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Emilio o dell'Educazione
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Emilio o dell'Educazione

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About this ebook

L'"Emilio", insieme al "Contratto sociale" l'opera più famosa e più diffusa di Jean-Jacques Rousseau, fu pubblicato nel 1762. Trascorsi oltre due secoli, nulla di Rousseau è andato perduto. I temi fondamentali della sua ricerca sono ancora attualissimi; anzi, hanno conosciuto una vitalità straordinaria anche nei nostri anni, quando si è avvertita universalmente la necessità e l'urgenza di difendere la naturalità dell'uomo dalle sovrastrutture che minacciano di soffocarla.
LanguageItaliano
Release dateJan 12, 2017
ISBN9788838245206
Emilio o dell'Educazione
Author

Jean Jacques Rousseau

Jean Jacques Rousseau was a writer, composer, and philosopher that is widely recognized for his contributions to political philosophy. His most known writings are Discourse on Inequality and The Social Contract.

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    Emilio o dell'Educazione - Jean Jacques Rousseau

    Jean-Jacques Rousseau

    Emilio o dell’Educazione

    Realizzato con il contributo del CQIA (Centro per la Qualità dell’Insegnamento e dell’Apprendimento) e del Dipartimento di Scienze Umane e Sociali dell’Università degli studi di Bergamo.

    Pubblicato grazie al contributo della Fondazione Giuseppe Tovini  

    di Brescia (www.fondazionetovini.it)

    La collana è peer reviewed

    Copyright © 2016 by Edizioni Studium - Roma

    ISBN 978-88-382-4482-7

    www.edizionistudium.it

    Avvertenze: I titoli dei paragrafi dei cinque libri in corsivo sono di Jean-Jacques Rousseau, quelli in tondo sono stati introdotti dal curatore per facilitare la lettura e la messa a fuoco delle fondamentali concettualità che caratterizzano il pensiero dell’Autore e che scandiscono il testo.

    ISBN: 978–88–382–4520–6

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    Indice dei contenuti

    INTRODUZIONE

    1. La ricezione dell’Émile di Rousseau

    1.2 L’Ottocento: l’influenza rousseauiana sulla riflessione pedagogica

    1.3 Il Novecento: le ideologie, il tradimento e la riscoperta

    2. Le ragioni di una nuova traduzione

    NOTA DEL CURATORE

    NOTA BIOGRAFICA

    NOTA BIBLIOGRAFICA

    EMILIO O DELL’EDUCAZIONE

    Prefazione

    LIBRO PRIMO

    LIBRO SECONDO

    LIBRO TERZO

    LIBRO QUARTO

    LIBRO QUINTO

    INDICE DEI NOMI DELL’INTRODUZIONE E DELLE NOTE

    INDICE DELLE OPERE E DEI NOMI DELL’ÉMILE

    INDICE TEMATICO

    Jean-Jacques Rousseau

    Emilio o dell'Educazione

     Edizione integrale con introduzione, traduzione e note a cura di Andrea Potestio

     Edizioni Studium

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    Rousseau dichiara di aver scritto l’Émile in «vent’anni di meditazio­ne e tre ore di lavoro»[1]. Se l’affermazione è sicuramente eccessiva, testimonia però il fatto che la scrittura del libro è il risultato di una riflessione lunga e non estemporanea sui temi educativi. Egli si trova ospite nella residenza del maresciallo Luxembourg, nel 1759, quando compone l’ultima parte del testo dedi­cata all’incontro tra Sofia ed Emilio e alla conclusione del percorso formativo del suo allievo. Il contesto bucolico e sereno[2] nel quale vive consente a Rousseau di terminare, in modo rapido e senza troppe interruzioni, un lavoro che aveva radici profonde e che aveva accompagnato gran parte della sua speculazione.

    L’interesse rousseauiano per i temi educativi appartiene, infatti, alla sua biografia e può essere fatto risalire all’esperienza giovanile di precettore dei due figli di Jean Bonnot de Mably[3]. Egli stesso definisce la sua attività di educatore come un fallimento e si rende conto, facendolo, di non essere portato per svolgere questo ruolo: «avevo press’a poco le nozioni indispensabili per un precettore e credevo di averne la capacità. Nell’anno che passai in casa del signor de Mably ebbi agio di ricredermi. La dolcezza della mia natura mi avrebbe reso adatto a quel mestiere, se la facilità a incollerirmi non vi avesse mischiato i suoi temporali»[4]. Il giovane Jean-Jacques pensa di avere un’inclinazione verso l’educazione, ritenendo di possedere una naturale dolcezza d’animo, ma riconosce anche la tendenza a non controllare le proprie emozioni e, in particolare, la collera.

    Questa esperienza costituisce uno snodo genealogico che ha prodotto effetti, ancora ben visibili, nella stesura dell’Émile. Rousseau ha sperimentato lo scacco e la distanza incolmabile tra l’esperienza diretta e la riflessione teorica. Vivendo il proprio fallimento come educatore che non è in grado, per inesperienza e attitudine, di gestire una situazione formativa specifica e le infinite difficoltà della realtà concreta, ha iniziato a occuparsi dei problemi teorici dell’educazione e della riflessione pedagogica. Nelle Confessions, con uno sguardo ormai maturo, il Ginevrino rilegge in questo modo la propria incapacità di affrontare e gestire la relazione educativa con i suoi allievi: «mi balzavano agli occhi tutti i miei errori, li sentivo, studiavo l’indole dei miei allievi, li comprendevo benissimo, e non credo di essere stato mai, neppure una sola volta, vittima delle loro astuzie. Ma a che mi serviva scovare il male se non vi sapevo rimediare? Pur comprendendo tutto, non impedivo nulla, non riuscivo in nulla, e facevo esattamente tutto quello che non bisognava fare»[5].

    Partendo da questa esperienza, Rousseau decide di scrivere, di soffermarsi sugli aspetti teorici dell’educazione e di costruire un progetto che gli permette, in qualche modo, di oltrepassare i limiti della concretezza, le specificità dei casi particolari e le difficoltà presenti nelle infinite sfumature della realtà. Non a caso, la decisione di rinunciare a fare l’educatore in prima persona è confermata anche in apertura dell’Émile: «Sono troppo consapevole della grandezza dei doveri di un precettore e sento troppo la mia incapacità per accet­tare un simile impiego, da qualsiasi parte mi venga of­ferto. [...] Nell’impossibilità di svolgere il compito più utile, cercherò almeno di assumerne uno più facile e, seguendo l’esempio di tanti altri, non porrò mano all’opera ma alla penna e, in­vece di fare ciò che si deve, mi sforzerò di dirlo»[6]. Questa dichiarazione iniziale dell’autore sottolinea l’importanza degli aspetti autobiografici nel testo e il continuo intreccio tra la biografia di Rousseau e la riflessione teorica.

    L’interpretazione di Starobinski ha ben evidenziato l’importanza della dimensione biografica nella costruzione del pensiero rousseauiano e il desiderio profondo di Jean-Jacques di oltrepassare, con la scrittura e la riflessione, i limiti e i problemi che non sarebbe riuscito ad affrontare, in presenza, come educatore: «in che modo supererà il malinteso che gli impedisce di esprimersi secondo il suo vero valore? Come sfuggire ai rischi della parola improvvisata? A quale tipo di comunicazione ricorrere? Con quale altro mezzo manifestarsi? Jean-Jacques sceglie di essere assente e di scrivere»[7]. Sicuramente, l’esperienza come precettore, la prematura morte della madre e il mancato rapporto con i figli[8] costituiscono elementi significativi per comprendere la genesi dell’Émile e l’interesse profondo che Rousseau ha dimostrato, durante tutta la vita, per l’orizzonte educativo. Un interesse che lo ha spinto a leggere, da autodidatta[9], molti trattati educativi[10], a osservare con spirito critico le consuetudini formative del suo tempo e a progettare un’opera pedagogica. Sarebbe però riduttivo confinare la genesi e le finalità dell’Émile in una dimensione biografica e nel bisogno di riscatto dell’autore dai fallimenti e dalle difficoltà incontrate durante le sue esperienze educative.

