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Danhanphiloe - La vendetta dei dragumani
Danhanphiloe - La vendetta dei dragumani
Danhanphiloe - La vendetta dei dragumani
Ebook376 pages5 hours

Danhanphiloe - La vendetta dei dragumani

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About this ebook

‘La vendetta dei dragumani’ è il secondo volume della saga fantasy di Danhanphiloe.
Lei ha finalmente trovato il suo destino, l’amore, una famiglia, una casa, ma dopo sette anni si ritrova all’improvviso a perdere tutto, trascinata via da qualcuno che la sta cercando da tanto tempo. A nulla è valso aver cambiato nome, lui l’ha trovata! Ma chi è il suo nemico? Di cosa vuole vendicarsi?
Danhanphiloe dovrà fermare una spirale d’odio che sembra inarrestabile e che coinvolgerà tutte le persone che ama, scoprendosi sempre più vulnerabile. Ha ormai perso la rabbia e la smania di combattere che aveva da ragazza; quando le serve, non ha con sé nemmeno la sua spada. Dovrà affidarsi alla sua intelligenza e alle sue mezze intuizioni, che a poco a poco la porteranno a scoprire la verità e a smascherare un piano perverso e malvagio. 
Al suo fianco ancora Erric, disposto a tutto per salvarla. Anche lui si troverà ad affrontare eserciti, mostri ma soprattutto, dovrà condividere una verità dolorosa e fare i conti con la parte peggiore di sé.
LanguageItaliano
PublisherSara Marcante
Release dateFeb 18, 2017
ISBN9788826025636
Danhanphiloe - La vendetta dei dragumani

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    Danhanphiloe - La vendetta dei dragumani - Sara Marcante

    Sara Marcante

    Danhanphiloe - La vendetta dei dragumani

    I diritti dell’opera appartengono all’autore. È vietata ogni riproduzione di quest’opera anche parziale.

    Prima edizione gennaio 2017

    Disegni a cura di Yari Palmisano.

    UUID: 468df3b4-f5fa-11e6-868f-0f7870795abd

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    INDICE

    Mappa

    Prima Parte

    Prologo

    Capitolo 1

    Capitolo 2

    Capitolo 3

    Capitolo 4

    Capitolo 5

    Capitolo 6

    Capitolo 7

    Capitolo 8

    Capitolo 9

    Capitolo 10

    Capitolo 11

    Capitolo 12

    Capitolo 13

    Capitolo 14

    Seconda parte

    Capitolo 15

    Capitolo 16

    Capitolo 17

    Capitolo 18

    Capitolo 19

    Capitolo 20

    Capitolo 21

    Capitolo 22

    Capitolo 23

    Terza parte

    Capitolo 24

    Capitolo 25

    Capitolo 26

    Capitolo 27

    Capitolo 28

    Capitolo 29

    Capitolo 30

    Capitolo 31

    Capitolo 32

    Capitolo 33

    Capitolo 34

    Capitolo 35

    Capitolo 36

    Capitolo 37

    Epilogo

    Mappa

    Mappa di Madrine e del Regno del Nord

    Prima Parte

    Non si può sfuggire al proprio destino, soprattutto quando è lui che viene a cercarti.

    Prologo

    Sette anni erano passati d’un soffio: il tempo scorre veloce quando si sta bene.

    In tutta la terra dei tre fiumi e sull’isola di Arcatira, dal giorno in cui era diventata la regina Dafne, il suo vero nome, Danhanphiloe, non era stato mai più pronunciato. La voce che fosse un nome maledetto si era diffusa, e in poco tempo fu dimenticato, sepolto sotto una coltre di superstizione e omertà.

    Così, per sette anni, Dafne ed Erric avevano regnato ad Arcatira, vivendo nel delizioso castello bianco sul mare, circondati dall’amore e dal rispetto degli abitanti della piccola isola. Nessuno si era mai fatto domande su come fossero diventati sovrani.

