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SORT - IS Ovvero l'antenata
SORT - IS Ovvero l'antenata
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SORT - IS Ovvero l'antenata

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About this ebook

Sort-is è un termine latino che si rifà al concetto greco di Fato, ma in maniera differente. La sorte romana dà a qualcuno per togliere ad altri e gli uomini, in una danza macabra, fanno il possibile per tirare acqua al proprio mulino, strappandola dalle mani altrui. La sorte latina sconvolge tutti coloro che credono di essere ormai giunti ad un punto saldo della propria esistenza mentre non sanno che il loro passato e la loro stessa persona nasconde loro segreti che potrebbero sconvolgergli la vita e le relazioni umane ... per sempre. I protagonisti di questa vicenda sono convinti di essere ormai destinati ad un ruolo fisso ma non possono mai immaginare cosa si nasconde nei loro sogni, nelle loro paure, nei loro desideri. Sarà una vicenda tragica dai risvolti misteriosi a sconvolgere le loro abitudini e a spingerli in una spirale che li porterà a doversi guardare in maniera diversa. E forse non a tutti piacerà la loro nuova e vera identità. E il mondo che era apparso sempre come un susseguirsi di studio, lavoro, uffici, supermercati, palestre, municipi, studi legali e quanto altro comincia a svelare un qualcosa di sé che nessun ha mai osato immaginare.
LanguageItaliano
PublisherAbel Books
Release dateJan 25, 2017
ISBN9788867521579
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    SORT - IS Ovvero l'antenata - Domenico Romano

    Prologo

    Ceppaloni, 31/08/ 2066

    I lunghi capelli castani rendevano ancor più giustizia alle sue forme armoniose quando pensierosa si affacciava alla finestra. Questo era almeno quel che pensava l'uomo seduto dietro di lei, birra alla mano, sul vecchio sofà di famiglia.

    La stoffa di quel confort era consumata, fastidiosa e ispida, eppure quel grasso vecchio, dalle numerose voglie giallognole sparse sul volto, amava passare pomeriggi interi lì a gozzovigliare.

    Solitamente passava molte ore a consumare gli occhi verso il vecchio e mal funzionante televisore, ma ora aveva il didietro della moglie così generosamente concessogli che mai avrebbe staccato le sue pupille opache da quelle natiche voluttuose.

    Era preoccupata. Non era la prima volta che quella situazione si presentava a disturbare le loro quiete e monotone domeniche ma questa volta dalla vecchia veste di quella donna meravigliosa traspariva una diversa forma di ansia basata sulla novità di quell'ennesimo incontro.

    Avrebbe detto a quei mocciosi tutta la verità, tutta la storia che da anni ormai lei e il marito nascondevano persino ai loro familiari. Avevano però deciso di portare tutto a galla perché da un lato avevano l'età per non temere alcuna forma di ripercussione, avendo tra l'altro visto passare sulle loro deboli armature di carne ed ossa tante di quelle vicissitudini che anche la morte appariva sbiadita e poco minacciosa, dall'altra per far capire alla loro unica figlia, testarda come un mulo e a quell'altra mente bacata di suo marito, quali ostacolo può oltrepassare l'amore, se davvero si basa su un sentimento saldo e puro.

    Quelle liti costanti nate da motivazioni così tremendamente futili facevano ogni volta infuriare quella vecchia mulatta, la quale aveva dovuto invece lottare contro leggi vecchie migliaia di anni, contro una sorta così avversa da far impallidire il più grande autore di noir presente al mondo.

    Per questo avevano deciso di raccontare la storia che si nascondeva dietro il loro matrimonio, per tentare una volta per tutte di far comprendere ai giovani sposini, quali fossero le vere difficoltà che due cuori possono scavalcare se davvero lo desiderano.

    Non c'era però solo questo nella loro improvvisa voglia di confessione. Si trattava anche di una valvola di sfogo, di scaricare un peso che da troppo marciva sotto le loro lingue ormai gonfie di grida ma anche di piacere.

    Voleva altresì lasciare nella memoria della loro prole quella storia come testamento, un vero e proprio manifesto capace magari di permette all'uomo la scoperta del suo vero potenziale.

    Una sgommata introdusse nel parcheggio antistante casa sua la vecchia Audi di sua figlia.

