Non possiamo morire
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Non possiamo morire - Daniele Conventi
Daniele Conventi
Non possiamo morire
UUID: 44f288e8-f74f-11e6-87e6-0f7870795abd
Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write
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Indice
Prima di iniziare...
PARTE 1: ANGELO
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
PARTE 2:PREDATORI
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 11
Capitolo 12
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 15
PARTE 3: FOLLI
Capitolo 16
Capitolo 17
Capitolo 18
Capitolo 19
Capitolo 20
PARTE 4: IL CULTO
Capitolo 21
Capitolo 22
Capitolo 23
Capitolo 24
Capitolo 25
Capitolo 26
PARTE 5: IL LABIRINTO
Capitolo 27
Capitolo 28
Capitolo 29
Capitolo 30
Capitolo 31
Capitolo 32
Capitolo 33
Capitolo 34
Capitolo 35
Capitolo 36
Capitolo 37
Capitolo 38
PARTE 6: L'OASI
Capitolo 39
Capitolo 39
Capitolo 40
Capitolo 41
Capitolo 42
Capitolo 43
Capitolo 44
Capitolo 45
PARTE 7: NON POSSIAMO MORIRE
Capitolo 46
Capitolo 47
RINGRAZIAMENTI
Libri dello stesso autore
Daniele Conventi
Non possiamo morire
Narrativa
Proprietà letteraria ed artistica riservata.
Indirizzo internet dell'autore: https://danieleconventi.wordpress.com/
Le storie qui raccolte sono opera di fantasia. Luoghi, personaggi ed avvenimenti sono frutto dell'immagine dell'autore od usati in chiave fittizia. Ogni rassomiglianza con persone realmente esistenti od esistite, fatti o località reali è puramente casuale.
Prima di iniziare...
Questo è il mio primo romanzo in assoluto. Per chi non lo sapesse, ho pubblicato un altro libro, ma si tratta di una raccolta, quindi...
La storia è nata da una piccola chiacchierata tra amici. Si discuteva sull'immortalità e sui vantaggi e gli svantaggi di possederla. Quella discussione, le opinioni uscite fuori quella sera, mi hanno fatto riflettere anche nei giorni successivi.Cosa vuol dire essere davvero immortali? Cosa comporterebbe? Da quelle riflessioni è nato lo spunto per questa storia.
So già che questo libro non sarà il vostro libro dell'anno, ne il più bel libro di cui avrete memoria. Esistono autori molto più esperti di me, molto più capaci. Sperò, però, che vi piaccia e che, una volta finito, pensiate ne è valsa la pena
. Tutto qui.
Rimanendo in tema, per quei pochi che leggeranno queste righe, sono sempre pronto a leggere i vostri commenti sia sul mio blog (Daniele Conventi autore) che su Amazon, quindi fatevi sotto.
Buona lettura.
Daniele Conventi
PARTE 1: ANGELO
Capitolo 1
Cinque persone corrono nude in una landa desolata.
Il sole è uno spettro pallido dietro banchi di nubi grigie e malsane. Il calore è asfissiante, costante, una cappa di lana spessa in una giornata di pieno agosto. La terra è un deserto secco, screpolato, dove solo roccia e fango osano insediarsi tra le crepe.
Loro corrono, nudi, sudati, ansanti, coperti solo da un leggero strato di peluria. Quattro sembrano far parte di uno stesso gruppo. Si muovono quasi all'unisono all'inseguimento dell'estranea, bocca spalancata, occhi folli. Sembrano ingobbiti, perennemente protesi verso il loro obiettivo.
La quinta sembra una ragazza. Ha i capelli neri, lunghi, stopposi, lerci. Il sudore glieli incolla al volto. Non è in forma. E' magra... scheletrica. Niente seno, niente fianchi, niente vita. Unica rotondità è lo stomaco, ma scommetto che è solo per via del gas.
Lei corre. Sembra che possa cadere a terra da un momento all'altro, ma corre. E' la disperazione che la manda avanti. E' la paura.
I quattro dietro di lei urlano versi sguaiati in una cacofonia di suoni inarticolati e mascelle che scattano. Cercano di afferrarla , di graffiarla con unghie lunghe, rotte e sporche, più simili ad artigli di animali che a qualcosa di umano.
Il fiato della ragazza è sempre più corto. Ansima palesemente mentre la osservo, nascosto dietro un grosso masso.
Sono indeciso sul da farsi. Non so se intervenire o lasciar fare alla natura.
Rido. Natura...è da tanto che nulla è più sotto il suo controllo. Non c'è più nulla di naturale. Neanche il cielo è naturale e se lo guardo non so neanche capire in quale quando mi trovo.