    Da giovane scapestrata, Dafne si era trasformata in una regina elegante, generosa e saggia, come lo era stata, un tempo, la sua matrigna; solare nei suoi abiti chiari e preziosi, aveva sempre un sorriso e una parola gentile per tutti.

    Re Erric non era da meno: colto, raffinato, ma anche forte e affascinante. Portava sempre il pizzetto ben regolato e i capelli corti, a eccezione di una lunga treccia, non più spessa di un dito, alla base della nuca.

    Avevano avuto due figli: Mirna, una bambina di sei anni, con grandi occhi color blu petrolio e setosi capelli castani, e Raoul, un tornado di quattro anni dall’energia incontenibile, con gli occhi grigio azzurro e completamente pelato.

    Con loro vivevano anche nonna Pashantal e Iassira, la figlia che Danhanphiloe aveva avuto da Ertalon.

    Già, Ertalon: la guardia, il traditore, l’uomo che si era preso la sua innocenza di bambina, la vita dei suoi genitori, il suo regno. Sette anni prima era morto, proprio in quel castello, ucciso da una mano invisibile. In tutti quegli anni il mistero della sua morte non era mai stato svelato, ma nessuno si ricordava più di lui.

    Solo la regina, qualche volta, quando Iassira rideva e strizzava i suoi occhi felini colore del cielo, o quando passava la mano nei suoi setosi e lunghissimi capelli biondi, rivedeva in quei gesti qualcosa di lui e il cuore le si stringeva.

    La nonna di Dafne, Pashantal, era ancora una donna forte e carismatica, anche se perennemente inquieta: nonostante fossero tutti sereni, felici e tranquilli, lei aveva sempre paura che il suo passato non fosse del tutto sepolto; temeva che il mostro che aveva ucciso prima sua madre, poi sua figlia, avrebbe scoperto dove si era nascosta, che sarebbe arrivato in quel piccolo ritaglio di mondo sospeso nel mare e avrebbe ucciso tutti.

    Così, cercando di ricordare le fattezze di quell’essere, aveva fatto costruire un fantoccio, simile a un enorme orso con una coda da drago, e insisteva affinché Dafne e Iassira si allenassero a colpirlo. E non con una spada qualunque: Pashantal era convinta che solo Destino, la piccola spada curva che sua nipote aveva ereditato dal padre, potesse sconfiggere il mostro.

    Tuttavia il fantoccio sembrava fin troppo grande perché, per quanto si sforzassero, non riuscivano ad affondare efficacemente la lama nel punto indicato da Pashantal. Così, quando la nonna non guardava, incuranti delle sue preoccupazioni, le due donne s’ingegnavano per saltare più in alto, utilizzando panche, ceppi di legno o talvolta mettendosi una sulle spalle dell’altra. Più che un allenamento allora, diventava uno spassoso circo.

    Solo Erric dava in qualche modo credito alle parole di Pashantal e, nonostante la vita agiata, non aveva smesso di addestrarsi: quotidianamente si esercitava con le armi, a cavallo, nella lotta. Aveva anche messo insieme un nutrito corpo di guardia per proteggere il castello. Senza un comandante, però: Erric non si fidava di nessuno.

    I lori compagni di un tempo se la passavano altrettanto bene, nelle contee della terra dei tre fiumi. Rilberto, per tanti anni amico, maestro e amante di Danhanphiloe, era signore della contea di Jansonire e viveva con la sua sposa Mariel e i loro due bambini.

    A Mironire, sperduta contea fra le montagne, regnava il canuto zio Erric e con lui era rimasto il vecchio Freius.

    Il fratello di Erric, Sizian, aveva preso il posto del padre Laricot come signore di Narilire. Il vecchio ma ancora energico Laricot a sua volta si era spostato nella vicina Tarton, da cui ogni tanto si allontanava per far visita al re di Madrine, di cui si considerava sempre un vassallo fedele anche se non partecipava più alle sue sconsiderate e infruttuose campagne di guerra.

    Ertella e Knutto, i due fratelli salvati da Danhanphiloe, l’avevano seguita ad Arcatira. Ertella aveva sposato un giovane pescatore e avevano avuto un bambino. Abitavano in una piccola casa vicino al castello, dove la ragazza lavorava come cuoca e balia.