    L’orizzonte esistenziale e l’esperienza diretta non rappresentano solo gli aspetti che Rousseau vuole superare attraverso la scrittura e l’assenza, per costruire un contesto formativo ideale e astratto e un allievo immaginario. Al contrario, l’esperienza concreta costituisce anche la garanzia stessa del valore delle riflessioni teoriche e impedisce che le teorie diventino le fantasticherie di colui che scrive. La costante circolarità tra vissuto e testo scritto è ciò che consente, secondo l’impostazione rousseauiana, la validità, l’applicabilità e la fecondità del suo metodo: «per non accrescere inutil­mente il libro, mi sono limitato a presentare i principi di cui tutti dovrebbero sentire la verità. Ma, le regole che potevano avere bisogno di prove, le ho tutte appli­cate al mio Emilio, o ad altri esempi, e ho fatto vedere con ricchezza di particolari come le mie proposte si possono realizzare. Questo, almeno, è il piano che mi sono proposto di seguire. Spetta ora al lettore giudicare se sono riuscito nell’intento»[11]. A partire dalla sua esperienza di uomo, Rousseau presenta nel testo i principi universali sull’origine positiva della natura umana, che rappresentano l’orizzonte metafisico ed etico dell’Émile. Allo stesso tempo, però, è consapevole che, per evitare che l’idea della bontà originaria diventi una semplice illusione astratta, essa deve incontrare la realtà, i limiti umani, i dispositivi, le incomprensioni e le norme e deve concretizzarsi, proprio attraverso la lenta e graduale costruzione di un legame educativo, in azioni concrete libere e responsabili. Il lettore è, così, chiamato a essere testimone dell’intero progetto educativo e a valutarne la fecondità, sia a partire dal riconoscimento della propria bontà originaria, sia attraverso l’analisi delle situazioni educative che Emilio vive. Situazioni educative sempre singolari e irripetibili, ma che possono costituire modelli fecondi per colui che legge.

    Il legame tra la dimensione biografica e la riflessione teorica è evidente anche nell’illuminazione di Vincennes, che Rousseau descrive come un momento decisivo per la genesi di alcuni dei suoi testi principali[12]. Egli individua una linea di continuità tra il Discours sur les Sciences et les Artes, il Discours sur l’origine et les fondements de l’inégalité parmi les hommes[13] e l’Émile, che costituiscono una sorta di percorso unitario poiché, se i primi due Discours denunciano la degenerazione e la corruzione delle norme e delle consuetudini sociali, l’Émile, proprio partendo da queste costatazioni, individua nell’educazione una possibilità di cambiamento. Nella ricostruzione autobiografica rousseauiana, l’illuminazione di Vincennes assume un valore simbolico, poiché rappresenta il momento in cui il Ginevrino intuisce non solo la frattura incolmabile tra teoria e pratica e l’inesauribilità della realtà che non può essere misurata e padroneggiata dalla ragione, ma anche l’essenza profonda e positiva dell’uomo. Egli sente la bontà che caratterizza la sua essenza e che lo determina come uomo. Una bontà che non costituisce solo la sua singolarità ma che, proprio perché determina l’essere uomo di Jean-Jacques, rappresenta anche l’elemento fondante dell’umanità in generale.

    L’intuizione dell’inesauribilità dell’esperienza umana e dell’origine positiva di ogni individuo porta Rousseau, da un lato, a diventare un critico spietato dei dispositivi, delle consuetudini e delle norme che regolano la società nella quale vive[14], dall’altro, a indicare strade e prospettive che possano contribuire a modificare la realtà presente o, almeno, che possano aprire nuovi orizzonti teorici e pratici per i lettori.

    È opportuno sottolineare che Rousseau è pienamente consapevole che l’esperienza umana è sempre accidentale, diveniente, irripetibile e non può essere generalizzata, semplicisticamente, in norme, precetti e teorie da fornire al lettore. Ne consegue che il Ginevrino ricorda fin dalle prime pagine della Prefazione che non ha intenzione di scrivere un trattato sull’educazione, quanto piuttosto di «esporre liberamente il mio modo di sentire»[15]. Egli è cosciente che, in educazione e in pedagogia, non è possibile partire da singole esperienze o da situazioni determinate e giungere, per induzione, a leggi generali. Come suggerisce Bertagna: «non è un caso, dunque, che non rientri nelle corde del ginevrino la propensione a indurre leggi universali e necessarie dall’educazione e dalla pedagogia così come esse sono, come si presentano, o come sono state, come si sono presentate, nel concreto degli spazi e dei tempi, vicini o lontani, per protagonismo personale diretto o mediato»[16]. L’educazione e, a maggior ragione, la pedagogia non possono procedere come le scienze, utilizzando solo la ragione teoretica e tecnica per misurare l’esperienza vissuta o osservata e, successivamente, producendo norme o leggi che possano valere in tutte le situazioni educative concrete.

    Allo stesso modo, Rousseau è consapevole anche dell’impossibilità di costruire principi teorici astratti da applicare in modo deduttivo alla realtà. Le infinite possibilità presenti nell’esperienza e la complessità delle relazioni educative, che si costituiscono a partire da due o più singolarità irripetibili, rendono inapplicabile ogni principio teorico che si distanzi volutamente dalla realtà e non prenda in considerazione ciò che accade nell’esperienza. Al contrario, l’impostazione metodologica dell’Émile si concretizza in una riflessione che parte dall’esperienza, dalla vita, dai fallimenti educativi e dalle osservazioni di chi scrive, ma che non si limita a questa dimensione e che cerca di cogliere sempre anche l’aspetto più profondo e nascosto che dovrebbe rendere vitale ogni agire educativo intenzionale e responsabile[17].

    Infatti, non può essere un caso che lo stesso Rousseau definisca l’Émile: «un’opera di carattere filosofico intorno a un principio sostenuto dall’autore in altri suoi scritti, e cioè il principio che l’uo­mo è per natura buono»[18]. Egli dialoga con i grandi sistemi metafisici classici e del Seicento e la sua idea di educazione naturale prende forma grazie alla lettura delle opere di Montaigne, Pascal, Descartes e Leibniz, dei grandi classici come Platone, Aristotele, Seneca, Plutarco[19], ma anche dei testi politici di Grozio e Pufendorf[20]. Per questa ragione, non è possibile riflettere e approfondire i temi pedagogici rousseauiani senza considerarli all’interno della cultura dalla quale provengono e senza sottolineare l’importanza della dimensione etica e metafisica che appartiene alla sua riflessione. Rousseau vuole difendere la bontà e la purezza originaria dell’uomo, poiché «tutto è bene quando esce dalle mani dell’Autore delle cose, tutto degenera nelle mani dell’uomo»[21]. Il male, il negativo e la corruzione sono generati dall’uomo stesso e dai suoi limiti nel momento in cui si relaziona con gli altri e costruisce le regole sociali. Partendo da questo problema di teodicea e da una specifica visione antropologica, la finalità del progetto formativo rousseaiuano non è tanto e solo la denuncia di una serie di consuetudini educative negative che caratterizzano la società settecentesca e la proposta di alcune soluzioni didattiche concrete che possono essere applicate in ogni situazione, ma consiste nel porre le condizioni affinché ogni singolo uomo possa manifestare la propria essenza positiva in modo integrale.

    Considerare l’Émile come un trattato che propone strategie didattiche innovative ponendo il fanciullo al centro del processo educativo significa, pur cogliendo un aspetto fecondo del procedere rousseauiano, ridurre o, almeno, non riconoscere pienamente la tensione etica e trasformativa che lo attraversa. Come osserva giustamente Burgelin: «Sicuramente, l’Émile non è privo di esempi, di ricette e di esortazioni concrete, ma l’autore non smette mai di affermare l’impossibilità di una imitazione meccanica. Al contrario, vuol far riflettere sui principi e sui metodi»[22]. Gli esempi concreti presenti nell’Émile non devono essere considerati come regole e strategie didattiche da utilizzare passivamente, ma costituiscono occasioni di riflessione sui principi pedagogici che dovrebbero fondare ogni azione educativa. Proprio attraverso la narrazione della relazione formativa tra Emilio e il gouverneur, il Ginevrino ipotizza vie e metodi innovativi che tentano di oltrepassare le convenzioni e le consuetudini sociali e cercano di formare un essere umano che possa vivere in modo armonico, mostrando la propria natura profonda e facendo del bene per sé e per gli altri. Un tentativo che è esposto agli errori, alle circostanze e, inevitabilmente, al fallimento, come testimonia la scrittura dell’Émile et Sophie, ou les solitaires[23].

    Le forti e contrastanti reazioni che, fin dalla pubblicazione dell’Émile, hanno accolto il testo hanno impedito di far emergere, con costanza, l’intima connessione tra gli aspetti etici, ontologici e pedagogici che appartengono alla riflessione educativa rousseauiana. L’entusiasmo di alcuni lettori che hanno celebrato le intuizioni rousseauiane come anticipatrici di temi e idee rivoluzionarie in educazione e le critiche prevenute e violente che si sono abbattute, da più parti, sull’idea di educazione naturale o di stato di natura hanno contribuito, spesso, a sottolineare, in positivo o negativo, solo alcuni aspetti del pensiero del Ginevrino, fraintendendo e riducendo il contributo pedagogico dell’Émile.

    Può essere utile, a questo punto, affrontare una breve e, inevitabilmente, parziale ricostruzione di alcune tappe significative della ricezione dell’Émile, per analizzarne gli snodi teorici significativi e per approfondire i temi pedagogici che, forse per ragioni polemiche o ideologiche, non sono sempre emersi in modo adeguato nelle diverse interpretazioni sul pensiero educativo rousseauiano.


    [1] J.J. Rousseau, Confessions, VIII, in Œuvres complètes, a cura di B. Gagnebin e M. Raymond, I, Bibliothèque de la Pléiade,Editions Gallimard, Paris 1959, p. 386.

