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Nel Silenzio e Oltre
Nel Silenzio e Oltre
Nel Silenzio e Oltre
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Nel Silenzio e Oltre

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Metis! Metis! Dove sei? Dove sei finito?
Io ti troverò. DEVO trovarti!
Così gridava Aron, proseguendo instancabile nella sua disperata ricerca, mentre gradualmente perdeva la cognizione del tempo e del luogo, il senso compiuto delle cose.
Rincorrendo caparbiamente il sogno di ritrovare il figlio, avanzava inconsapevole incontro al silenzio profondo, al buio di una notte impenetrabile e infinita.
Sarebbe riuscito nell'impresa, prima di perdere sé stesso?
LanguageItaliano
Release dateDec 27, 2016
ISBN9788822881748
Nel Silenzio e Oltre

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    Nel Silenzio e Oltre - Fiorenzo Meoni

    solitudine."

    Introduzione

    La luce soffusa del crepuscolo attraversava l’ampia vetrata, illuminando la stanza spoglia, povera di arredi, creando strani riflessi sul pavimento.

    Mollemente adagiato sulla poltrona, Aron osservava rapito la distesa dei tetti, oltre il balcone.

    Gli edifici ammassati e disposti secondo rigide geometrie, si perdevano in lontananza, formando una barriera di cemento invalicabile, dove lo sguardo scivolava, instancabile, scorrendo da un lato all’altro della finestra.

    Saliva e poi discendeva, seguendo l’altezza delle costruzioni, fino a quando raggiunta l’estremità visibile dell’apertura, tornava rapido al punto di partenza.

    Idealmente leggeva la distesa dei palazzi, come se le fredde linee rappresentassero misteriose lettere dell’alfabeto.

    Capitolo 1

    Senza Uscita

    Camminavano silenziosi, immersi nella strada vuota e deserta.

    Lui spedito, tradiva un’evidente apprensione, voltandosi spesso ad osservare la donna e abbozzando sovente, brevi esclamazioni di incitamento ad affrettare il passo.

    Ma lei dimostrava scarso interesse per queste attenzioni e dal suo muoversi svogliato, con la testa china, dondolante, trasparivano contrarietà e disappunto, come fosse costretta a seguirlo suo malgrado. La città si apriva al loro incedere, grigia e monotona, un susseguirsi di strade, vicoli e palazzi. Anonima, assolutamente poco attraente.

    Aron vi aveva trascorso gran parte della sua vita, condivisa, senza sussulti con sua moglie Sally, dalla quale aveva avuto un figlio, Metis. Un percorso lineare il loro, privo di eventi significativi.

    Ma adesso, da poco superati i cinquanta anni di età, Aron si apprestava, inconsapevolmente, ad affrontare una dura battaglia, dall’esito assai incerto.

    Vuoi muoverti? Sbottò spazientito per l’ennesima volta, rivolgendosi a Sally.

    Voglio assolutamente parlare con il responsabile dell’imbarco, prima della chiusura dell’ufficio. Lei silenziosa sbuffò, ed invece di affrettarsi si fermò, appoggiandosi stanca ad un muretto. Questa storia sta diventando un’ossessione insopportabile. Esclamò infine sommessa, borbottando seria tra il risentimento e la rassegnazione.

    Per tutta risposta la raggiunse, tornando rapido sui suoi passi e afferrandola con decisione per il braccio, la costrinse a seguirlo ancora e così camminarono, per alcuni minuti, fino a quando giunsero di fronte ad un palazzo dalla mole imponente, grigio come gli altri, ma con delle bandiere alle finestre.