    Suo fratello Knutto era cresciuto diventando un gigante con spalle larghe malamente sorrette da gambe esili e lievemente arcuate, anche se era rimasto un bambinone pieno di paure e dall’appetito inarrestabile. Era diventato il fedele scudiero di Erric, il peggior scudiero che un re potesse desiderare, ma Erric gli era affezionato e non faceva caso a quanto fosse irrimediabilmente maldestro.

    Eppure, tutti vivevano con l’angosciosa sensazione che quella pace non sarebbe durata per sempre…

    Capitolo 1

    Una mattina Dafne si svegliò agitata, poco prima dell’alba. Era primavera inoltrata, dalle finestre entrava un’aria fresca e odorosa di liquerizia e resina. Si alzò e uscì sul terrazzo a respirare quella brezza profumata. Le parve di vedere delle ombre sul mare, ma era ancora troppo buio, e lei ancora troppo assonnata. Camminò fino in fondo al terrazzo e a quel punto vide un'altra ombra, sulle mura a ovest; pensò dapprima a una guardia, poi distinse meglio una figura di donna. Si recò in vestaglia sulle mura e con passo svelto raggiunse nonna Pashantal, che camminava nervosamente avanti e indietro, borbottando una filastrocca:

    Ali di farfalla e sangue di drago,

    velo di seta e gemme di lago,

    perle bianchissime nel fuoco rovente,

    tempesta sordida in quiete apparente.

    I colossi grigi son, come te,

    matassa d’oro, luce del re.

    Il tesoro del regno ha un segreto celato,

    chi lo possiede ha il destino segnato.

    Dovrà mescolare, con mano di mago,

    fiore purissimo e freddo cuore di drago.

    «Nonna, cosa fai qui a quest’ora?» le domandò con la voce impastata dal sonno.

    «Niente,» rispose la nonna mentendo, «non avevo sonno».

    «Perché continui a ripetere quella vecchia filastrocca? È da quando sono piccola che te la sento bisbigliare. È una formula magica?»

    «No, no, mi aiuta a restare calma…»

    Dafne scosse la testa:

    «Cosa ti preoccupa, adesso?»

    «Continuo a fare brutti sogni, pensando che tutto questo possa finire…»

    «Stai contagiando anche me con le tue paure», la sgridò scherzosamente, «pensa che poco fa mi è sembrato di vedere delle ombre nel mare…»

    «Dove?» domandò la nonna cercando di passare oltre Dafne. Il muro era stretto e c’era spazio per una sola persona.

    «Fammi passare, voglio andare a vedere!» s’innervosì la nonna.

    «Ma dai, nonna, scherzavo…»

    «Fammi passare!»

    «No, no!» rispose Dafne ridendo. Ma Pashantal, in ansia, spinse di lato la nipote con poco riguardo. Dafne non si aspettava questa reazione e perse l’equilibrio, appoggiandosi al muretto che proprio in quel punto presentava delle crepe e cedette, formando un piccolo ma fatale varco…

    Pashantal cercò di afferrare Dafne, ma le restò in mano solo un brandello di vestaglia, mentre la nipote cadeva rovinosamente fuori dalle alte mura.

    «Danhanphiloe!» gridò istintivamente la vecchia, sporgendosi dal muro, in tempo solo per sentire il tonfo sordo della caduta.

    Per un istante rimase senza fiato, poi ritrovò coraggio e chiamò aiuto. In breve tempo guardie e servitori si affacciarono alle finestre, corsero nel cortile, sulle mura. Non sapendo cosa stesse accadendo, guardavano in ogni direzione: all’interno del castello, verso il paese, verso il mare.

    Da molti punti del castello si levavano le stesse grida:

    «Ci attaccano!»

    «Navi dal mare!»

    «Sono intorno al castello!»