    [2] Rousseau ha trovato ospitalità dal 1758 al 1762 presso la residenza del maresciallo di Francia Charles-François Luxembourg (1702-1764), duca di Montmorency.

    [3] Jean Bonnot de Mably è un uomo che riveste un ruolo importante nella città di Lione e appartiene a una famiglia aristocratica e colta. Rousseau ottiene il lavoro grazie alla mediazione di Madame de Warens ma, dopo alcuni mesi, a causa delle difficoltà nella gestione dei due bambini e dei rapporti con i genitori, si rende conto di non essere adatto a rivestire il ruolo di precettore. In questa occasione, scrive anche una Mémoire rivolta al padre dei fanciulli, che costituisce un primo momento di riflessione sulle questioni educative. Si veda J.J. Rousseau, Mémoire présente à Mr De M[ably] sur l’éducation de M. son Fils, in Œuvres complètes, IV, cit., pp. 3-32 e cfr., supra, I, n. 36, p. 91.

    [4] J.J. Rousseau, Confessions, VI, cit., p. 267.

    [5] Ibid., p. 267.

    [6] J.J. Rousseau, Émile ou de l’éducation, in Œuvres complètes, IV, cit., p. 264 e cfr., supra, I, p. 95.

    [7] J. Starobinski, Jean-Jacques Rousseau. La trasparenza e l’ostacolo [1971], il Mulino, Bologna 1982, p. 201.

    [8] Rousseau abbandona i cinque figli avuti da Thérèse Levasseur (1721-1801). I suoi oppositori, dopo la pubblicazione dell’Émile, criticheranno molto questa decisione, vista in netta contraddizione con i consigli educativi del testo. Nelle pagine della Nona passeggiata, Rousseau cerca di giustificare la scelta di aver abbandonato i propri figli sostenendo di amare comunque i bambini (J.J. Rousseau, Les réveries du promeneur solitaire, in Œuvres complètes, I, cit., p. 1086 e ss.). Si veda anche il tentativo di giustificazione presente nelle Confessions, nel quale considera lo stato un educatore migliore di se stesso (VIII, in Œuvres complètes, I, cit., p. 357).

    [9] Una parte significativa dell’istruzione di Rousseau viene svolta da autodidatta ed è spinta dalla curiosità e dall’interesse personale, che lo portano a occuparsi di diverse discipline, come la musica, la geometria e la botanica, oltre alle lettere e alla storia (cfr., supra, II, n. 120, p. 247 e supra, III, n. 9, p. 273).

    [10] Nell’Émile, Rousseau dimostra di aver letto molti testi della sua epoca che si occupano di temi educativi. Anche se spesso vengono citati in modo critico, libri come Le Traitè des études (De la manière d’enseigner et d’étudier les belles lettres, par rapport à l’esprit et au coeur, Paris 1726-28) di Rollin e il Traité du vrai mérite du l’homme (1734) di Lemaitre de Claville influenzano le riflessioni educative di Rousseau. Inoltre, il Ginevrino dialoga anche con le argomentazioni pedagogiche di Fleury (Traité du choix et de la méthode des études, 1686), di Locke (Some Thoughts concerning Education, 1693) e di Fénelon (Les aventures de Télémaque, 1699 ed Èducation des filles, 1687). Un’importanza decisiva tra le letture sui temi educativi di Rousseau deve essere attribuita a De l’institution des enfants di Montaigne, che rappresenta una fonte significativa per le tesi rousseauiane contro il pedantismo e l’eccessivo astrattismo di molte forme educative del Settecento (M. de Montaigne, De l’institution des enfantes, in Les Essais, v. I, XXVI, Librairie Générale Française, Paris 2001 [1580], pp. 222-274; trad. it. Dell’istruzione dei fanciulli, in Saggi, Mondadori, Milano 2008, pp. 167-203). Su questi temi si veda il lavoro di P.D. Jimack, La genèse et la rédaction de l’Émile de J.J. Rousseau, Institut et Musee Voltaire, Genève 1960, pp. 273-372 e cfr., supra, II, n. 87, p. 212.

    [11] J.J. Rousseau, Émile ou de l’éducation, cit., p. 264 e cfr., supra, I, p. 96.

    [12] «Oh signore, avessi mai potuto scrivere un quarto di ciò che ho visto e sentito sotto quell’albero, con quale chiarezza avrei mostrato tutte le contraddizioni del sistema sociale, con qual forza avrei esposto tutti gli abusi delle nostre istituzioni, con quale semplicità avrei dimo­strato che l’uomo è buono per natura e che diventa malvagio solo a causa di quelle istituzioni. Tutto ciò che ho potuto conservare di quella folla di profonde verità che m’illuminarono nel quarto d’ora che rimasi sotto quell’albero si tro­va sparso in modo inefficace nei primi miei tre scritti principali, cioè nel primo discorso, in quello sull’ineguaglianza, e nel trattato sull’educazione: queste tre opere sono inscindibili, formano insieme un blocco unico» (J.J. Rousseau, Lettres à Malesherbes, in Œuvres complètes, I, cit., pp. 1135-1136). Lo stesso episodio viene narrato in altri scritti autobiografici: Id., Rousseau juge de Jean-Jacques. Dialogues, in Œuvres complètes, I, cit., pp. 828-829; Id., Les Rêveries du promeneur solitaire, in Œuvres complètes, cit., pp. 1014-1015 e Id., Confessions, VIII, cit., p. 351. Questo momento estatico e rivelativo avviene il 25 Luglio del 1749, mentre Rousseau sta andando a trovare l’amico Diderot, richiuso nel carcere di Vincennes. L’illuminazione assume una valenza simbolica nella biografia rousseauiana e lo porta a intuire una serie di verità profonde sulla natura umana. Verità che costituiscono i principi teorici del Discours sur les Sciences et les Artes, che presenterà al concorso dell’Accademia di Digione, e delle opere della maturità, tra cui anche l’Émile.

    [13] J.J. Rousseau, Discours sur les Sciences et les Artes, in Œuvres complètes, III, cit., pp. 3-30 e Id., Discours sur l’origine et les fondements de l’inégalité parmi les hommes, in Œuvres complètes, III, cit., pp. 111-194.

    [14] Sul tema della critica alle norme sociali, si veda il saggio di B. Baczko, Rousseau. Solitude et communauté, Mouton, Paris 1964.

    [15] J.J. Rousseau, Émile ou de l’éducation, cit., p. 242 e cfr., supra, I, p. 68.

    [16] G. Bertagna, Una pedagogia tra metafisica ed etica, in Id. (a cura di), Il pedagogista Rousseau. Tra metafisica, etica e politica, La Scuola, Brescia 2014, p. 14.

    [17] Sull’idea di educazione come un’azione intenzionale e responsabile che consente di promuovere l’autonomia e la libertà dell’uomo, si veda G. Bertagna, Dall’educazione alla pedagogia. Avvio al lessico pedagogico, La Scuola, Brescia 2010, pp. 356-403 e Id., Trasformazioni epocali e nuova pedagogia della scuola, in L’educazione nella crisi dell’Welfare state, a cura di L. Pazzaglia, La Scuola, Brescia 2015, pp. 179-204.

    [18] J.J. Rousseau, Lettera a Philibert Cramer, 1764, in Correspondance complète, a cura di R.A. Leigh,Voltaire Foundation, Oxfordshire, vol. XXI, n. 3564, p. 248.

    [19] Per un’analisi approfondita dell’influenza delle fonti classiche e moderne nella redazione dell’Émile, oltre al già citato La genèse et la rédaction de l’Émile de J.J. Rousseau di P.D. Jimack, si veda anche M. Richebourg, Essai sur les lectures de Rousseau, Ginevra 1934. Sull’importanza delle fonti classiche, si veda K.S. Tchang, Les sources antiques des théories de J.J. Rousseau sur l’education, Lione 1919. Tchang sottolinea anche, oltre a quella platonica, l’influenza di alcune idee aristoteliche come il valore della sensazione nella concezione di ragione sensitiva rousseauiana. Si vedano anche P.L.J. Villey, L’influence de Montaigne sur les idées pédagogique de Locke et de Rousseau,Paris 1911 e G. Pire, De l’influence de Sénèque sur les théories de J.-J. Rousseau, in «Annales de la Société J.-J. Rousseau», 33, Genève, 1953-1955, pp. 57-92.

    [20] Sulla ripresa di Rousseau, anche critica, di alcuni temi del giusnaturalismo, cfr., supra, V, n. 199, p. 703.

    [21] J.J. Rousseau, Émile ou de l’éducation, cit., p. 245 e cfr., supra, I, p. 71.

    [22] P. Burgelin, Introduction. Émile ou de l’éducation, in Œuvres complètes, IV, cit., p. CX.