    Solo allora lasciò il braccio di Sally, mormorando sommessamente tra se poche, incerte parole: Posso andare da solo, se proprio insisti, se vuoi! Quindi imboccò l’ampio ingresso, con decisione, soffermandosi appena soltanto nella vastità dell’atrio, da dove partivano ampi corridoi, uguali, interminabili. Provò un forte senso di disagio e smarrimento, di fronte a tanta gravità, ma l’impeto lo spinse oltre, lungo il corridoio centrale, alla ricerca della porta giusta o, della persona giusta. Le porte si susseguivano ritmicamente e ognuna aveva una targhetta numerata, una breve dicitura, ma Aron sembrava ignorare questo particolare. Passava osservando meticoloso e quelle aperte o leggermente accostate le ispezionava con maggiore cura e interesse, introducendo furtivo la testa e la parte superiore del busto. Un rapido giro con lo sguardo, poi di nuovo avanti, alla successiva. Se questa era chiusa bussava con decisione, allontanandosi comunque senza aspettare l’eventuale risposta, e proseguendo incurante la perlustrazione.

    Il ronzio dei computer e delle macchine saliva greve e misterioso. Aron sospirò, scoraggiato.

    L’interminabile ambulacro stava terminando nella parete di fondo e nessuno veniva in suo soccorso. Sconsolato e rassegnato invertì il cammino, tornando mesto verso l’ingresso, quando una voce perentoria risuonò alle sue spalle: Chi stava cercando? Aron si voltò di scatto, celando a malapena la sorpresa. L’uomo gli stava di fronte con le mani sui fianchi, mentre gli occhi piccoli e rotondi lo squadravano nascosti dietro occhiali dalle lenti spesse, velate e i baffi scuri occultavano il resto del volto da qualsiasi forma d’espressione.

    Chi stava cercando? Ripete ancora, meccanico. Col tono di voce sempre uguale.

    Ecco…Veramente io cercavo… Volevo Balbettò, rispondendo inconcludente, mentre l’altro continuava a fissarlo immobile. Cercavo il responsabile dell’imbarco! Riuscì infine ad esprimersi. Per lei? Incalzò l’uomo con i baffi.

    Ecco…Veramente! Farfugliò ancora. Per me, ma soprattutto per mio figlio!

    Concluse, quando l’altro già si muoveva per allontanarsi. Venga con me! Lo invitò distrattamente. Aron lo seguì, scivolandogli dietro, con l’animo in subbuglio, in preda a mille interrogativi dei quali ignorava il senso e la risposta. Quando l’uomo scomparve oltre la soglia di una porta, Aron si soffermò, per sistemarsi la giacca e assumere un contegno e un aspetto presentabile. La donna all’interno dell’ufficio stava seduta alla scrivania, immobile e silenziosa e i computer, dislocati nel breve spazio, gracidavano instancabili. Ma neppure alzò la testa per inquadrare i nuovi arrivati, continuando imperterrita a seguire le immagini sul grande monitor alla sua destra. L’uomo con i baffi le si avvicinò, bisbigliando qualcosa, sommesso e indecifrabile, quindi se ne andò, eclissandosi nel dedalo di stanze. Aron restò immobile, in paziente attesa del momento propizio per formulare la sua richiesta e intanto rovistava con lo sguardo tra gli scaffali stracolmi di oggetti curiosi e una moltitudine di contenitori voluminosi, accatastati disordinatamente. Poi la donna, finalmente, senza tuttavia interrompere la sua attività e mantenendo lo sguardo fisso al monitor, mormorò: Si? Aron deglutì impacciato, poi inspirando profondamente: Sono venuto per la domanda d’imbarco! La donna annuì appena, accennando un impercettibile movimento della testa, poi chiese con freddo distacco: Per lei? Per me, ma soprattutto per mio figlio! Rispose Aron, stavolta con sorprendente decisione.

    Lei sospirando lasciò temporaneamente la sua occupazione e appoggiando la schiena alla poltrona rimase per lunghi attimi pensierosa, come soppesando l’eventuale risposta. Poi infine: Per quanto riguarda suo figlio, deve venire personalmente! Per lei, considerata l’età, è troppo presto…Deve pazientare…Alla fine, se rimarranno ancora posti… Terminò così la frase, rimanendo assai nel vago e lasciando solo intendere, per una sorta di rispetto, la probabilità molto alta di una risposta negativa. Quindi devo ritornare? Chiese ancora Aron con malcelata rassegnazione. Direi di si…Direi proprio di si… Se vuole! Fu la risposta laconica della donna, mentre si apprestava a rituffarsi nelle sue faccende.

