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Punto di non ritorno
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Punto di non ritorno

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Romanzo psicologico.
Ero ancora vivo. Tutto ciò che era accaduto, il mio intimo percorso esistenziale, non era riuscito a uccidermi. Il tempo trascorso e le immagini ricorrenti dal passato, gli errori e le gioie strappate galleggiavano nella mia mente come detriti vaganti nello spazio. Di tanto in tanto finivo per cozzare con uno dei miei rottami. Ancora vivo ma non più capace di costruire qualcosa con un senso dentro. Una mina vagante, un satellite in fuga, un ologramma svuotato dei suoi intimi contenuti. Quando diventi così, vivi per inerzia, incapace di accostare e fermarti in una vita che non sia la tua. La mia vita? Un insieme di schemi di sopravvivenza, un fuggire dalle relazioni, un cercare chi ero parola dopo parola. La mia vita non era gioia compiuta e non era nemmeno dolore. In fondo forse ero solo precipitato nel purgatorio. La terra di mezzo, il limbo in cui non sei questo e non sei quello, ma sei “qualcosa, qualcuno”.
LanguageItaliano
PublisherAntropoetico
Release dateJan 23, 2017
ISBN9788826003085
Punto di non ritorno

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    Punto di non ritorno - Antropoetico

    scelta

    Galleggiando alla deriva

    Ero ancora vivo. Tutto ciò che era accaduto, il mio intimo percorso esistenziale, non era riuscito a uccidermi. Il tempo trascorso e le immagini ricorrenti dal passato, gli errori e le gioie strappate galleggiavano nella mia mente come detriti vaganti nello spazio. Di tanto in tanto finivo per cozzare con uno dei miei rottami. Ancora vivo ma non più capace di costruire qualcosa con un senso dentro. Una mina vagante, un satellite in fuga, un ologramma svuotato dei suoi intimi contenuti. Quando diventi così, vivi per inerzia, incapace di accostare e fermarti in una vita che non sia la tua. La mia vita? Un insieme di schemi di sopravvivenza, un fuggire dalle relazioni, un cercare chi ero parola dopo parola. La mia vita non era gioia compiuta e non era nemmeno dolore. In fondo forse ero solo precipitato nel purgatorio. La terra di mezzo, il limbo in cui non sei questo e non sei quello, ma sei qualcosa, qualcuno. La sensazione che provavo addosso mi faceva comprendere di non appartenere al mondo circostante, probabilmente non vi ero mai appartenuto. Mai. Semplicemente la vita mi aveva trasportato nel suo flusso temporale come un ramo galleggiante. Mi piaceva quella parola perché definiva lo scenario preciso. Ciò che resta a galla, prosegue la corsa, non è vivo ma nemmeno immobile, il suo destino è incerto ma non per forza negativo. Un ramo può arrivare al mare o approdare su di una spiaggia, su di una riva o venir raccolto per essere bruciato nel fuoco o può semplicemente macerarsi nel viaggio fino a sfibrarsi e a disperdersi nella stessa acqua che l’ha tenuto a galla per così tanto tempo. Il suo galleggiare è il senso di tutto finché sussiste, un cullarsi tra un cozzo e una botta, sotto il sole caldo, nei rovesci di pioggia autunnali in prossimità dell’inverno. Galleggiare indicava anche inequivocabilmente il senso di movimento. Compresi che da qualche parte stavo andando trascinato dalla corrente e che tra me e la meta esisteva un destino da compiersi.

    - Signore, tutto a posto? Si sente bene?

    Preso dai miei pensieri, sostavo ormai da ore sulla panchina del parco con le mani in tasca e gli occhiali scuri dietro ai quali spiavo la vita, immobile e statuario tanto da sembrare perso di mente e uno di quelli che corrono nei parchi, pieni d’energia e voglia di fare, nonostante i capelli imbiancati dall’età, vedendomi in quello stato, si era sentito in dovere d’aiutarmi. Alzai lo sguardo lentamente nello stesso tempo in cui abbassavo gli occhiali e feci un cenno affermativo con la testa.

    - Mi scusi, non volevo disturbarla ma sono passato di qui una decina di volte e mi è parso così immobile, così fermo come non avevo mai visto nessuno. Mi sono preoccupato.

    Gli sorrisi, pallido come il sole del tramonto di ottobre.

    - Non sono fermo, non lo sono mai stato. Sto galleggiando.

