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Il genio della miniera
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Il genio della miniera

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La storia in questione inizia in Sicilia, nel 1921. La serenità e le abitudini della vita di Alessandro Liberti vengono interrotte dall'arrivo di un misterioso personaggio, Mahdi. Questi è straniero e muto, ma porta con sé una lettera firmata dal fratello di Alessandro, Federigo, che chiede di raggiungerlo a Mashhad, in Persia, dove i due gestiscono una miniera rilevata da poco tempo.
Partito con Mahdi e Aldo, amico e maggiordomo, alla volta dell'Oriente per rispondere alla richiesta, l'italiano scoprirà della sparizione del fratello. Che fine avrà fatto Federigo? I tre, aiutati da due albergatori locali, proveranno a districarsi tra il fitto bosco del mistero, che si rivelerà irto di spine in virtù dello scontro con una potente organizzazione: il "Faucon". Che abbiano rapito loro l'italiano? Oppure vi è qualcosa di molto più alto e impensabile dietro la sua scomparsa? E che cosa ha a che fare la Lampada di Aladino con tutto ciò?
LanguageItaliano
Release dateDec 15, 2016
ISBN9788869631146
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    Il genio della miniera - Giovanni Grasso

    Giovanni Grasso

    IL GENIO DELLA MINIERA

    Elison Publishing

    Proprietà letteraria riservata

    © 2016 Elison Publishing

    www.elisonpublishing.com

    elisonpublishing@hotmail.com

    Tutti i diritti sono riservati. È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia, anche a uso interno o didattico.

    Le richieste per l’utilizzo della presente opera o di parte di essa in un contesto che non sia la lettura privata devono essere inviate a:

    Elison Publishing

    Via Milano 44

    73051 Novoli (LE)

    ISBN 9788869631146

    CAPITOLO I

    Gelida e umida avanzava la notte. Non era sufficiente il buio, il vento, l’inverno e, quindi, il freddo. Ma il clima non si accontentava, aspirava ad andare oltre i suoi limiti. Da qualche giorno il vento soffiava forte e incessantemente e aveva da poco portato alcuni nuovi turisti nella città di Catania: nere, cariche nubi, pronte a scaricarsi sul sottostante paesaggio, che inerme assorbiva quanto gli veniva contro. Erano arrivati i giorni della merla, così in gergo chiamati il 29, 30, 31 gennaio o i primi di febbraio, a seconda dell’annata climatica; i giorni più freddi dell’anno. Sono proprio quelle sere in cui la meraviglia è stare seduti in poltrona davanti un camino acceso, un bicchiere di grappa scalda-cuore in mano, una coperta addosso e un bel libro. Meraviglia che, in quel momento, stava vivendo Alessandro Liberti: solo lui, la coperta, il bicchiere, il camino, questi ultimi a fare da cornice alla lettura di Delitto e castigo di Dostoevskij, mentre Aldo, il suo maggiordomo, sistemava l’ultimo cilindro di legna sul focolare, prima di rilassarsi anch’egli sull’altra poltrona del salotto. La serata si faceva sempre più tetra, fuori.

    «Se avessi saputo che sarebbe stata una serata così suggestiva, avrei iniziato a leggere Poe, caro Aldo», disse il padrone di casa.

    «Non credo le dispiacerà comunque rilassarsi con un altro bel libro in questo peculiare sfondo, signore».

    Fuori si facevano sempre più tetre le ombre degli scheletrici aceri del giardino intorno al podere, vittime dello spregiudicato e repressivo inverno, che nemmeno una foglia aveva fatto sopravvivere. I rami di altri alberi iniziano a sbattere contro la finestra del piano di sopra, generando un suono fondo, che giunse anche alle orecchie dei due abitanti nel non vicino salotto. Nel frattempo, la pioggia continuava, scendendo a goccioloni, con forza assidua a bombardare il loco, mentre qualche lampo, di tanto in tanto, illuminava la zona accompagnandosi a ritardati tuoni. Nonostante l’atmosfera non cullante, Alessandro cominciò ad accusare le stanchezze della settimana. Il sabato avrebbe portato meno impegni e più tempo per rilassarsi, ma agli occhi nulla importava: volevano riposarsi immediatamente. E così, pesantemente calarono le palpebre, senza lasciare ad Alessandro diritto di resistenza, così facendo rimanere incompleta l’immagine della vita di Raskolnikov in quel luglio caldissimo dell’inizio dell’opera russa che nessun nesso aveva con la serata in cui il lettore vi si immedesimava.

