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Oltre i confini di Hìndamoor
Oltre i confini di Hìndamoor
Oltre i confini di Hìndamoor
Ebook416 pages5 hours

Oltre i confini di Hìndamoor

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About this ebook

«Continuare a scappare, non potevano fare altro che continuare a sperare e a scappare. Non avevano smesso di farlo da quando erano partiti da Hìndamoor, pensò con frustrazione Téelen mentre la rabbia iniziava a montargli dentro. Era stanco di tutta quella tensione, di rivolgere continuamente l’attenzione ai pericoli imminenti. Si rese conto di non essere più d’accordo e si girò verso i compagni fermando il moens.»
Quando pensava che la sua città fosse l’unica ancora esistente nelle vaste Terre di Domm, a Téelen tutto sembrava normale: vivere alle pendici di un vulcano attivo, dormire con le torce accese per allontanare gli Owrud, essere governati da giovani tiranni mentre i vecchi lavoravano nei campi.
Ma un giorno il ragazzo dovrà prendere il posto della madre, partita alla ricerca del Santo delle Tre Torri. Una minaccia che viene dal passato sta per tornare, e l’unico modo per scongiurarla è entrare in possesso di un misterioso dono. Nel cammino su terre sconosciute, nuove genti, esseri spietati e altri nobili e fieri metteranno in discussione tutto ciò in cui Téelen ha sempre creduto. Fuori dalla menzogna tutto può cambiare: comprendere che l’uomo non è la migliore delle creature, che l’amicizia è condividere un destino, amare chi non si pensava possibile. Ma la prova più dura, oltre la paura, le perdite e il dubbio, sarà quella di scoprire e accettare chi si è veramente.
LanguageItaliano
PublisherCondaghes
Release dateFeb 16, 2017
ISBN9788873569145
Oltre i confini di Hìndamoor

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    Oltre i confini di Hìndamoor - Livy Former

    Livy Former

    Oltre i confini

    di Hìndamoor

    Libro I

    ISBN 978-88-7356-914-5

    Condaghes

    Indice

    Prologo

    Parte I – Hìndamoor

    Il sogno

    Cortile 15

    Vita a Hìndamoor

    Mae

    Convocazione

    Una notizia preoccupante

    Un messaggio da Yoris

    Il ritorno di un amico

    Attesa a Cortile 41

    La paura di Kanda

    Visita a un’amica di Annìk

    Preparativi

    Inganni

    Una luce nel buio

    Fuga da Hìndamoor

    Inseguitori

    Agguato

    La collina di Dàmbar

    Notte di veglia

    Il dono di Yoris

    Un respiro nella notte

    Parte II – Le terre di Domm

    Pèlcock

    Qualcosa di inaspettato

    Téelen fra due fuochi

    Colazione con Pèlcock

    Il ponte crollato

    In viaggio verso le terre dei Sàrdon

    Il deserto di pietra

    Sotto il cielo stellato

    Rivelazioni e poteri

    Una trappola

    Parte III – I Sàrdon

    Le montagne sacre

    I Dòrmorg

    Incontro con i Sàrdon

    Glàsragrom

    Al cospetto di Gàinor

    Vita a Glàsragrom

    Urgenza di risposte

    Riflessioni

    Delusioni

    Il matrimonio di Stiria

    Téelen apre gli occhi

    Punti di vista

    Imprevisti e difficoltà

    Catene spezzate

    Nuovamente in fuga

    Parte IV – Le Tre Torri

    In cammino verso le Tre Torri

    Tracce dei Distruttori

    Gli Shògar

    Le Tre Torri

    Vane speranze

    Notte di verità

    Percezioni

    Spedizione nella notte

    Una zona segreta

    Infine la verità

    Epilogo

    Glossario

    L'Autrice

    Mappa

    La collana Kìndhalos

    Colophon

    Prologo

    Annìk procedeva a fatica sotto la pioggia insistente che non aveva abbandonato il suo cammino da ben due giorni. Una pioggia che da diverse ore era così fitta e sottile da impedirle la vista del sentiero al di là di pochi passi. Per la verità non si trattava neppure di un sentiero ma di un fiume di fango scivoloso e rossastro che non aveva niente di familiare e nel quale era immersa fino alle caviglie.

    Sapeva bene che, continuando a camminare alla cieca, correva il rischio di allontanarsi dalla strada per Hìndamoor e di perdersi completamente. Avrebbe dovuto potersi fermare e aspettare che la pioggia diminuisse d’intensità così da orientarsi per ritrovare la via. L’ideale, certo, se la notte non fosse stata degli Owrud.

    Un lungo brivido le corse lungo la schiena umida. Ripensò a Giàvin, suo marito, e gli occhi le si riempirono di lacrime tiepide che si fusero con la pioggia nella quale annegava da ore.

    Scosse energicamente la testa per scacciare il pensiero, e i suoi capelli chiari, pesanti d’acqua, spruzzarono intorno una miriade di gocce e le frustarono il viso pallido dai lineamenti delicati. Nella situazione in cui si trovava, abbattersi significava essere già morti.

