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Un passo alla volta
Un passo alla volta
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Ebook569 pages7 hours

Un passo alla volta

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About this ebook

"La mia vita è solo un susseguirsi di cose già ripetute"

Nik Masser ha appena vent'anni e di fronte a sè una promettente carriera come nuotatore.

Ma quello è davvero il futuro che vuole?

Oppure è solo il riflesso del desiderio di suo padre?

No, Nik sogna una realtà molto diversa e all'improvviso decide di tirar fuori tutto il suo coraggio e buttarsi a capofitto nel suo sogno.

Ma il percorso è molto lungo e difficile e il ragazzo dovrà far fronte a due parti di sè in continua opposizione tra loro, tra paranoie, insicurezze e soprattutto la paura di deludere gli altri semplicemente mostrando ciò che davvero è, il tutto segnato dall'incontro con un ragazzo dal passato molto doloroso che sarà capace di sconvolgere la sua intera esistenza.
LanguageItaliano
Release dateFeb 7, 2017
ISBN9788826017204
Un passo alla volta

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    Un passo alla volta - Simona Vallasciani

    Ogni riferimento a fatti o persone realmente esistenti è da ritenersi puramente casuale.

    Proprietà letteraria artistica riservata.

    Tutti i diritti sono riservati.

    2017

    Prima edizione

    INTRODUZIONE:

    Sono della ferrea convinzione che gli scrittori (e gli artisti in generale) siano essere in continuo mutamento; vengono continuamente modificati, in bene o anche in male, da ciò che li ispira, dal mondo in cui vivono, dalle persone che incontrano; e così sono anche le loro opere.

    Leggendo questa versione digitale del mio libro potrete trovare alcune differenze, rispetto alla versione cartacea, pubblicata con Silele Edizioni nel 2015.

    Spero lo stesso che questa nuova stesura vi possa gradire.

    Con sincero affetto.

    Simona Vallasciani

    Prima parte

    1

    Ci sono due modi per vivere la propria vita.

    Il primo modo, il più semplice, consiste nell'abbandonarsi al proprio destino e non interessarsi di come andranno le cose.

    È un po’ come arrendersi; arrendersi a ciò che gli altri vorrebbero che fossi, a quello che qualcun altro ha scelto per te.

    A volte quel qualcuno si chiama Dio, a volte mamma e papà, a volte non ha nessun nome ma è comunque qualcun altro, qualcuno che non sei tu.

    Il secondo modo, invece, è quello di prendere in mano la propria vita e dire al destino - Ehi, tu! Spostati! Ora tocca a me! -.

    E io.. come decido di vivere la mia vita?

    Quale modo scelgo? Il primo o il secondo?

    Ma.. sopratutto..

    Da quando io mi faccio delle domande così profonde?

    Da quando faccio discorsi così filosofici?

    Questo.. questo non sono io.

    Io sono Nik Masser, ho appena compiuto vent’anni, sono nato e vissuto a Colonia, sono disteso sul mio letto e sono contento della mia vita.

    Ma se questo è vero.. perché continuo ad avere dei dubbi?

    Perché continuo a pensare che potrebbe essere diverso, se solo trovassi il coraggio di alzarmi da questo letto e vivere la mia vita nel secondo modo?

    Perché spesso mi sento come se mi mancasse qualcosa?

    Dannata testa! Dannata mente auto lesionante!

    Sono sempre stato lo stesso.

    Stessi capelli di quel colore indefinibile tra il biondo e il castano, stessi occhi verdi, stesso carattere solitario e anche un po’ irascibile.

    La mia vita è così prevedibile che so esattamente cosa succederà tra tre..due..uno..

    - Niiiik! -.

    Mia madre.

    Precisa come un orologio svizzero.

    Anche se è italiana... e viviamo in Germania..

    - Nikolas! - ripete, chiamandomi dalla cucina.

    Non è mai un buon segno quando mi chiama Nikolas.

    Vuol dire che, o ho combinato qualcosa, o sono terribilmente in ritardo.

    E visto che mi sono appena svegliato ed è quasi del tutto da escludere che io ne abbia già fatta una, vuol dire che forse sono in ritardo..come sempre..

    Adesso è meglio che mi alzi se non voglio che mia madre faccia saltare in aria la porta di camera mia con un bazooka.. cosa che sono sicuro un giorno accadrà davvero.

    Sbadiglio, aprendo la bocca così tanto che per poco non mi slogo la mandibola, e mi sfrego gli occhi un paio di volte prima di trovare la forza necessaria per alzarmi.

    Stiracchiandomi lentamente, mi trascino fino alla finestra e sollevo la tapparella per trovarmi davanti l’affascinante spettacolo del muro di cemento del palazzo di fianco.

    Chi mai vorrebbe un attico vista mare, se può avere un buco vista cemento?!

    Me lo invidiano tutti!

    In qualche modo riesco ad indossare una maglietta e dei pantaloni della tuta e, poco dopo, faccio la mia entrata trionfale in cucina dove vengo accolto dalle parole di mia madre.

    - Nik, sei di nuovo in ritardo! Lo sai che poi tuo padre si arrabbia -.