    [23] J.J. Rousseau, Émile et Sophie, ou les solitaires , in Œuvres complètes , IV, cit., pp. 881-924. Il testo, scritto in forma epistolare e rimasto incompiuto, narra le disavventure di Emilio e Sofia dopo il matrimonio e la nascita del figlio . La morte dei genitori di Sofia, di una figlia e l’adulterio della ragazza portano i due giovani alla separazione e alla disperazione e annullano la fragile felicità dei primi anni di vita coniugale.

    1. La ricezione dell’Émile di Rousseau

    1.1 La censura e le celebrazioni

    L’Émile rappresenta un’opera significativa nella produzione rousseauiana sia perché si colloca, insieme al Contrat social e alla Nouvelle Héloïse, tra i testi della maturità, sia perché gli effetti positivi e negativi generati dalla sua pubblicazione, avvenuta nel 1762, avranno profonde conseguenze sulla vita del suo autore.

    Occorre ricordare che, nel 1762, Rousseau è un intellettuale conosciuto a Parigi e in Francia. Ha vinto con il Discours sur les Sciences et les Artes il premio dell’Accademia di Digione, ha collaborato all’edizione dell’Encyclopédie redigendo alcuni articoli sulla musica, è amico di Diderot e ha anche composto un’opera musicale, Le devin du village, che il 18 ottobre del 1752 è stata eseguita a Fontainebleau alla presenza del re[1]. Inoltre, nel gennaio del 1761 viene pubblicata la Nouvelle Héloïse che ottiene un ottimo successo di pubblico[2]. Queste motivazioni concorrono a generare una certa attesa per l’uscita dell’Émile negli ambienti dell’aristocrazia e dell’alta borghesia parigina, ma espongono anche il suo autore alle possibili critiche del pubblico e delle autorità.

    Le vicende che portano alla pubblicazione del manoscritto sono complesse e, in qualche modo, anticipano i problemi e le violente reazioni che si manifesteranno dopo l’uscita del testo. Verso la fine del 1760, Rousseau ha terminato la stesura definitiva del volume e, grazie alla mediazione del maresciallo Luxembourg, suo amico e protettore, firma nel settembre del 1761 un contratto preliminare con l’editore Nicolas-Bonaventure Duchesne[3] per la stampa e la diffusione in Francia dell’Émile. Nei mesi successivi, le revisioni per la pubblicazione del testo procedono molto a rilento e il Ginevrino, nonostante le rassicurazioni degli amici, inizia a sospettare che vi sia una cospirazione contro il suo scritto. Quando viene a sapere che padre Griffet, un gesuita[4], aveva letto e parlato pubblicamente dell’Émile, i suoi sospetti si trasformano in certezze e crede di essere vittima di una cospirazione gesuita.

    I timori di Rousseau per un complotto da parte dei Gesuiti sono certamente infondati e rivelano, in modo evidente, gli aspetti ossessivi del suo carattere e dei suoi comportamenti, ma mettono in evidenza anche una preoccupazione, molto realistica e sensata, per le possibili reazioni rispetto alle tesi espresse nell’Émile, in particolare quelle di carattere religioso della Profession de foi du vicaire savoyard. Durante i primi mesi del 1762, la revisione editoriale del manoscritto per la stampa procede più velocemente e, il 24 maggio 1762, le prime copie del volume sono in vendita a Parigi. Le preoccupazioni di Rousseau non sono, però, destinate a venir meno, anzi egli coglie, come ricorda nelle Confessions, alcuni elementi inquietanti nelle prime reazioni, sia private sia pubbliche, subito dopo la pubblicazione del testo: «l’uscita del libro non provocò i numerosi applausi che avevano seguito altri miei testi. Mai un’opera ha avuto così tanti elogi privati, e così poca approvazione pubblica. Ciò che mi dissero e ciò che mi scrissero le persone più capaci di giudicarne mi confermò che era il migliore dei miei scritti, e il più significativo. Ma tutto ciò venne detto con strane precauzioni, come se fosse necessario mantenere il segreto sul bene che se ne pensava»[5].

    Anche se i ricordi che Rousseau presenta nelle Confessions sono parziali e non sempre attendibili, possono essere utili per mostrare i segni di un’atmosfera emotiva che si stava sviluppando contro l’Émile e che induceva alcuni presunti amici, come D’Alembert o Duclos, a essere estremamente prudenti nell’esprimere pubblicamente elogi e commenti positivi sul testo. Intanto, a Parigi e in Francia le reazioni polemiche e le critiche contro il libro crescono e iniziano a fare presagire le decisioni violente che le istituzioni politiche e religiose prenderanno nelle settimane successive.

    Il 3 giugno il libro viene sequestrato dalle autorità e, il giorno successivo, l’editore Duchesne informa Rousseau che la polizia sta impedendo la vendita del testo, che deve essere sospesa in tutte le librerie di Parigi e della Francia. Il 9 giugno il Parlamento decreta la condanna dell’Émile e l’arresto del suo autore[6]. Anche su consiglio del maresciallo Luxembourg, Rousseau, che avrebbe voluto rimanere per difendere le sue idee, lascia Montmorency e inizia una vita da esule e perseguitato fino alla fine dei suoi giorni. Si trasferisce a Yverdon, ma la condanna del testo anche a Ginevra lo costringe a fuggire nuovamente a Môtiers-Travers, territorio svizzero che apparteneva al re di Prussia Federico II, che gli offre protezione. Intanto, le condanne dell’Émile si moltiplicano: in Olanda le copie del libro vengono sequestrate, il Sinodo di Ginevra pronuncia la sua accusa nei confronti dell’Émile, la Facoltà teologica della Sorbonne lo censura[7] e, nel 1763, persino papa Clemente XIII si esprime a favore della condanna.

    Il 28 agosto del 1762 appare anche il Mandement dell’arcivescovo di Parigi Christophe de Beaumont, che rappresenta un atto di accusa articolato contro l’Émile e, in particolare, contro le tesi di religione naturale espresse nella Profession de foi du vicaire savoyard. Secondo l’arcivescovo, l’educazione naturale proposta da Rousseau abbassa il genere umano alla condizione animale e condanna l’umanità a vivere senza religione: «[l’autore] si fa precettore del genere umano per ingannarlo, istruttore pubblico per indurre tutti in errore, oracolo del secolo per il piacere della distruzione. In un’opera sull’ingiustizia delle condizioni, egli ha abbassato la condizione dell’uomo a quella delle bestie; […] egli insegna lo sviluppo delle prime fasi d’età del bambino per costruire l’impero dell’irreligione»[8]. I dottori della Sorbonne e Beaumont si trovano d’accordo nel condannare l’empietà delle tesi rousseauiane che, secondo la loro interpretazione, utilizzano l’educazione naturale per sviluppare un sistema formativo che nega i principi della cristianità, come l’idea del peccato originale o il valore delle religioni rivelate[9]. Allo stesso tempo, però, le accuse non si limitano agli aspetti religiosi e considerano le fantasie e i ragionamenti illusori e ingannevoli dell’Émile pericolosi per l’ordine sociale[10]. Il giovane Emilio, educato secondo le idee dell’educazione naturale, è destinato a non riconoscere l’importanza dei legami sociali vigenti e a diffondere idee anarchiche e distruttive per la società.

    Sicuramente, la censura del testo da parte delle autorità religiose ha prodotto effetti negativi sulla vita di Rousseau che, a cinquant’anni di età, considerato un autore di successo, si è trovato a dover fuggire e a dover condurre una vita da esule. Le tesi provocatorie, per la sensibilità religiosa dell’epoca, espresse nella Profession de foi possono permetterci di comprendere, almeno parzialmente, la violenza delle reazioni iniziali contro l’Émile. In realtà, è anche il contesto politico e sociale di quegli anni a contribuire a generare un clima così sfavorevole e unanime contro Rousseau[11]. Bisogna però osservare che non solo gli esponenti della tradizione religiosa hanno manifestato la loro ostilità nei confronti del testo rousseauiano, ma anche la cultura illuminista si è espressa, in modo forte, contro i principi educativi del Ginevrino. Voltaire dichiara, in diverse lettere dopo la pubblicazione dell’Émile, che si tratta di un testo incoerente che offende sia i filosofi, sia gli spiriti religiosi: «Jean-Jacques, che ha scritto contro i preti e contro i filosofi, è stato condannato al rogo a Ginevra per il suo Émile»[12]. Anche negli anni dell’esilio e, in particolare, durante il soggiorno inglese, Rousseau è uno dei bersagli preferiti della penna caustica di Voltaire che, in tutti i modi, cerca di sminuire il valore delle sue opere[13]. A testimonianza del clima ostile che si era creato intorno al Ginevrino negli ambienti letterari e filosofici dell’Illuminismo, anche Diderot, amico di un tempo, prende le distanze dai temi dell’Émile[14].