    Scesero bui in volto i due giovani portando con loro non solo rabbia e rancore ma anche due splendidi gemelli, l'uno in braccio alla mamma e l'altro al papà. Era giunto il momento. I due vecchi coniugi si fissarono e svuotarono la mente. Bussarono alla porta. Sull'uscio si presentava l'unica occasione che permettesse loro di poter rievocare quelle assurde vicende.

    I

    Napoli, 1/09/2016

    La musica assordante attraversava migliaia di corpi sudati che scatenandosi attraevano gli uni agli altri, desiderosi di appagamento ed eccitati dall'idea della sua facile realizzazione.

    Il Lemuria come tutti i weekend era stracolmo di persone, giovani principalmente, ma anche tanti e tante in crisi d'età, mezza o qualsivoglia essa sia. Amava dal suo privè osservare questo girotondo di disperati, con i loro finti sorrisi, i loro brindisi ricercati, la loro finta contentezza per quella vita pseudo dissoluta, Angelo Arcadi, ricco ereditiere, giovane imprenditore, che in quello stesso locale senza troppe difficoltà aveva trovato Cristina, la sua attuale ragazza, futura moglie.

    Era mediamente alto, aveva un corpo curato, ma la sua fortuna era rappresentata da un volto dolce, pacato, dagli occhi castani pieni di tenerezza e fascino. Era semplicemente bello, dai lineamenti delicati, nulla di eccessivo, per questa ragione perfetto.

    E se qualche occhiaia sbucava dal suo volto era un metodo che la sua pelle studiava per rendere quel viso così attraente ancora più fascinoso. Mentre faceva girare il suo sguardo su quegli infelici, di tanto in tanto baciava la sua amata per ricordare a se stesso la forza che permetteva lui di star lì, nel pieno dello stesso divertimento che cercavano tutti gli altri, ma col totale distacco per il quale non era trascinato in quella squallida spirale.

    Ancor più banalmente era un uomo felice e fiero portatore di questa sua caratteristica. Mentre era lì intento a perdersi negli occhi cobalto profondo di Cristina, un grido lo fece trasalire. Spesso capitavano tafferugli in quel posto, qualche volta pesanti e la maggior parte delle volte ignorava quel sottofondo così ridicolo, ma quando al suo orecchio giungeva il timbro inconfondibile di Fabrizio, suo amico d'infanzia, ecco che scattando in piedi, girava il suo orizzonte per capire cosa stesse combinando.

    E non ci volle purtroppo molto a vedere la sagoma di quel ragazzo barcollante, con un occhio gonfio che da lì a poco sarebbe diventato violaceo. Era totalmente ubriaco. Barcollava ed era trascinato sulle spalle a peso morto da due ragazzi. «Andate ... ci penso io!» disse Angelo che subito si fece carico del peso del ragazzo.

    Mentre lo portava con se lo sentiva biasciare parole confuse: «Gli spacco ... bastard ...». Confuse e piene di odio. Quella rabbia non era di certo rivolta al nemico di turno. Fabrizio aveva da tempo iniziato una guerra col Mondo intero ed ogni venerdì sera quello era il risultato. «Lo accompagno a casa io, va bene Cristina?» Quel piccolo viso dalla chioma dorata annuì, come conscia di quella che era divenuta oramai routine. In macchina Fabrizio s'addormentò. Si spaccava il cuore ad Angelo, il quale ogni volta doveva presentarlo in quelle condizioni a sua madre.

    Ogni qual volta che apriva quella porta trovava davanti a se una maschera di sofferenze, dolori che si erano col tempo incanalati in grosse rughe.

    Ancor di più non riusciva a vederlo in quelle condizioni e a sopportare il giorno dopo quel finto sorriso che dai tempi del liceo il suo miglior amico aveva imparato a stendere sul viso come una maschera rugginosa di cui non riusciva più a liberarsi, mantenuta dalla tenue beffa della speranza.

    II

    Il fumo formava grosse spirali nel buio di quella stanza. La luce non riusciva ad infilarsi quasi da nessuna parte. Questa particolarità pareva dare al contesto ancora più un'atmosfera di segretezza, nonostante coloro che si trovassero in questo posto oscuro, stessero in apparenza occupandosi di uno svago dalle fattezze di certo quotidiane.

