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Dimmi di noi
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Dimmi di noi

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About this ebook

Esther, introversa e spigolosa, scopre dopo un incidente di non essere figlia naturale dei suoi genitori e ciò la porta ad allontanarsi per cinque anni da casa.
Questo allontanamento acuisce la sua introversione e il suo isolamento fino a decidere di avere un figlio con l'inseminazione artificiale per coronare definitivamente l'autarchia sentimentale.
A otto anni dalla nascita di sua figlia Miriam, una strana malformazione al cuore della bambina la costringe a cercarne il padre biologico... che risulta essere un introverso professore di fisica il quale, come lei, ha fatto della solitudine il suo stile di vita. Ma le due ostinate solitudini non hanno fatto i conti con la personalità dirompente della piccola Miriam...

"Vedere aumentare la catasta di pacchetti infiocchettati sotto il pino carico di palline rosse le dava un certo brivido, una novità che apparentemente non accennava ad avere fine. Ogni sera reinventariava i bigliettini allegati ai pacchetti e s’accorgeva con piacere che le scatoline recanti il suo nome erano sempre le più numerose.
- Bello il Natale - concludeva ogni sera soddisfatta di quelle bizzarre novità.
Dopo un po’ che era cominciata quella sequela Joe s’interrogò se per caso non stesse interferendo con la formazione religiosa di Miriam e decise di intervenire, spiegando a Miriam che differenza ci fosse tra essere ebrei ed essere cristiani. Alla fine del suo lungo monologo Miriam rimase un po’ perplessa, non immaginava che si potesse non essere ebrei, non immaginava che al mondo ci fossero tante religioni e che alcune religioni diverse adorassero lo stesso Dio.
- Vediamo se ho capito... - disse con aria meditabonda - Gesù era ebreo... però tu sei cristiano... e credi che questo Gesù sia il Messia -
- Esatto - confermò Joe.
- Mi sembra un po’ contorto... non faremmo prima ad essere tutti e ebrei o tutti cristiani? -
- Suppongo di sì -
- ...ah -
Miriam tacque, un intero mondo metafisico le si era aperto davanti.
Dopo un lungo silenzio in cui elaborò le molteplici informazioni concluse dicendo:
- Anche se sono ebrea posso prendere i regalini con il mio nome? -
- Direi di sì - la tranquillizzò Joe.
- Ottimo -
La questione religiosa era risolta".
LanguageItaliano
PublisherRebecca Quasi
Release dateDec 17, 2016
ISBN9788822878465
Dimmi di noi

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    Dimmi di noi - Rebecca Quasi

    RebeccaQuasi

    Dimmi di noi

    di Rebecca Quasi

    Capitolo 1

    1993

    Chiunque abbia dei figli e un po' di sale in zucca, ha paura. Paura che si ammalino, che non siano felici, che non abbiano amici, che abbiano gli amici sbagliati, che tornino tardi, che non trovino la loro strada... è l'elenco più lungo del mondo questo, e anche Samuel Rosenthal l'aveva snocciolato migliaia di volte.

    Quando la sera aspettava che le sue figlie tornassero a casa dal cinema o da qualche festa, consumava i tappeti dello studio passeggiando freneticamente e poi, quando finalmente sentiva le ruote della macchina scricchiolare sulla ghiaia, si precipitava a letto per far credere che stava dormendo e non che le aveva aspettate sveglio.

    Una sera però, invece del rumore delle ruote sulla ghiaia, fu sorpreso dal telefono.

    Dal pronto soccorso con voce incolore, qualcuno gli comunicò che un'ambulanza stava trasportando le sue figlie all'ospedale... se poteva venire subito.

    Come guidò senza lasciarci la pelle da casa sua all'ospedale non lo seppe mai, entrò di corsa e fu enormemente sollevato nel vedere Hanna piangente corrergli incontro.

    Solo Hanna però gli era corsa incontro.

    - Dov'è Esther? - domandò immediatamente.

    - E' viva - rispose Hanna d'un fiato - ha perso conoscenza... il medico mi ha detto che verrà subito a darmi notizie.

