto accanto alla rubiconda e sorridente cocchiera. 

    «Direi che siamo pronti» esclamò lei.

    «Si, già da parecchie ore» ribadì Peig mentre Dairin si sedeva accanto al fratellino. Natan eccitato salutò la madre con enfasi. Fedora le strizzò l’occhio e con uno schiocco di redini spronò il cavallo che partì al piccolo trotto.

    «Ci vediamo al tramonto!» esclamò Dairin e lei annuì mogia in rimando. Non si voltò ma sentì addosso lo sguardo preoccupato di Peig finché si inoltrarono nel bosco e sparirono alla sua vista.

    «Sono sicura che se ne starà lì fino a stasera!» esclamò Fedora ironica. Dairin sorrise, ne era certa anche lei. 

    «Pillow non c’è?» domandò Natan. 

    «Ci aspetta lì, è partita all’alba con suo padre per allestire la bancarella» 

    A quelle parole il fratellino parve illuminarsi, Pillow era la figlia dodicenne di Fedora, e aveva per lei una vera adorazione. La metteva di continuo in imbarazzo nel ribadire sempre davanti a tutti l’intenzione di sposarla non appena fosse diventato grande.

    Il chiacchiericcio di Natan non cessò nemmeno un istante e le accompagnò per l’intero tragitto, eccitato e curioso di vedere per la prima volta da vicino i cavalieri Kadosh, traboccava di un entusiasmo incontenibile.

    Il sole era alto e la calura cominciava a farsi sentire quando arrivarono alle porte del villaggio. Varcate le mura il brusio ovattato si fece chiasso. Le vie pullulavano di gente proveniente da villaggi vicini e lontani e i mercanti si affaccendavano tra i banchi promuovendo a gran voce i loro prodotti.

    Si addentrarono col calesse nella folla festante verso il centro cittadino dove, nella grande piazza, i giochi a cavallo stavano per avere inizio. Arrivati al negozio di Fedora Natan scese dal calesse, si precipitò all’interno e chiamò Pillow a gran voce mentre Dairin aiutava Fedora a scaricare le stoffe per allestire il banco. In quel momento Ermo uscì dalla bottega seguito da Natan e Pillow.

    «Non siete riuscite a convincerla a venire con voi!» esclamò riferito a Peig.

    Dairin scosse il capo sconsolata «No, sai anche tu che odia la confusione ma non ha potuto rifiutare a Natan l’opportunità di vedere finalmente i cavalieri da vicino, oltretutto nel giorno del suo compleanno!».

    L’uomo slegò il calesse dal cavallo che portò nella stalla sul retro.  «Peccato, se

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