<< Chissà che ore sono?>> sussurro tra me e me.
I quattro sono più in forma della ragazza. Sembrano più forti, più resistenti. Non sono in carne, no, ma sembra che qualche pasto lo facciano, di tanto in tanto. E' una differenza cruciale che cambia tutto.
Uno di loro si stacca dal gruppo con uno scatto. Sta dando fondo a tutte le sue energie ma non gli importa. Con un urlo feroce si lancia contro la ragazza. La afferra per un braccio. Le pianta le unghie nel polso, spillandole sangue. Lei urla sorpresa. Cade a terra. Lui le è sopra.
<< E' mezzogiorno>> mi dico in un sussurro mentre esco fuori dal nascondiglio armato di una grossa ed appuntita pietra << E' ora di pranzo>>.
Lei cerca di divincolarsi, ma l'uomo le blocca la schiena con il peso del corpo. Una mano le serra il braccio ferito, scavando con le unghie nell'esile polso. L'altra mano le spinge la testa a terra, facendole respirare sabbia e sangue. Poi lui spalanca la bocca.
L'uomo, in preda ad un bisogno istintivo, serra i denti sulla spalla della ragazza. I canini affondano nel muscolo fino a toccare l'osso, mentre sangue caldo gli inonda la bocca. Poi strappa, con un colpo secco, un brano di carne.
La ragazza emette un urlo disumano, a malapena soffocato dalla terra che è costretta ad ingurgitare.
Non lo sa che adesso è circondata. Gli altri le sono arrivati intorno e vogliono la loro parte.
E' quando si abbassano verso di lei, quando tentano di unirsi al banchetto, che colpisco.
Con la pietra ben salda tra le mani, affondo con forza il lato appuntito nella nuca del primo. Cade a terra in una pozza di sangue, frammenti d'osso e materia grigia.
Gli altri si girano verso di me, stupiti. Non lascio loro il tempo di capire. Colpisco un secondo in pieno volto, fracassandogli naso e zigomi.
Gli altri tre mi sono addosso. Tutti insieme, contemporaneamente. Mi buttano a terra, ventre all'aria. La pietra mi cade di mano. Provo a liberarmi. Non ci riesco.
Sento dei denti serrarmi un polpaccio. Il braccio sinistro è bloccato da una mano serrata quasi fino a rompermi l'osso. Il più grosso mi tiene a terra con le ginocchia. Vedo solo lui. Apre la bocca e punta alla mia spalla destra, mentre io allungo la mano in cerca della pietra. Mi azzanna la spalla. Non sento dolore. Faccio scattare il braccio, la pietra in mano.
L'impatto frantuma il cranio del folle. Mi cade addosso imbrattandomi di sangue e materia grigia.
Sangue nero e grumoso mi sgorga dalla spalla. Lo ignoro. Tiro un altro colpo con la punta della roccia in direzione del folle che mi è di fianco. Schiva, ma l'arco del braccio porta la punta ad infilarsi nella mano con cui mi tiene fermo, facendogli perdere la presa con un urlo di dolore. Gli do un pugno col sinistro all'altezza dei testicoli, facendogli abbassare la testa a portata della mia arma. Lo finisco.
Quando mi rialzo, uno strato di sangue e cervella mi copre come un vestito di stoffa rossa e grigia. Qualche accenno di nero si allarga la dove sono stato ferito.
Mi accorgo per la prima volta dello stato della mia spalla solo quando la sforzo. Non mi fa male, ma sento il braccio debole e pesante.
(Passerà).
La ragazza sembra che non abbia approfittato del mio intervento per scappare. E' rimasta lì, dolorante. La sua spalla è ancora squarciata, ma il sangue ha smesso di uscire.
La tiro su di forza e la trascino. Lei fa resistenza.
<< Andiamo, forza!>> le urlo contro << Non abbiamo molto tempo>>.
Mi guarda indecisa. Sembra non capire.
<< Non ci metteranno molto a rialzarsi. Sarà meglio non trovarci qui quando succederà>>.
Non capisce. Le indico i quattro corpi immersi nel loro stesso sangue. Lei deglutisce, si allunga per qualche secondo verso di loro. Il braccio destro le copre lo stomaco. Infine si scuote, mi fa un cenno di assenso e si mette in piedi.
Prima che lei si sia alzata del tutto, le prendo la mano e la trascino via, verso la grotta in cui ero nascosto prima del loro arrivo. Lei si lamenta dolorante. La sto tirando per la spalla ferita, ma ho fretta ed ignoro la sua lamentela.
Capitolo 2
Sono passate un paio d'ore da quando ho incontrato questa ragazza. Lei è distesa a terra, svenuta. Io faccio la guardia all'entrata della grotta.