    Il tipo strabuzzò gli occhi, mi guardò strano, per lo meno nella stessa maniera in cui guardavo lui poi mi salutò con la mano, girò i tacchi e riprese la sua corsa scuotendo la testa. Lo seguii con lo sguardo e lo vidi darmi del pazzo portandosi l’indice alla tempia quando ormai immaginò che non sarei stato in grado di vederlo. Sorrisi di nuovo. Non capiva i miei ragionamenti. Non poteva perché non era nella mia testa, nel mio mondo. Presi a camminare, sgranchendo le ossa arrugginite dallo stallo. La vita girava intorno, mi avvolgeva come un cartoccio le castagne fumanti e adesso piano, piano cominciavo a risentire le voci e i rumori da cui avevo preso le distanze psicologiche. Decisi che non sarei andato a casa, non ancora e cominciai a ragionare su come la bellezza e forse la gioia, rare o assenti nel mondo circostante, in fondo potessero essere eterne all’interno della mente. Tutto quello che mi serviva era già dentro di me. La vita reale mi sembrò la prigione entro cui si è costretti a sostare a lungo, un recinto di carne, sangue, ossa, un viatico lento e penoso verso la fine prima di potersela scrollare di dosso. All’interno della mente, facendomi cullare dal mio vacuo galleggiare, tutto perdeva consistenza. Non sarei mai invecchiato nei miei sogni, non ci sarebbero state storie dolorose, sconfitte esistenziali, conflitti perché il mondo sarebbe stato esattamente come avrei voluto che fosse. Le scarpe scandivano il tempo sul marciapiede, mi davano il ritmo. Ballai in tal modo per ore. Pensai di non voler sentirmi stanco e così avvenne. Pensai al potere assoluto di decidere ogni cosa da solo. Non volevo più farmi condizionare dal sistema. Appariva chiaro che la felicità non poteva dipendere in alcun modo da un’altra persona, da un’altra situazione, che la gioia si formava dentro una condizione interiore, un distacco da ogni cosa che per quanto bella e attraente la vita avrebbe sempre finito per portartela via.

    Mi sentivo così strano, presente ma assente, un ologramma di chissà quale precedente o parallela vita reso umano o umanoide, secondo la visione mistica di ufologi e cacciatori di misteri. D’altronde i dubbi sulla vera consistenza della vita erano già stati ipotizzati da film come Matrix e dalle moderne teorie di scienza, sostenitrici di universi esistenti nello stesso spazio e nel medesimo tempo. La menzogna dilagava in ogni dove. Non contava più la verità fondamentale di una notizia a tal punto che una bugia, vestita di attendibilità e trasmessa all’infinito nella rete e nei media, finiva per sovrastare, coprire e rendere falsa la fonte originale. La verità sembrava essere diventato un rifiuto della società moderna, un orpello arcaico e desueto, quasi un peso. Ogni informazione circolante nelle televisioni, nelle radio, nel cartaceo e nel digitale era fornita con uno scopo preciso e definito ma mai evidente. Anzi, a tal punto da rendere indistinguibile il vero dal falso e quindi per deduzione logica il bene dal male. Per questo troppe volte nei miei trascorsi quando volevo fare del bene ottenevo l’esatto risultato contrario. L’amore si stravolgeva in sofferenza in un continuo scambio, irrazionale di punto di vista. Iniziavo a focalizzare, in quel marciare apparentemente inutile da una strada all’altra. Di fatto era l’unica scelta razionale cercare di mettere un punto fisso. Non aveva più alcun senso interpretare un ruolo, eppure ciò era stato quello che avevo fatto nella mia vita. Una recita senza né capo né coda. Ciò che agli occhi dei più poteva apparire assurdo in realtà, il mollare tutto cambiando le regole del gioco, giocando contro il sistema, in realtà si configurava come il mio personale scacco al re. Capii di essermi ritrovato all’improvviso davanti a una porta. Era sempre stata lì, solo che non la vedevo, era priva di maniglie, inconsistente. In qualche modo tuttavia dovevo trovare la chiave per passare dall’altra parte. Di qua il caos, l’inquietudine, l’irrequietezza, la violenza, i giorni stanchi, una certa visione terrificante della vita mentre di là, solo poggiando l’orecchio sullo stipite, avvertivo un vibrare diverso e armonico, un soffio delicato che si disperdeva nel confine al di qua e al di là della porta. Ero giunto al mio personale punto di non ritorno perché anche se non fossi riuscito a trovare la chiave per aprirla, la presa di coscienza in atto finiva per modificare tutti i punti di vista precedenti. Pensai istintivamente al purgatorio, a quel luogo di biblica interpretazione dove vagano le anime per anni, per decenni o per secoli nella speranza di ascendere o trascendere al paradiso. Sentii rompersi tutti gli equilibri psicologici, la frantumazione degli schemi. Intorno a me nella mia mente solo macerie. Un terremoto pari a quello di cui sentivo parlare in televisione. Un unico pensiero. Camminare. Vagare senza definire alcuna meta in attesa che il mio galleggiare finisse per portarmi là dove mi stava attendendo il destino. Fu così per un paio di giorni o forse tre. La fame poi cominciò a trascinarmi verso il mio essere umano. Il mio corpo biologico resisteva alla voglia spirituale con un’energia che non immaginavo che avesse. D’altronde in un lungo viaggio ogni tanto è necessario fermarsi. Dovevo fare il pieno. Per la prima volta però mangiavo solo ed esclusivamente spinto dalla fame e lo stavo pure facendo in un bar pieno di alcolizzati e qualche drogato perso alle due di notte. Per anni mi ero attenuto scrupolosamente, tranne rare eccezioni, al rituale stabilito di colazione, pranzo e cena e non mi sarebbe mai passato per l’anticamera del cervello di entrare in un luogo del genere così fuori orario. Per settanta ore buone non avevo ceduto ai bisogni della mia macchina di carne ma non ero ancora allenato per resistere nel tempo.