    Sbuffo, appoggiandomi allo stipite della porta.

    - Papà è abituato ai miei ritardi. E non mi può dire niente, visto che mi può tenere lì dentro fino a notte fonda -.

    Mia madre si gira a guardarmi.

    Incrocia le braccia al petto e inclina la testa.

    - Lo sai che lo fa per il tuo futuro! -.

    "Si, si! Lo so!" vorrei esclamare, ma visto che non ho voglia di ricevere l’ennesima ramanzina sul tono con la quale ci si rivolge ai propri genitori, preferisco stare zitto.

    Non posso dire che mia mamma sia una scocciatura.

    Insomma tutti i miei amici dicono..amici? Ma quali amici! Io non ho amici, semmai ho dei conoscenti..ma forse nemmeno quelli..vabbhè..molti ragazzi che hanno la mia età, si lamentano perché le loro madri sono troppo assillanti, troppo premurose, troppo restrittive..insomma semplicemente.. troppo!

    Io questo non lo posso dire.

    Mia madre non è troppo..è.. il giusto.

    Si chiama Beatrice ed è italiana, e in quanto italiana si preoccupa principalmente che io abbia mangiato.

    Il cibo per lei è una cosa fondamentale..anche se non cucina.

    Non sa cuocere nemmeno un uovo a dire la verità.

    Comunque dicevo, dopo essersi accertata che io abbia acquisito almeno tremila calorie al giorno, lei smette di preoccuparsi per me.

    Non che io le crei molti problemi.

    Sono un tipo tranquillo. Lo sono sempre stato.

    Credo sia perché essendo cresciuto con due sorelle maggiori tutt’altro che pacifiche non ho avuto altra scelta, se non volevo che dopo qualche anno mia madre fosse rinchiusa in un ospedale psichiatrico causa tre figli problematici.

    Che poi penso che il più problematico in famiglia sono proprio io.

    Anche se nessuno sembra accorgersene.

    Non ho niente contro mia madre, anzi.

    Solo che a volte vorrei che lei mi capisse un po' di più..

    Ma come posso pretendere che qualcuno mi capisca se non riesco neanche a capirmi da solo?

    Mi scuoto dai miei pensieri e mi scosto dallo stipite per raggiungere il tavolo della cucina dove, poco dopo, mia madre mi porta la mia solita tazza di caffè e i miei soliti tre biscotti al cioccolato.

    Sbadiglio ancora un po’ e finisco la colazione.

    Alzo lo sguardo per controllare l’ora sull’orologio a muro.

    Le 9.02.

    Wow..dovrei già essere là a quest’ora..

    Mio padre si arrabbierà parecchio.

    Mi alzo, lasciando la tazza sul tavolo, e mi avvio verso la porta.

    Prima di uscire di casa, afferro il borsone nero appoggiato per terra all’ingresso e me lo posiziono su una spalla.

    La mattina è abbastanza fredda e io mi recrimino di non aver preso una felpa. Inizio a camminare a passo spedito un po’ per scaldarmi e un po’ per non incrementare il ritardo.

    La piscina non dista molto da casa mia.

    La strada è sempre la stessa.

    Quella che compio praticamente da quando sono nato.

    Stesse strade, stessi palazzi, stessi negozi.

    Ecco che cos’è la mia vita.. solo un susseguirsi di cose già ripetute.

    Mi sento come se fossi destinato a compiere questa strada per il resto dei miei giorni.

    Cosa che finirò per fare se non mi decido a..

    Se non mi decido a..

    All’improvviso mi blocco.

    Alzo lo sguardo dalle mie scarpe da ginnastica e mi fermo a guardarla.

    Non c’è niente in tutta Colonia che mi sia più famigliare del posto che ho ora davanti agli occhi: la grande vetrina impolverata della vecchia pasticceria "Adrian".

    Da bambino mi fermavo sempre davanti a questo negozio e osservavo, con il naso appiccicato al vetro, le torte farcite di crema al cioccolato e le paste ricoperte di zucchero.

    Sentivo il profumo dei dolci appena sfornati.

    Ammiravo i volti della gente seduta ai tavoli con le tovaglie a quadretti rossi..

    Sembravano tutti così felici.

    Quanto desideravo avere un locale come quello..

    E quanto ancora lo desidero..

    Anche se l'ho sempre nascosto a tutti, è questo ciò che voglio fare praticamente da quando ho memoria.

    Il pasticciere!

    Poter acquistare questo posto che è rimasto lo stesso da quando ero bambino, ristrutturarlo e farne la mia pasticceria!

    Ma questo è solo un sogno..

    E non c’è niente di più diverso da quello che il destino ha in serbo per me..

    L’interno della piscina è caldo. Troppo caldo certe volte.

    E c’è quel terribile odore di cloro che, anche se l’ho sentito mille volte, continua a disgustarmi.

    Apro la porta a vetri dell’ingresso e la prima cosa che vedo è il sorriso finto di Haile, appostata come sempre dietro il bancone.

    - Ciao Nik! In ritardo anche oggi?! - mi apostrofa, quasi subdolamente divertita, con la sua odiosa vocina stridula.

    Ma è possibile che tutti controllino se io sono in ritardo oppure no?!

