Italian Shorts. Brevi storie lungo il belpaese
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Italian Shorts. Brevi storie lungo il belpaese - Alessandro Gallo
Caracò Editore
Cosmi
3
AA.VV.
ITALIAN SHORTS
Brevi storie lungo il Belpaese
Caracò Editore
Collana Cosmi
ISBN 978-88-97567-05-9
I edizione marzo 2012
© Tutti i diritti sono riservati
www.caraco.it
ITALIAN SHORTS
Brevi storie lungo il Belpaese
PREFAZIONE
di Massimo Cacciapuoti
Quella del racconto è un’arte a sé. Un capitolo a parte del complesso mondo della prosa. È, o meglio, dovrebbe essere, capacità di sintesi, di condensare in uno spazio esiguo, un evento, un momento della vita che però abbia valore significante, assoluto. Universale. Una sorta di sineddoche esistenziale. Ebbene, i racconti di questa raccolta, realizzano appieno la loro funzione. Rielaborano momenti cardine della vita dei personaggi, gente comune, momenti che segnano la loro vita, e li connotano come universali. E l’universalità è data, a mio parere, da un punto di vista particolare, che è quello della contemporaneità. I personaggi di questi racconti sono vivi, veri, sgorgano come acqua di fonte, dal quotidiano. C’è qualcosa di ognuno di noi in ciascuno dei personaggi, con le nostre aspirazioni, le velleità, i desideri irrealizzati o irrealizzabili. E ancora le nevrosi, i sensi di colpa, le aberrazioni. E in fondo a tutto, i nostri clamorosi fallimenti. Che sono i fallimenti del quotidiano, di una società che non lascia spazio ai sogni, alla voglia e al desiderio di arrivare da qualche parte, fosse pure una meta illusoria, i viaggi fantastici di un Gulliver qualunque. Il miraggio di un mondo migliore, dove si riesca a essere figli, padri. Giovani in via di formazione. Sembra l’epilogo tragico di un pessimismo cosmico e, in ultima analisi, generazionale. La crisi di una società che del contemporaneo, del moderno o del post-moderno, non sa più che farsene e cerca di affondare di nuovo faccia e gambe, in quei valori che sembravano sorpassati, e storicamente insufficienti. La ricerca delle proprie radici, di sé stessi. Di un sé poco o per nulla individualista, perché neppure dell’individualismo, spocchioso ed egocentrico, fatuo e deforme, sa più che farsene. La ricerca dell’uomo, nello spazio angusto di un racconto, spesso è trasbordante, come accade in À la guerre!, bella prova di realismo visionario, o della necessità della fanciullezza, in Una mattina all’Ikea, dove uno dei simboli del consumismo sfrenato, dei luoghi non-luoghi, diventa pretesto per raccontare il vuoto. Sembra quasi che in questo mondo, sia tutto ugualmente scontato, dai mobili alla crisi familiare. Scontato e di scarso valore. Realistica, con una vena di amaro umorismo è l’icastica del precariato, da un call center a promoter, del racconto di Giacomo Savani, dove il protagonista, pur di sfangarla, scende a patti con il suo stomaco salvo poi tornargli tutto in gola. La catarsi, invece, si realizza nel racconto di Rita Parisi, dove l’amore è l’elemento deflagrante, che spezza le catene della necessità. Ma un amore particolare, quello per un figlio che nascerà. Anche qui, il tema dominante è il precariato, ovvero una società che ha tolto ai giovani la capacità di sognare, di immaginare un posto dove vivere e costruire. Da questo momento in poi, quel senso di vuoto esistenziale, quasi disumanizzante, che sembra il fil rouge che unisce tutto, si dipana in crescendo: dal potente incipit di Colonne materne, alla ricerca di un piacere fatuo e incarnato, nel senso deteriore del termine, di Regalo per lei, agli Squarci dentro: mancanze, che già nel titolo risulta dirimente. E culmina nella descrizione di un altro universale: il sud, l’atavica terra del rimorso, dell’incompiuto e inconcluso, ma stavolta, un sud che assurge a carattere emblematico. È il sud del mondo, con le sue regole a-civili, con quel riscatto impossibile che segna da sempre la sua storia. Quando il pessimismo di un gruppo di giovani scrittori, anagraficamente giovani, diventa assoluto, è segno che forse davvero qualcosa non va. Il loro grido andrebbe raccolto e ascoltato con doviziosa cura, dentro e oltre le pagine di una letteratura che torna a essere civile.