    Pashantal pensava fossero tutti impazziti: invece di raggiungerla, si stavano sparpagliando in ogni direzione. Si sporse ancora fuori dal muro e le parve di vedere, oltre gli alberi, un uomo che si allontanava con un sacco sulle spalle. Si diresse verso il castello, verso Erric che le correva incontro.

    «Danhanphiloe… no, Dafne… è caduta dalle mura! Laggiù, fra gli alberi…»

    S’interruppe. Le prime, pallide luci dell’alba rivelavano davvero delle navi sul mare: una piccola flotta che si stava radunando sotto le mura del castello.

    Vedendo l’espressione della nonna, Erric si voltò e vide le navi. Poteva essere una tranquilla flottiglia commerciale, ma il panico generato dalle urla della nonna era tale che Erric pensò subito al peggio.

    «Alle armi! Alle armi!» strillò con tutto il fiato che aveva. «Svegliate tutti, ci stanno attaccando!»

    Con sollievo si rese conto che in molti erano già svegli e si stavano apprestando ad affrontare l’assalto. Già, perché Arcatira era un piccolo e pacifico regno, ma lui aveva addestrato e armato ogni singolo abitante.

    Tutto il paese presto fu in fermento e in molti accorsero al castello, con spade, lance e archi, ma anche arpioni, forconi e attrezzi di ogni sorta.

    Non era una flottiglia commerciale, né tantomeno pacifica: una guardia corse a informare Erric che soldati ostili stavano circondando il castello.

    Quando sfondarono il portone e penetrarono nel cortile, gli assalitori trovarono Erric, Iassira e le guardie, in vestaglia ma armati e pronti a combattere.

    «Sono re Erric di Arcatira!» si fece avanti Erric. Avrebbe voluto indossare la sua armatura, ma non ne aveva avuto il tempo, era riuscito appena a prendere la sua spada. Aveva quasi freddo, vestito solo con dei pantaloni leggeri, ma il suo petto muscoloso e abbronzato e la sua espressione furente lo rendevano decisamente minaccioso.

    «Chi siete e perché ci attaccate?»

    Gli assalitori si fermarono in mezzo al cortile sorpresi da quell’accoglienza, senza rispondere a Erric. A un cenno del loro comandante, metà di loro si sparpagliarono correndo per il castello, infilandosi ovunque come alla ricerca di qualcosa o qualcuno. Gli altri si strinsero intorno al loro capo, preparandosi allo scontro.

    L’armata degli assalitori era guidata da un uomo basso e brizzolato, che si fece avanti deciso verso Erric. Mentre avanzava si guardava intorno, frugando in ogni angolo con i sui piccoli occhi scaltri e determinati.

    «Sono il comandante Capoguardia,» urlò. «Consegnateci la regina e forse non morirete tutti!»

    Erric si sentì gelare il sangue: chiunque fosse sulle tracce di Danhanphiloe, l’aveva trovata e dalle divise dei soldati sapeva anche da dove venisse.

    Non ebbe tempo di ribattere, perché i soldati nemici si scagliarono contro Iassira, forse credendola sua madre. Erric si parò davanti alla ragazza e iniziò a vibrare micidiali fendenti con la sua spada, un’arma ben più lunga del normale, pesante, affilata, di un acciaio talmente lucido da sembrare cristallo. Aprì uno squarcio nel petto del primo assalitore, al secondo spezzò una gamba, al terzo vibrò un colpo talmente potente che a questi sfuggì di mano la spada.

    Anche le guardie di Arcatira si gettarono nella mischia, in una battaglia feroce e aspra.

    Iassira dapprima tremò di sgomento, paura e rabbia, poi alla vista del sangue avvertì un fuoco scorrerle nelle vene e infiammarle le guance, digrignò i denti, strinse la spada e si avventò contro uno degli assalitori, gettandolo a terra con una spallata per poi colpirlo.

    Mentre la battaglia infuriava, dal castello giungevano urla di paura per i soldati sparpagliati ovunque, che ferivano le persone all’impazzata e gettavano torce accese in giro. In poco tempo, il fumo nero degli incendi si alzò nel cielo terso del mattino, visibile a molte miglia di distanza.