    Non hanno niente di meglio da fare?!

    Le rispondo con un grugnito e, senza considerarla oltre, mi dirigo verso gli spogliatoi.

    - Tuo padre ti aspetta in piscina! - mi grida lei, prima che io la richiuda fuori dalla porta.

    Appoggio la schiena alla sua superficie e faccio un respiro profondo.

    Mi chiedo dove io trovi la forza ogni giorno per affrontare tutto questo.

    Penso di averci fatto l’abitudine. O, molto probabilmente, davvero mi sono già arreso.

    Lo spogliatoio maschile è naturalmente vuoto.

    La maggior parte dei frequentatori è iscritta ai corsi del pomeriggio e i pochi atleti che come me si mettono al lavoro già dalla mattina, a quest’ora saranno già in vasca e avranno già iniziato l’allenamento.

    Mi trascino fino alla panca di legno e ci appoggio sopra il borsone.

    Estraggo le infradito, il costume e inizio a cambiarmi.

    Sono talmente programmato a fare questi gesti che li compio quasi senza rendermene conto.

    Afferro gli occhialini e la cuffietta prima di aprire la porta e trovarmi in piscina.

    Faccio appena in tempo a mettere piede dentro che sento il suono famigliare degli spruzzi d’acqua e una  voce, ancora più famigliare, che urla - Si! Così! Bravissimo, Nathan! -.

    Istintivamente mi giro ed..eccolo lì!

    Mio padre!

    Benedict J. Masser.

    Un uomo alto, sulla cinquantina.. credo..

    Non ricordo mai precisamente quanti anni abbia..

    Ha gli occhi verdi e i capelli del mio stesso colore, solo che le sue tempie hanno già iniziato ad ingrigirsi.

    Il viso liscio senza il men che minimo accenno di barba, solamente segnato da qualche ruga di espressione.

    Fermo sul bordo della piscina, stretto nella sua tuta nera e arancione della Nazionale, osserva Nathan risalire dalla scaletta dopo aver eseguito un tuffo praticamente perfetto.

    Vedo mio padre avvicinarsi al ragazzo e dargli una pacca sulla spalla, sollevando così qualche piccola goccia d’acqua.

    Gli sorride..

    Con me non ha mai fatto così..

    Come se percepisse il mio sguardo, all'improvviso si volta verso di me.

    Mi guarda per un attimo poi mi fa capire di raggiungerlo facendomi cenno con la mano.

    Mi avvicino mentre Nathan si appresta ad allontanarsi.

    - Quel ragazzo è un fenomeno! Farà strada, me lo sento! - dice mio padre, contemplandolo mentre supera  la porta della palestra.

    Io alzo gli occhi al cielo.

    Quando si tratta di quel ragazzo, mio padre si trasforma in una fan girl.

    Nathan Swift è, come dire, il suo idolo.

    Una specie di Dio in terra.

    Ed è sempre stato così, fin da quando eravamo bambini.

    Nathan frequenta la piscina di mio padre praticamente da quando la frequento io. È l'unico atleta che si allenano qui e che hanno iniziato a carriera agonistica ad essere entrato nella Nazionale. A parte me, ovviamente.

    Ha un anno in più di me, i capelli castani e mossi e un fisico a dir poco invidiabile.

    Mi sono sempre sentito in competizione con lui, come se dovessi sempre fare i conti con la sua perfezione.

    Ed è ovviamente mio padre che mi porta a provare questi sentimenti.

    Il modo in cui lo guarda, il tono di voce che usa quando parla di lui.

    Nathan di qua, Nathan di là, dovreste vedere come Nathan fa il carpiato! e tutte quelle cose lì.

    So che vorrebbe che io fossi come lui..

    Non lo ha mai detto apertamente, ma so che è così.

    Nathan sarebbe il figlio perfetto..quello che non ha mai avuto..

    Ma come dargli torto?

    Nathan è perfetto!

    Nel vero senso della parola!

    Qualunque cosa Nathan dica o faccia è assolutamente impeccabile!

    Ha uno stuolo invidiabile di ragazze che lo corteggiano, ha una macchina bellissima, non c’è praticamente nessuno in Europa più bravo di lui nei tuffi da piattaforma, per non parlare dello smagliante sorriso che si porta sempre dietro.

    E io invece..

    Io non sorrido mai, non so tuffarmi neanche a candela, non ho nemmeno uno straccio di motorino e sul fattore ragazze stendo un velo pietoso che è meglio.

    Come si può dar torto a mio padre.. il grande tuffatore Benedict J. Masser, vincitore di ben quattro ori mondiali, che ha partecipato a tre Olimpiadi e  ha proseguito la sua carriera fino a trentacinque anni quando, gli altri comuni mortali, solitamente non riescono a superare la soglia dei trenta! E queste cose solo per volerne citare alcune.

    Anche lui un tempo era la perfezione.. e si ritrova con un figlio come me, incapace di seguirlo nella sua stessa disciplina, incapace di essere anche solo lontanamente simile a lui, incapace di fare qualsiasi cosa..

    Come se capisse i miei pensieri, mio padre si gira a guardarmi e il suo sguardo si fa naturalmente gelido.