    Aron uscì mesto, nel dedalo di strade, senza meta, scrutando il cielo carico di nubi ed inseguendo commosso il volo degli uccelli. Ubbidendo al naturale istinto, si inoltrò nel parco, o il giardino delle fate, come lui usava chiamarlo, l’unico polmone verde, unico rifugio, di tutta la città. Qui il suo spirito inquieto trovava refrigerio e pace e spesso sdraiandosi sull’erba restava a lungo immobile ad ammirare estasiato, il mutevole scenario delle piante e delle nuvole. Amava questo luogo e tutto ciò in esso contenuto, qui parlava agli animali e accarezzava le piante, passando la mano amorevole sui tronchi rugosi e tra le foglie. L’oasi verde si stendeva compatta fino ai margini delle strade principali, ai piedi dei palazzi, dove si arrestava improvvisa, come terrorizzata di fronte alla barriera di cemento e sull’altro lato interrotta dal lambire del deserto. E il deserto avanzava lento e implacabile, divorando ogni cosa, ogni forma di vita e consegnando alla notte più cupa i territori conquistati. Aron sapeva benissimo a quale sorte il pianeta era destinato. Lo sapeva lui, come del resto gli altri abitanti. Inevitabile conseguenza dell’umana follia. Follia distruttiva, sfociata inevitabilmente in un processo irreversibile di autodistruzione. Da tempo ormai, il punto critico di non-ritorno era stato oltrepassato, tutti conoscevano la situazione e la subivano, tristemente rassegnati. Nessuno manifestava la volontà di ribellarsi, o protestare e a nulla sarebbe servito. Le voci più forti, i richiami al buon senso, si erano affievolite spegnendosi lentamente e scomparendo nel tempo, dileguandosi misteriosamente nell’indifferenza, senza lasciare traccia alcuna. Smise di fantasticare quando il pensiero di Sally gli attraversò la mente, come un lampo nel buio e tanto forte scaturì il desiderio di tornare da lei e stringerla tra le braccia. L’angoscia lo assaliva, combattuto da un rincorrersi di pensieri contrapposti, alle prese con decisioni immensamente difficili da valutare, dalle quali dipendeva la sorte della vita stessa, del domani, senza possibilità di ripensamenti. In ogni caso, tornare indietro era impossibile e forse anche inutile. Ma come al solito si preoccupava pochissimo per se stesso e molto invece per Metis, per il quale aveva sempre desiderato le soluzioni migliori. Per lui sognava un futuro fantastico, ricco di grandi traguardi da raggiungere ed immense soddisfazioni da raccogliere. Immaginava enormi possibilità di successo e le scorgeva tutte a portata di mano, all’unica condizione di crederci realmente e volerlo ad ogni costo. La grande opportunità poteva concretizzarsi entro breve tempo, bastava avere il coraggio necessario e abbandonare tutto al momento propizio, senza esitazioni o rimpianti. Sottrarsi al lento stillicidio, al declino inesorabile, ribellandosi all’inedia del morire poco a poco, al consumarsi pigro e inconcludente, inevitabile altrimenti; a questo ambiva Aron per suo figlio. Ma l’indolenza di Metis lo irritava alquanto, dandogli l’impressione di ignorare la situazione. Adagiato, come gran parte dei giovani coetanei, nella comoda routine di una società proclive all’effimero benessere e al divertimento facile. Pochi giovani tendevano all’impegno serio e costruttivo e molti di questi erano già partiti, o si apprestavano a farlo. Catturato dal suo fantasticare, si accorse della presenza di Sally solo quando il rumore di un cassetto, chiuso forse con troppa decisione, lo risvegliò dal torpore sonnolento. E fu sorpreso di vederla nella stanza intenta a riordinare un po’ di biancheria. Aron la seguì disincantato a lungo, nei brevi spostamenti, nei movimenti misurati, ma lei sempre indaffarata sembrava ignorare le sue attenzioni, finché prese a chiamarla piano, ma ripetutamente. E Sally lesta si avvicinò alla poltrona, quindi passandogli delicatamente la mano tra i capelli, affettuosamente lo accarezzò, come per tranquillizzarlo, concludendo con un tenero bacio sulla guancia.