    Pashantal si era rifugiata con Knutto e i bambini nel passaggio segreto, da cui sarebbero potuti scappare se le cose si fossero messe male.

    Fortunatamente iniziarono ad arrivare i rinforzi dal villaggio. L’armata di pescatori fu la prima a giungere al castello: entrarono con i loro arpioni e si diressero in soccorso del re.

    Erric, preoccupato per l’incolumità dei suoi bambini, comandò loro:

    «Ci sono soldati nemici nel castello, trovateli e uccideteli!»

    I pescatori corsero nel castello senza sapere bene chi dovessero cercare, ma seguirono le urla e i rumori di lotta che provenivano dalle sale interne e dalle stanze.

    Capoguardia, rimasto indietro dalla battaglia, venne raggiunto da alcuni suoi uomini usciti dal castello, scoraggiati e affannati: avevano cercato ovunque, interrogato, ferito e ucciso per niente, la regina sembrava sparita nel nulla.

    Si convinse che la donna si fosse nascosta da vigliacca e che avrebbe fatto uccidere le sue guardie e i suoi sudditi. Avevano poco tempo per trovarla, poi il castello si sarebbe riempito degli uomini che da ogni dove stavano arrivando.

    In un angolo del cortile, Erric era circondato da soldati nemici che si erano divisi in due gruppi e lo avevano isolato dalle sue guardie. Capoguardia, camminando a ridosso del muro, si avvicinò alle spalle di Erric, estrasse un pugnale e lo trafisse alla schiena. Erric si voltò con un grido rauco di dolore ma non riuscì a colpire il suo assalitore, che si allontanò di qualche passo.

    Erric continuò a combattere, ferito, fianco a fianco a Iassira che era riuscita a raggiungerlo, fino a quando le forze non lo abbandonarono. Perse l’equilibrio e appoggiò un ginocchio a terra, poi la mano destra, mentre con la sinistra continuava a tenere la spada. Un colpo più forte degli altri gli strappò l’arma di mano. Stava per soccombere ma Iassira intervenne parandosi davanti a lui. Spinto dalla gamba della ragazza, che cercava di proteggerlo, perse l’equilibrio e cadde carponi sulla sabbia del cortile. Provò a rialzarsi, ma la spalla destra gli faceva troppo male e non riusciva a far forza sul braccio. Tentò di nuovo, ma la vista era offuscata. Era a terra, ormai.

    Intanto, le guardie di Arcatira stavano avendo la meglio sugli assalitori che, rimasti in pochi, arretravano, attendendo tuttavia l’ordine per ritirarsi.

    «Il re è caduto, andiamocene!» gridò rabbioso Capoguardia.

    I suoi uomini si raccolsero davanti alla porta principale, ormai sfondata e bruciata, e rapidi come erano arrivati si dileguarono, lasciando sulla sabbia del cortile e nei corridoi del castello decine dei loro uomini morti.

    Molte delle navi degli assalitori erano state prese o bruciate, ma una era rimasta più distante ed era attraccata in un punto differente dell’isola, aspettando Capoguardia e la sua squadra. Erano rimasti poco più di venti e correndo lungo le vie del paese raggiunsero la nave e presero il largo. Nella confusione generale, fra il fumo degli incendi e la nebbia mattutina, nessuno li inseguì e nessuno si accorse nemmeno di un’altra imbarcazione, che dal porto della città si stava allontanando silenziosa verso la costa.

    Capoguardia era furioso: aveva sconfitto il re ma la regina gli era sfuggita. Doveva rimediare, o la sua vita avrebbe avuto meno valore di un cavallo azzoppato.

    Tuttavia, uno dei suoi uomini aveva raccolto un’informazione importante: qualcuno aveva visto un uomo allontanarsi e sembrava che avesse la regina con sé.

    Mentre i soldati fuggivano, nel cortile del castello Iassira e le guardie soccorsero Erric, ferito e dolorante ma lucido e lo portarono nella sua stanza.

    Arrivò anche Pashantal.