    - Sei in ritardo! - dice, incrociando le braccia al petto - Un’altra volta! -.

    Mi guarda fisso negli occhi e io mi sento sprofondare.

    Non importa quanti anni io abbia e che ormai sia grande e grosso come lui, mio padre ha e avrà sempre il potere di farmi sentire piccolo come un moscerino, anche solo guardandomi negli occhi.

    - Nik.. - riprende con la sua voce impostata - Mi sembra di averti insegnato la disciplina.. o mi sbaglio? -.

    Abbasso lo sguardo, sapendo perfettamente che lui aspetta una risposta.

    - Si, papà..- mormoro.

    - Perfetto! - esclama - E allora pretendo che tu la rispetti, ragazzo! -.

    Quanto mi da fastidio quando mi chiama così; ragazzo..

    Ma non sono certo nella posizione di controbattere.

    - Il fatto che tu sia mio figlio..- continua - Non include che tu non debba rispettare gli orari come fanno gli altri tuoi compagni! -.

    Oh, ecco che riparte!

    La storia dei famosi privilegi che teoricamente mi vengono concessi in quanto figlio del grande campione, nonché proprietario della piscina!

    Privilegi che, sinceramente, io non ho mai avuto modo di sfruttare, ma che lui continua a affibbiarmi.

    Sarò anche suo figlio ma, a dirla tutta, sono anche il più penalizzato di tutti qui dentro!

    È come se avessi continuamente due enormi occhi puntati addosso!

    Fin da quando sono nato mi porto dietro una fama che non è neanche la mia.

    Ce l’ho proprio cucita addosso.

    Tutti hanno da sempre delle enormi aspettative nei miei confronti, ma per quanto io provi anche solo ad avvicinarmi ad esse, è come se quello che facessi non fosse mai abbastanza per il cognome con cui sono nato.

    E questo mi sembra tutto fuorché un vantaggio.

    - Per cui..- riprende mio padre, richiamandomi sull’attenti - Per il tuo ritardo oggi farai cinquanta vasche in più -.

    Yyyeeeaaahhh! Evvai! Non vedo l’ora! Sono il ritratto della felicità!

    Delle vasche in più aggiunte alle tantissime che già devo fare era proprio la cosa che mi mancava!

    Che intanto non capisco cosa serva punirmi che comunque arriverò sempre in ritardo!

    Buf! Chissà dov’è zio Max…

    Mi guardo intorno mentre mio padre mi lascia l'ultima occhiataccia prima di tornare all'allenamento dei suoi tanto amati tuffatori.

    Non vedo traccia di mio zio da nessuna parte.

    Chissà dove si è cacciato!  Di certo si sta divertendo più di me!

    Non che ci voglia molto.

    Zio Max è un vero figo!

    Uno di quelli che si vedono all’uscita delle discoteche!

    Ha qualche anno in meno di mio padre ma sembra ancora un ventenne.

    Capelli neri ricoperti di gel, occhi chiarissimi schermati dai Ray Ban, barba disegnata e curatissima.

    Si veste con jeans strappati e giubbotti di pelle nera.

    Porta anelli di qualsiasi genere e una collanina d’oro al collo.

    È una specie di Fonzie del Duemila!

    Ovviamente ha una Harley e anche se ha quasi cinquant’anni conserva splendidamente il fisico statuario ottenuto in anni di duro allenamento.

    A differenza di mio padre che...se lo viene a sapere mi uccide.. ha qualche chilo di troppo concentrato sulla pancia.

    In effetti lui e mio padre sono completamente diversi.

    Forse perché non sono proprio fratelli.

    Mio zio, infatti, di cognome fa Hultz.

    I suoi genitori sono entrambi rimasti vittime di un incidente stradale quando aveva diciassette anni.

    Scappato dalla casa famiglia alla quale era stato affidato, un giorno incontrò per caso mio padre, che aveva appena compiuto diciotto anni e si era appena affacciato sul panorama mondiale.

    Fu così che nacque il loro strettissimo rapporto; mio padre si offrì di diventare il suo tutore legale fino a quando avesse raggiunto la maggiore età e mio zio, un po' per ringraziamento, un po' perché finalmente aveva trovato la sua dimensione, entrò nel mondo del nuoto.

    Anche lui aveva ottenuto la sua bella fama come nuotatore e quando la sua carriera era terminata aveva iniziato a lavorare presso la piscina da poco aperta da mio padre come allenatore dei nuotatori.

    Ed è così che molti anni dopo è diventato anche il mio di allenatore.

    Mio zio è l’allenatore che tutti i ragazzi vorrebbero.

    È divertente, altruista e spesso e volentieri tende a chiudere un occhio su molte cose.

    Mica come mio padre! Che ha occhi solo per Nathan Swift! E lo fa pesare a tutti!

    Comunque visto che non lo vedo da nessuna parte mi tocca iniziare da solo, se non voglio che mio padre mi ringhi dietro o peggio ancora mi dia altre vasche da fare! Sia mai!

    Duecento. Duecento strazianti, terribili, interminabili vasche!

    Mio dio! Non ce la faccio più!

