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Cronache da New Heaven
Cronache da New Heaven
Cronache da New Heaven
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Cronache da New Heaven

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About this ebook

Un Philip Marlowe del XXIII secolo, stropicciato e tormentato; una megalopoli cupa e piovosa... I primi cinque racconti dell'investigatore Michael Sly.
LanguageItaliano
PublisherTanya Nanetti
Release dateJan 30, 2017
ISBN9788826010786
Cronache da New Heaven

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    Cronache da New Heaven - Tanya Nanetti

    Boy-scouts

    Prefazione.

    La genesi delle Cronache da New Heaven è piuttosto particolare: tutto nasce da Il futuro non è scritto, un racconto che come idea originale doveva essere a sè stante. Un futuro oscuro, piovoso, ispirato da mille e più storie con cui sono cresciuta [Blade Runner, Nathan Never e molto altro] con un eroe stropicciato erede di Sam Spade e Philip Marlowe.

    Poi, qualcosa è successo: il mondo di New Heaven si è sviluppato nella mia mente, come un fiume in piena sono arrivate svariate storie che sarebbero state perfette se ambientate in questa megalopoli futuristica. Per di più, molte di queste storie avevano un protagonista molto simile a Michael Sly, l’eroe tormentato…

    E quindi sono nate queste Cronache, quasi soggetti per un serial o per una serie di fumetti…

    Perciò leggete la prima storia sapendo che un giorno potrà [forse] essere l’ultima, e intanto lasciatevi avvolgere da questa città enorme, facendo attenzione a non farvi trascinare nei suoi abissi più profondi.

    Il Futuro Non è Scritto

    The Future Is Unwritten [6 Agosto 2014_L'Ultima Storia da New Heaven]

    La tv trasmette un vecchio film, di quelli che andavano tanto di moda due secoli fa. Quei film che vedevano il mondo del futuro distrutto da catastrofi, inquinato, marcio… Tanti libri, film e telefilm con le stesse idee. E io sto qui, ora, davanti a quelle storie e mi chiedo perché non sia stato fatto niente in proposito. Gli uomini di quel tempo avevano un'idea molto chiara della realtà a cui stavano andando in contro, vedevano il baratro in cui stavano scivolando e non hanno fatto niente x impedirlo.

    Il film finisce con un barlume di speranza. Mi alzo e il ginocchio non mi regge. Prendo una pasticca e la butto giù con un sorso di pessimo distillato, e mi avvicino alla finestra.

    Niente speranza da queste parti.

    Quello che vedo attorno a me è solo cemento, inquinamento, neon brillanti che si confondono nella nebbia. Anche se la mia topaia è al duecentosessantesimo piano di un grattacielo, ed ho una visione piuttosto ampia di quello che mi circonda, non riesco a vedere la fine di tutto questo. È come un oceano grigio e sporco. So che se scendessi nel livello più basso, e prendessi il vecchio lungomare, quella strada ormai inutilizzata una volta tanto amata, so che potrei percorrerlo per settimane e ancora non arriverei alla fine di questa città.

    Non sono mai uscito da questa città, non ho mai visto quello che c'è al di fuori di essa. Quello che so è quello che si impara a scuola.

    Centocinquant'anni fa, alla metà del ventunesimo secolo, la natura si è ribellata. In che modo, è solo leggenda, storie. Si dice che tutti quelli che vivevano a contatto con la natura siano stati costretti a scappare, perché gli alberi sembravano posseduti e la terra tremava… A me sembrano tutte cazzate ma certamente è successo qualcosa di grosso: alla fine di quel secolo il mondo era completamente cambiato, per sempre.

    In ogni continente era successa la stessa cosa. L'entroterra era stato abbandonato. Chi non era morto era scappato verso la costa, e le città lambite dagli oceani erano cresciute a dismisura. Quello era il tempo di massimo sviluppo della civiltà umana, prima che la rabbia e la disperazione riempissero ogni cuore.