    «Dov’è Dafne? Dove sono i bambini?» le domandò Erric che nonostante le bende continuava a sanguinare.

    La nonna gli si avvicinò e gli posò una mano sul braccio.

    «Erric, Dafne è caduta dal muro del castello,» gli ripeté con voce pacata ma carica d’ansia. «Sembrava che qualcuno la stesse aspettando di sotto, perché se l’è caricata sulle spalle e l’ha portata via.»

    «Come, l’ha portata via?» urlò Erric febbricitante con voce rauca. «Perché non l’avete fatta inseguire?»

    Se solo le forze glielo avessero permesso, sarebbe saltato giù dal letto per prendere a bastonate la vecchia Pashantal che aveva lasciato che qualcuno portasse via la sua Dafne! Ma era sfinito, riuscì solo ad afferrarle il braccio per stringerlo fino a farle male.

    «Ahi!» si lamentò la nonna. «Ho mandato due guardie a cercarla, ma non sono più tornate. E poi sono arrivati quei soldati, ho pensato a nascondere i bambini…»

    I bambini… Insieme a Dafne, per Erric erano tutta la sua vita.

    «Avete fatto bene…» ansimò Erric, lasciandola. «I bambini intendo… Come stanno? Dove sono?»

    «Stanno bene, Erric... Sono nella loro stanza, con Knutto ed Ertella, che è accorsa al castello e adesso sta dando loro da mangiare…»

    « Lui l’ha trovata…» sussurrò il giovane re con un filo di voce. «Avevate ragione.»

    Pashantal gli strinse le mani; Erric era l’unico che aveva creduto alle sue parole.

    «L’ha presa, Erric. L’ha portata via e io non so nemmeno chi è e dove trovarlo…» pianse la nonna.

    «Lo so io chi è…» furono le ultime parole di Erric, che scivolò sfinito in un sonno nero popolato da mostri giganteschi simili a fantocci, che lo percuotevano e lo fustigavano con piante spinose.

    Riaprì gli occhi il giorno seguente. La stanza era buia ma poteva udire il brusio operoso dei suoi sudditi. Il castello sembrava un alveare: contadini e pescatori, uomini e donne, stavano aiutando a ripulire e ricostruire quanto c’era di bruciato o danneggiato.

    Sentì avvicinarsi delle voci concitate nel corridoio. Riconobbe Pashantal e Iassira, poi una voce di uomo, calda e grave ma giovanile: era Frailort, il fratellastro di Dafne che viveva con moglie e figlio a Ialsire, sulla costa. Il giovane era stato informato dai suoi pescatori del fumo levatosi dall’isola e si era imbarcato per accertarsi che nonna, sorella e nipoti stessero bene.

    Erric si sentì offeso che stessero discutendo in corridoio senza entrare da lui: dopotutto era il re. Cercò di alzarsi ma la fitta alla spalla lo immobilizzò levandogli il respiro. Avvertì delle mani che gli toccavano le braccia e lanciò un urlo. Subito le mani lo lasciarono mentre dei passi svelti si allontanavano nella stanza.

    Knutto aprì i pesanti tendaggi permettendo al sole del pomeriggio di illuminare la camera da letto. Erric faticava a tenere gli occhi aperti ma riconobbe subito la sagoma sgraziata e l’andatura leggermente claudicante del suo fidato e goffo servitore. Sorrise, per averlo temuto come una minaccia.

    Subito dopo entrarono le due donne e Frailort. Il cognato, col volto teso, si sedette sul letto e strinse la mano di Erric.

    «Arcatira è al sicuro,» lo rassicurò Frailort «sei stato in gamba a respingere un attacco così improvviso e violento.»

    Iassira si sedette dalla parte opposta e lo abbracciò.

    «Non preoccuparti, papà Erric, la ritroveremo…» singhiozzò la giovane.

    Dal corridoio giunsero altre grida acute: Mirna e Raoul irruppero nella stanza del padre e si lanciarono sul letto, soffocandolo di baci.