    Mio zio non si è fatto vivo per tutto il giorno.  Mi hanno detto che è fuori città.

    Esco dallo spogliatoio e quasi non riesco più a camminare.

    Mio padre mi aspetta all’ingresso.

    Non dice una parola fino a quando non saliamo in macchina.

    - Sei andato bene oggi - dice tenendo con gli occhi sulla strada, senza voltarsi.

    Io rimango in silenzio, tenendo la testa appoggiata al finestrino.

    - Ti dovrai impegnare così ogni giorno se vuoi essere pronto per le Olimpiadi..-.

    Le Olimpiadi.

    Saranno quest'estate.

    Miliardi di atleti in tutta la Germania sognano per tutta la vita di poterci arrivare, si spaccano letteralmente la schiena, giorno dopo giorno, seguendo terribili allenamenti e solo una piccola parte di loro ce la fa davvero.

    Io sono uno di quelli eletti.

    E il fatto più sconvolgente e che questa cosa non mi tocchi nemmeno un po'.

    - È un grande onore essere entrato alla tua età a far parte della Nazionale..- continua, ignorando la natura dei miei pensieri - E ancora di più essersi qualificato per la campagna iridata! -.

    Scuote la testa e i suoi occhi improvvisamente si illuminano, ma dura solo in istante prima che venga di nuovo imprigionato dalla sua serietà.

    - È un’immensa occasione.. e non puoi di certo sprecarla! - esclama - Ne va del tuo futuro, Nik! Della tua carriera! -.

    Con la coda dell’occhio lo vedo girarsi a guardarmi.

    - Lo capisci ,vero? -.

    - Si...capisco..papà.. -.

    Sorride lievemente e allunga una mano verso la mia spalla, per poi stringerla con una presa ferma e salda.

    - Bravo, ragazzo - dice per poi tornare a guardare la strada.

    E io torno a guardare fuori dal finestrino.

    Chiudo la porta della mia camera alle spalle.

    Mi trascino verso il letto ancora disfatto e mi butto a faccia in giù sul cuscino.

    A cena non abbiamo parlato molto.

    Mia sorella Denise non c’era.

    Ha chiamato mamma dicendole che doveva fermarsi in redazione per finire un articolo.

    Di solito è lei che tiene viva la conversazione a tavola con le sue storie e gli scoop del giornale.

    Io di solito sto zitto ad ascoltarla.

    Del resto non ho niente da raccontare.

    Mi succedono sempre le stesse cose.

    E le poche cose che penso non potranno mai venire fuori.

    Chissà se un giorno cambierà qualcosa..

    2

    - Niiiik!!! -

    Si ricomincia.

    Sbadiglio.

    Mi trascino fuori dal letto.

    Sollevo la tapparella.

    Ammiro la vista, considerando che diventa ogni giorno più bella.

    Indosso le prime cose che trovo nell’armadio.

    Vado in cucina.

    Mia madre mi dice che sono in ritardo e che mio padre si arrabbierà.

    Bevo il caffè.

    Mangio i tre biscotti al cioccolato.

    Guardo l’ora e considero che mio padre si arrabbierà.

    Afferro il borsone.

    Esco dalla porta.

    Cammino lungo la strada.

    Mi fermo a guardare la vetrina della pasticceria..

    Proseguo e arrivo in piscina.

    Haile mi accoglie con il suo sorriso falso e io le rispondo con il mio grugnito.

    Raggiungo gli spogliatoi.

    Appoggio la schiena alla porta.

    Respiro.

    Mi appresto ad attivare il guidatore automatico quando all’improvviso la porta dello spogliatoio si apre.

    Mi giro di scatto sorpreso per quella improvvisa novità.

    Appena lo vedo entrare mi sento raggelare il sangue.

    Non ci posso credere..

    È lui.. il mio peggior nemico.. Nathan La Perfezione Swift!

    Si chiude la porta alle spalle e si avvicina alla panca di fronte alla mia.

    Appoggia il suo borsone a terra e inizia a togliersi le scarpe.

    Solo allora sembra accorgersi della mia presenza.

    Si gira a guardarmi e per la prima volta da quando ci conosciamo..mi parla!

     - Sono proprio in ritardo, vero? - mi dice, sorridendomi.

    - Già - rispondo più per un riflesso incondizionato creato dallo shock che per vera volontà.

    Da quando Nathan Swift mi rivolge la parola?!

    E da quando Nathan Swift arriva in ritardo?!

    La fine del mondo è vicina..

    Dopo essersi tolto i pantaloni della tuta, si siede sulla panca e si prende la testa tra le mani.

    - Dio ho la testa che mi scoppia! - esclama mettendosi a ridere - Forse non avrei dovuto bere tutte quelle birre ieri sera! -.

    Evito di dirgli che in effetti non dovrebbe bere per niente.

    L'alcol è un veleno per il fisico, fa male alla salute e di conseguenza anche all'allenamento.

    Mio padre me lo ripete da quando avevo tre anni.

    Io non ne ho mai toccata nemmeno una goccia.

    Ma io sono io. E Nathan Swift è Nathan Swift.

    Anche se..  a quanto pare anche lui può arrivare in ritardo!

    - Chissà cosa mi dirà tuo padre.. -.

