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Contro Dio: La lotta millenaria tra Dio e l'Umanità
Contro Dio: La lotta millenaria tra Dio e l'Umanità
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Contro Dio: La lotta millenaria tra Dio e l'Umanità

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Contro Dio - Francesco Boer - Libro Un punto di vista provocatorio, una nuova chiave per rileggere la storia dell'umanità come la cronaca di una battaglia metafisica fra il Creatore e la creatura"."Da tempo mi chiedevo come mai l’uomo e Dio fossero così distanti: non sarà che i due non si amano veramente, come hanno sempre sostenuto a parole? Non sarà forse che fra i due scorre un odio profondo?Ipotesi ardita ed apparentemente blasfema, ma che ad una più attenta analisi si rivelava essere un principio esplicativo in grado di gettar luce sulle svolte più enigmatiche del nostro passato.Decisi dunque di calarmi nell’abisso delle ere con questa nuova ed azzardata luce.Mi inoltrai in quella ricerca come si entra nelle stanze di un museo. Erano sì piene di frammenti, ma di frammenti preziosissimi e meravigliosi. La Genesi ed Esiodo, il Corano e le lettere di San Paolo, William Blake e Voltaire, Schreber e Freud, al-Hallaj e Jung, fino ad arrivare a Marx, Teilhard de Chardin e Ray Kurzweil.Di fronte a simili moltitudini si è tentati di porre ordine classificando, dividendo in gruppi ed incasellando i singoli aspetti individuali in rigide categorie. È un lavoro pur sempre meritevole, perché permette una migliore comprensione, ma a stringere troppo forte cappi di questo genere si rischia di soffocare ciò che si cattura. Ho preferito l’approccio del simbolista: egli non appone sterili etichette, ma traccia collegamenti vivificanti, come può esserlo una nuova rotta che unisce due continenti."Francesco Boer
LanguageItaliano
Release dateFeb 8, 2017
ISBN9788869371554
Contro Dio: La lotta millenaria tra Dio e l'Umanità

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    Contro Dio - Francesco Boer

    Addio

    Introduzione

    La traccia del cammino

    " These fragments I have shored against my ruins"

    Con questi frammenti ho puntellato le mie rovine: è uno degli ultimi versi di The Wasteland, il capolavoro del poeta T. S. Eliot. Ogni volta che mi perdo nella vertigine della storia o nell’incantato turbine della mitologia ho la stessa sensazione: il tempo macina l’unità della vita, spezza le forme e cancella i colori. Di quel che era un tempio ci restituisce pietre diroccate, o se siamo proprio fortunati qualche minuscolo brandello di un affresco che un tempo copriva pareti enormi.

    Da tempo mi chiedevo come mai l’uomo e Dio fossero così distanti: non sarà che i due non si amano veramente, come hanno sempre sostenuto a parole? Non sarà forse che fra i due scorre un odio profondo?

    Ipotesi ardita ed apparentemente blasfema, ma che ad una più attenta analisi si rivelava essere un principio esplicativo in grado di gettar luce sulle svolte più enigmatiche del nostro passato.

    Decisi dunque di calarmi nell’abisso delle ere con questa nuova ed azzardata luce.

    Mi inoltrai in quella ricerca come si entra nelle stanze di un museo. Erano sì piene di frammenti, ma di frammenti preziosissimi e meravigliosi. La Genesi ed Esiodo, il Corano e le lettere di San Paolo, William Blake e Voltaire, Schreber e Freud, al-Hallaj e Jung, fino ad arrivare a Marx, Teilhard de Chardin e Ray Kurzweil.

    Di fronte a simili moltitudini si è tentati di porre ordine classificando, dividendo in gruppi ed incasellando i singoli aspetti individuali in rigide categorie. È un lavoro pur sempre meritevole, perché permette una migliore comprensione, ma a stringere troppo forte cappi di questo genere si rischia di soffocare ciò che si cattura. Ho preferito l’approccio del simbolista: egli non appone sterili etichette, ma traccia collegamenti vivificanti, come può esserlo una nuova rotta che unisce due continenti.

    Continuando l’inseguimento, compresi che il labirinto di stanze di tale museo cartaceo non era un percorso insensato, ma tracciava una figura più vasta, una sorta di immenso geroglifico composto da migliaia di rune.