    Gli Illuministi non perdonano a Rousseau il profondo sentimento religioso che traspare dalle pagine della Profession de foi e le critiche, più volte ripetute nel testo, alla supponenza dei filosofi e alla formazione libresca e astratta dei giovani. Le accuse del Ginevrino contro le istituzioni formative del Settecento di essere pedanti e di costruire un’istruzione astratta e lontana dalla realtà e dagli interessi dell’allievo rappresentano, per gli intellettuali illuministi, un attacco diretto nei confronti della fiducia nella ragione umana e nel progresso scientifico. La scelta di far leggere a Emilio il Robinson Crusoe come unico romanzo fino all’età di quindici anni e l’affermazione perentoria «odio i libri, perché insegnano a parlare solo di ciò che non si conosce»[15] spingono molti Illuministi a considerare frettolosamente l’Émile un trattato educativo che vuole riportare l’umanità a uno stato primitivo e a ribadire le critiche che erano già state formulate con la pubblicazione dei Discours[16]. Queste prime interpretazioni polemiche considerano l’educazione naturale come un processo che vuole formare un selvaggio, senza cultura e incapace di vivere in società. La complessa categoria metafisica di natura che è alla base del testo rousseauiano perde, in questo modo, le sue molteplici sfumature etiche e filosofiche e viene ridotta a contesto bucolico o a ipotetico stato di natura primitivo, nel quale l’umanità potrebbe vivere felicemente rinunciando alla propria socievolezza e ragionevolezza. Emilio diventa il simbolo del buon selvaggio e rappresenta un modello utopico di felicità, che può essere raggiunta solo allontanandosi dalle consuetudini e dalle norme sociali.

    Questa lettura superficiale influenza molto gli ambienti culturali dell’epoca. Non a caso, vengono pubblicati negli anni successivi una serie di scritti come l’Anti-Émile di Formey[17] o la Lettre à Mr. D***, sur le livre intitulé: Émile, ou de l’éducation di padre Griffet[18], che criticano le tesi illusorie, irrealistiche e antisociali di Rousseau. La moltiplicazione di questo genere di libri testimonia l’interesse della cultura settecentesca per le questioni formative, ma contribuisce anche ad accrescere l’isolamento del pensatore ginevrino e ad accreditare un’idea riduttiva dell’Émile. Un’idea che verrà ripresa, in diverse forme e modalità, anche nei secoli successivi e che porterà a diffondere il pregiudizio che l’educazione naturale sia identificabile con un processo formativo senza regole, finalizzato a formare un uomo privo di cultura e incapace rispettare le norme sociali.

    Anche se le reazioni all’uscita dell’Émile sono prevalentemente negative, a causa degli effetti della censura imposta fin dalle prime settimane di pubblicazione, il testo riesce a circolare nei salotti settecenteschi e viene tradotto velocemente in inglese e in tedesco. L’opera ottiene subito un buon successo tra i lettori, come testimonia la corrispondenza rousseauiana negli anni successivi alla pubblicazione. Infatti, molti genitori, educatori e persone interessate ai temi pedagogici si rivolgono al Ginevrino per chiedergli chiarimenti e consigli sull’educazione dei figli o sulle modalità concrete di applicazione dei suoi principi[19]. A testimonianza della diffusione delle riflessioni rousseauiane, persino il principe di Württemberg gli scrive per domandare suggerimenti per la formazione della figlia. La risposta di Rousseau al principe evidenzia la consapevolezza della difficoltà di conciliare la teoria pedagogica con la pratica educativa e il ruolo di padre con gli obblighi di una posizione di grande prestigio sociale: «se avessi la disgrazia di essere principe, e di essere incatenato dagli obblighi del mio stato, se fossi costretto ad avere uno stuolo di domestici, vale a dire padroni, e ciononostante avessi un animo sufficientemente elevato per voler essere un uomo ad onta del mio rango, per voler assolvere ai grandi doveri che impone l’essere padre, marito, cittadino della repubblica degli uomini, avvertirei ben presto la difficoltà di conciliare tutti questi obblighi e soprattutto quelli relativi all’educazione dei miei figli in vista dello stato in cui li ha collocati la natura»[20]. Rousseau risponde a chi lo interroga sui principi dell’Émile, cerca di spiegarli e di chiarire la sua prospettiva, ma sottolinea continuamente l’impossibilità di considerare il suo libro un insieme di regole e di strategie educative da applicare, in modo automatico, alle diverse situazioni.

    Non solo madri e padri preoccupati dell’educazione dei figli hanno apprezzato l’Émile. Non si può dimenticare l’interpretazione di Kant che ha dichiarato, in diverse occasioni, di essere stato profondamente influenzato dagli scritti del Ginevrino. Contemporaneo di Rousseau, il filosofo tedesco coglie il legame tra gli aspetti etici, metafisici e antropologici presenti nel progetto pedagogico rousseauiano e individua nell’educazione naturale la finalità di far apparire l’essenza nascosta positiva che appartiene a ogni uomo. Come sottolinea giustamente Cassirer: «non sono stimoli o emozioni ciò che Kant cerca negli scritti di Rousseau, ma è una decisione intellettuale o morale, alla quale attraverso di essi si sente spinto e chiamato»[21].

    Proprio la lettura di Kant consente di cogliere, nell’opera rousseauiana, una sensibilità che oltrepassa la fiducia nel progresso e nella ragione tipica degli autori dell’Illuminismo e che anticipa i temi del Romanticismo di inizio Ottocento. Anche senza occuparsi in modo analitico del Ginevrino, il filosofo tedesco intuisce aspetti del pensiero rousseauiano che riusciranno a influenzare, se pur con modalità differenti, autori come Richter, Herder, Goethe e Pestalozzi[22].

    Non si trovano ammiratori dell’Émile solo in ambito tedesco, infatti i principi dell’educazione naturale e negativa si diffondono e, anche se con caratteristiche specifiche in relazione ai diversi contesti culturali, ottengono consensi appassionati in molte corti e salotti letterari dell’Europa. Per esempio, l’influenza dei temi educativi rousseauiani è significativa anche in Russia, in particolare negli ultimi anni del Settecento, subito dopo la pubblicazione dell’Émile. Nonostante la censura, il testo circola negli ambienti nobili russi e ispira in modo diretto la riforma del sistema educativo elaborata da Ivan Beckoj, consigliere della zarina Caterina II, nel 1763 e 1764[23]. Prima ancora della lettura che Tolstoj farà nell’Ottocento delle idee educative rousseauiane, alcune strategie formative presenti nel suo testo si diffondono e trovano consensi tra gli intellettuali e i riformatori russi più attenti ai problemi educativi. Seppur con maggiore lentezza[24], l’Émile suscita interesse e reazioni forti, sia positive sia negative, anche nella cultura spagnola, influenzando autori come Marchena, Jovellanos e Blanco-White[25]. In Italia, il dibattito sui temi educativi rousseauiani si diffonde, in modo significativo, solo a partire dalla seconda metà dell’Ottocento[26].

    Le prime riflessioni sulle proposte educative del Ginevrino sono caratterizzate da una forte componente polemica. La censura delle istituzioni religiose e le critiche di molti autori dell’Illuminismo producono, da subito, un generalizzato interesse per il testo negli ambienti culturali dell’epoca e il desiderio di leggerlo. Allo stesso tempo, però, i lettori tendono a dividersi in difensori e in oppositori delle tesi rousseauiane, senza occuparsi di analizzare e approfondire i diversi aspetti teorici dell’Émile. Inoltre, gli elementi negativi e contradditori della vita del Ginevrino[27] spingono i detrattori a giustificare le proprie accuse, in modo pretestuoso, con argomentazioni biografiche. Ne consegue che la prima ricezione dell’Émile risulta fortemente frammentaria, tende a confondere le argomentazioni dei Discours, pubblicati precedentemente, e del Contrat social con quelle più educative e si caratterizza per una forte componente ideologica. A volte, la polemica nei confronti dell’educazione naturale e della Profession de foi si basa più sulle interpretazioni degli avversari o dei sostenitori del Ginevrino che sulle argomentazioni presenti nel testo.

    Non sfugge a queste caratteristiche, la letture che alcuni tra i principali artefici della rivoluzione francese hanno dato del pensiero rousseauiano, contribuendo però in modo decisivo alla diffusione e alla celebrazione di Rousseau come uno dei fondatori dei principi della modernità. Anche se i sostenitori della rivoluzione hanno visto più nel Contrat social e nelle considerazioni politiche i temi che hanno anticipato i loro ideali, alcune proposizioni profetiche dell’Émile hanno contribuito a sviluppare l’idea del Ginevrino come un teorico della rivoluzione: «voi avete fiducia nell’ordine attuale della società, senza pen­sare che questo ordine è soggetto a rivoluzioni inevitabili e che è impossibile prevedere e prevenire quella che potrebbe travolgere i vostri figli. Il grande diventa piccolo, il ricco diventa povero, il sovrano diventa suddito, giudicate così rari i rovesci della sorte da ritenere di es­serne esenti? Ci avviciniamo a un’età di crisi e al secolo delle rivoluzioni»[28].