Qui dentro si sta un po' più freschi che fuori, ma l'umidità attenua molto la differenza.
Nessuno ci ha scoperto. Nella nostra fuga abbiamo lasciato impronte insanguinate per quasi tutto il percorso, ma l'arida terra ne ha assorbito una parte. Il resto è stato cancellato dal vento.
Per nostra fortuna i quattro erano quelli che io chiamo folli, persone impazzite e dedite solo agli istinti più primordiali. Non hanno sensi sviluppati, né zanne particolarmente affilate, ma solo fame. Una fame tale da averli resi quello che sono.
Non ci hanno messo molto a svegliarsi. Le ferite si sono rimarginate in una decina di minuti. Tre di loro si sono alzati ed hanno avuto il tempo di capire cosa fosse successo. Il quarto non è stato così fortunato. Ripresosi più lentamente degli altri, è stato divorato dai suoi compagni. Ho sentito le sue urla fin nel fondo della grotta.
Appoggiato su una parete, corpo nudo su roccia nuda, osservo il vuoto desolante che è il mio mondo. Ancora ricordo di quando era tutto diverso, di quando c'era qualcosa da guardare. Sospiro amareggiato da memorie ormai antiche e distolgo lo sguardo quando sento la ragazza avvicinarsi.
<< Stai bene?>> glielo chiedo, anche se è una domanda che non ha più significato.
Non dice niente, nessun cenno. Si allontana di qualche passo, sempre rimanendo appoggiata alla parete. Un tempo, nei racconti, l'eroe avrebbe ricevuto dalla sua protetta almeno un sorriso. Lei, però, non ha nulla per cui sorridere.
Faccio un passo verso di lei, ma indietreggia. Un moto di rabbia mi travolge, ma mi trattengo. << Non è colpa sua>> sussurro a me stesso<< Non è colpa sua>>. Lascio stare. Facesse come vuole. Mi siedo sul bordo della grotta, stanco. Guardo un attimo fuori, poi mi addormento.
Mi sveglio di soprassalto. Ho avuto un sonno agitato. Al mio risveglio mi sento scoppiare la testa e qualcosa che mi tocca.
Lei si è seduta affianco a me senza dire una parola. Mi guarda. Mi passa la mano sul petto, spostando la massa di peli grigi che lo ricopre. La mia pelle, brunita dal sole, non copre le grosse chiazze livide che macchiano il mio corpo. Lei cerca quelle. Due sul petto, una sulla nuca, una sul lato destro del cranio, una sulla spalla. Una fila di lividi scuri e densi mi copre tutta la spina dorsale. Ne ho un'altra su una natica, ma credo che lei possa benissimo ignorarne l'esistenza.
Si sofferma sulla mia spalla destra. Dove sono stato morso. L'unico segno rimasto è una cicatrice sbiadita, appena visibile. E' quella che la stranisce.
La sua , di spalla, è perfetta. Perfetta quanto possa esserlo la spalla di una ragazza fatta, praticamente, di solo ossa. Non una cicatrice, non un segno.
<< Sono vecchio>> le dico << Non rimargino in fretta come te>>.
Lei non capisce. Non so neanche se parla la mia lingua. Non so se parli una qualsiasi lingua. Ed anche se fosse, dubito che capirebbe. Vecchio
è un concetto antico, ormai senza senso. Nessuno qui è vecchio. Nessuno tranne me.
<< Come ti chiami?>> le chiedo, ma non capisce. Provo ripetendole le parole lentamente. Non ha senso farlo, ma provare non fa male. Ovviamente è inutile.
Mi stendo sulla roccia appoggiando la testa sul punto più comodo che riesco a trovare. Come unico cuscino ho una massa di capelli grigi e spettinati. Chiudo gli occhi, consapevole che lei continua ad osservarmi. Sono un essere strano per lei. Sono l'uomo più anziano che abbia mai incontrato.
Ad occhi chiusi mi torna in mente una vecchia storia. Talmente vecchia che anche ai miei tempi poteva essere definita vecchia. Apro gli occhi ed alzo la schiena per poter guardare in faccia la mia ospite
.
<
Scuote la testa in segno negativo. Non so se ha capito o non ha un nome. Ci riprovo. Stessa storia.
<< Facciamo così...>> le dico << ...da adesso in poi ti chiamerò ...Giulia. Meglio di ragazza, almeno>>.
Mi guarda stranita. Si batte il petto come a domandarsi se stia parlando di lei.
<< Tu...>> la indico per farle capire il concetto << ...Giulia>>.
<< Giulia>> mi risponde battendosi l'esile mano sul petto ossuto.