    È come se l’intera storia dell’umanità fosse un prezioso vaso di vetro, tragicamente caduto a terra, e spezzatosi in mille pezzi. Ne ho raccolto le schegge, e ho cercato di ricomporle; ma non sono certo tagliato per il lavoro dell’archeologo. In fondo non mi interessa affatto ricomporre l’antica unità; al contrario, ho visto nascere fra le mie mani una nuova figura, come se una musa prepotente usasse le mie mani per comporre con questi pezzi di vetro colorato i petali di una rosa.

    La spirale di quella rosa, però, è anche un vortice, un’immane turbolenza causata dalla battaglia più grande dell’intera creazione: quella fra Dio e l’uomo.

    Anche in questo caso, non sono riuscito a scrivere da storico: non posso valutare i fatti con distacco ed imparzialità, perché sono totalmente coinvolto nel conflitto, e sento sulla mia pelle le emozioni che animano le due fazioni contrapposte. Ho cercato quindi di trascenderne l’imparzialità, e di darne piuttosto un ritratto vivo e vibrante, come pagine di diari scritti in anni di guerra.

    Se Dio è davvero buono come dicono, come mai l’uomo se ne allontana? E se è così pronto al perdono, come sempre si ripete, perché i suoi fedeli lo temono?

    In genere si risponde addossando interamente la colpa all’uomo. Siamo noi che chiudiamo i nostri cuori al suo amore, ed è la nostra vanagloria a precluderci il suo perdono. Per ricever l’assoluzione non basterebbe che chiederla sinceramente, eppure a quanto sembra non siamo disposti nemmeno a compiere questo piccolo sforzo.

    Ma è davvero soltanto colpa nostra? La nostra sentenza sembra già decisa, ma non per questo dobbiamo rinunciare a difenderci. Forse è Dio a stare dalla parte del torto!

    A questo punto, prima di procedere, sarebbe necessario stabilire delle definizioni: cos’è Dio, cosa si intende con questa parola? E poi, cos’è l’uomo? Eppure è proprio quel che eviteremo di fare, perché un concetto vivo non si lascia circoscrivere con giri di parole, e forzare una definizione risulterebbe immancabilmente in una mutilazione parziale ed arbitraria.

    Qualcuno, ad esempio, inizierebbe dicendo Dio è un essere...; ma altri direbbero piuttosto Dio è un’idea.... Entrambe le visioni hanno la loro dignità, eppure sono fermamente incompatibili l’una con l’altra, perché la prima sottintende l’indipendenza di Dio, come creatore dell’uomo, mentre l’altra presuppone al contrario l’autonomia dell’uomo, inventore di un concetto astratto chiamato Dio.

    Ad un livello puramente teorico le due visioni sarebbero anche riconciliabili: Dio crea l’uomo, e tramite il pensiero umano l’idea di Dio si manifesta nel mondo. Oppure ancora: l’uomo crea Dio, eppure quella sua creazione non è affatto un’idea artificiale, ma una forza viva ed autonoma, capace di influenzare attivamente tanto la vita di ogni giorno quanto i grandi avvenimenti della storia.

    Ad un livello pratico, tuttavia, le due concezioni restano separate, dividendo gli uomini in due fazioni avversarie, incapaci di dialogare l’una con l’altra. E questa frattura non è un fatto casuale, ma riflette una divisione ben più profonda.

    Dio e l’uomo sono infatti due poli opposti, due principi mutualmente esclusivi. Dove c’è l’uomo non può esserci Dio, e viceversa.

    Dio è un bene per gli uomini, ma soltanto finchè se ne resta distante. Non è un caso che fra le immagini più usate per rappresentare la divinità ci siano il sole ed il fuoco. Il sole scalda la terra, e con la sua benedizione scioglie l’inverno, mutandolo nell’incantevole primavera; ma quando si avvicina troppo porta siccità e carestie, e quei luoghi sfortunati dove il sole è troppo presente si trasformano velocemente in aridi deserti, distese senza vita di sabbia rovente. Anche il fuoco riassume in sè lo stesso paradosso: ci si siede al suo fianco per riscaldarsi, ma basta sfiorarlo e son grida di dolore. Una casa senza focolare sarebbe soltanto una stanza gelida ed inospitale; ma basta che in un attimo di disattenzione il fuoco scappi dal caminetto, per causare una rovina irreparabile.