    Poi, in pochi decenni, si erano costruiti palazzi e strade, grattacieli e livelli multipli, la base su cui si è formato il mondo come lo conosciamo ora: poche megalopoli di dimensioni impensabili. Quella dove vivo io, New Heaven, ancora non capisco chi le ha dato questo nome così poco appropriato, occupa tutta l'east coast degli ex stati uniti d'America. Tutta. Da Calais, Maine a Miami, Florida. Più di 2500 chilometri, New Heaven si estende nell'entroterra per circa cinquanta chilometri. Poi una muraglia, così alta che neanche dal trecentesimo piano di un grattacielo la si può sovrastare. Di là la natura ha ripreso possesso di ciò che le apparteneva. Di qua tutto il resto.

    Non ci sono più quasi contatti con le altre città. L'unico modo di muoversi è la nave ma l'oceano è sempre tempestoso, e viaggiare è così pericoloso che quasi nessuno è disposto a sfidare la sorte.

    Ogni città è diventata un mondo a sè, con le proprie leggi, le proprie regole. Non posso parlare degli altri posti, non ci sono mai stato. Non ho girato che una minima parte di NH, ma posso parlarvi benissimo di questa città.

    Come potete immaginare nessuno la chiama New Haven. Ci sono tanti soprannomi ma quello che va per la maggiore è New Hell. Stessa sigla, ma nome molto più rappresentativo. Formalmente, quando si è formato questo inferno, è stata mantenuta l'organizzazione precedente. Polizia, giudici, tribunali, ospedali, scuole… Tutto come prima. Tutte cazzate.

    Ora tutto ha un prezzo. Chi ha soldi paga ed ottiene ciò che vuole, anche una vita perfetta. Tutti gli altri rubano, uccidono, sopravvivono.

    Io, come tanti altri mi trovo nel mezzo di questo abisso. Mio bisnonno, cent'anni fa, era proprietario di una modesta azienda di costruzioni e quando NH è stata creata è riuscito a mettere via un bel gruzzoletto. Mio nonno ha vissuto bene con la rendita di quei soldi. Mio padre discretamente. Io sono stato mandato in una bella scuola, con la divisa elegante e tutto il resto, ma non faceva per me e mi hanno cacciato qualche rissa dopo l'inizio delle superiori. Sono tornato a casa quel giorno, e solo allora ho capito che i miei non avevano più niente, solo quest'appartamento in cui ancora oggi vivo.

    Alla scuola pubblica le cose erano totalmente diverse. Sembrava quasi di essere in guerra, tornavo a casa ogni sera con qualche nuovo livido, ma era il posto che faceva per me, ed era la realtà: proprio quello che avrei trovato una volta adulto.

    A diciotto anni i miei erano morti e io avevo in mano un diploma che non serviva a nulla, una grande casa vuota e nient'altro.

    Qualche lavoretto saltuario per tirare su un po' di grana, una carriera nelle forze dell’ordine finita in rovina. E poi, l'illuminazione. Sarei diventato un investigatore privato.

    Di questi tempi è uno dei pochi mestieri veramente richiesti. Un investigatore privato del ventitreesimo secolo indaga, vendica, ruba. Fa quasi tutto, e molto di ciò che fa è illegale, ma la polizia è come se non esistesse e serve qualcuno che faccia rispettare la legge… anche se è una legge un po' particolare.

    Il campanello suona e mi trascino ad aprire. Davanti a me c’è un ragazzino, avrà sì e no quindici anni e una bimba più piccola, forse neanche dieci anni. Sono vestiti bene, sento puzza di soldi. Puzza di guai.

    Michael Sly? mi chiede lui.

    Mickey

    Possiamo entrare signor Sly? Devo parlarle. Fa il duro ma si vede lontano un miglio che è spaventato a morte. La piccola gli sta dietro, intimidita.

    Niente signor Sly. Mickey. Entrate, dai.

    Li faccio sedere sul divano e io mi metto sulla poltrona lì di fronte.

    Beh? Chi siete? Che cosa ci fate qua?

    Io sono Will e lei è mia sorella Sarah.

    Siete qua da soli? Dove sono i vostri genitori?