    Quelle bottiglie di alcool semi vuote presenti un po' sul tavolino malandato di gioco, un po' sparse sul pavimento, di sicuro rendevano l'ambientazione più squallida e tetra. Tuttavia quei due uomini in nero stavano svagando la mente con una bella mano di poker.

    Le somme che cascavano su quel tavolo erano davvero elevate, questo è certo. Eppure i loro volti erano di assoluta rilassatezza, come se tutte quelle banconote ai loro occhi apparissero come bronzei spiccioli da vecchia mendica. «Ti credevo più coraggioso, Faulo».

    Il primo a parlare fu un uomo sulla quarantina, magro, scavato in volto, con un naso aquilino di certo importante. Aveva le guancie scoscese, consumate. Sudava molto. Eppure sul volto un sorriso imperava.

    Quelle labbra sottili e chiare si spandevano mostrando grossi denti bianchi. Dall'altro lato a rispondergli, non solo verbalmente, ma a suon di full e tris, un uomo mediamente alto e più robusto del suo interlocutore, dal volto roseo ma non pieno.

    La capigliatura mossa aveva un aspetto trasandato nonostante l'abito nero che portasse addosso, così come la camicia bianca posta al di sotto, avessero l'aspetto costoso ed importante. «Deino, Deino. Non dire gatto se non ce l’hai nel sacco!» I due scoppiarono in una grossa risata.

    Quindi calò un freddo silenzio. Quegli uomini in nero per un attimo lasciarono perdere carte e banconote, cominciando a fissarsi negli occhi. «Ho una buona notizia.» Deino introdusse così questo momento solenne. «Credo di aver trovato la persona giusta.» «Credo. L'Organizzazione non poggia su supposizioni!» «Il problema non è il prescelto. C'è un ostacolo da eliminare!» «Entro quando riuscirai a farlo?» «Non lo so! In questo impedimento ... c'è qualcosa ... di strano!» «Sbrigati!» ammonì severamente Faulo: «Al Capo non piace aspettare!» «Lo so, lo so! Anche tu avevi un compito?» «Le prossime elezioni? Già coperte, al sicuro! Abbiamo il candidato!» «Ottimo!» I due brindarono, per quanto avessero già tracannato litri di quella roba.

    III

    Cristina non aveva mangiato quasi nulla. Si era stretta nelle spalle ed aveva contrito il volto nella sua solita espressione da bimba viziata. Da qualche minuto fissava dalla finestra vicino al loro tavolo le auto sfrecciare. A molti avrebbe infastidito quell'imposizione ma ad Angelo quell'immaturità espressa in modo così ostentato suscitava tenerezza. Tuttavia sapeva di doverle fare un mezzo rimprovero per l'inutile iterarsi di quell'atteggiamento ogni volta la portasse a pranzo, neppure così spesso, in quel locale del centro, La Quercia Ghiotta.

    «Lo sai che non è bello, vero?» disse con un tono molto delicato. Adorava darle quei piccoli rimproveri. S'immergeva in quegli occhietti da cerbiatto che ogni volta lo osservavano dal basso, quasi dispiaciuti di aver causato fastidio all'interlocutore. Il ragazzo spesso si chiedeva se la portasse lì solo per avere il pretesto di godere delle sue paternali oppure davvero per fare un favore al suo amico Fabrizio che lì lavorava come cameriere.

    Era un locale abbastanza grande, rustico, ma questa sua estensione rimarcava ulteriormente il suo essere spesso abbastanza vuoto. Non proprio desolato. Un'affluenza discreta ma sicuramente non esaltante. Andava lì di tanto in tanto per aiutare quel disgraziato che proprio il giorno prima era giunto a casa malconcio ed ubriaco. Lo faceva per evitare che perdesse anche quel lavoro ottenuto dopo mesi di attesa e di sacrificio.

    E quando riuscì a farsi assumere fu ovviamente fatto tutto in nero. E quella condizione per adesso persisteva. «Lo sai perché ti porto qui!» Cristina non aveva tutti i torti ma come tutte le piccole capricciose tendeva ad esagerare. Il cibo di certo non era da Guida Michelin ma comunque accettabilissimo. Lei però ci teneva a far capire quanto le costasse accettare di sedersi e mangiare in quel postaccio.