    Il percorso che ci accingiamo a fare ripercorre le tappe di questa divisione fra l’uomo e Dio, che è stata prima una lontananza, poi un’angosciosa nostalgia ed infine un’inimicizia velenosa e carica di rancore.

    PRECISAZIONE

    L’autore crede in Dio?

    È una domanda legittima, che il lettore potrebbe a buon diritto porsi per una comprensione migliore del testo che sta per affrontare.

    Vi saranno ad esempio passaggi in cui rifletteremo sul perché Dio abbia creato l’uomo con un corpo predisposto al sesso, per poi stabilire che il sesso sia peccaminoso. Una risposta possibile sarebbe: Non è un dio ad aver creato l’uomo, ma l’uomo è il frutto di un processo evolutivo casuale, durato milioni di anni. Un’osservazione intelligente e vera, ma che fraintende completamente la questione.

    Credo in Dio? La risposta è né sì né no, oppure sì e no al tempo stesso. Mi piacerebbe poter credere in Dio come lo fa un religioso convinto, senza alcun dubbio di sorta. Sarebbe facile, un notevole alleggerimento della coscienza.

    " Quel contadino

    s’affida alla medaglia

    di Sant’Antonio

    e va leggero

    Ma ben sola e ben nuda

    senza miraggio

    porto la mia anima"

    Ma è ancora possibile credere veramente in Dio nel XXI secolo? Esistono ancora persone convinte in maniera indubbia della sua esistenza, o la loro certezza è solo una facciata dietro cui si nasconde il dubbio, un dubbio nascosto anche alla loro stessa coscienza?

    La scienza si impone come nuova fonte di verità, e nessuno potrebbe seriamente pensare di rinnegare certe affermazioni senza con questo ingannare pietosamente sè stesso.

    La teoria dell’evoluzionismo di Darwin è un’ipotesi: è un modello proposto per spiegare la realtà, e non pretende certo di essere la realtà stessa. Lo stesso Darwin, nelle sue opere, pone grande attenzione alle obiezioni mosse verso la sua teoria, consapevole che basterebbe un’incongruenza ad invalidarle, e pronto a modificarle anche profondamente pur di rispettare l’evidenza.

    " L’estratto che oggi metto in luce è dunque necessariamente imperfetto, sostenne Darwin nell’introduzione al suo saggio Sull’Origine delle specie".

    La teoria non è la realtà, ma un’ipotesi; però è un modello che funziona dannatamente bene, e le prove che lo supportano sono davvero convincenti. Continuare a riproporre il creazionismo, invece, suona inevitabilmente come un’impostura, e viene da chiedersi se davvero i suoi sostenitori ne siano convinti, o se non si tratti piuttosto di una messa in scena artificiosa.

    " Volete forse in difesa di Dio dire il falso

    e in suo favore parlare con inganno?

    Vorreste trattarlo con parzialità

    e farvi difensori di Dio? "

    E poi, chi mai potrebbe credere in Dio, se non è Dio a volerlo?

    Qual è dunque la mia posizione?

    Parto da un fatto empirico: storicamente, l’uomo ha sempre cercato un dio, parlato di lui e ragionato sui fatti divini. Pochissimi popoli sono rimasti privi di sistemi religiosi, forse nessuno. In nome di Dio si sono create città, si sono combattute guerre e son stati costruiti ospedali, sono state create nazioni e si sono disciolti imperi.

    " Dio agisce ed esiste soltanto negli esseri esistenti o nell’uomo ."

    Questo però non vuol certo dire che Dio sia un’invenzione umana. Prendiamo ad esempio l’amore: se non ci fossero più esseri viventi, l’amore non ci sarebbe nemmeno, anzi, sarebbe una parola priva di senso. Però l’amore non è certo una loro invenzione, non è un sentimento creato appositamente da qualche nostro progenitore, e tramandato da allora tramite la cultura. È una forza viva, un istinto che si manifesta nel cuore dell’uomo, eppure autonomo ed indipendente da lui.