    La critica severa nei confronti delle norme e dei vizi sociali, l’ispirazione democratica e le accuse nei confronti dei privilegi dell’aristocrazia e del clero rappresentano sicuramente temi che ispirano personalità come Robespierre e Saint-Just. Non solo le argomentazioni politiche, ma anche la forza innovatrice dell’educazione naturale influenza diversi esponenti della rivoluzione francese. Infatti, in piena età rivoluzionaria, la Convenzione decide di pubblicare un testo, composto da passi dell’Émile, per aiutare i genitori nell’educazione dei figli[29]. Inoltre, si diffondono in questi anni diversi volumi che si ispirano direttamente al pensiero di Rousseau e sottolineano il legame tra le sue opere e gli ideali della rivoluzione. Louis-Sébastien Mercier scrive De J.J. Rousseau considéré comme l’un des premiers auteurs de la Révolution[30], in cui sostiene con forza l’influenza delle idee rousseauiane negli ideali e nei principi rivoluzionari e Cavaye nel suo Nouvel Émile[31] si propone di dare consigli alle madri sull’educazione dei figli partendo dai temi dell’educazione naturale[32].

    Il fatto di essere considerato un anticipatore degli ideali rivoluzionari e un padre dei principi dello stato moderno, ha consentito all’opera rousseauiana di esercitare una profonda influenza sugli autori di lingua francese. Anche in ambito educativo, l’educazione negativa, quella naturale e le strategie di puericultura diventano teorie con le quali chi si interessa di problemi educativi si deve necessariamente confrontare.


    [1] Rousseau si occupa di musica fin dalla giovinezza studiando da autodidatta. Tra le sue composizioni musicali si può ricordare Les Muses galantes del 1745 e, soprattutto, Le Devin du village. Egli scrive anche saggi su temi musicali come la Dissertation sur la musique moderne (in Œuvres complètes, V, cit., pp. 167-245), le voci per l’Encyclopédie sulla musica su richiesta di D’Alembert nel 1749 e il Dictionnaire de mu­sique che viene pubblicato nel 1769.

    [2] Su questi temi, si veda R. Trousson, Rousseau, Gallimard, Paris 2011, pp. 178-185.

    [3] Nel Novembre del 1761, Duchesne sigla un accordo con l’editore olandese Jean Néaulme per la distribuzione dei libri fuori dalla Francia e, all’insaputa di Rousseau, un altro accordo con l’editore Bruysset per la distribuzione del testo nei paesi non coperti da Néaulme. Per un’analisi di queste questioni, si veda T. L’Aminot, Introduction, in J.J. Rousseau, Œuvres complètes. Édition thématique du tricentenaire,VII, a cura di R. Trousson e F.S. Eigeldinger, Éditions Slatkine, Genève - Éditions Champion, Paris 2012, pp. 277-284.

    [4] Padre Henri Griffet (1698-1771) è stato un predicatore gesuita, che ha svolto gran parte della sua attività a Parigi e che pubblicherà anche un testo molto critico sull’Émile di Rousseau. Cfr., supra, p. 16.

    [5] J.J. Rousseau, Confessions, XI, in Œuvres complètes, I, cit., p. 573.

    [6] Nel documento di condanna si legge che «tutta l’opera è stata composta per promuovere l’idea di religione naturale e l’autore, attraverso l’educazione naturale proposta al suo allievo, vuole sviluppare un sistema criminale. [...] Oltre all’empietà si aggiungono dettagli indecenti che offendono il pudore e delle affermazioni false e odiose nei confronti dell’autorità sovrana, che hanno lo scopo di distruggere il principio di obbedienza che gli è dovuto e di indebolire il rispetto e l’amore del popolo per il re» (Arrêt de Parlement qui condamne un imprimé ayant pour titre: "Émile ou de l’éducation", P.G. Simon, Paris 1762, pp. 2-4).

    [7] Il 7 Giugno 1762 Gervaise, delegato della Facoltà teologica, denuncia l’Émile che verrà poi censurato. Nel documento ufficiale di censura, vengono condannate 58 proposizioni e l’accusa riguarda sia temi religiosi, sia educativi e sociali: «i fondamenti e la misura di tutti i doveri nei confronti degli altri, si basano (in Emilio) a partire dall’amour-propre. [...] Ma c’è di più. Una volta cresciuto e diventato padrone di sé, Emilio non avrà nessun dovere nei confronti dello stato e sarà anche libero di rinunciare alla patria che è stata di suo padre» (Censure de la Faculté de Théologie de Paris contre le livre qui a pour titre Émile ou de l’éducation, Pierre-Alexander Le Prieur, Paris 1762). I principi sostenuti nell’Émile, secondo i dottori della Sorbonne, conducono necessariamente la società verso un’anarchia sia politica, sia religiosa. Su questo tema, si veda J.R. Armogathe, Émile et la Sorbonne, in J.J. Rousseau et la crise contemporaine de la conscience, Beauchesne, Paris 1980, pp. 53-76.

    [8] C. de Beaumont, Mandement de Monseigneur l’archevêque de Paris, C.F. Simon, Paris 1962, pp. 6-7. Rousseau risponde in modo puntuale alle critiche dell’arcivescovo in alcune lettere, che rappresentano una testimonianza dei profondi sentimenti religiosi dell’autore. Cfr., Lettre à C. de Beaumont , in Œuvres complètes, IV, cit., pp. 927-1009. La reazione molto forte degli ambienti religiosi contro le tesi della Profession de foi du vicaire savoyard si basa su due aspetti principali: la negazione del principio del peccato originale e la critica alle diverse forme di religione rivelate a favore dell’affermazione del deismo. Bisogna osservare, per quanto riguarda la prima critica, che Rousseau non vuole polemizzare tanto contro gli aspetti teologici del peccato originale, quanto con una versione popolare di questo principio che spingeva a sostenere una visione pessimistica dell’uomo e la possibilità di trasmissione biologica del male dai genitori direttamente ai figli. Su questi temi, S. Polenghi, La ricezione di Rousseau in area austro-tedesca. Da Lessing a Milde (1751-1813), in Il pedagogista Rousseau, cit., pp. 224-225.

    [9] Nel suo scritto del 1763, il cardinale Gerdil afferma parlando dell’autore dell’Émile: «egli riuscirà a ispirare la sofferenza e l’avversione contro le migliori istituzioni sociali e religiose [...]. Egli non formerà un selvaggio, ma un pessimo cristiano e un pessimo cittadino» (G.S. Gerdil, Reflexions sur la théorie et la pratique de l’éducation contre les principes de m.r Rousseau, Reycends, & Guibert, libraires, Torino 1763, pp. 4-5).

    [10] Su questi temi, si vedano Bernard e Monique Cottret, J.J. Rousseau en son temps, Perrin, Paris 2005, pp. 417-441 e J. Bloch, Rousseauism and education in eighteenth-century France, Voltaire Foundation, Oxford 1995.

    [11] François e Pierre Richard affermano: «un accanimento così unanime deve spiegarsi con una serie di ragioni diverse. Innanzi tutto il libro era apparso proprio nel momento in cui il Parlamento si preparava a espellere i Gesuiti. Per placare in anticipo l’opinione pubblica, esso non esitò a proscrivere un autore la cui condanna sembrava una testimonianza di imparzialità. Nocque anche a Rousseau proprio ciò che costituiva per lui il più alto titolo d’onore: egli aveva osato firmare la sua opera» (François e Pierre Richard, Introduzione, in Emilio o dell’educazione, Mondadori, Milano 1997, p. XXXVIII).

    [12] Voltaire, Lettera a Cideville, 21 Luglio 1762, in Correspondance, a cura di T. Besterman, The Voltaire Foundation, Oxfordshire, 1973, pp. 118-119. Tra le lettere di Voltaire su questo argomento si vedano: Lettera a Damilaville, 21 Agosto 1763, cit., p. 367; Lettera a Helvétius, 25 agosto 1763, cit., pp. 372-373 e Lettera a Madame de Luxembourg, 9 gennaio 1765, cit., pp. 308-310.

    [13] Sulle critiche di Voltaire a Rousseau durante il soggiorno del Ginevrino in Inghilterra, si veda M. Cottret, Le citoyen dans tous ses états: Rousseau au risque de Clio, in «Annales historiques de la Révolution française», 370, octobre-décembre 2012, pp. 16-17.

    [14] D. Diderot, Correspondance, G. Roth (a cura di), III, Les éditions de Minuit, Paris 1957, p. 37 e ss.

    [15] Cfr., supra, III, p. 296.

    [16] Risulta significativa la lettera che Voltaire scrive a Rousseau dopo la lettura del Discours sur l’origine de l’inégalité, nella quale considera l’idea di stato di natura rousseauiano un tentativo di riportare l’umanità all’epoca primitiva, dominata dall’animalità e dagli istinti. Voltaire, Lettera a J.J. Rousseau, 1755, in Correspondance complète, R.A. Leigh (a cura di), cit., vol. III, n. 317, pp. 156-157.