UNA MATTINA ALL’IKEA
di Umberto De Marco
Papà mi sveglia che è tardi.
Anche se non c’è scuola, che la scuola è finita e io, visto che sono intelligentissimo sono stato promosso e, anche se non è uscita la pagella, sono sicuro che ho avuto tutti i voti altissimi, anche se la maestra che è cozza non mi ha mai avuto chissà quanto simpatico, però io sono veramente intelligente e verrò promosso con voti altissimi, papà mi sveglia che è tardi.
Vestiti che dobbiamo uscire, dice papà.
Dove si va? chiedo a papà.
Papà intanto è già uscito dalla mia camera, così vado in bagno e faccio la pipì, poi mi lavo la faccia e mi lavo i denti, torno in camera mia e mi vesto. In casa c’è tutta l’agitazione di quando si esce: tipo mia madre davanti allo specchio con i trucchi e gli orecchini e i braccialetti, e mio padre che conta i soldi e dice mo non partiamo con l’idea che dobbiamo comprare mezzo mondo, non è che mo ogni volta che si esce bisogna spendere i soldi.
Io che sono pronto vado da mio fratello e gli chiedo Iacopo ma dove andiamo?
Iacopo risponde credo che oggi ci recheremo al nuovo magazzino dell’Ikea.
Che cos’è l’Ikea? chiedo a Iacopo.
L’Ikea è il regno del design a basso costo, mi spiega Iacopo. È un enorme mobilificio, strutturato con le fattezze di centro commerciale, nel quale convergono i più svariati tipi di esseri umani, che si illudono che quello che vedono sia vero design. Quando invece è solo gretta omologazione, che nel giro di pochi giorni collasserà. Sai, conclude Iacopo, la gente non comprende mai il vero valore delle cose, è stupida.
Io non sono stupido, gli dico. Ma in realtà non ho capito manco una parola di quello che ha detto.
Con noi viene pure mia cugina Giovanna.
Mia cugina Giovanna è bionda e ha i capelli lunghi e ricci. Mia cugina Giovanna è una bella ragazza. Lo dice pure Iacopo che è una bella ragazza. Iacopo dice che per Giovanna sarebbe idonea la vaselina.
Giovanna viene vestita con un largo vestito a fiori e degli stivaletti. Iacopo quando la vede fa hola cowgirl!
E lei ride.
Appena entriamo in macchina c’è da litigare perché mia madre vuole ascoltare nell’autoradio il cd di Anna Tatangelo, mio fratello vuole ascoltare il cd di Caetano Veloso, mia cugina il cd di Tiziano Ferro. Allora mio padre per accontentare tutti canta lui.
Io non posso stare fermo con le mani nelle mani, inizia a cantare mio padre e allora mamma si arrabbia. Mamma urla basta con queste canzoni, basta con questi anni Settanta. Marco, gli anni Settanta sono finiti, basta col vivere ancora nel passato, non sei più nel passato, il passato è passato. Aggiornati, gli anni passano e tu continui a vivere negli anni Settanta. Poi sta zitta che deve prendere fiato.
Allora papà guarda mia madre, poi guarda me, mio fratello e mia cugina, poi canta un’altra canzone.
Papà canta il cobra non è un fetente.
Mia madre urla il cobra non è un serpente, idiota!
L’Ikea sta ad Afragola che si trova in quello che papà chiama il Triangolo Maledetto
, che è un posto che è tipo il Triangolo delle Bermuda, solo che non si trova nel mare, ma nelle città e alle persone che attraversano queste città può capitare di tutto. Mostri giganti che divorano le loro macchine, maestre assassine, Pokémon cattivi, tanto che spesso la gente da lì non ci ritorna più, oppure ci ritorna senza la macchina, o senza qualche altra cosa, dipende da chi si incontra.
Del Triangolo Maledetto nessuno sa molto, tranne mio padre, che ci ha incontrato spesso creature strane. Una volta infatti papà ha preso in macchina una donna che faceva l’autostop. Mio padre l’ha fatta salire perché lui è un uomo gentile e quella lì si è fatta accompagnare in un posto dove c’erano tipo dei lupi mannari, che l’hanno sbranato e gli hanno sbranato pure la macchina, tanto che è tornato a casa con quella della polizia che la sua ormai proprio non si poteva vedere. Infatti nessuno di noi l’ha più vista.