    Anche altre peculiarità umane, pur connaturate alla cultura, non sono per questo sue creazioni deliberate. Solo raramente un alfabeto viene inventato di sana pianta, e quasi mai ciò accade per un linguaggio parlato da un popolo. Lo stesso vale per la religione: essa sorge spontaneamente, e solo in parte, nei suoi dettagli meno essenziali, viene plasmata ed adattata alle differenze dei singoli gruppi sociali.

    Dio non è un’invenzione umana, ma si manifesta tramite l’uomo. Qual è l’origine di tale manifestazione? Un ente metafisico e sovramateriale o il cumularsi di istinti e meccanismi consolidati dal lungo processo evolutivo di selezione naturale? Su questo, come ho già detto, sospendo il mio giudizio, limitandomi a suggerire che le due scelte potrebbero non esser mutualmente esclusive.

    Ciò che conta è che Dio è stato, e forse è tuttora, una forza viva ed autonoma capace di influenzare tanto la vita dei singoli uomini quanto la storia nel suo complesso. È di questa forza viva che ci occuperemo, ed è in questa maniera che affronteremo i miti ed i racconti che la riguardano: non certo credendo alla lettera, ma nemmeno svalutandoli come mere creazioni umane.

    Perché Dio ha creato l’uomo con un corpo predisposto al sesso, per poi stabilire che il sesso è peccaminoso? Rispondere usando una teoria scientifica moderna vorrebbe dire eludere la domanda. Il nocciolo della questione non riguarda un essere dalla dubbia esistenza chiamato Dio, ma è un dilemma morale ed esistenziale che si manifesta sotto forma di narrazione mitica, perché è proprio in quella forma che l’uomo raggiunge le maggiori potenzialità di espressioni nei confronti del divino. Ed è proprio nel linguaggio del mito che noi ragioneremo, e che via via tenteremo delle risposte.

    Tanto il credente integralista che afferma la realtà fattuale dei miti quanto l’ateo che la nega commettono lo stesso, madornale malinteso: osservano la superficie, la lettera con cui è scritta la storia, e non concepiscono nemmeno che appena oltre il velo possa nascondersi un significato. Cerchiamo dunque di non ricadere anche noi nello stesso errore!

    Casus Belli

    Dalle stelle di Dio alle profondità dell’abisso

    Uno dei temi ricorrenti nella Bibbia è la divisione fra coloro che accettano Dio e quelli che lo rifiutano. A simboleggiare i primi c’è Israele, il popolo eletto ed amato da Dio, mentre i secondi sono rappresentati dai regni che di volta in volta affrontano il popolo eletto, come ad esempio l’Egitto, o Babilonia.

    Proprio nell’immagine di Babilonia il profeta Isaia seppe intravvedere la causa prima di questo dissidio, un antecedente avvenuto nel cielo, prima della storia, prima dell’inizio del tempo, una frattura archetipica il cui strappo riecheggia attraverso l’intera creazione. C’è infatti un celebre passo della canzone sul re di Babilonia, che recita:

    " Come mai sei caduto dal cielo,

    Lucifero, figlio dell’aurora?

    Come mai sei stato steso a terra,

    signore di popoli?

    Eppure tu pensavi:

    Salirò in cielo,

    sulle stelle di Dio

    innalzerò il trono,

    dimorerò sul monte dell’assemblea,

    nelle parti più remote del settentrione.

    Salirò sulle regioni superiori delle nubi,

    mi farò uguale all’Altissimo.

    E invece sei stato precipitato negli inferi,

    nelle profondità dell’abisso! "

    L’interpretazione principale del testo dovrebbe intendersi proprio in riferimento al re di Babilonia: la sua potenza sulla terra rappresenta un affronto al potere di Dio, ed Egli reagisce annientandolo. In tal senso in Ezechiele si trova un passo simile, in cui Dio per mezzo del profeta parla al re di Tiro:

    " Figliuol d’uomo, di’ al principe di Tiro: Così parla il Signore, l’Eterno: Il tuo cuore s’è fatto altero, e tu dici: Io sono un dio! Io sto assiso sopra un trono di Dio nel cuore de’ mari! mentre sei un uomo e non un Dio, quantunque tu ti faccia un cuore simile a un cuore d’un Dio."