    [17] J.H.S. Formey, Anti-Émile, J. Pauli, Berlin 1763. Cfr., supra, I, n. 3, p. 72. Nei decenni conclusivi del Settecento si moltiplicano le pubblicazioni su temi educativi. Molti di questi testi riprendono, in modo polemico o entusiasta, i principi dell’educazione naturale e negativa.

    [18] Henri Griffet scrive nelle sue considerazioni sull’Émile: «Odio i libri, ci dice l’autore, e perché allora scriverne uno e farlo anche così lungo? Egli ne ha letto un grande numero che continua a citare e a confutare. [...] Malgrado tutti gli sforzi della sua penna prolifica di paradossi non riuscirà mai convincere gli altri uomini a pensarla come lui» (Lettre à Mr. D***, sur le livre intitulé: Émile, ou de l’éducation, Grangé, Paris 1762, pp. 18-19).

    [19] Madame Luise d’Epinay (1726-1783) si dichiara allieva di Rousseau e Madame Madeleine-Elizabeth Roguin, proprietaria della casa di Môtiers dove il Ginevrino ha abitato dal luglio 1762 a settembre 1765, scrive a Rousseau lettere appassionate chiedendogli suggerimenti. Sul ruolo delle lettrici dell’Émile, si veda H. von Felden, Die Frauen und Rousseau: Die Rousseau-Rezeption zeitgenössischer Schriftstellerinnen in Deutschland, Campus Verlag, Frankfurt-New York 1997.

    [20] J.J. Rousseau, Lettera al Principe del Württemberg, 1763, in Correspondance complète, cit., vol. XVIII, n. 3017, p. 115. Nonostante la risposta di Rousseau, la corrispondenza tra il principe e il pedagogista dura fino al 1775 e comprende ben 63 lettere, di cui 38 del principe del Württemberg (1731-1795) e 25 di Jean-Jacques. Cfr., supra, I, n. 40, p. 94. Su questi temi, si vedano: E. Becchi, Otto papà illuminati, in Formare alle professioni. Sacerdoti, principi, educatori, a cura di E. Becchi e M. Ferrari, Franco Angeli, Milano 2009, pp. 329-335 e E. Nardi, Rousseau contraddice Jean-Jacques, in «Cadmo», III, 7, 1995, pp. 63-69.

    [21] E. Cassirer, Rousseau, Kant, Goethe [1945], Donzelli, Roma 1999, pp. 7-8.

    [22] Per una ricostruzione approfondita della ricezione del pensiero rousseauiano in area austro-tedesca, si veda il saggio di Simonetta Polenghi. L’autrice sottolinea che l’interpretazione kantiana: «si basa su di un approccio nuovo, esclusivamente teoretico, di guardare alle sue opere, che prescindeva dalle sue vicende biografiche e quindi dalle sue debolezze e miserie umane» (S. Polenghi, La ricezione di Rousseau in area austro-tedesca. Da Lessing a Milde (1751-1813), cit., p. 223). Polenghi evidenzia che l’importanza dell’intuizione kantiana è stata accentuata nel 1942 con la pubblicazione dell’edizione completa delle Bemerkungen über das Gefühl des Schönen und Erhabenen, scritte dal filosofo tedesco tra il 1764 e il 1768. Su questi temi si veda anche J. Mounier, La fortune des écrits de Jean-Jacques Rousseau dans le pays de langue allemande de 1782-1813, Université de Lille, Lille 1979.

    [23] Caroli sottolinea gli elementi della pedagogia rousseauiana presenti negli statuti e nei regolamenti per l’educazione dei fanciulli proposti da Beckoj. Cfr., D. Caroli, La ricezione di Jean-Jacques Rousseau in Russia tra Settecento e Ottocento, in Il pedagogista Rousseau, cit., pp. 258-260.

    [24] Si pensi che la prima traduzione in spagnolo dell’Émile è del 1817.

    [25] Per un approfondimento di questi temi, si veda A. Viñao frago, La ricezione di Rousseau in Spagna, in Il pedagogista Rousseau, cit., pp. 231-247.

    [26] La prima traduzione italiana dell’Émile è del 1886. J.J. Rousseau, Emilio, o dell’educazione: romanzo pedagogico, trad. it. di P.A. Vizzotto, Trevisini, Milano 1886. In questi anni l’editore milanese Trevisini pubblica una serie di prime traduzioni, tra cui anche due testi di Pestalozzi: Come Geltrude istruisce i suoi figli e Leonardo e Geltrude. Su questi temi, si veda G. Chiosso, I classici della pedagogia tra Positivismo e Riforma Gentile, in I classici della pedagogia, a cura di G. Cives, G. Genovesi, P. Russo, Franco Angeli, Milano 1999, pp. 33-38.

    [27] Oltre all’accusa di aver abbandonato i figli, anche alcuni episodi che lo stesso Rousseau narra nelle Confessions vengono utilizzati dai detrattori prevenuti come elementi di critica per le argomentazioni pedagogiche. Per esempio, tra i contemporanei del Ginevrino genera molto clamore la vicenda della piccola Marion, che il giovane Jean-Jacques accusa per il furto di un nastro rosa che, in realtà, egli stesso aveva rubato (J.J. Rousseau, Confessions, II, cit., pp. 84-87). La calunnia nei confronti di Marion che ha come conseguenza il licenziamento della giovane domestica viene interpretato, dagli oppositori e dai nemici, come un segno evidente della debolezza del carattere del Ginevrino e della sua incapacità di occuparsi di temi educativi. Sul ruolo del ricordo giovanile nelle Confessions, si veda R. Trousson, Eziologia del ricordo d’infanzia e di giovinezza in J.J. Rousseau, in Il pedagogista Rousseau. Tra metafisica, etica e politica, cit., pp. 147-164.

    [28] Cfr., supra, III, p. 312.

    [29] Principes de J.J. Rousseau sur l’éducation des enfantes; ou instructions sur la conservation des enfants, et sur leur éducation physique et morale, depuis leur naissance jusqu’à l’époque de leur entrée dans l’école nationales, Ouvrage indiqué pour le concours, suivant le décret de la Convention nationale du 9 Pluvose dernier, Paris, Abriy, an II de la République française.

    [30] L.S. Mercier, De J.J. Rousseau considéré comme l’un des premiers auteurs de la Révolution, voll. II, Buisson, Paris 1791.

    [31] P. Cavaye, Nouvel Émile, ou conseils donnés à une mère sur l’éducation de ses enfants, Castres, Rodière 1797.

    [32] Su questi temi, si vedano J. McDonald, Rousseau and the French Revolution ( 1762-91 ) , The Athlone press, London 1968 e N.B. Robisco, J.-J. Rousseau et la Révolution française. Une esthétique de la politique, 1792-1799, Honoré Champion, Paris 1998.

    1.2 L’Ottocento: l’influenza rousseauiana sulla riflessione pedagogica

    Dopo le celebrazioni degli anni della rivoluzione, l’Émile continua a essere letto e discusso da chi si vuole occupare di educazione. Anche nella prima metà dell’Ottocento la ricezione del testo rousseauiano è caratterizzata da aspetti fortemente polemici e da una netta suddivisione in difensori e oppositori che, se pur con tonalità e consapevolezze differenti, dialogano più con le interpretazioni che negli anni si sono stratificate diventando classiche che con il testo stesso. Inoltre, le teorie educative dell’Émile vengono spesso lette alla luce delle contraddizioni e delle mancanze biografiche dell’autore[1]. L’abbandono dei figli, le difficoltà come educatore e i comportamenti ossessivi ed eccessivi di Rousseau costituiscono elementi di critica nei confronti dell’idea di educazione naturale, descritta come una fantasia illusoria e utopica.

    Il rischio di queste interpretazioni risiede nel rendere sempre più difficile ricostruire e comprendere, con il passare degli anni, il contesto culturale nel quale Rousseau ha affermato le sue tesi. Un contesto che affonda le sue radici nei grandi sistemi metafisici del Seicento e guarda, con nostalgia e ammirazione, le proposte politiche ed educative del mondo classico. Una caratteristica diffusa delle interpretazioni ottocentesche dei testi di Rousseau consiste nel non soffermarsi, con uno sguardo storico, sulle categorie filosofiche e pedagogiche e sui principi antropologici che hanno originato le sue riflessioni. Infatti, per poter avviare un lavoro critico sulle fonti del pensiero rousseauiano bisognerà attendere la seconda metà del Novecento, grazie alla pubblicazione dei cinque volumi delle Œuvres complètes. Nonostante questo aspetto, l’influenza delle idee del Ginevrino sulla riflessione pedagogica di molti autori ottocenteschi è sicuramente rilevante, anche se discontinua e caratterizzata dalla ripresa delle polemiche degli anni successivi alla pubblicazione dell’Émile.