    - Cosa vuoi che ti dica..niente..- mi lascio scappare, afferrando la cuffietta e gli occhialini e dirigendomi verso la porta della piscina.

    - Dici? - mi chiede.

    - Ne sono sicuro - convengo per poi voltarmi e uscire.

    Scuoto la testa mentre cammino lungo il perimetro della vasca.

    Mi ha fatto uno strano effetto parlare con Nathan.

    Mai avrei creduto che un giorno lo avrei fatto.

    Non che io abbia qualcosa contro di lui, in effetti.

    Nel senso che.. lui non mi ha mai fatto niente di personale.

    Semplicemente non ci siamo mai parlati.

    Lui è solamente il preferito di mio padre..

    E, a proposito di mio padre, eccolo che sta arrivando a tutta velocità, come un carro armato puntato contro l'obbiettivo.

    Prima che mi travolga, decido di alzare le mani in segno di resa.

    - Cinquanta vasche in più! Lo so! - dico superandolo precipitandomi verso il mio lavoro.

    Mi mancano ancora dieci vasche quando sento l'inconfondibile suono del fischietto.

    Raggiungo il bordo per emergere e mi stupisco non poco quando di fronte a me appare il volto di mio zio Max.

    - Bravo Nik! Esci pure, per oggi basta - mi dice, sorridendomi.

    Non mi ero accorto che fosse arrivato e neppure che fossero già le otto di sera.

    Una cosa bella, per non dire l’unica, del nuoto è che quando sei in acqua perdi completamente la nozione del tempo.

    Ti perdi nel tuo mondo, nei tuoi pensieri, e lasci perdere tutto il resto.

    Non faccio nemmeno in tempo a salutarlo che la voce di mio padre mi travolge.

    - Gli mancano ancora dieci vasche - precisa, avvicinandosi - Non ha ancora finito -.

    - Oh, andiamo Ben! - esclama mio zio - Dagli un po’ di respiro! Non vedi che ore sono? -.

    Mio padre lo guarda male, incrociando le braccia al petto.

    - Sarebbe meglio per te che io non vedessi che ore sono, scansafatiche che non sei altro! - lo ammonisce - Credi che non mi sia accorto che sei arrivato solo dieci minuti fa! Ti sembra questa l’ora di arrivare al lavoro?! Perché è qui che lavori, se non sbaglio! -.

    Io sogghigno, appoggiandomi con le braccia al bordo vasca.

    Se c’è una persona al mondo capace di fare più ritardo di me quella è mio zio Max.

    Solo che lui lo fa apposta. Per far arrabbiare mio padre, credo.

    Oppure solo perché non ha molta voglia di lavorare.

    - Ehi, ehi, calmati! Come sei nervoso ultimamente! Così ti fai venire un infarto! - esclama, alzando le mani - Si da il caso che io sia arrivato in ritardo perché sono dovuto andare a recuperare tua figlia.. le si è fermata la macchina.. -.

    - Mia figlia?! - esclama mio padre facendosi da subito allarmato - Come le si è fermata la macchina? E lei come sta? -.

    - Sto benissimo, papà! -

    Mi volto di scatto e vedo mia sorella Denise avanzare verso di noi, mostrandoci uno dei suoi grandi sorrisi.

    Indossa i vestiti che di solito mette per andare al lavoro, eleganti ma anche pratici, in modo che possa correre liberamente da una parte all'altra della redazione, solo che c'è qualcosa di strano in lei.

    La camicetta rosa è stropicciata e quasi del tutto fuori dal bordo dei semplici pantaloni neri, ma soprattutto, sul ha il volto un po' tirato, come se avesse appena passato qualcosa di non troppo piacevole e facesse di tutto per non farlo capire a nessuno.

    - Denise! - esclama mio padre avvicinandosi per abbracciarla - Stai bene, tesoro? -.

    Mia sorella alza gli occhi al cielo.

    Certe volte mio padre è così protettivo nei suoi confronti da diventare assillante.

    - Si sto bene papà! - ripete lei - Tranquillo! Mi si è solo spenta la macchina e non aveva più la minima voglia di ripartire, allora ho chiamato Max per farmi venire a prendere -.

    - Avresti dovuto chiamare me! - l’ammonisce lui.

    - Oh, papà, non volevo disturbarti visto che hai sempre molte cose da fare qui in piscina.. -.

    - Cose che dovrebbe fare anche lui! - esclama lui girandosi verso mio zio - Invece di stare a zonzo tutto il giorno a fare chissà che cosa! -.

    - A zonzo??! - esclama lui, spalancando gli occhi in un espressione incredibilmente indignata - Ma guarda un po’ cosa devo sentire! Invece di ringraziami per aver soccorso tua figlia mi tratti così?! -.

    Mentre loro continuano a discutere, mia sorella sembra finalmente accorgersi di me e mi si avvicina.

    - Ciao Niki! - esclama piegandosi sulle gambe e stando attenta a non scivolare sul bordo bagnato della vasca.

    - Non mi chiamare Niki! -.

    Non ho mai permesso che mi chiamassero così.

    Odio i nomignoli! Sono ridicoli! E mi fanno sentire un bambino!