(Non conosce la mia lingua, ma almeno è intelligente).
La sua voce è roca e stanca, ma continua a ripetere il suo nome come se fosse una bella musica da riascoltare. Dubito che sia abituata a sentirsi nominare. Forse non ha mai parlato con nessuno.
<< Hai sete?>> le domando facendo il gesto di bere da un bicchiere. Non capisce. Non sa cosa sia un bicchiere.
<< Hai...>> la indico <<...sete?>> ed imito il bere da una pozza.
Mi fa un cenno di si con la testa, scuotendo la massa di capelli secchi che le riempie il cranio. Mi alzo e le faccio un cenno di seguirmi. Lei mi segue.
Conosco la grotta. E' da qualche giorno che sono qui ed ho già esplorato ogni area interessante. E' piuttosto ampia e profonda, in alcuni tratti labirintica. Indico alla ragazza di camminare con la mano destra poggiata sulla parete. Ci aspetta il buio più profondo e sono secoli che non c'è più modo di fare il fuoco.
Lentamente, tastando il pavimento metro per metro, ci dirigiamo nel punto più profondo della grotta. Avanzo parlando. So che non capisce, ma non importa. Parlo per far si che lei sappia dove sono. Parlo perché è la prima volta, da tanto tempo, che posso farlo sapendo che c'è qualcuno ad ascoltarmi.
Mano a mano che ci addentriamo nei punti più remoti della grotta, l'aria si fa più umida e le pareti più fredde. Sento il suono d'acqua corrente, segno che stiamo andando nella giusta direzione.
<< Di qua. Siamo quasi arrivati>>.
Capitolo 3
Plic...plic...plic...
Gocce d'acqua cadono dall'alto, pure, fresche, e vanno a tuffarsi in ruscelli che fuoriescono da avvallamenti e canali scavati nella roccia. Le ultime lacrime di un mondo ormai morto.
Dove null'altro può fare rumore, si sente solo il suono di noi e dell'acqua.
Giulia deglutisce assetata. La sento fremere, forse vorrebbe correre. E' l'odore di qualcosa di puro quello che sente. Un odore raro. Quando raggiungiamo la pozza, è la prima a servirsi. Lo fa a piene mani, servendosi senza riserbo del fresco liquido mineralizzato.
L'acqua è abbondante, per due persone, quindi la lascio fare aspettando il mio turno.
Sento lo stomaco della ragazza lamentarsi della fame. E' un suono talmente forte da rimbombare per tutta la grotta. Sembra non voler mai finire. E' Giulia, però, a fermarsi. Non ho idea di cosa stia facendo, ma sento mugolii di dolore. Poi riprende a bere più rapidamente, più avidamente. Forse per fermare i morsi della fame.
Quando tocca a me servirmi, lei, semplicemente, si sposta di lato e mi fa passare. Il sapore di quest'acqua non è una novità, per me. Sono giorni che mi sono rifugiato qui. Bevo con più calma, assaporando ogni goccia. Non so quanto durerà e dubito di poterne trovare di così buona. Non facilmente,almeno.
Anche il mio stomaco rumoreggia lamentandosi del misero riempitivo, ma io non mi lamento. Niente dolore, niente morsi della fame.
Dopo qualche minuto, sento Giulia lamentarsi. Lo fa con versi gutturali, privi di significato effettivo .E' solo un richiamo.
<< Che c'è?>> le chiedo cercando di girarmi nella direzione da cui sento i rumori.
Lei mi prende una mano e me la poggia su un suo braccio. La pelle è fredda, quasi ghiaccio. Lei sta tremando.
<< Hai freddo?>> le chiedo.
<< Freddo>> mi risponde << freddo>> mentre si strofina la pelle.
<< D'accordo. Allora risaliamo>>.
Mi spiace non poter portare con me l'acqua, ma l'ultimo contenitore adatto credo che si sia degradato qualcosa come mille anni fa. Si potrebbe crearne uno, ma l'idea stessa di ciò che questo comporta mi ribrezza.
Sospirando, prendo per mano Giulia e, così come siamo scesi, lentamente risaliamo.
Capitolo 4
Nei giorni successivi ci alterniamo nei turni per ogni cosa, facendo in modo che ci sia sempre qualcuno a guardia. Sappiamo bene entrambe che, per quanto il paesaggio possa essere desolato, non è privo di minacce.
Mi ero abituato così tanto alla solitudine da dimenticare quanto potesse essere bello avere qualcuno a farti compagnia, a dividere con te la fatica. A guardarti le spalle mentre dormi.
La sua presenza mi fa tornare in mente vecchie abitudini, vecchie regole ormai obsolete e senza senso. Mi