    Poi Hanna attaccò con un racconto confuso, voleva dire a suo padre che erano state prudenti, che non era colpa loro... che una macchina aveva fatto un sorpasso azzardato...

    Subito dopo sopraggiunse un medico, disse che a Esther serviva una trasfusione di sangue e i parenti in genere erano i donatori migliori. Samuel sbiancò.

    - Mi segua - disse il dottore senza dargli nemmeno il tempo di replicare.

    Entrarono in una stanza zeppa di macchinari. Una donna intubata, poteva essere chiunque, giaceva sulla lettiga.

    - Ha perso molto sangue - continuò il medico.

    Dunque era Esther. Samuel cominciò a piangere.

    - Il mio sangue non va bene. Non sono suo padre - disse al medico.

    - Ma...

    - Solo Hanna è mia figlia naturale... Esther no. Il mio sangue è B positivo.

    - Quello di Esther è zero negativo... - finì disarmato il medico.

    Samuel fu allontanato dalla sala e i medici salvarono la vita di Esther.

    Quello che nessuno si aspettava era che lei avesse sentito e ricordato tutto.

    Ci vollero alcuni giorni prima che Esther riaprisse gli occhi e potesse comunicare con suo padre che la vegliava senza sosta.

    Quando ciò accadde, non attese nemmeno un secondo, appena ebbe un soffio di fiato lo investì:

    - Ho sentito. Non sono tua figlia. Chi sono?

    Samuel lasciò cadere il giornale che reggeva in mano e ammutolì. Esther era sempre stata acuminata come una freccia, aveva sempre avuto, sin da bambina, la capacità di andare dritta al sodo senza perdersi in inutili giri di parole. Chi la conosceva per questo l'amava o la odiava, senza sfumature. Samuel l'amava. Moltissimo.

    Ero cosciente continuò Esther.

    Suo padre si coprì il viso con le mani. Aveva superato la strettoia terribile in cui non sapeva se Esther avrebbe superato la notte, poi aveva sperato che stesse bene come prima, che tornasse ad essere la splendida giovane donna che stava diventando e quando fu certo che tutte quelle preghiere erano state ascoltate, ecco che l'investiva un'altra pallottola vagante.

    - Oh tesoro... - mormorò Samuel colpito più di tutto dal dolore lacerante che quella notizia doveva aver generato nel cuore cristallino di Esther.

    - Devi dirmi la verità - insisté lei con tono pacato, ma deciso.

    - Ora?

    - Ora. Dimmi chi sono.

    - Sei Esther Rosenthal. Mia figlia.

    - Lo so il mio nome. Voglio sapere da dove vengo e perché non sei mio padre.

    Samuel sospirò.

    Era ora di vuotare il sacco.

    Aveva avuto 22 anni e migliaia di occasioni per rendere tutto indolore o perlomeno accettabile e ora gli toccava scaraventare addosso ad Esther la verità. Tanto valeva raccontare tutta la storia.

    - Quando tua madre era incinta di Hanna, apparve una sera suo fratello Simon. Simon era un agente del Mossad...

    Capitolo 2

    1976-1993

    Quando Miriam, l'amatissima moglie di Samuel, era incinta di Hanna, arrivò una sera all'improvviso suo fratello Simon. Simon aveva tra le braccia una bambina di soli tre mesi.

    Era sua figlia.

    La madre della bambina era morta e un'amica di lei l'aveva rintracciato perchè si prendesse cura di sua figlia.

    - Non posso tenerla con me - disse Simon - Molti governi mi danno la caccia e se qualcuno sapesse che questa è mia figlia la prenderebbero immediatamente. Tu Miriam sei incinta, dovrai solo fingere di aver dato alla luce due gemelli.

    Miriam chiese solo:

    - Come si chiama?

    - Esther. Ho distrutto i suoi documenti. Questa bambina non esiste fino a che non nascerà di nuovo.

    - Ho capito.