    Avevo vissuto nel pregiudizio per tanti anni guardando con distacco e repulsione le persone diverse da me, o meglio non allineate con lo schema psicologico, sociale e morale in cui ero completamente immerso, pensando di essere, in qualche modo, migliore di loro. Credevo compiutamente di non esser caduto nella trappola che li aveva resi così, ma la realtà era semplicemente che avevo percorso un viatico più superficiale. Mi ero attenuto alle regole, rimanendo nella strada larga e comoda, quella in cui non devi fare nessuno sforzo per camminare, per andare avanti, quella in piano, senza ostacoli. Ora la realtà mi si presentava diametralmente opposta. Forse il tizio con gli occhi persi seduto nell’angolo più scuro del bar aveva percepito prima e meglio la sensazione di disagio che adesso mi tagliava in due dentro l’anima. Presi due birre e mi andai a sedere proprio davanti a lui. Gli porsi quella con più schiuma senza dire assolutamente nulla ma continuando a osservarlo come se fosse un quadro e in un certo senso lo era. Nei suoi occhi che lentamente salirono verso i miei, un poco stralunati e sorpresi dal fatto che mi fossi accomodato proprio davanti a lui, vedevo una luce insolita e un’umanità di confine. Il volto mostrava i segni del tempo rendendo scavati i suoi tratti come solchi nei campi. Bevve con la mano tremolante.

    - Ti ringrazio. L’effetto dello sballo sta terminando. Per questo mi tremano le mani ma ora la birra mi farà stare meglio.

    Lo disse sottovoce, tenendo il mento poggiato sul tavolaccio di legno e subito dopo aggiunse:

    - Perché?

    Non risposi immediatamente. Lo lasciai in attesa alcuni minuti ma lui non mollava la presa. I suoi occhi erano sempre inchiodati in direzione delle mie labbra.

    - Perché credo che tu abbia vissuto più di me. In un certo senso hai percorso una via e sei arrivato in un luogo dove io non sono mai stato. Sarei felice di conoscere la tua storia.

    - Lo sai che sono un drogato, vero? Ma uno di quelli che la gente come te chiama irrecuperabili mica uno di primo pelo o forse sono già morto e non me ne sono accorto.

    - Lo so.

    Buttò giù un sorso riempiendosi completamente la gola.

    - Galleggi anche tu come me, solo che la corrente ti ha portato in un altro mare. Tutti galleggiamo.

    - Ma che diavolo stai dicendo? Non sarai mica un prete in borghese, uno di quelli che cercano di salvare disperati e puttane?

    - No. Come te mi sono reso conto che il sistema non funzionava solo che io ho tirato in lungo. Mi sono accontentato di una certa visione della vita. Non ti chiederò cosa ti ha spinto a drogarti ma piuttosto che cosa vedi durante lo sballo, cosa provi quando l’ago ti entra in vena. Sono curioso.

    Sorrise e finì la birra trangugiandola in maniera indecorosa. I suoi occhi si fecero vispi nonostante il giallo rossiccio intorno alle pupille.

    - Vuoi sapere cosa c’è di là dalla porta, vero?

    Picchiò forte il pugno sul tavolo con soddisfazione, con una gioia da bambino e la forza di un uomo compiuto a tal punto che la gente si girò verso di noi con fare di severo rimprovero. Certo rimasi sorpreso da una risposta così mirata ed in sintonia con la trasformazione in atto dentro di me.

    - Mi ci vorranno almeno altre due birre!

    Mostrò la V con le dita al barista che rimase immobile in attesa di una mia conferma. Acconsentii senza opporre alcun diniego. Dovevo scendere in profondità con quell’anima persa.

    - Sai della porta dunque?

    - Da almeno vent’anni. Allora ero un giovane studente. Liceo classico. Che tempi quelli! Studiavo, ballavo, pensavo al futuro, a farmi anche una famiglia! Ma ti rendi conto? Riesci a capire? Io con una moglie e dei figli. Bah!

    Lo guardai con dolcezza, con la stessa tenerezza che si ha verso un figlio o un fratello minore e poi lo anticipai nella risposta.

    - Sapevi, per istinto, che quello non era il tuo ruolo. Ti sentivi diverso, emotivamente diverso, dalla parte che il sistema ti aveva assegnato in questo spazio tempo. Per questo ti sei messo a cercare altre vie. Non voglio sapere le cause scatenanti del dettaglio. Io penso che tu sia finito nella droga per scardinare quella maledetta porta chiusa nella tua mente.

    - Sì, sì per la miseria! Non si torna indietro dalla droga perché in realtà, questo mondo fa schifo dalla A alla Z. Una volta che passi al di là niente è più come prima.

    - Cosa c’è dall’altra parte?

    Il suo colorito si accese e il tono della voce anche.

    - Ti senti sconnesso, scollegato, privo di riferimenti. Respiri libertà, vivi gioia e non te ne fotte un bel niente di

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