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Putin e la Filosofia
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Putin e la Filosofia

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Sta arrivando un nuovo paradigma mondiale al quale occorre essere preparati e consapevoli. Vladimir Putin ne è il principale artefice. Finora sull'uomo più potente del mondo (secondo la rivista Forbes) sono usciti libri dal taglio negativo che si soffermano molto sull'aneddotica. Per la prima volta in Italia arriva un libro unico nel suo genere grazie al quale è possibile "entrare nella testa di Putin" con la potenza della filosofia e scoprire un pensiero molto vario e articolato, che parte dall'ortodossia russa e arriva ad Hegel, passa per Cartesio e Nietzsche e atterra in Cina alla corte di Sun Tzu per la gestione strategica dei conflitti e della guerra. 'Putin e la Filosofia' è un libro profondo e completo, ma alla portata di tutti.
LanguageItaliano
Release dateJan 18, 2017
ISBN9788822893321
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    Putin e la Filosofia - Massimo Bordin

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    PREFAZIONE

    «Per il bene degli Stati sarebbe necessario che i filosofi fossero Re o che i Re fossero filosofi». (Platone).

    Il grande regista Alfred Hitchcock amava ripetere che più riuscito è il cattivo, più riuscito sarà il film e siccome il Cinema mostra meglio di ogni altra forma artistica contemporanea il modo attraverso il quale rappresentiamo i nostri desideri e le nostre fantasie, ecco che la necessità di individuare un cattivo sul quale riversare le colpe è passata dagli studi di Hollywood al mondo reale, mantenendo però le spettacolari vesti della finzione. La scelta politica occidentale di affibbiare il ruolo del cattivo al Presidente russo ha assunto negli anni toni sempre più falsi e irrazionali, fino a sfiorare il ridicolo.

    Per gli Americani e gli Europei, Putin ha aggredito l’Ucraina, ha annesso la Crimea con la forza, ha abbattuto un boeing malesiano. Non solo. Per i nostri media Putin ha fatto fuori Alexander Litvinenko con il polonio, ha ammazzato la giornalista Anna Politkovskaja, ha eliminato Boris Nemtsov. Anche se le cantanti Pussy Riot tengono conferenze e concerti in tutto il mondo, per l’opinione pubblica occidentale Putin le avrebbe fatte imprigionare buttando via le chiavi della cella. Per l’opinione pubblica internazionale, mentre commetteva tutti questi crimini, novello James Bond, Putin si preparava ad assaltare la Siria ed i Paesi Baltici.

    Chi segue il motto socratico per il quale una vita senza ricerca non è degna di essere vissuta, non può accettare un simile livello di menzogna senza cercare di comprendere i reali motivi di un atteggiamento che palesemente sconfina nella psicosi.

    Ad indurmi a scrivere un libro su Putin, tuttavia, è stata la convinzione – all’inizio solo un’impressione – che nei discorsi originali e nelle gesta di Vladimir Putin fossero presenti analisi e riflessioni tipiche della filosofia, non solo di quella russa ispirata da Tolstoj e Dostoevskij, ma anche di quella greca, dell’idealismo classico tedesco e del pensiero orientale Zen. Più approfondivo la questione e più trovavo conferme a questa sensazione e, siccome da molti anni la filosofia è il mio mestiere, ho ricostruito il complesso profilo filosofico di Putin nella consapevolezza che osservando il labirinto di quel percorso, noi Europei possiamo ritrovare anche un pezzetto della nostra strada. Un foglietto d’istruzioni per affrontare le difficoltà della vita. Forse, le nostre possibilità perdute.

    Nei film hollywoodiani ove compaiono dei russi, non mi ha mai sorpreso il fatto che il nemico da sconfiggere sia un automa con gli occhi di ghiaccio e senza sorriso, perché questo fa parte della classica rappresentazione del cattivo che ad ogni regista viene spontaneo riprodurre: un killer freddo, disumano, serio, occhio vitreo. Tuttavia, nei film occidentali sulla Russia, tutto è stereotipato e negativo, non solo il cattivo, e ciò fin nei minimi dettagli. Nelle produzioni cinematografiche europee e statunitensi viene trasmessa l’immagine di quella fetta di mondo chiamata Russia dove sono tutti ubriaconi, inclini alle risse, privi di qualsiasi empatia verso gli altri. I russi buoni, quei pochi, sono spesso dei traditori un po’ tonti che parlano male del loro Paese; le donne sono tutte sessualmente disinibite e prede di facile conquista. In Russia, per Hollywood, fa sempre brutto tempo. Anche se il Paese si articola attraverso 9 fusi orari e in Siberia meridionale, in alcuni periodi dell’anno, si superano i 35 gradi, in Russia nevica sempre e gli abitanti annaspano col colbacco tra freddo gelido e raffiche di vento. Poco importa che San Pietroburgo sia stata disegnata da architetti italiani che conoscevano le regole della prospettiva; per i lombrosiani di Hollywood i residenti delle città russe sono tutti poveri ed i palazzi dei tristi casermoni. I pochi ricchi, invece, sono sempre dei mafiosi che non ridono mai e, se lo fanno, stirano le labbra a mostrare tutti i denti, come il Joker di Batman. Se fosse un colore, la Russia sarebbe il grigio.