    Nell’ immaginazione popolare, tuttavia, l’interpretazione terrena del passo di Isaia è passata in secondo piano, e la suggestiva allusione a Lucifero ha acceso la fantasia dei credenti e dei teologi, prendendo quasi vita propria. Ciò non significa affatto una mancata comprensione del testo: al contrario, si può intenderla come lo sviluppo di una sua possibilità latente, come se quel termine Lucifero fosse un seme germogliato soltanto in seguito.

    Lucifer è un termine latino che significa letteralmente portatore di luce: si riferisce infatti alla stella del mattino, il pianeta Venere, che sorge poco prima dell’alba, come se annunciasse con la sua luce il prossimo avvento del Sole. Proprio in ciò sta una delle problematiche più profonde di tale questione: la luce è un bene, anzi, è uno degli attributi più comunemente associati a Dio stesso. Se Lucifero annuncia la luce, come potrebbe esser malvagio?

    Evidentemente egli una volta doveva esser stato buono e giusto, vicino a Dio, nello splendore della sua grazia. Sempre in Ezechiele c’è un altro passo rivolto al re di Tiro, che è possibile però intendere come riferito a Lucifero, date le somiglianze con il re babilonese di Isaia:

    " Tu eri un modello di perfezione,

    pieno di sapienza,

    perfetto in bellezza;

    in Eden, giardino di Dio,

    tu eri coperto d’ogni pietra preziosa:

    rubini, topazi, diamanti, crisòliti, ònici

    e diaspri, zaffìri, carbonchi e smeraldi;

    e d’oro era il lavoro dei tuoi castoni e delle tue legature,

    preparato nel giorno in cui fosti creato.

    Eri come un cherubino ad ali spiegate a difesa;

    io ti posi sul monte santo di Dio

    e camminavi in mezzo a pietre di fuoco.

    Perfetto tu eri nella tua condotta,

    da quando sei stato creato,

    finché fu trovata in te l’iniquità.

    Crescendo i tuoi commerci

    ti sei riempito di violenza e di peccati;

    io ti ho scacciato dal monte di Dio

    e ti ho fatto perire, cherubino protettore,

    in mezzo alle pietre di fuoco.

    Il tuo cuore si era inorgoglito per la tua bellezza,

    la tua saggezza si era corrotta

    a causa del tuo splendore:

    ti ho gettato a terra

    e ti ho posto davanti ai re che ti vedano.

    Con la gravità dei tuoi delitti,

    con la disonestà del tuo commercio

    hai profanato i tuoi santuari;

    perciò in mezzo a te ho fatto sprigionare un fuoco

    per divorarti.

    Ti ho ridotto in cenere sulla terra

    sotto gli occhi di quanti ti guardano.

    Quanti fra i popoli ti hanno conosciuto

    sono rimasti attoniti per te,

    sei divenuto oggetto di terrore, finito per sempre"

    Anche in questo caso, la vicenda del cherubino caduto può essere intesa come una mera metafora della perdita del potere terreno, subita da un re storicamente esistito; ma una simile interpretazione sarebbe ben più noiosa ed arida rispetto alle possibili vicende mitologiche insite nel testo. È stata infatti questa seconda linea a prevalere, proprio perché più interessante, più capace di far presa sulla mente umana, come se fosse dotata di una propria vita. Alcuni infatti insistono nel voler ricondurre la nascita dell’idea di Lucifero ad una svista storica, ad un’incomprensione dei testi biblici: ma forse sarebbe più corretto dire che è l’idea di Lucifero ad essersi imposta sugli uomini, facendosi strada proprio attraverso passi ambigui, come quelli citati!

    Coi secoli dunque si giunse a concordare sul fatto che Lucifero fu un tempo un cherubino, perfetto e bellissimo, amato da Dio, forse addirittura il primo ed il migliore fra le schiere angeliche. A causare la sua rovina fu l’orgoglio, che lo allontanò dal Signore: Lucifero si credette addirittura migliore di Dio, e capace di spodestarlo dal trono.

    Nonostante l’origine umana della metafora sia stata praticamente dimenticata, essa continua tuttavia a giocare un ruolo importantissimo nel mito luciferino: il peccato di orgogliosa superbia del cherubino caduto è infatti tragicamente umano, e nella vicenda dell’angelo caduto si intravede la penosa separazione di Dio dall’uomo, del Re del Cielo dai re della terra, la divisione fra Israele e Babilonia.