    «Papà, papà» strillò Mirna tutto di un fiato, «la mamma è stata rapita ma adesso la nonna andrà a prenderla! Non preoccuparti andrà tutto bene, resterà zio Frailort con noi! Guarda Raoul che cosa mi ha fatto mi ha graffiata…»

    «Non è vero ha cominciato lei!» le fece eco il fratellino saltando sul letto e provocando al povero Erric delle fitte strazianti.

    Iassira accalappiò i due bimbi scatenati e li consegnò a Ertella che attendeva titubante alla porta. La servitrice afferrò Mirna per un braccio, sollevò di peso Raoul e li trascinò nella loro stanza, mentre Pashantal, Iassira e Frailort iniziarono a parlare sottovoce.

    Dagli sguardi imbarazzati che si scambiavano le due donne e dall’espressione di disappunto di Frailort, Erric intuì che bisnonna e nipote avevano in mente un piano sconsiderato. Le fissò, aspettando offeso che si decidessero a discuterne anche con lui.

    Knutto era seduto su uno sgabello ai piedi del letto. Avrebbe dovuto capire che era meglio allontanarsi, ma dopo tutti quegli anni ancora non aveva imparato a stare al suo posto. Pashantal gli si avvicinò e gli sussurrò di andare a prendere qualcosa da mangiare per il sovrano. Finalmente il ragazzone capì e si fiondò fuori dalla stanza seguito da Frailort e Iassira che chiusero la porta e rimasero ad attendere nel corridoio.

    «Cosa diamine avete in mente?» domandò finalmente Erric alla nonna.

    «Hai detto di sapere chi è l’uomo, o il mostro, che sta cercando Danhanphiloe,» disse la nonna senza rispondergli. «Come lo hai capito? Chi è? Come posso trovarlo?»

    «Andrò io a riprendermela! Non permetterò a voi e Iassira di farvi ammazzare.»

    «Non abbiamo tempo di aspettare che tu guarisca, Erric,» lo rimproverò la nonna, «è una faccenda che riguarda le donne della nostra famiglia e dobbiamo affrontarla noi. Frailort resterà ad Arcatira per proteggere te e i bambini e governare finché non sarai guarito. Dimmi chi è.»

    «No.»

    «Allora prenderemo alcuni uomini, pochi per non dare nell’occhio, e andremo verso Madrine. Chiederemo aiuto al re, poi ci dirigeremo verso i territori del nord, dove lo abbiamo incontrato quando è morta mia figlia Asi.»

    Erric si arrese alla testardaggine di Pashantal. Le spiegò come, durante l’assalto, avesse capito chi stesse dando loro la caccia e dove trovarlo. Ne aveva sentito parlare, più che averlo visto di persona, ma davvero si diceva fosse un mostro. La mise in guardia, raccontandole tutto quello che sapeva. Lei ascoltò senza parlare, coprendosi il volto con le mani e tremando per la consapevolezza che ciò che aveva temuto per tutta la vita stava realmente avvenendo.

    Esausto, Erric chiuse gli occhi, aveva la bocca secca e la gola che bruciava. La spalla gli faceva male ma il dolore era poca cosa in confronto alla rabbia per non poter correre lui stesso a salvare la sua regina. L’incolumità di Dafne era la sua ragione di vita, e adesso doveva lasciar andare nonna e figlia a salvarla. Nel migliore dei casi, se anche non si fossero fatte trucidare lungo la strada, se l’avessero trovata e infine se fossero riuscite a salvarla, Dafne sarebbe stata furiosa e non lo avrebbe perdonato per aver permesso che le due donne corressero tutti quei rischi.

    Tuttavia non aveva altra scelta: non poteva mandare un vero esercito, non l’aveva, e nemmeno un manipolo di uomini. Sarebbe stata una dichiarazione di guerra e Arcatira sarebbe stata spazzata via.

    Frailort a suo avviso non era in grado di compiere una tale missione e non aveva nessun altro a portata di mano di cui fidarsi…

    Lui le avrebbe raggiunte appena fosse stato abbastanza in forze per partire, sperando che nel frattempo non avessero fatto niente di ulteriormente sconsiderato.