Papà nell’autoradio mette la cassetta del festival di San Remo, così nessuno se la prende e tutti sono felici. Cantiamo un po’ tutti, io che sono intonato canto meglio e poi dico a Iacopo perché non canti con me? Quello lì risponde non mi sembra un atteggiamento chissà quanto intelligente rovinare questi brani, che già di loro non valgono chissà quanto.
Canta pure tu, gli dico.
No, mi dice lui.
L’Ikea è questo posto che sembra una gigantesca scatola blu e gialla, con le scritte blu e gialle, con un sacco di macchine parcheggiate tutte attorno. Fermiamo la macchina molto lontano da questo scatolone. Mamma mi dice che all’Ikea ci sono i mobili che costano poco perché sono smontati, che qui smontano tutto, infatti ora che guardo meglio posso vedere che in realtà questo scatolone blu e giallo è fatto di mattoncini Lego. Questo scatolone blu e giallo la sera viene smontano altrimenti vengono i ladri e rubano tutto, invece così i ladri possono pure venire ma si guardano intorno, non trovano niente perché tutto è stato smontato, e se ne vanno via.
Mentre stiamo per entrare, che io mi sento tutto emozionato per il fatto che qua tutto si smonta, passano un paio di ragazzi che si rivolgono a mia cugina e le dicono ciao ciaccara.
E Giovanna ride.
Guarda là dice mia madre c’è il parcheggio per bambini.
Vuoi andare al parcheggio dei bambini dove giochi con un sacco di altri bambini? mi chiede mia madre.
Io lo guardo bene questo posto, ci stanno i genitori e i bambini. I genitori portano i bambini a questi signori, che sono i cassieri del parcheggio per i bambini, e questi mettono un numero sul petto del bambino e poi danno una scatola ai genitori.
No, dico, io non ci voglio andare al parcheggio dei bambini.
Ma è bello, dice mia madre.
No, dico io, non ci voglio andare.
Ho visto la scatola io, ho capito tutto io, che qua se ci vado smontano pure me e poi mi mettono nella scatola e mi restituiscono a mamma solo quando se ne va via. Che poi io la conosco mamma, quella a casa manco saprebbe rimontarmi, anzi, secondo me mi perde pure qualche pezzo. No, io al parcheggio per bambini non ci voglio andare, che poi mi smontano e mia madre perde i pezzi e poi mica è bello farsi vedere con una gamba o un braccio che mi mancano. Tutti mi prenderebbero in giro.
Mi raccomando, cerchiamo di non perderci, dice papà.
Ma se ci perdiamo, dice mamma, ci vediamo all’entrata.
Ma non ci dovremmo perdere, dice papà.
Vabbè, dice mamma, ma se per caso capita ci vediamo all’entrata.
Ma non deve capitare, dice papà.
Allora mamma sbuffa e dice senti tu sei più palloso degli anni Settanta. Prende Giovanna sottobraccio e dice tu fai quello che vuoi, io vado a vedere quello che mi interessa.
Io guardo papà e papà guarda me e poi Iacopo.
Iacopo dice ho l’impressione che tua moglie nutra qualche astio nei confronti degli anni che hanno formato il tuo spirito.
Mio padre lo chiama sagace.
Iacopo è intelligente, lo dicono tutti. Iacopo è così intelligente che una volta ho sentito mamma e papà che dicevano che avevano paura che c’era stato un errore tipo uno scambio di culle all’ospedale. Iacopo studia sempre e se non studia legge e se non legge guarda i film e se non guarda i film allora non lo so che fa perché esce con i suoi amici, con cui probabilmente studia, legge e guarda i film.
Io papà e Iacopo entriamo nella prima grande sala dell’Ikea, che è una cosa gigantissima, con i soffitti altissimi e un sacco di bicchieri e di posate. Ci sono pure i mobiletti per le bottiglie di vino, che papà guarda perché a lui il vino piace.
Con Iacopo guardo dei bellissimi cosi di gomma con cui fare il ghiaccio a forma di stella o di freccia.
Poi Iacopo mi