    Lucifero viene infatti esiliato dal cielo, dove Dio risiede, e confinato negli abissi della terra. Ma la terra è quella in cui gli uomini abitano, e in questo senso Lucifero è tanto più vicino all’umanità rispetto a Dio, che resta inaccessibile nel suo Empireo.

    Il tema dell’esilio terreno ricompare nell’Apocalisse di Giovanni:

    " Vidi poi un angelo che scendeva dal cielo con la chiave dell’Abisso e una gran catena in mano. Afferrò il dragone, il serpente antico - cioè il diavolo, Satana - e lo incatenò per mille anni; lo gettò nell’Abisso, ve lo rinchiuse e ne sigillò la porta sopra di lui, perché non seducesse più le nazioni, fino al compimento dei mille anni. Dopo questi dovrà essere sciolto per un po’ di tempo."

    Lucifero dunque è sottoterra, nella nostra Terra; forse proprio al centro del nostro pianeta. Il nucleo della terra è una massa incandescente di ferro: forse prima dell’inizio dei tempi quel nucleo era una stella, che poi è stata rinchiusa da Dio, come punizione per il peccato d’orgoglio. Il nostro pianeta dunque sarebbe una prigione per l’angelo caduto; e ciò che più conta, il cuore pulsante della nostra Terra sarebbe Lucifero stesso!

    È un gioco di fantasia, si intende: ma se ci pensate, Dante nella sua Divina Commedia pone il principe dei Demoni proprio al centro esatto della Terra.

    La perdita del Paradiso Terrestre

    All’inizio della creazione, l’uomo viveva in pieno accordo con Dio. Adamo ed Eva vivevano nel giardino del paradiso terrestre, in cui il Signore stesso alle volte passeggiava alla brezza del giorno. Tale stato idilliaco non poteva certo durare a lungo!

    Dio aveva dato all’uomo un unico comando:

    " Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, quando tu ne mangiassi, certamente moriresti."

    Un giorno, mentre Eva era da sola, le se avvicinò il serpente, e con l’inganno indusse la prima delle donne a cogliere il frutto proibito:

    " Il serpente era la più astuta di tutte le bestie selvatiche fatte dal Signore Dio. Egli disse alla donna: «È vero che Dio ha detto: Non dovete mangiare di nessun albero del giardino?». Rispose la donna al serpente: «Dei frutti degli alberi del giardino noi possiamo mangiare, ma del frutto dell’albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto: Non ne dovete mangiare e non lo dovete toccare, altrimenti morirete». Ma il serpente disse alla donna: «Non morirete affatto! Anzi, Dio sa che quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio, conoscendo il bene e il male». Allora la donna vide che l’albero era buono da mangiare, gradito agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza; prese del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede anche al marito, che era con lei, e anch’egli ne mangiò."

    In quel frangente, dunque, l’umanità fu presa dallo stesso infausto proposito che causò la caduta di Lucifero: prendere il posto di Dio. Diventare come Dio significa infatti sostituirlo, renderlo inutile, spodestarlo dal suo trono. Che bisogno c’è di avere un Dio, se si diventa una divinità a propria volta?

    A rimarcare il collegamento fra il peccato di Adamo ed Eva e quello di Lucifero, c’è una diffusissima tradizione cristiana che vede nel serpente proprio un momentaneo travestimento dell’angelo caduto. Fu forse per far un dispetto a Dio, rovinando la sua creazione, proprio nell’uomo, che avrebbe dovuto esserne il punto più alto, il gioiello della corona? O forse fu uno schema di Lucifero per portare gli uomini dalla sua parte, in vista di un futuro tentativo di ribellione?

    Anche in questo episodio ci sono diversi punti di difficile comprensione, che non hanno mancato di suscitare dibattiti secolari.

    La prima stranezza che salta all’occhio sta nel constatare come la conoscenza sia considerata una cosa cattiva. Perché Dio non vuole che gli uomini la conquistino? Da sempre la nostra cultura la considera una cosa buona, anzi, proprio quell’aspetto che ci differenzia dalle bestie, che ci rende veramente umani. La conoscenza ci rende indipendenti e padroni di sè, e nel volercene privare Dio sembra quasi una di quelle madri apprensive e troppo protettive, che non vogliono che i loro figli crescano e divengano adulti, perché significherebbe vederli andar via.