    Nei primi decenni dell’Ottocento sono soprattutto gli autori del Romanticismo tedesco ad apprezzare le idee rousseauiane e la sua concezione positiva dell’uomo[2]. Autori come Fichte, Herder, Johann Paul Richter e Pestalozzi, riprendendo da diverse prospettive la lettura kantiana, contribuiscono a elaborare il paradigma storico di Rousseau come fondatore di una visione moderna del fanciullo e dell’educazione. Una visione pedagogica che focalizza la sua attenzione sull’allievo e sulle strategie che permettono ai maestri e alle istituzioni educative di formare un uomo che sappia armonizzare le sue potenzialità fisiche e spirituali.

    Il mondo culturale tedesco ha avuto un ruolo che può essere definito paradigmatico nella ricezione dell’idee educative rousseauiane. Le caratteristiche peculiari della tradizione tedesca, che si basa sulla concezione metafisica di Leibniz e sulla antropologia protestante, portano a sviluppare due interpretazioni, per alcuni aspetti opposte, del rapporto che Rousseau individua tra uomo e società, natura e cultura. La prima è quella tipicamente idealista. Seguendo la linea kantiana, la cultura romantica di primo Ottocento identifica nell’idea di Bildung il processo, auto ed etero diretto, che consente all’uomo di perfezionare le proprie potenzialità. Autori come Goethe e Richter colgono nelle intuizioni educative rousseauiane gli elementi per far emergere, in modo armonico, l’essenza etica che risiede in ogni individuo e che le norme sociali hanno degenerato e oscurato. La società, le istituzioni e le cattive consuetudini sono colpevoli dell’irruzione degli elementi negativi nella realtà e tendono a irrigidire le potenzialità degli individui e separare, in modo artificiale, l’uomo dalla natura[3].

    La seconda linea interpretativa è di matrice più politica e si sofferma maggiormente sulla responsabilità della società e sull’idea di uguaglianza. Leggendo il Discours sur l’origine et les fondements de l’inégalité, Engels sottolinea che Rousseau teorizza la rivoluzione come atto finale che porta gli oppressi a togliere, legittimamente, il potere agli oppressori per restaurare un’uguaglianza fondata sulle regole del patto sociale[4]. Starobinski afferma: «l’interpretazione di Engels unisce il Contratto sociale al secondo Discorso passando attraverso l’idea di rivoluzione. Parimenti Kant e, più di recente, Cassirer, ritengono che il pensiero di Rousseau sia un tutto coerente. [...] Per giungere alla riconciliazione dei termini opposti, tuttavia, invece di passare attraverso l’idea di rivoluzione attribuiscono importanza decisiva all’educazione. [...] Rivoluzione o educazione: è il punto fondamentale su cui la lettura marxista e la lettura idealista di Rousseau, una volta stabilito l’accordo sulla necessità di un’interpretazione globale del suo pensiero teorico, si trovano in opposizione»[5]. Pur rischiando una certa semplificazione, Starobinski coglie in sintesi gli aspetti significativi di entrambe le interpretazioni e il loro valore paradigmatico.

    Le letture idealista e marxista tendono a cercare una finalità comune nell’opera rousseauiana. Una finalità che permette di armonizzare gli aspetti più paradossali, le polarità concettuali e i diversi ambiti di indagine proposti dal Ginevrino. In questo modo, gli autori vicini ai temi dell’idealismo identificano, nell’educazione naturale, la proposta che permette un’autentica formazione e che consente a ogni essere umano di manifestare la propria essenza positiva modificando le contraddizioni e le negazioni della realtà. Al contrario, partendo dall’analisi dei Discours, Marx ed Engels insistono sulla necessità di un radicale cambiamento politico che può avvenire solo attraverso un’epoca di rivoluzione. Solo il ribaltamento radicale della situazione politica settecentesca, che Rousseau vive e descrive, può mettere in condizione l’umanità di stipulare il contratto che consente di costituire una società ben ordinata.

    Al di là della contrapposizione tra educazione e rivoluzione, è interessante sottolineare che queste due letture paradigmatiche hanno avuto molteplici effetti anche sulle interpretazioni pedagogiche dell’Émile. Da un lato, la ricezione idealista insiste maggiormente sulla dimensione etica del singolo che, proprio grazie a un processo educativo attento alle sue esigenze fin dall’infanzia, può sviluppare pienamente le proprie potenzialità. In questo orizzonte teorico, l’educazione è considerata come un fine poiché consente a ogni uomo, per quanto è possibile in relazione ai suoi limiti e al contesto nel quale vive, di manifestare attraverso azioni la propria essenza profonda e buona. Dall’altro lato, la lettura marxista si concentra più sulla formazione del cittadino e sulla dimensione collettiva dei processi educativi, che devono assumersi il compito di costruire le condizioni politiche e sociali per garantire la giustizia e l’uguaglianza. In questa direzione ermeneutica, l’educazione è pensata come un mezzo per costruire le condizioni necessarie per la formazione di una società giusta, ordinata ed equilibrata. Entrambe le interpretazioni radicalizzano alcuni aspetti presenti nella riflessione rousseauiana e le aporie che nascono dall’affermazione, che non a caso apre anche l’Émile, sulla bontà originaria dell’uomo e sulla degenerazione dell’essenza umana a causa dei legami sociali. Come evidenzia giustamente Polenghi: «le due interpretazioni di Rousseau, quella idealista sdoganata da Kant e quella rivoluzionaria di Marx ed Engels, si radicano entrambe nel pensiero aporetico del Ginevrino»[6].

    La tensione che anima l’intera produzione rousseauiana si basa su un’aporia, ossia su un’apertura essenziale, che non si può identificare in un concetto misurabile e definibile con precisione. Questa apertura consiste nell’idea di bontà originaria che, secondo l’impostazione metafisica del Ginevrino, possiede una dimensione ontologia e teologica e non un orizzonte storico ed empirico. La natura profonda dell’uomo è pura e positiva, non così il suo agire concreto nella realtà storica. Anche l’ipotesi dello stato di natura non rappresenta un concreto orizzonte primitivo al quale il Ginevrino guarda con nostalgia, ma una condizione teorica di partenza attraverso la quale elaborare la sua ricostruzione dell’evoluzione storica e politica dei legami sociali. Invece, il male, il negativo e la degenerazione appartengono a tutte le dimensioni storiche e concrete, poiché irrompono nel momento in cui l’uomo costruisce le norme e le istituzioni che formano le società civili. Il nodo teorico che Rousseau coglie ed elabora si basa sulla difficoltà, o addirittura impossibilità, di permettere la manifestazione della bontà ontologica dell’uomo, che esiste e non viene messa in discussione, all’interno delle dinamiche storiche e sociali che, per struttura, tendono a degenerarla e a deformarla. All’interno di questa aporia prende forma l’intera produzione rousseauiana e, in particolare, anche la sua proposta educativa.

    La ricezione di ispirazione idealista e quella marxista tendono entrambe a sottovalutare uno dei due aspetti dello snodo problematico che Rousseau intuisce. L’interpretazione di matrice idealista che ogni bambino può sviluppare e manifestare, in modo equilibrato e organico, la propria essenza se riceve un’educazione non opprimente, libertaria e capace di promuovere, fin dall’infanzia, le sue potenzialità tende a ridurre l’importanza della dimensione storica-empirica nella quale vive ogni persona, il ruolo della biografia del singolo, delle sue attitudini e il potere deformante dei dispositivi sociali che condizionano l’agire dei maestri e degli allievi. Al contrario, l’interpretazione di ispirazione marxista, che considera come massima finalità educativa la costruzione di una società giusta e basata sull’uguaglianza, riduce la dimensione ontologica della riflessione rousseauiana e lo sforzo del Ginevrino di scegliere di formare l’uomo piuttosto che il cittadino, superando le degenerazioni inevitabilmente presenti nei processi educativi che hanno la finalità di stravolgere la natura individuale per finalità collettive[7]. Secondo l’impostazione rousseauiana, non può essere sufficiente offrire un’istruzione uguale per tutti, omologata e garantita da uno stato centrale, e nemmeno porre ogni individuo nelle stesse condizioni di partenza degli altri per mettere in atto un reale processo di trasformazione sociale e politico. È necessario, invece, partire dal riconoscimento della libertà e della irripetibilità del singolo, che deve essere orientato a trovare la sua specifica modalità per manifestare la propria essenza positiva e relazionale.

    Nell’Ottocento, l’influenza della riflessione rousseauiana non è presente solo nelle opere dei filosofi, ma anche, e soprattutto, nelle analisi e nei progetti di educatori, letterati e sostenitori o oppositori dei principi educativi dell’Émile. In questo ambito, che riprende in modo indiretto il dibattito sui temi politici, antropologici e pedagogici avviati dal Ginevrino, si possono trovare elementi significativi della ricezione rousseauiana ottocentesca e della sua influenza, multiforme e ambigua, sugli anticipatori delle correnti pedagogiche dell’attivismo. Anche se non è possibile, in questa sede, ricostruire in modo completo le diverse forme dell’influenza rousseauiana nell’Ottocento, la finalità di queste pagine è evidenziare la riflessione di

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