    Questo modo di rappresentare i nostri vicini di casa è già di per sé emblematico del rifiuto, da parte nostra, di intraprendere un qualsiasi dialogo o confronto, e del livello di menzogna nel quale questi vicini sono stati da noi relegati. Tuttavia, analizzando il fenomeno Putin, non è nemmeno questo l’aspetto più interessante da considerare. Mentre nessun uomo di mondo crede più che i pellerossa fossero crudeli solo perché Hollywood li ha rappresentati così, nessuna riflessione disincantata viene fatta quando si parla di Vladimir Putin.

    Perché? Per quale motivo anche gli intellettuali in Occidente accettano che Putin venga raccontato nelle forme più demenziali e irrealistiche? Il fatto è che l’Occidente vuole credere all’inganno della narrazione propagandistica, vuole vedere la Russia e Putin come un mitologico altro da sé.

    Per restare entro metafore cinematografiche, è come se noi cercassimo di conoscere la Russia ingoiando la pillola blu di Matrix, quella che non consente di conoscere la verità, ma obbliga a rimanere immersi nelle nostre illusioni e patologiche bugie.

    Durante la guerra Fredda si sono scontrate due ideologie, il capitalismo ed il comunismo. Dopo il 1989 è rimasta in piedi un’unica ideologia, che però, in occasione della sua vittoriosa affermazione, si è profondamente trasformata. L’ultracapitalismo attuale non è assimilabile al capitalismo novecentesco: mentre il capitalismo classico teneva distinte l’educazione, la politica e l’etica dall’economia, l’ultracapitalismo riduce tutta la realtà a scambio economico e si riassume nel consumo illimitato di merci, servizi e relazioni.

    Molti occidentali che durante la Guerra fredda avevano esercitato il loro spirito critico contrastando il modello capitalistico, dopo l’89 hanno finito per aderire completamente a quel modello. L’unica rivendicazione politica che è stata mantenuta in Occidente riguarda le libertà individuali, ma si tratta di libertà per modo di dire, dato che nessuna libertà è possibile senza prima l’emancipazione economica. La sinistra in Occidente lancia un messaggio di questo tipo: possiamo lottare per qualsiasi cosa e rivendicare di tutto (uguaglianza, allargamento del suffragio, inclusione dei migranti, diritti dei gay), ma vogliamo tenerci l’essenziale, ovvero il funzionamento senza ostacoli del libero mercato globale e pertanto, la rivendicazione di riforme economiche radicali passa in secondo piano.

    Questa nuova ideologia ha come principale caratteristica quella di non manifestarsi apertamente, di rimanere nascosta. Nella sua brutalità, l’ideologia occidentale al potere si è resa irriconoscibile. Con l’arrivo al potere di Vladimir Putin è arrivata un’alternativa a questo modo di pensare e di agire che è, invece, immediatamente riconoscibile, pur non ripetendo la formula del comunismo così come lo abbiamo conosciuto.

    Cosa accade se arriva qualcuno la cui leadership è così strutturata da mettere in discussione l’unico modello esistente? Cosa accade se il modello occidentale non rimane più l’unico possibile, ma trova nuove formule alternative e ostative?

    Il caso di Putin e della Russia di oggi è emblematico: l’occidentale che ha prima contrastato il modello liberista e poi ha rielaborato il lutto della sconfitta passando dall’altra parte ora vede arrivare un modello alternativo che torna a minare le sue sicurezze. Succede come nello stereotipo di quei film dove l’amato disperso e ritenuto morto a causa di una guerra o di un evento catastrofico, torna a casa dalla sua donna che però, nel frattempo, stanca di aspettare, si è ricostruita una vita con un altro uomo. Lei, di solito, prova ancora un sentimento per l’amante ritornato, ma lo rifiuta perché nel frattempo si è fatta un’altra idea della propria esistenza.