    Fu davvero Dio a scacciare i progenitori dell’umanità dall’Eden, o furono loro ad andarsene, perché ormai erano divenuti indipendenti, grazie al frutto della conoscenza del bene e del male?

    Quel che è certo è che dopo la trasgressione traspare nel Creatore una certa paura:

    " Il Signore Dio disse allora: «Ecco, l’uomo è diventato come uno di noi, per la conoscenza del bene e del male. Ora, egli non stenda più la mano e non prenda anche dell’albero della vita, ne mangi e viva sempre!»"

    L’aspetto più conturbante dell’intera faccenda è che Dio sembra aver mentito, mentre in fin dei conti il serpente, che tutti chiamano ingannatore, non ha detto nessuna menzogna. « Diventerete come Dio», dice il serpente, e Dio stesso lo conferma una volta avvenuto il fatto.

    Non è certo un caso che uno dei simboli più comunemente usati per apostrofare la conoscenza sia proprio la luce, quello stesso attributo positivo dell’altrimenti negativo nemico di Dio.

    Questa ambiguità può condurre a spinose insidie teologiche, che a seconda del punto di vista possono essere subdoli errori o brillanti rivelazioni. Ad esempio nella seconda lettera di san Pietro si trova il seguente passo, riferito alla persona di Gesù Cristo:

    " E così abbiamo conferma migliore della parola dei profeti, alla quale fate bene a volgere l’attenzione, come a lampada che brilla in un luogo oscuro, finché non spunti il giorno e la stella del mattino si levi nei vostri cuori."

    Gesù come una luce nell’oscurità, come la stella del mattino al finire della notte; dunque, Gesù come Lucifero? Si tratta ovviamente di un conclusione affrettata, eppure tremendamente accattivante, proprio perché pone l’uomo dalla parte della ragione, e Dio da quella del torto.

    Lo stesso Gesù poi sembra ripetere le parole del serpente: « Voi siete dèi». Anche in questo caso abbiamo a che fare con un passo abusatissimo, spesso estrapolato dal contesto, e privato del suo senso originale: ciò però non dimostra l’infondatezza di simili speculazioni, ma al contrario rimarca l’insistenza con cui tali idee si propongono all’uomo, al punto che egli è costretto a fare quasi carte false pur di sostenerle come credibili.

    Un altro punto in cui il serpente ha ragione è quando egli smentisce il decreto divino: « Non morirete affatto!»

    A sentir Dio, pareva che la morte sarebbe giunta immediata, al primo morso, cosa che appunto non avvenne. Su questo punto i teologi sostengono che la morte va intesa come mortalità, e che essa entrò nei corpi dei nostri antenati proprio in quell’istante. Ma nemmeno questo punto è convincente: non c’è il frutto dell’albero della vita, per rimediare a questo? Ma Dio si rifiuta di concederlo agli uomini, ed anche in questo dimostra insicurezza, paura di perdere il proprio ruolo. Le contromisure divine in merito, altrimenti eccessive, non lasciano dubbi:

    " Scacciò l’uomo e pose ad oriente del giardino di Eden i cherubini e la fiamma della spada folgorante, per custodire la via all’albero della vita."

    Echi della rivolta

    Lucifero non è certo l’unico ad aver ambito a spodestare Dio dal suo trono. Il parallelo mitico più conosciuto è senza dubbio la serie di colpi di stato familiari dell’antica Grecia.

    Nella sua Teogonia, Esiodo racconta la creazione del mondo: Gea, la Terra, generò Urano, il Cielo, e dalla loro unione nacquero molti figli, fra cui Crono:

    "I l fortissimo Crono venne alla luce, di scaltro consiglio, fra tutti i figliuoli il più tremendo; e d’ira terribile ardea contro il padre".

    Anche Urano, c’è da dire, non nutriva verso la sua prole un gran amore paterno:

    " E quanti erano nati terribili figli d’Urano e di Gea, tanti fatti erano segno, nascendo, del padre loro all’odio: ché, come nascevano, tutti li nascondeva giù nei baratri bui della Terra,

    non li lasciava a luce venire."