    Il cielo della sera assumeva una colorazione rossastra, leggermente più intensa vicino alla linea dell’orizzonte, sfumando debolmente sul profilo delle colline, fino a fondersi completamente nella foschia e nelle brume. Lo sguardo attraversava la pianura, desolata e spoglia e proseguiva lontano, oltre i confini della città e dove nessuno poteva in qualche modo avventurarsi. Difficile accettare certi cambiamenti, diluiti nel tempo, eppure troppo repentini, se negli occhi e nella mente vivono ancora le immagini e i ricordi di un passato carico di magico splendore. Aron ricordava chiaramente la piana e i campi coltivati e alberi e foreste ad abbellire il paesaggio, quando il lavoro dell’uomo aveva un senso ed uno scopo ben preciso.

    Come sia potuto accadere di aver rovinato in poco tempo tutto quanto?

    Impossibile comprendere e capire, o farsi una ragione, quando la mente si rifiuta di accettare lo stato delle cose e più avvertiva crescere forte il senso della ribellione e più l’impotenza lo assaliva. La frustrazione diventava un macigno sempre più pesante e opprimente, condizionava la sua esistenza e lo schiacciava, togliendogli il respiro, rendendolo incapace di reagire, di lottare. Solo il pensiero di Metis riusciva a restituire in parte la spinta necessaria, la volontà di continuare a vivere e sperare ancora nel domani. Pensava intensamente a lui, in ogni momento, come unico bene supremo della vita, nonostante gli impegni di lavoro, spesso lo costringessero lontano. Aron si consolava, ripercorrendo gli attimi più belli del cammino fatto insieme e scavando a fondo nei ricordi, minuzioso, portava a nuova luce aspetti ed episodi perfettamente conservati e nitide apparivano le immagini e chiare le parole dette in quelle circostanze. Si crogiolava al candido tepore dell’affetto genuino e puro e negli occhi suoi, limpidi e sereni si specchiava, trovando per incanto felicità e gioia immensa. E pregustava già il momento di averlo tra le braccia, quando squadrandolo e rimirandolo furtivo, avrebbe dolcemente accarezzato il viso tanto amato. Intanto cercava le parole adatte, quelle custodite in fondo al cuore e tenute da parte per l’occasione buona, quando serve qualcosa di unico e speciale, come adesso, per far comprendere quanto affetto nutrisse per lui. Mentre cresceva il desiderio di manifestare i sentimenti, di renderli evidenti e chiari, per una volta ancora, correndo il rischio di passare da tedioso. Ma i buoni intendimenti restano a volte racchiusi nell’immaginazione, incomprensibilmente prigionieri tra vincoli infondati, banali preconcetti senza senso. Così, nonostante le migliori intenzioni, le parole stentano ad uscire, trovano difficoltà a prendere forma, oppure si materializzano diverse da come venivano pensate. E cambiano il senso del discorso, lo stravolgono, vittime dell’umore del momento, cedendo e soccombendo all’impulso irrazionale o seguendo un ingiustificato e futile impeto di stizza. Quando finalmente Metis arrivò, aveva il volto stanco e assente e accennando appena un gesto di saluto si sedette in disparte, distratto e pensieroso. Aron colse immediatamente il comportamento inaspettato, facendogli cambiare decisamente atteggiamento e tutte le parole stampate nella mente si dileguarono veloci, stemperandosi nel nulla. Guardava il figlio, la luce dei suoi occhi, percorrendo i dolci lineamenti di giovane uomo nel fiore della vita e lo sguardo scivolava amorevole su ogni minimo dettaglio e nulla tralasciava. Trepido attendeva di ricevere un segnale, una parola, ansioso di ascoltare la sua voce e scambiare un’opinione sui fatti più recenti. Ma il silenzio perdurava, aleggiando nell’aria statica della stanza. Ti aspettavo! Esclamò infine, nascondendo a malapena la trepidazione e interrompendo la lunga pausa. Metis annuì.