    Se quel mattino non avesse trovato franato il ponte dopo la cava di Hùmbruck e non fosse stata costretta a deviare...

    – Se quello stramaledetto ponte non fosse crollato, non avrei perso l’orientamento e ora sarei sulla strada di casa – sussurrò in un lamento, stentando a riconoscere la propria voce.

    La sua casa... e il tepore del fuoco nel camino. Sospirò profondamente, e una certa quantità di pioggia, che sapeva di terra umida e muffa, le entrò nella bocca come una piccola cascata. La risputò immediatamente con una smorfia.

    Il tepore del fuoco nel camino. Sospirò di nuovo, questa volta serrando la bocca; quel desiderio le faceva quasi male. Nonostante il pesante mantello scuro fosse ormai zuppo d’acqua, e il suo corpo fosse umido fino alle ossa, non aveva freddo. I muscoli erano caldi per lo sforzo della marcia che continuava, energicamente e quasi senza sosta, fin dal mattino.

    Ma un camino acceso era l’immagine stessa della pace e della sicurezza. Dentro le mura domestiche non poteva accadere nulla di cattivo, era sempre stato fuori il pericolo.

    Riusciva a mantenersi in piedi, in quella melma rossa, soltanto per via degli stivali chiodati che indossava, e continuò ad avanzare mentre la fatica le intorpidiva sempre più le membra e la mente.

    Dov’era finito Tantro? Perché era fuggito? Anche se in quel momento non le sarebbe stato di grande aiuto, la vicinanza del suo cavallo l’avrebbe consolata, sarebbe stato qualcosa di vivo fra gli alberi scheletriti che puntavano al cielo i loro rami secchi come artigli quasi a sfidare tutto quel grigiore.

    Diverse ore prima, quando si era inoltrata in quel territorio fangoso, era scesa dall’animale per non fargli rischiare pericolosi scivoloni e aveva continuato a procedere tenendolo per la briglia. Ma all’improvviso si era impennato e lei, spaventata, aveva allentato la presa. Era scomparso in un attimo.

    Tantro non era un cavallo timoroso, perché quella reazione? Che avesse percepito un pericolo? Aveva pensato immediatamente infilando la mano sotto il mantello alla ricerca del pugnale. Ma, tranne la pioggia che aveva continuato a cadere imperterrita, non era successo nulla di strano, niente che annunciasse o facesse sospettare una presenza.

    L’aveva chiamato diverse volte con la voce vibrante di preoccupazione, ma senza risultato. Con lui erano spariti il lisio, le provviste e l’acqua.

    Un risolino amaro mostrò la bella dentatura candida. Dell’acqua non avrebbe sentito la mancanza, ma un pezzo di pane accompagnato a uno sprozzul piccante l’avrebbe mangiato volentieri.

    Continuò a procedere nel fango aguzzando gli occhi, frugando nella cortina d’acqua con la speranza di scorgere fra alberi e arbusti una capanna, una grotta, qualcosa che desse rifugio non soltanto a lei, così da sperare di scansare la morte, ma anche a quel che portava addosso e che doveva a ogni costo essere salvato.

    Quando il cielo iniziò a diventare più scuro, l’apprensione del pomeriggio si trasformò in terrore. Non aveva via di scampo in quel deserto di fango, presto gli Owrud l’avrebbero individuata e assorbita nell’oscurità delle loro ombre.

    Doveva trovare un nascondiglio per quel sacchettino umido che portava legato al collo e le dondolava sul petto a ogni passo. Quel pezzetto di pelle che conteneva una speranza per la salvezza del suo popolo. Se moriva, come poteva aiutare Téelen, il suo adorato ragazzo?

    Aveva tenuto lontano il pensiero di suo figlio per tutto il giorno, ma ora si lasciò andare e scoppiò in singhiozzi disperati e senza ritegno.

    Non molto più tardi Annìk camminava ancora. Il viso dall’ovale perfetto era livido per la stanchezza e l’angoscia, gli occhi chiari erano lucidi di febbre e arrossati per lo sforzo di vedere qualcosa oltre la cortina lattiginosa della pioggia che si faceva via via più scura.

    Le gambe si trascinavano ancora lentamente in mezzo al fango che a ogni passo pareva più profondo.

    Non devo fermarmi continuava a ripetersi in modo ossessivo nella mente, senza sosta, anche per non pensare alla sua vita che presto sarebbe giunta al termine.

    Tutto era perduto, anche ciò che aveva con sé si sarebbe disperso nel nulla proprio quando aveva quasi portato a compimento la missione, e sperato di aiutare suo figlio che lasciava solo con un fardello troppo pesante.

    Un dolore atroce, insopportabile. Non devo fermarmi... non devo fermarmi... non devo fermarmi...