    - Quando partorirai dovrai chiamare questa levatrice, vive a ***. Lei dichiarerà di aver fatto nascere due bambini e da quel momento potrai tornare alla tua vita di sempre.

    - Mancano quasi tre mesi al parto intervenne Samuel questa bambina avrà già sei mesi! Come faremo a dire che sono gemelli?

    - Staremo in vacanza per un po' - disse Miriam e accolse tra le braccia la sua nipotina. Aveva gli occhi scuri di Simon, lo stesso sguardo diretto e magnetico.

    C'era uno strano rapporto tra Miriam e suo fratello. Avevano pochissimi contatti da quando lui era diventato un agente del Mossad e non si videro mai più dopo quella sera in cui lui le consegnò sua figlia. Lei però obbedì fiduciosa, rispondendo ad un legame di sangue che affondava le radici in un passato che andava ben oltre le loro due vite.

    Fino a che non nacque la seconda bambina, Miriam visse come una reclusa e tenne nascosta a tutti la presenza di Esther.

    Lei e Samuel si trasferirono in uno chalet sulle Alpi francesi vicino alla casa della levatrice e attesero soli che nascesse la loro seconda figlia.

    La levatrice andava a far loro visita alla sera. Parlava pochissimo e non rispose mai a nessuna domanda di Samuel circa i traffici di suo cognato Simon.

    Samuel era un uomo ricco e potente, eppure davanti a sua moglie rimpiccioliva come un bambino.

    Mai, nemmeno per un attimo, pensò di contrastare il tacito accordo stipulto tra Miriam e Simon. Sentendosi quasi un estraneo in quel patto, ma dovendo poi viverlo in prima persona, decise che i due mesi d'attesa prima della nascita del secondo bambino, sarebbero serviti per diventare il papà di Esther. Temeva di non affezionarsi a lei, quindi si occupò della piccola Esther giorno e notte. La nutrì, la coccolò, rimase sveglio per lei.

    E lei conobbe presto la sua voce che divenne il miglior conforto di tutti i suoi piccoli dolori e per lui serbò i suoi più luminosi sorrisi.

    Quando Miriam diede alla luce Hanna, Samuel sentì di avere due figlie.

    La vita fu assai generosa per molti anni.

    Esther ed Hanna erano diverse come il giorno e la notte, ma profondamente unite e amate.

    Esther era spigolosa e testarda, Hanna solare e docile, una rigorosa e maniacale, l'altra estrosa e spensierata. Esther era scura di pelle, di occhi e di capelli, altissima e di una bellezza mozzafiato, Hanna era piccola, bionda con due occhi azzurri e lucenti. Hanna era identica a Miriam ed Esther identica a... Simon.

    Fare tutto insieme era per loro naturale come respirare.

    La presenza mite di Hanna fu per Esther un salvacondotto.

    Era l'accomodante e allegra Hanna che spianava la strada, aggiustava i rapporti, raddrizzava le prospettive e che trattava con i genitori per ottenere permessi o perorare cause.

    Il fatto che Simon fosse letteralmente scomparso non fece mai abbassare la guardia a Miriam. E nemmeno a Samuel.

    Sapevano bene cosa fosse il Mossad e sapevano anche che il silenzio assoluto di Simon era una protezione per loro e per Esther. Una protezione che era prudente non violare.

    Discussero solo una volta dell'opportunità di dire la verità ad Esther e fu quando le bambine compirono tre anni. Quello fu per loro un punto di non ritorno: tre anni d'età erano ancora pochi, potevano dire come stavano le cose senza lasciare traumi indelebili, andare oltre avrebbe significato tacere per sempre.

    Andarono oltre.

    E furono felici, molto felici.

    Fino a che Miriam non si ammalò di cancro.

    Esther urlò di dolore, di rabbia, se la prese con Dio e con gli uomini, ma riuscì a serbare ogni giorno un sorriso dolcissimo per la sua amatissima mamma; Hanna pianse di nascosto, pregò Dio, gli offrì se stessa e serbò ogni giorno un sorriso dolcissimo per la sua amatissima mamma.