    Stavo in ansia…Mi sembra passata un’eternità, da quando ci siamo visti l’ultima volta! Sospirò Aron, parlando sommessamente. Ma ci siamo visti appena due giorni fa! Puntualizzò Metis, quasi sorpreso, alzando finalmente la testa e fissandolo negli occhi.

    Due giorni? Possibile? Forse mi stai prendendo in giro! Replicò Aron abbassando lo sguardo come stesse cercando la conferma in qualche angolo remoto. Tacquero, scivolando nell’abulia grigia e monotona. Poi finalmente, come ridestato da lungo sonno, Aron si scosse e gettando lo sguardo oltre la finestra, domandò: Fuori com’è la situazione? Metis si alzò lentamente in piedi, quindi stringendosi appena nelle spalle: Come al solito, nulla è cambiato.

    Tutto è cambiato! Replicò seccato Aron, alzando decisamente il tono della voce.

    Tutto sta cambiando! In peggio…Muore il pianeta lentamente…E noi con lui!

    Metis sospirò, senza rispondere, ma prese a camminare avanti e indietro, tradendo un certo nervosismo. Ascoltami! Intervenne nuovamente Aron in tono più pacato, afferrandolo per la mano. La situazione sta precipitando…Ci siamo scavati la fossa da soli! Nessuno può farci nulla ormai! Si interruppe singhiozzando, mentre una lacrima furtiva gli scendeva sulla guancia.

    Ma solo per un attimo e subito riprese: Abbiamo condannato a morte la nostra amata terra e adesso dobbiamo decidere. Si soffermò ancora, con l’esigenza di riprendere fiato.

    Dobbiamo andarcene Metis…Convinciti una buona volta! Poi con tono leggermente più pacato: Il nostro maledetto progresso ci ha spinti a divorare tutte le risorse disponibili, ma…Fortunatamente ci fornisce anche una fantastica scappatoia…La grande opportunità di ricominciare, rimediando agli errori! Tacque, accarezzando amorevolmente la mano di Metis stretta tra le sue, quindi spingendolo verso la finestra, riprese a parlare, stavolta quasi sottovoce: I giovani come te sono già partiti da tempo! Disse osservando il cielo, come per orizzontarsi.

    Pensa Metis! Riprese con rinnovato ardore.

    Un pianeta tutto nuovo…Un’altra possibilità per chi avrà il coraggio di andare…Ricostruire le nostre città, evitando gli errori commessi qui…E’ l’occasione unica per fondare una nuova società…Più giusta! Un miracolo, costruito con le nostre stesse mani! Si entusiasmava, con gli occhi sbarrati e fissi in direzione dello spazio celeste, come in preda ad una visione mistica. Tuttavia Metis appariva poco entusiasta o addirittura di diverso avviso ed infatti cercò di liquidare il discorso con brevi parole: Io mi trovo benissimo anche qui!