    Siamo soli, sì. Siamo scappati da un gruppo di tizi che hanno preso nostra madre. Papà… gli occhi gli si riempiono di lacrime ma trova la forza di continuare Papà… eravamo appena usciti da scuola e stavamo per salire in macchina quando da un furgone sono usciti cinque uomini con la faccia coperta ed i fucili in mano. Hanno preso la mamma per i capelli e l’hanno caricata sul furgone, e papà ci ha urlato di scappare e mi ha spinto via, verso Sarah, e poi si è mezzo in mezzo e mentre correvamo via abbiamo sentito degli spari e papà era a terra… Mentre correvamo abbiamo visto che c’era la targhetta con scritto investigatore privato e siamo corsi su.

    C’è qualcosa che non mi piace per niente in questa storia.

    Sento spari provenire dalle scale, urla. Dio quanto mi scoccia avere ragione.

    La porta trema sotto il peso di calci e spallate e so che non reggerà a lungo. Faccio in tempo ad infilarmi la giacca e a prendere la pistola e il portafoglio e corriamo giù per le scale di emergenza. Dieci piani più sotto trovo una finestra aperta e ci fiondiamo dentro all’appartamento semibuio, chiudendo la finestra alle nostre spalle. Un uomo siede davanti alla tv, lo sguardo perso di chi ne ha assunte veramente troppe di pasticche, neanche si accorge di noi quando attraversiamo la stanza e corriamo al pianerottolo.

    L’ascensore ci porta giù velocemente. Sfilo la catenina che porto al collo e uso una delle chiavi che vi sono appese per far aprire uno sportello sotto la numerazione dei piani. Ufficialmente i piani sono dal duecentesimo al duecentottantesimo, ma sotto allo sportello ci sono i pulsanti dallo zero al 199.

    Scendiamo fino al piano terra: nessuno viene da queste parti a meno che non ci viva ed è proprio per questo che farà al caso nostro: forse posso trovare un angolino riparato dove cercare di capire qualcosa del casino in cui sono finito.

    Will e Sarah mi sono stati dietro per tutta la fuga, ma quando esco dall’ascensore loro rimangono dentro, lo sguardo sconvolto fisso nella penombra che si staglia davanti a noi.

    Andiamo, su. Ci metteranno un po’ a capire che siamo qua sotto ma prima o poi ci arriveranno anche loro. Mi sono sembrati molto organizzati.

    Attraversiamo la strada desolata e camminiamo una ventina di minuti, lunge vie all’apparenza abbandonate. So che non è così, proprio per niente, ma per ora è meglio che i ragazzini non sappiano altro. Marciamo in mezzo alla strada, ben lontani dalle pareti buie: qua sotto è tutto tetro, oscurato da palazzi enormi e strade costruite su vari livelli, sempre più in alto. Tengo la pistola nella sinistra, pronta a ogni evenienza, Will è all’altro lato della fila, guardingo, e in mezzo a noi Sarah si stringe alle nostre mani, spaventata.

    Pian piano davanti a noi il mondo si fa più chiaro e meno silenzioso ed eccolo, l’oceano tempestoso, stagliarsi davanti a noi. I ragazzi si fermano, senza parole per lo spettacolo.

    Non siete mai stati qua sotto vero? Dai che ormai siamo arrivati, poi potremo riposarci un po’.

    Entriamo in un vecchio parco giochi di centinaia di anni fa. So che allora era un posto famoso. Ora è solo un mucchio di tetre rovine, ma la vecchia casa del custode è perfetta per offrirci un po’ di riparo. Sono contento di vedere che la porta è chiusa e non è stata forzata dall’ultima volta che sono venuto da queste parti… tiro fuori di nuovo la catena che porto appesa al collo ed uso l’altra chiave per entrare nella casa abbandonata. Chiudo la porta con chiave e catenaccio e la blocco con una sedia a tenere ferma la maniglia. Conosco bene questo posto, qua mi sento a mio agio anche al buio quasi totale; i ragazzini, al contrario, rimangono in piedi in un angolo, immobili e spaventati.