    Si svegliò di soprassalto. L’orologio a pendolo aveva appena scoccato la mezz’ora successiva alla mezzanotte, ora dopo la quale Alessandro aveva ceduto al sonno. Non vide Aldo in salotto, sicuramente era andato a preparargli la camera, prima di tornare a svegliarlo per far sì che si coricasse in un più idoneo giaciglio. Liberti si alzò, sempre il libro in mano, e si stiracchiò, piegando e posando la coperta sulla poltrona. Era la punteggiatura di una frase conclusa, quel preciso momento della giornata e solo le scale lo separavano dal suo caldo letto. Almeno così lui stesso pensava. Ma bussarono forte alla porta. A quell’ora così tarda, con quel tempo così spregevole, chi poteva essere? Qualche mendicante? Alessandro esitò per due secondi. Poi si fece coraggio e aprì, sentendo anche i passi frettolosi di Aldo che si apprestava a scendere le scale. Quando aprì la porta gli sobbalzò l’anima. Un lampo illuminò la scena e un volto, il volto di un uomo, in impermeabile, bagnato e sconvolto che cadde a peso morto addosso ad Alessandro, come se lo spavento non fosse bastato. Aldo si velocizzò e chiuse immediatamente la porta, onde evitare l’allagamento della stanza, e raccolse l’uomo da sopra il proprio datore, aiutando poi anch’egli ad alzarsi. Ma il misterioso uomo non si reggeva in piedi, anzi precipitò nuovamente a terra: era svenuto. Sconvolti rimasero i due rispetto a quanto era appena successo: in nemmeno un minuto la serata, che sembrava ormai un cassetto chiuso, la cui chiave sarebbe stata reperibile solo al mattino successivo, era, invece, appena iniziata. Chiamarono subito un’ambulanza per soccorrere lo sconosciuto individuo, che fu portato all’ospedale Vittorio Emanuele II di Catania. Giunti anche Alessandro e Aldo all’ospedale, furono rassicurati dal primario del reparto: solo stress e stanchezza, l’uomo si sarebbe ripreso con pochi giorni di riposo. Prima di tornare a casa propria, Alessandro, frugando nelle tasche dell’impermeabile dell’uomo, trovò una busta contenente una lettera. L’aprì e lesse:

    Mashhad, 15 gennaio 1921

    Caro fratello,

    chiedo necessariamente la tua presenza nel sito. Questioni che riguardano e non la miniera esigono che tu mi raggiunga in loco al più presto possibile.

    P. S. Chi ti ha consegnato la lettera è Mahdi, il mio caro, fidato servitore. E’ muto; ristoralo, fallo riposare e fallo venire con te.

    Tuo fratello Federigo

    Alessandro rimase preoccupato dal suo contenuto. Perché Federigo chiedeva urgentemente di raggiungerlo senza dare altre spiegazioni a riguardo? E come mai si era avvalso del suo servitore, senza fruire del servizio postale per l’invio della missiva?

    Da mezzo anno avevano ormai rilevato una vecchia miniera nel nord della Persia da un anziano investitore russo, che a poco prezzo l’aveva ceduta, ormai stanco e desideroso di dedicarsi alla sola vita senile, non avendo avuto né moglie né discendenti. Era una delle tante attività di cui lo stesso Alessandro era titolare: nobiluomo siciliano, godeva della titolarità di numerose proprietà nelle campagne di Adrano, Milo, del Siracusano e non solo; aveva investito sul commercio marittimo, acquistando alcune navi di trasporto merci che mettevano in comunicazione il porto di Catania con la Spagna, la Francia e il Regno Unito; da più tempo era proprietario di due miniere in Africa, nello specifico in Somalia e Sud Africa. Ogni investimento situato in luogo lontano vedeva l’amministrazione in prima persona di delegati da lui nominati, persone fidate, ma soprattutto stipendiate, che per suo conto amministravano l’affare, tenendosi in continuo contatto con lui. Di tanto in tanto, vi si recava, con appositi viaggi, per visionare di presenza l’effettiva situazione dei siti, preferendo gestire in gran parte direttamente, per comodità, i fondi siciliani. La produzione di questi era vasta: si andava dal grano al vino, passando per le verdure. Nel caso della miniera persiana di nuova acquisizione aveva preferito delegare il giovane fratello nell’amministrazione dell’affare, in virtù della non piena sicurezza in cuor suo riguardo la buona riuscita dell’investimento e anche per avviarlo alla cura degli interessi familiari. Federigo era spigliato, sveglio, appassionato di storia, lingue e di arte, laureato in Giurisprudenza nella prestigiosa Università di Catania e desideroso di vivere questa prima esperienza. Ma ora, qualcosa faceva pentire Alessandro di averlo mandato lì da solo, facendo affidamento sulle sue capacità e dimenticando la sua giovane età. Ma ora non c’era tempo per ripensamenti o pensieri simili: Alessandro doveva raggiungere il fratello, non appena il misterioso uomo muto si fosse ripreso.