    Nel valutare l’avvento politico di Putin il meccanismo psicologico è simile ed ha a che fare col nostro inconscio. La Russia di Putin è l’inconscio dell’Occidente, con l’aggravante che, rispetto all’inconscio individuale studiato in psicanalisi, esso emerge in tutta la sua forza dalla superficie della storia e sbatte in faccia all’Occidente le sue contraddizioni. Ciò è inaccettabile e va coperto con la menzogna e la denigrazione.

    In altre parole, in occidente desideriamo solo consumare: oggetti, relazioni, sentimenti. Tutto è merce di scambio. Siamo fortemente condotti verso questa strada e ci autoconvinciamo che in ciò consista tutta la nostra vita, ma in qualche modo, nel fondo buio della nostra coscienza, a livello talmente sotterraneo che non ce ne accorgiamo nemmeno, riteniamo che in questa impostazione ci sia qualcosa che non va. Percepiamo, senza capirlo, che questo modo di intendere il rapporto tra noi e gli altri non ci rende mai davvero felici. La nostra parte della personalità emersa, quella che regola l’agire quotidiano, respinge totalmente questa istanza inconscia e nascosta. Putin è un segno, non l'unico, ma è un segno forte che fa emergere questa parte inconscia, e noi vogliamo ricacciarla giù, nella caverna del nostro senso della verità. La storia ufficiale, edonistica, consumistica, perennemente imbellettata di lustrini e paillettes viene così smentita dalla vera storia, incarnata hic et nunc da fenomeni come il putinismo. E’ una storia che però rifiutiamo, preferendo l’illusione.

    In questo libro la menzogna e la vergogna di cui siamo vittime vengono smascherate con la potenza della filosofia. Allacciate la cintura, anzi slacciatela. Perché si parte.

    1

    IL RISVEGLIO DELLA FORZA

    «Ci sedemmo dalla parte del torto, visto che tutti gli altri posti erano occupati». (Bertold Brecht)

    Nuovi barbari si aggirano per il Mondo e il loro capo si chiama Vladimir Vladimirovic Putin. Amatissimo in patria e spesso paragonato ai condottieri orientali antichi, la figura del Presidente russo incute in Occidente sospetto e timore più che simpatia e fiducia, e come è già capitato ad altri uomini politici russi, alla sua figura sono stati associati concetti negativi come dittatura, oscurantismo, dispotismo e tirannide. Questo accade almeno da quando – dopo le dimissioni di Eltsin del 31 dicembre 1999 - le elezioni in Russia portarono alla vittoria questo giovane dirigente ex funzionario del Kgb e consulente del Sindaco di San Pietroburgo. Molto diverso dal suo predecessore, più giovanile e composto, all’apparenza freddo e riservato, il nuovo presidente russo ha instaurato con i vicini di casa dell’occidente Atlantico un rapporto del tutto nuovo e paritario, in apparenza aggressivo e comunque poco incline alle concessioni amichevoli.

    Le televisioni di tutto il mondo negli anni Novanta ci avevano abituato alle pacche sulle spalle tra la dirigenza russa, allora rappresentata da Boris Eltsin, e quella americana guidata dall’emergente democratico americano Bill Clinton. Verso la fine di quell’era, gli scambi telefonici tra politici anglosassoni di alto rango - resi noti solo ora - rivelano un giudizio sul nuovo entrato Vladimir Putin di universale ammirazione. Eppure, persino durante la lunga Guerra Fredda tra Stati Uniti e Unione Sovietica, nessuno aveva mai osato parlare pubblicamente del segretario generale del Pcus come gli occidentali hanno fatto di recente con il Presidente Putin, offendendolo personalmente ed etichettandolo come un assassino.

    Accanto all’atteggiamento di diffidenza e paura, sempre più persone tuttavia anche in Occidente stanno guardando al nuovo orso russo ed ai suoi artigli affilati come ad un interessante possibilità di alternativa e sviluppo. Ciò che si registrava prima e per lungo tempo a destra, ora avviene di frequente anche tra le schiere degli eretici di sinistra; in tutta Europa e negli Stati Uniti non mancano quelli che individuano in Putin l’Homo Novus, l’unico politico capace di interpretare il plurisecolare spirito russo, da sempre malinconico e temprato alle avversità, in bilico tra un Ovest dinamico e innovativo e la tradizione millenaria legata alla terra della Santa Madre Russia. In Europa, e per la prima

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