    Ma la reazione di Aron giunse immediata e violenta, condita anche da qualche insulto assai particolare, rimproverando a lungo il figlio, con una serie interminabile di rimbrotti, per la sua mancanza di iniziativa e scarsa capacità di decidere, definendolo senza troppi complimenti un inetto, un incapace. Metis lo lasciò sfogare, evitando accuratamente di rispondere, mostrando totale disinteresse per l’argomento. Ma il problema appariva lontano dall’essere risolto, semmai nei giorni successivi si aggravò ancora di più, poiché Aron approfittava di ogni occasione per tornare sull’argomento. E lo faceva con estrema decisione, con veemenza, nel tentativo di convincere, o costringere il povero Metis ad acconsentire alla sua proposta. La situazione conobbe una tregua, solo quando per motivi di lavoro, Metis si assentò per alcuni giorni, evitando così lo scontro. Con Sally il rapporto era molto diverso. A lei neppure chiedeva un’opinione, dava per scontata la sua fedele partecipazione, l’appoggio incondizionato all’iniziativa, poiché da buona moglie lo avrebbe seguito sicuramente senza problemi. Per questa fedeltà incrollabile nutriva ammirazione e riconoscenza, mai manifestata apertamente, ma tacita e sottintesa. La vita trascorsa insieme aveva plasmato i loro caratteri, integrandoli, attuando una naturale compensazione e formando, nel tempo, un equilibrio dei ruoli quasi perfetto. Grazie a questa forte intesa Aron si sentiva autorizzato a decidere ed agire anche senza chiederle un’opinione. E si sorprese, scivolando dolcemente nell’osservarla compiaciuto, mentre assorta a svolgere le piccole faccende giornaliere, sembrava dimenticarsi totalmente di lui, della sua presenza e lo ignorava, un po’ volutamente, dedita con eccessiva passione ai suoi lavori. Aron osservava il volto magro, dove le prime rughe marcavano i contorni e i capelli sciolti, velati da qualche ciocca grigia e gli sembrava più dolce ancora ed attraente di quando l’aveva conosciuta. Cercava di incrociare lo sguardo, furtivo, evitando di attirare l’attenzione e nell’azzurro dei suoi occhi si abbandonava, ritrovando immediatamente la calma e la serenità, la voglia di sorridere. Poi con ritrovato entusiasmo, varcava i confini della stanza ed osservava il mondo circostante e l’incerto ancora si faceva strada, tra il degrado e l’abbandono dei quartieri, tra la gente rassegnata, sfuggevole, affatto propensa a dialogare. Lasciandosi trasportare dal lento scorrere del tempo, in un susseguirsi di giorni apparentemente sempre uguali, evolvendo nel declino generale, impercettibile, ma inarrestabile. Solo il giardino delle fate rappresentava il rifugio sicuro per la sua anima inquieta e ferita, un luogo di pace, il porto tranquillo dove cercare riparo dalla tempesta e tra il verde dei prati e le fronde degli alberi, respirava profondo, assaporando l’aria frizzante e leggera.

    Ascoltava il silenzio, interrotto soltanto dal cinguettio degli uccelli e l’attesa gli sembrava, in questo modo, meno penosa e insopportabile. Aspettava fiducioso e convinto, di poter uscire al più presto da questa apparente costrizione, una prigione senza sbarre, dentro la quale si sentiva condannato a morire ogni giorno poco a poco. Aspettava e sperava.

    Metis avrebbe comunque dovuto prendere una decisione, inevitabilmente. Per quanto riuscisse a rimandare, evitando di affrontare il problema, la soluzione dipendeva esclusivamente da lui e lui solo doveva risolvere il dilemma. Lui possedeva la chiave per aprire le porte e aveva la facoltà di spezzare le catene. La strada verso la libertà si apriva dunque dinanzi, invitante e Aron la scorgeva distintamente salire lassù, oltre le nuvole. Quanto appariva ovvia la soluzione, semplicemente banale. Aron scrutando il cielo riusciva a scorgere la meta e immaginava già di vederci la sua nuova casa e tanti giardini delle fate, anzi uno soltanto, immenso, interminabile, infinito. Lo percepiva distintamente, un pianeta verde e azzurro, ricco di piante di ogni genere e tanta acqua in abbondanza, un mare cristallino sul quale abbandonarsi a contemplare pesci variopinti. Palpitava dal desiderio di poter, un giorno, posare il piede su quel suolo benedetto e allora, con la gioia nel cuore, si sarebbe messo in cammino ad esplorare ogni angolo possibile e raggiungibile. E pregustando il momento, si prometteva di raccogliere, lungo il percorso, i semi delle piante più belle, per rinfoltire ancora di più quel giardino sconfinato. Correndo e rotolandosi a piedi nudi attraverso interminabili prati fioriti, a perdifiato, libero, con la gioia di un bambino, tuffandosi infine

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