    Per quanto si fosse preparato, come al solito Angelo riuscì a stento a non rivelare sul volto il dispiacere nel guardare l'amico sbucare dalla cucina, infiocchettato in quella misera divisa dal color marroncino, col solito finto sorrisone stampato sul volto, nel tentativo vano di mostrarsi contento ed appagato, oltre a volersi lasciare alle spalle l'ennesima pessima serata, quella che si era consumata all'interno del Lemuria, la sera prima.

    «Allora come andiamo?» debuttò la marionetta scarna. I suoi occhi subito si poggiarono sul piatto pieno di Cristina. Intercettando lo squadro rassegnato e malinconico di Fabrizio, Angelo tentò di mettere una pezza a colori. «Tutto bene. Cristina purtroppo si è svegliata oggi con un terribile reflusso e le risulta difficile mangiare qualsiasi cosa. Sa ... l'alcool di ieri sera!»

    Come tutte le bimbe capricciose la ragazza fece il possibile per non essere d'appoggio alla storiella, riuscendo a far uscire appena un sorrisetto che pareva quasi di scherno verso il cameriere. «Non raccontarmi balle!» tagliò corto Fabrizio, mentre faceva scorrere la sedia dal tavolino per sedersi anche lui. «Lo so bene che la nostra cucina non è affatto fra le migliori!»

    Detto ciò sbuffò e si gettò le mani sulla fronte. Approfittando della sua distrazione Angelo tentò di comunicare il suo disappunto verso la ragazza che lo ignorò in toto. «Suvvia, non lagnarti!» tentò poi con l'amico, dandogli una pacca sulla spalla. E questi alzò la testa che aveva rinchiuso nelle braccia per poterlo fissare.

    Non lo avesse mai fatto! Mai era capitato ad Angelo d'immergersi nell'abisso di quegli occhi vinti. Percepiva al suo interno uno strana sensazione, come se si trattasse di un senso di colpa. E gli riusciva davvero difficile capirne l'origine. Non ne aveva effettivamente. Erano amici ma le loro strade, l'una aurea e spianata, l'altra in salita, buia e piena di spine, erano parallele, mai s'erano incontrate, in nessuna maniera l'interesse dell'uno aveva collimato con l'altro ne aveva mai causato ostacoli di alcuna natura.

    Le prime volte che l'amico cominciò a raccontargli delle sue disavventure, dei piccoli fallimenti o degli sbagli giovanili, questa sensazione misteriosa s'era presentata. Aveva perciò tentato di trovare rifugio nella saggistica. Aveva ingozzato il cervello di Nietzsche e De Sade principalmente. C'era in lui il bisogno di trovare in questi filosofi, cosa che poi accadde in un certo senso, la spiegazione a quel fastidio che spesso aleggiava tra lo stomaco e il petto.

    Ed aveva tentato di calmare quella che identificava come ansia tramite il concetto per cui la coscienza, frutto di una società perbenista e cattolica, fosse un dannato costrutto sociale, conseguenza di numerose nevrosi. Freud completò il quadro. Eppure quei santi laici non riuscivano in nessun modo a placare quello sgomento interiore.

    Non fu semplice riprendere il filo del discorso. «Le cose non ti stanno andando così male. Per adesso questo locale può reggere, anche se il ritmo non è dei migliori!» Ed ecco innescato di nuovo il fendente bianco del suo sorriso, pronto a scontrarsi nello sterno di Angelo. Ancora una volta quella maschera era sbucata fuori al suono di quelle parole che dovrebbero essere interpretati solo come modi di dire convenzionali e null'altro.

    «Andrò all'estero a breve, sai!?» Fabrizio aggiunse. Ed ecco che quel crampo allo stomaco si presentava al contatto con quell'idea. C'era un'altra caratteristica che rendeva insopportabile quella specie di angoscia interiorizzata. Ogni qual volta il suo migliore amico cominciava a farneticare di progetti, belli o brutti, vaghi o concreti che fossero, quella sensazione si ripresentava.

    Angelo alla fine decise di pagare il conto, di lasciare una lauta mancia e di andar via. Sembrava

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