    Passarono tre giorni e Alessandro si recò all’ospedale in cui aveva portato Mahdi per far sì che si rimettesse. Buone notizie lo attendevano: questi si era svegliato la mattina stessa, ma il medico riteneva opportuno che fosse lasciato a riposare per almeno un altro giorno, per avere la certezza della stabilizzazione delle sue condizioni. Poco male, Alessandro adesso avrebbe potuto organizzare il proprio viaggio, con la certezza in sé che sarebbero partiti il più presto possibile. Adesso era minore la sua preoccupazione e maggiori, in suo animo, erano le probabilità che l’interrogativo creatosi qualche sera prima potesse essere eliminato.

    CAPITOLO II

    I preparativi per il viaggio erano quasi giunti al termine. Alessandro era contento di lasciare la sua villa a Catania in balia di quel tempaccio, in quanto avrebbe avuto modo di liberarsi di quelle temperature così elevate che avevano accompagnato tutti gli abitanti la zona in quella settimana. Conferì delega temporanea agli affari a un amico, Alfredo, che ogni tanto si vedeva affidato qualche lavoro di contabilità, vista la sua professione di commercialista. Alessandro sapeva di poter lasciare il tutto nelle sue mani; in fondo, si sarebbe trattato di poco tempo, al massimo due settimane, pensava.

    Gli restava solo da avvisare sua moglie. Sì, Alessandro era sposato; per la precisione, con Agata Caruso. O meglio, era non convivente. I due si erano conosciuti quando erano ancora spensierati ventenni e si amavano molto, nonostante le liti nel rapporto vi fossero, ma sempre tutto rientrante nell’ordinario dell’amore. Il problema era uno solo, ma enorme: il matrimonio. Furono le madri dei due a spingere affinché contraessero il vincolo civile e sacro. I due sposi non dissentivano con il parere genitoriale, ma vi era differenza tra le due volontà: l’una ne era convinta, come quasi ogni donna; l’altro prendeva la cosa sottogamba, non valutando cosa potesse significare vita matrimoniale. Non che oggettivamente sia un qualcosa di tragico, certo, ma Alessandro non era fatto per questo tipo di vita. Egli aveva le sue abitudini, la sua giornata, i suoi programmi, che potevano aversi solo se non ci fosse una moglie a cui dar conto. Dopo il primo mese di coniugio e convivenza iniziarono i pesanti litigi: Alessandro usciva presto la mattina e tornava solo per cenare e dormire; quando rimaneva un po’ di più in casa, dedicava il suo tempo alla lettura e allo studio della storia, di cui era molto appassionato. Certo, il nobiluomo non rinunciava al letto coniugale – e qui non si intende solo l’adibire lo stesso al riposo notturno – ma sembrava che la moglie esistesse solo per poche cose. Le accuse reciproche erano identiche: Quando eravamo fidanzati non eri così! Sei cambiato/a! oppure Non mi capisci, pensi solo a te stesso/a. E così, i due, pane duro e coltello non affilato, decisero di porre fine alla convivenza. Alessandro preferì non ricorrere alla legge, nonostante il codice civile tutelasse maggiormente il marito rispetto alla moglie, e concluse con ella un compromesso: le avrebbe trasferito il godimento di un lotto di terreno con villa, così che potesse viverci e amministrarla come meglio avrebbe creduto, purché lo lasciasse vivere la sua vita secondo la propria discrezione. Difatti Agata, dopo aver accettato di buon

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