    - Uffa! Come sei pesante! - dice lei, sbuffando - Ho una novità! -.

    Apre la bocca per iniziare a parlare ma poi la richiude e corruga le sopracciglia.

    - Ehi ma.. non è quasi ora che tu esca da lì dentro?! - chiede vedendomi ancora in acqua - Non vorrei mi diventassi una specie di anfibio! -.

    Alzo le spalle.

    - Stavo aspettando il permesso dalle guardie carcerarie – dico, indicando i due uomini che parlano ancora animatamente.

    - Ah bhè, se aspetti loro potresti rischiare di stare lì per sempre! - dice sorridendo - Dai esci! È alquanto scomodo parlarti da questa posizione!

     -.

    Annuisco e raggiungo la scaletta.

    Afferro l’asciugamano che Denise mi porge e iniziando ad asciugarmi, raggiungo con lei la prima fila di spalti.

    Mi siedo e attendo che lei prenda posto accanto a me.

    - Allora, dicevo! - esclama, girandosi leggermente verso di me - Ho una novità! Una splendida novità! -.

    Io la fisso senza dire niente.

    Mia sorella è la persona più entusiasta del mondo.

    Qualunque cosa succeda, per lei è una cosa incredibile.

    Forse è per questo che a tanto brava a fare la giornalista.

    - Quest’oggi in redazione mi si è avvicinato il capo dicendomi che ci sarebbe da fare un articolo sulla nuova promessa del nuoto nazionale..- dice sorridendomi furba - Un certo.. Nikolas Masser.. per caso lo conosci?! -.

    Spalanco gli occhi.

    - Cosa?? - esclamo scuotendo la testa - No, no, no, no io non farò nessuna intervista! -.

    Denise mi guarda e inclina la testa proprio come fa mamma.

    - Eh daaai!! - mi prega - Lo sai quanto ho bisogno di fare gavetta e scrivere articoli e sai anche che il mio capo non mi offre molta considerazione! Questa è un occasione che non posso non sfruttare! -.

    Io non ho ancora smesso di scuotere la testa.

    - Nik! Sei mio fratello! Non mi puoi fare questo! - esclama, mettendo il broncio come i bambini piccoli e unendo le mani - Per favore! -.

    La guardo negli occhi che sono uguali identici ai miei.

    So che non mi lascerà stare fino a quando non l’avrò accontentata.

    Mia sorella è fatta così.

    Se si fissa su qualcosa non c’è niente al mondo che riesca a farle cambiare idea.

    - Okay, va bene..- dico con non troppa convinzione.

    - Siiiii!!! Grazie fratellino! - esclama lanciando le braccia in alto - Ti vorrei stritolare da quanto ti voglio bene ma sei bagnato e rischierei di rovinarmi questa splendida camicetta per cui.. non lo faccio..ma è come se lo facessi okay?! -.

    Mi da un bacio sulla guancia e si alza.

    - Questa sera, dopo cena, in camera mia! - esclama, puntandomi un dito contro, con fare quasi minaccioso, prima di allontanarsi e sparire oltre la porta degli spogliatoi.

    La stanza di mia sorella è la stessa di quando aveva dieci anni.

    Forse ha qualche pupazzo o bambola in meno ma per il resto è rimasta uguale.

    È grande come la mia, il che vuol dire che non lo è per niente.

    Un letto con una coperta a fiori rosa, un armadio a due ante bianco, una scrivania e una libreria strapiena di libri bastano per riempirla.

    Le pareti dipinte di un eccentrico color verde mela sono spoglie a parte il cartellone pubblicitario di un profumo con la foto di un modello e un’imitazione del quadro de I Girasoli di Van Gogh.

    Sono disteso sul suo letto e la osservo, mentre, seduta alla scrivania, armeggia con le dita sulla tastiera del computer.

    Si è tolta gli abiti che usa per andare al lavoro e ha indossato una tuta.

    Si è legata i capelli biondi e porta degli occhiali da riposo per non sforzare  troppo gli occhi alla luce del computer, che è l’unica di tutta la stanza.

    Io e mia sorella ci assomigliamo molto.

    Entrambi abbiamo preso da nostro padre, anche se lei ha gli occhi grandi come quelli di mamma.

    Ha quattro anni in più di me e siamo molto legati.

    Con lei ho un rapporto diverso rispetto all’altra mia sorella, Mia.

    Con Mia.. non si può dire che io abbia un vero e proprio rapporto.

    Si, le voglio bene, ovviamente. Ma.. ci sono diversi ma.

    Inanzi tutto abbiamo nove anni di differenza, lei da tre anni vive a San Paulo in Brasile, insieme al marito e ai loro due gemelli.

    Lei è metà brasiliana.

    Suo padre, quello naturale intendo, è brasiliano.

    Faceva il calciatore. Ora non so se lo faccia ancora. Penso proprio di no.

    Quando mia mamma è venuta a Colonia aspettava già Mia.

    Un giorno, grazie al proverbiale intervento di zio Max, lei ha incontrato mio padre e da cosa nasce cosa.. alla fine si sono messi insieme e lui ha cresciuto Mia proprio come fosse figlia sua.