    Accendo qualche vecchia candela e finalmente ci possiamo sedere un attimo… cavolo, il mio ginocchio sta chiedendo vendetta per tutto questo sforzo. Faccio un rapido inventario di quello che ho in tasca e trovo solo due pasticche: una la prendo subito sperando di alleviare il dolore ma so che l’altra la dovrò conservare per il momento giusto, da queste parti non è facile trovarne.

    Cos’è questo posto? Dove… dove siamo? Non credevo esistesse un posto simile. Mi chiede Will, ancora con la sorpresa negli occhi per tutto quello che ha visto.

    Cosa sai della città in cui viviamo? gli chiedo realizzando che davanti a me devo avere due ragazzi veramente… importanti… se non hanno la più pallida idea di dove siamo.

    Beh, so quello che mi hanno insegnato i miei, e la scuola. C’è la città in cui viviamo, che è costruita su vecchie rovine, e che tutto quello che c’è sotto il duecentesimo piano è off-limits, che non c’è modo di andarci. E che se anche ci fosse, sotto si troverebbero solo rovine dei tempi che furono prima della catastrofe. Mi guarda Non è così, vero? Ci hanno sempre raccontato un sacco di bugie?

    Cavolo, e io come glielo spiego com’è veramente il mondo a questi due ragazzini ricchi?

    Ok… vediamo come ve lo posso raccontare. Questa città è divisa in tre livelli, immensi livelli con pochi punti di comunicazione tra loro. Quando c’è stata la catastrofe e tutti gli abitanti dell’entroterra sono venuti sulla costa e non c’era posto per tutti, sono stati costruiti immensi grattacieli, come quello in cui vivo io. In pochi decenni tutta la popolazione sopravissuta al disastro viveva nelle città lungo la costa. Ora, non so cosa è successo negli altri posti ma vi posso raccontare cosa è successo qui a New Heaven: a un certo punto c’era troppa gente, e i ricchi che vivevano agli ultimi piani dei grattacieli avevano paura dei poveri che vivevano ai piani bassi, paura delle malattie, della violenza che stava uscendo ovunque e così costruirono un livello, al centesimo piano dei palazzi. Erano strade, ponti, nuovi palazzi che partivano direttamente da quel livello… asfalto e cemento… i novantanove piani sotto quell’enorme manto stradale rimasero abbandonati a loro stessi. Un secolo dopo la stessa cosa venne fatta di nuovo, all’altezza del duecentesimo piano. Questa è più o meno la nostra città… vedete, negli anni i passaggi verso i livelli inferiori sono diminuiti sempre di più, ma sapendo dove cercare se ne trova sempre qualcuno. Per lo più si trovano in quella manciata di grattacieli costruiti verso il 2050 che ancora sono in piedi. Io ne conosco una decina di questi palazzi, edificati 150 anni fa, costruiti così tanto alti che i loro ultimi piani ancora adesso si trovano nel livello superiore della città. Questi palazzi hanno ascensori vecchissimi come quello che abbiamo usato noi, che portano direttamente al livello dell’oceano. C’è bisogno di una chiave speciale per scendere fin qua sotto, e della stessa chiave per risalire e in pochi la possiedono. Per tutti gli altri che vogliono passare da un livello all’altro ci sono passaggi nascosti, persone che sanno dove indirizzarti… se qualcuno è convinto, il modo di venire quaggiù lo trova sempre.

    E tu perché hai la chiave? mi chiede Sarah.

    Perché il palazzo in cui vivo è stato costruito dal mio bisnonno, che allora era un uomo molto ricco e importante

    Ma tu non sei ricco, vero? La tua casa sembrava così triste e povera. Mio Dio, la sincerità dei bambini a volte è spiazzante.

    Io? No, io non sono ricco. L’unica cosa che mi è rimasta è l’appartamento scassato in cui vivo

    E le chiavi… anche quelle ti sono rimaste.

    Già… le chiavi.

    E l’anello che hai appeso alla catenina? È per una ragazza?

    Will la

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