    Occorse un giorno per i preparativi, poi le due donne salparono verso la costa con tre guardie, viveri e poche armi. Ma soprattutto, avevano con loro Destino, la sola arma che secondo Pashantal avrebbe potuto uccidere quel mostro…

    Capitolo 2

    Dafne aprì gli occhi, svegliata da una fitta dolorosa alla schiena. Era buio, ma il pavimento sotto di lei continuava a muoversi e a colpirla. Provò a spostare le mani per alzarsi ma queste non ne volevano sapere di muoversi da dietro la schiena. Si sforzò e dal dolore ai polsi capì di essere legata. Cercò di muovere i piedi, ma erano immobilizzati anche quelli. Allora gridò, rabbiosa.

    I sobbalzi cessarono.

    Un carro… pensò. Come ci sono finita, su un carro?

    «Cos’hai da gridare, sguattera?» La voce veniva da vicino, ma non vedeva nessuno con quel buio.

    «Non sono una sguattera, pezzo di bifolco senza cervello!» rispose offesa, «sono la regina Dafne!»

    Per tutta risposta ricevette un calcio sul fianco.

    «Ti sei rimbecillita? Sei una schiava, ti ho comprata al mercato e ora ti porto dal mio signore. Ma prima dovrò insegnarti le buone maniere, altrimenti mi farai fare brutta figura!»

    «Cosa? Ti ho detto che sono la regina Dafne di Arcatira! Cosa ci faccio su questo carro e perché viaggi di notte? Con questo buio andremo a finire in qualche fosso!»

    Altro calcio, adesso sulla pancia, che se fosse stata piena avrebbe rimesso ogni cosa. Ma era desolatamente vuota.

    «Vedi che sei pazza? Ti chiami Danhanphiloe, sei una schiava ed è pomeriggio; quindi vedo benissimo dove sto andando.»

    Quel nome la fece raggelare e non capiva perché non ci vedesse. Forse aveva delle bende, pensò. Voleva toccarsi il viso e iniziò a contorcersi.

    «Slegami… Perché non ci vedo?»

    Dal silenzio intuì che l’uomo non sapeva risponderle. Sentì dell’aria sul viso e capì che era lui che le agitava una mano davanti agli occhi, per accertarsi che non bleffasse.

    Lui le tastò i capelli, la testa, la fronte.

    «Ahi!» si lamentò Dafne quando la mano dell’uomo premette un grosso bernoccolo gonfio e dolorante, proprio sopra l’orecchio.

    «Mhm…» L’uomo sembrava perplesso. «Devi aver battuto qui, quando sei caduta. Sono passati alcuni giorni, mi sa che sei diventata cieca.»

    «Cosa?» Dafne non capiva di cosa stesse parlando.

    «Beh, non credo che questo cambierà molto, per me,» esclamò l’uomo, «anzi forse renderà la cosa più semplice…»

    «Slegami, mi sento male così.» La voce di Dafne ora era implorante. Non si era mai sentita così vulnerabile e spaesata, ma cercò di non piangere, non voleva dare soddisfazioni al suo aguzzino.

    L’uomo le slegò prima i piedi, lasciandole una gamba legata a qualcosa, quindi le liberò le mani. Dafne se le portò tremanti al volto e si accertò di non avere bende o altro. Semplicemente non ci vedeva. Si tastò i capelli e li sentì collosi e incrostati.

    «Cos’è questa cosa appiccicosa?» domandò.

    «Sangue» rispose l’uomo. «Eri già così quando ti ho comprata, per questo ti ho pagata meno. Sei caduta, hanno detto. Ma non pensavo che fossi anche cieca, ho preso una bella fregatura.»

    «Allora riportami indietro.» Era un tentativo, disperato e ovviamente inutile.

    «Resta qui senza muoverti. Siamo quasi arrivati nel posto dove voglio accamparmi. Qui è pericoloso fermarsi, potrebbe piovere. Poi potremo mangiare e ti laverai quello schifo

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