    Miriam morì circondata dai volti amati di suo marito e delle sue figlie.

    Ci volle pazienza per trovare un'altra normalità.

    La nostalgia divenne la padrona di casa.

    Le ragazze tornavano da scuola e l'urlo Mamma! morì sulle loro labbra per diversi mesi prima di trasformarsi in Papà!.

    Samuel cambiò abitudini e scoprì con stupore che ruolo straordinario rivestiva sua moglie in seno alla famiglia.

    Aveva sempre saputo che tutto si reggeva sulle spalle esili ma granitiche di Miriam, non immaginava però che quel tutto fosse così vasto. Se non crollò nel mare di nostalgia che invase le loro vite, fu solo perchè fu travolto dalla meraviglia di scoprire quanto sua moglie fosse più straordinaria, ancora più straordinaria!, di quanto immaginasse. E con discrezione e umiltà prese il suo posto nella vita delle sue figlie.

    Esther ascoltò in silenzio la verità taciuta per ventidue anni. Non aprì bocca solo perché era troppo debole per parlare.

    Quando Samuel tacque il silenzio fu pesantissimo.

    Poi, dopo qualche minuto Esther parlò:

    - Hanna lo sa?

    - Nessuno lo sa.

    - Perchè?

    - Perchè abbiamo promesso a Simon di crescerti come se fossi nostra. Erano tempi pericolosi... Simon era un uomo ricercato... E poi sei nostra. Sei mia figlia, come Hanna. È così, per me e per tua madre è sempre stato così.

    - Per me no, non più.

    - Esther non posso nemmeno immaginare cosa stai provando, ma per noi non cambia nulla. La differenza l'hanno fatta questi ventidue anni.

    - E se non fossi ebrea?

    - Sei ebrea. Simon è ebreo.

    - E mia madre? Solo se mia madre era ebrea posso essere ebrea. Vi siete mai chiesti chi fosse mia madre?

    - Esther è stato tutto così frettoloso. Tutto è accaduto quella notte. Simon è apparso in casa nostra come disceso dal cielo, aveva una bambina di tre mesi in braccio e ci ha detto che era sua figlia e che dovevamo occuparcene facendo credere a tutti che fosse nostra. E così abbiamo fatto. Era per la tua sicurezza, per la nostra e per quella di Simon.

    Mi avete presa così come si prende un pacco, senza domandarvi nulla, senza chiedere nulla. E ora io chi sono? Chi sono? Sono cresciuta con la consapevolezza di essere ebrea e di essere figlia di Miriam e Samuel Rosenthal... e di tutto ciò nulla è vero!

    Era prevedibile che Esther piombasse in un vortice di rabbia.

    Solo l'amore immenso e tranquillo dei suoi genitori aveva potuto placare così a lungo quell'indole ribelle e furiosa.

    La sua prima reazione fu quella di fuggire.

    Lasciò l'ospedale di nascosto pochi giorni dopo.

    Samuel immaginava che avrebbe reagito in modo violento, lo immaginò immediatamente perché la conosceva benissimo. E non tentò di opporsi.

    Opporsi ad Esther voleva dire entrare in un circolo vizioso di frustrazione che avrebbe solo alimentato il suo stato d'animo.

    Così fece quello che un uomo saggio, astuto (e facoltoso) avrebbe fatto: le mise un detective alle calcagna.

    Era ricco e potente, era un commerciante d'arte molto famoso, aveva dato la caccia a tesori scomparsi in tutto il mondo e nel suo libro paga c'erano signori capaci di scovare dipinti usciti di scena da secoli... sarebbero stati capaci di tenere d'occhio una ragazzina di vent'anni, no?

    Per una settimana Esther visse in un albergo pagando la stanza con il denaro contante che aveva nella borsetta. Il denaro finì molto presto, però. Di tornare a casa non se ne parlava nemmeno.

    Mentre una mattina sedeva al tavolo di un bar leggendo gli annunci economici, un uomo si sedette vicino a lei.

    - Mi manda suo padre - disse senza tanti giri di parole.