    Ma non è il fatto di non essere del tutto fratelli ad allontanarci.

    Credo che sia colpa della distanza.

    Non dico solo quella geografica, ma anche quella mentale.

    Siamo completamente diversi, io e lei.

    Non che Denise e io siamo molto più simili, su quell'aspetto, ma.. non lo so, con lei è diverso.

    È come se lei sia l’unica che mi capisca davvero.

    In effetti, credo che lei mi capisca più di quanto mi capisco io da solo.

    - Allora Nik.. sei pronto per l’intervista? - mi chiede Denise, voltandosi a guardarmi.

    Io mi scuoto dai miei pensieri e mi copro la testa con un cuscino.

    - È proprio necessario fare questa cosa già questa sera? - chiedo con la voce attutita dalla federa - Non possiamo rimandare tutto a domani? -

    - Chi ha tempo non aspetti tempo! -.

    Scosto di un poco il cuscino dalla faccia per guardarla male.

    - Iniziamo con i tuoi modi di dire? -.

    - Oh, sono una giornalista! I modi di dire sono il mio pane quotidiano! - esclama ridacchiando.

    Mia sorella ha sempre sognato di fare la giornalista.

    Bhè, a dire la verità il suo sogno sarebbe quello di fare la scrittrice, solo che, come dice lei, non ha ancora trovato una storia che valga la pena di essere raccontata, e nel frattempo cerca di migliorare la sua scrittura scrivendo per un piccolo giornale.

    Cosa che, in ogni caso, le riesce piuttosto bene, visto che non ho mai conosciuto persona più cocciuta ed insistente di lei!

    Sbuffo e mi metto a sedere sul letto incrociando le gambe.

    - Dai allora se proprio dobbiamo fare questa cosa iniziamo subito..-.

    - Giusto! - dice lei, battendo le mani - Chi ben comincia è a metà dell’opera! -.

    - Denise! Giuro che se non la smetti me ne vado!! -.

    Lei scoppia a ridere.

    - Okay, okay, la smetto! - dice lei tra le risate - Ammetto di averlo fatto apposta questa volta! Allora vediamo un po’... come hai iniziato la tua carriera? -.

    Io la guardo allibito.

    - Ma che razza di domanda è?! - esclamo.

    Mi guarda male - Non offendere le mie domande! Limitati a rispondere! -.

    - Ma lo sai perfettamente come ho iniziato! Mio padre è stato uno dei più grandi atleta acquatico, io sono suo figlio, fai due più due e ottieni il risultato! -.

    Denise mi guarda sconsolata.

    - Non hai proprio nessuna intenzione di collaborare, vero? -.

    - Non è questo! - esclamo - È solo che la trovo una cosa inutile! -.

    Riprendo fiato, cercando le parole più giuste per esprimermi, cosa che trovo sempre incredibilmente difficile, anche con lei.

    - Insomma, Denise! Conosci il mondo del nuoto praticamente quanto me! Ci sei nata dentro pure tu! Potresti rispondere da sola a quelle domande senza il mio aiuto, cosa che per te sarebbe decisamente meglio visto che sono totalmente incapace di fare cose cose.. e poi anche se fossi capace a farlo non capisco per quale motivo dovrebbero scrivere un articolo proprio su di me! -

    Prendo fiato e mi rimetto seduto.

    - Hanno deciso di scrivere un articolo su di te perché sei una grande promessa del nuoto, hanno deciso di scrivere un articolo su di te perché andrai alle Olimpiadi.. - mi dice lei ma io la interrompo.

    - Non tirare in ballo le Olimpiadi!! -.

    Mi rendo da subito conto di aver alzato troppo la voce.

    Denise mi guarda, quasi allibita, senza dire niente.

    Sa perfettamente che non sono solito fare uscite del genere e che se mi sono sfogato in questo improvviso modo ci deve essere qualcosa che non va. Non penso però che capisca davvero cosa c'è sotto.

    Anche perché ancora non lo so nemmeno io.

    Prendo un altro respiro.

    - Guardami, Denise - le dico - Ho appena vent’anni e non ho mai avuto una vita sociale! In verità non so nemmeno precisamente cosa voglia dire avere una vita sociale! Passo quattordici ore al giorno dentro quella piscina! Nuoto, nuoto e ancora nuoto. Mi alleno in continuazione per una cosa che.. per una cosa che non so nemmeno cosa sia.. -.

    L'improvviso silenzio che scende tra noi mi fa capire di aver detto troppo, ma anche che era arrivato il momento di far uscire almeno qualcosa.

    Non potevo continuare a tenermi tutto dentro.

    Mia sorella continua a guardarmi per un attimo che sembra infinito, poi lentamente si alza dalla sedia, mi raggiunge, si piega sulle gambe di fronte a me e poggia le sue mani sulle mie ginocchia.

    - Nik.. - mi dice, guardandomi negli occhi - Posso capire che questo sia un anno molto difficile per te, la tua carriera sta per prendere il volo ed è normale che tu possa sentirti un po' sotto pressione. Ma tu sei bravo! Sei veramente molto bravo! -.

    - Lo so ma.. - le parole quasi mi muoiono in gola -

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