    La madre Terra però si schierò dalla parte dei figli, e diede loro una falce, per colpire il loro dispotico padre. Ma di tutti, soltanto Crono ebbe coraggio di portare a termine la rivolta:

    " O madre, io ti prometto di compier l’impresa: ad effetto la recherò, ché nulla del tristo mio padre m’importa, ché egli ai nostri danni rivolse per primo la mente".

    Crono si avventò contro il padre proprio mentre questi si accingeva al coito con la Terra, e con un colpo gli recise il fallo. La mutilazione segnò la fine del suo regno, perché secondo un’antichissima e diffusa mentalità, un sovrano che non è capace di generare non è nemmeno in grado di regnare.

    Crono prese il posto del padre, e ne seguì anche le orme, comportandosi con i propri figli con la stessa scellerata condotta. Non è un particolare da poco: si potrebbe dedurne, infatti, che non siano stati Urano o Crono ad essere malvagi di per sè, ma che sia stato il potere che essi rivestirono a renderli duri e violenti, sprezzanti e crudeli.

    Urano e Gea avevano predetto a Crono che un suo figlio sarebbe stato la rovina del suo regno, e lui come contromisura aveva scelto di divorare la prole, non appena fosse nata:

    " Ma l’inghiottiva, come ciascuno dall’utero sacro su le ginocchia della sua madre cadesse, il gran Crono, che questo in mente aveva, che niun dei mirabili Urani fra gl’Immortali avesse l’onore del regno: ché aveva saputo da Gea, da Urano fulgente di stelle, ch’era per lui destino soccombere al proprio figliuolo. Per questo, ad occhi chiusi non stava: vegliava; ed i figli suoi divorava. E Rea si struggea d’amarissima doglia."

    L’unico a sfuggire a questa triste sorte è Zeus: Rea infatti lo partorì di nascosto, e per ingannare Crono gli presentò al suo posto una pietra avvolta in fasce, che egli divorò senza batter ciglio. Fu la rovina di Crono: Zeus crebbe forte ed astuto, e pose effettivamente termine al regno di suo padre.

    È degno di nota, però, che Zeus non usò la violenza per detronizzare Crono, ma un ingegnoso stratagemma. Grazie ad un emetico, fece rivomitare i suoi fratelli. Poi liberò pure i fratelli di Crono, che egli aveva rinchiuso in una prigione: i giganti, i centimani ed i ciclopi. Questi donarono a Zeus il fulmine, simbolo di forza e di regalità, immagine vivente del potere stesso; con tale gesto, di fatto, lo incoronarono re degli dèi.

    Anche Zeus conquistò il potere, ma ricevendolo quasi per diritto ed acclamazione, non strappandolo con la forza. Forse fu proprio questo a permettergli di mantenere il suo trono, senza venir a propria volta rovesciato dalla sua discendenza.

    Come avvenne per suo padre, anche a Zeus fu profetizzato da Gea ed Urano che un figlio gli avrebbe tolto il trono. In una delle sue scorribande amorose, egli si unì con Metis, dea dell’intelligenza; ma se ne pentì immediatamente, e come da tradizione familiare inghiottì la sua amante. Ma ella, pur divorata, aveva già concepito.

    Passato un certo periodo Zeus fu preso da un forte mal di testa, che durò fino a che Efesto, con un’ascia, spaccò in due la testa di Zeus: ne nacque Atena, dea della saggezza e della civiltà.

    A quanto sembra, però, Zeus mantenne il suo titolo di re degli dèi; ma nel mito vi sono delle implicazioni nascoste, su cui è necessario soffermarsi.

    La madre di Atena infatti è l’intelligenza, ed Atena stessa rappresenta qualità profondamente umane, come la conoscenza e la cultura, la civiltà e la razionalità. A farle da levatrice, poi, c’è Efesto, dio della metallurgia, dell’ingegneria e della tecnica. Sono tutti aspetti della conoscenza, proprio quel frutto che il Dio della Genesi voleva proibire agli uomini, perché con essa un giorno loro prenderanno il suo posto.

    Forse la sottomissione di Atena al padre

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