    Quale? Si trattenne a mala pena dal chiedere Esther.

    - Le manda questo - e le allungò una busta.

    Esther immaginò dalle dimensioni che fosse piena di denaro.

    - Non voglio i suoi soldi.

    - Il signor Rosenthal lo considera un prestito. Legga la lettera.

    Esther era terribilmente cocciuta, ma anche estremamente pratica. Aprì la lettera.

    Cara nipote,

    non voglio dirti di tornare a casa, ti conosco e so che sarebbe inutile.

    Sicuramente avrai riflettuto e ponderato con calma la decisione di lasciare casa tua. Avrai valutato ogni singolo aspetto e sicuramente sai quello che stai facendo. Del resto la tua indole riflessiva non poteva che avere la meglio in questo delicatissimo momento.

    Rimane comunque il fatto che io sono il solo parente che hai al mondo. Se vuoi smettere di considerarmi tuo padre, dovrai rassegnarti a pensare che sono tuo zio.

    Sei maggiorenne per cui non posso riportarti a casa a viva forza, ma posso offrirti il mio aiuto... che tu sei libera di rifiutare. Nella busta troverai una somma di denaro che ti permetterà di affrontare le prime settimane, una carta di credito e le chiavi di un appartamento che potrai usare senza che nessuno interferisca mai con la tua vita.

    Considera tutto questo un prestito.

    Tua sorella Hanna è disperata e ti aspetta. E io con lei.

    A presto,

    papà.

    PS.: Se cerchi Simon devi chiamare questo numero 1456****** e chiedere di Mr. Smith. Ti chiederanno: Chi lo desidera? e tu risponderai Sua sorella. Non conservare questa lettera.

    Un sorriso le balenò nello sguardo.

    Tipico di Samuel non opporsi. Era non opponendosi mai che era riuscito ad evitare mille disastri nella vita di sua figlia.

    Vai Esther, vai, sbatti la testa contro il muro, e io sarò lì vicino al muro a fasciarti quella testa dura.

    Il tizio che aveva consegnato la lettera e il denaro si era dileguato mentre Esther leggeva, per cui tutta la pantomima che aveva intenzione di mettere in scena, fu inutile. Per rifiutare quei soldi sarebbe dovuta tornare a casa, il che voleva dire affrontare Hanna. Affrontare Hanna sarebbe stato devastante. Solo Hanna la impietosiva, solo lei piegava le sue ribellioni.

    Se Hanna avesse pianto avrebbe rinunciato a tutto.

    E quello non era il momento di rinunciare.

    Hanna sapeva chi era suo padre, anche Samuel sapeva chi erano esattamente tutti i membri della sua famiglia e poteva permettersi il lusso di chiamarla e considerarla figlia, a sua scelta, ma lei non aveva potuto scegliere; lei era stata scaricata in una famiglia che l'aveva ingannata per ventidue anni. Amata e ingannata, per la precisione.

    La nuova vita che Esther iniziò da sola durò cinque anni.

    Per cinque anni non vide più né suo padre né sua sorella.

    Scrisse qualche cartolina. Un po' di cuore perché non la credessero morta.

    Non immaginava che un investigatore riferisse a suo padre tutte le settimane ogni minimo dettaglio della sua vita.

    Se fosse stata a casa sicuramente Samuel si sarebbe impicciato di meno.

    Si iscrisse a un corso di giornalismo e scoprì di saperci fare.

    Fondò una rivista femminile che in un paio d'anni arrivò a dettar legge nella moda e nella vita sociale di Londra.

    Restituì a suo padre tutti i soldi che lui le aveva prestato, divenne ricca.

    Poi compose quel numero di telefono.

    - Cerco Mr.Smith.

    - Chi lo desidera?

    - Sua sorella.

    Capitolo 3

    1998

    Simon viveva a S. Gimignano in Toscana.

    Esther lo incontrò in un bar della piccola piazza.

    Era seduto solo ad un tavolino e stava leggendo un giornale locale. Lo riconobbe subito, era identico a lei. Finalmente

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