    Fu proprio mentre si ripeteva questa frase che, improvvisamente, si parò davanti a lei quella che, a tutta prima, le sembrò un’enorme e vaga ombra nera che prese, però, corpo, forma, solidità, e prima che l’urlo di terrore uscisse dalla sua gola la lama tagliente calò su di lei e le staccò la testa di netto.

    Parte Prima

    Hìndamoor

    Il sogno

    Il ragazzo si svegliò di soprassalto e si drizzò a sedere sul letto. Era sudato e il cuore pareva volesse uscirgli dal petto. L’aveva svegliato un urlo orribile, il grido di morte di sua madre. Si passò una mano sulla fronte bagnata a spostare i capelli scuri che gli erano finiti sugli occhi ed erano intrisi di sudore.

    Un maledetto sogno pensò con un sospiro di sollievo. Il battito del cuore pian piano decelerò e lui si sdraiò nuovamente.

    Quelle immagini, però, erano rimaste impigliate nella mente: un’ombra scura incombeva su sua madre, qualcosa di gigantesco e inquietante, una creatura dalle fattezze semi umane, i lineamenti crudeli e deformi, che era apparsa improvvisamente dall’oscurità e dalla pioggia... e con una larga lama le aveva tagliato la testa con un unico colpo preciso. – Bo Das! – aveva esclamato insieme a una risata roca, gutturale e lugubre che aveva fatto eco alla visione.

    E uno? Deglutì. Doveva stare calmo, essere razionale, si disse. Come prima cosa non poteva aver compreso quelle due parole e, per il resto, era una situazione assurda. Sua madre non avrebbe mai affrontato la notte all’aperto, lontana da un riparo sicuro. E cos’era poi quel gigante tagliatore di teste? Una creatura fantastica, come quelle delle storie che si raccontano ai bambini e non riscontrabile con nessuna realtà. Rise piano per rinfrancarsi. Forse la sera prima, a cena, si era rimpinzato di troppi chila con salsa dolce. Tutto qui.

    Ma se la notte avesse sorpreso sua madre senza offrirle un riparo? Fu il pensiero successivo. Se per qualche circostanza si fosse trovata in una situazione precaria? Se qualcosa fosse andato storto e non avesse avuto con sé sufficiente lisio? Allora era davvero morta.

    Per scacciare quella triste ipotesi dalla mente si gettò giù dal letto con un balzo e scostò la tenda ruvida, che divideva la sua stanza da quella della madre, con l’assurda speranza che la donna fosse tornata mentre dormiva, ben sapendo come questo fosse impossibile. La sera precedente, quando appena prima del buio erano state chiuse le porte di Hìndamoor, lei non era rientrata, contrariamente a quel che sperava invano da molti giorni.

    Era troppo inquieto per tornare nuovamente a dormire, il sonno era completamente sfumato, così attraversò l’abitazione, si gettò addosso il mantello pesante e aprì la porta che dava su Cortile 22, il luogo dove si era svolta fino ad allora la maggior parte della sua vita.

    Il cortile era illuminato a giorno dalle torce cariche di lisio, il minerale che estraevano in abbondanza dalla grande montagna viva che sovrastava la città. Il vulcano che, come un vigile padre bonario, accompagnava i giorni e le notti col suo brontolio profondo e grazie al quale la vita nella valle non si era ancora spenta.

    Le case, che si affacciavano con le loro forme tozze sul grande spiazzo vagamente circolare addossandosi e arrampicandosi le une sulle altre, erano costruite con le pietre scure che ricavavano dalle sue pareti; il tubidrum, il metallo chiaro e opaco col quale erano forgiati tutti i loro utensili, era anch’esso un prezioso dono della grande montagna.

    Quando richiuse la porta di casa alle sue spalle gli venne incontro la sentinella più vicina. Ogni cortile ne aveva in dotazione quattro che facevano due turni di guardia per notte. Questa disposizione era entrata in vigore quando, parecchi anni prima, a Cortile 5, sull’altro versante del vulcano, le due sentinelle non avevano controllato il carico di lisio nelle torce e si erano addormentate mentre il cortile, con le sue case, sprofondava man mano nel buio.

    I due giovani erano stati presi dagli Owrud perché non se ne era trovata traccia, e la stessa sorte era toccata a una coppia di cittadini della terza fascia che, contando sulla protezione del cortile illuminato, risparmiavano il costo del minerale tenendo le torce spente all’interno dell’abitazione.

    – Téelen? Non dormi? – chiese la sentinella a bassa voce, e lui riconobbe il suo amico Kanda.

    – Mi è passato il sonno – mormorò facendo spallucce.

    – Pensieri negativi?

    – Un brutto sogno.

    – Quando faccio brutti sogni mi resta addosso il malumore per un pezzo – disse il ragazzo sedendosi sulla panca di pietra davanti alla casa e allungando le gambe robuste davanti a sé.

    Téelen osservò l’amico quasi lo vedesse per la prima volta. Indossava la corta giacca gialla che portavano le sentinelle, riconoscibile dalle tre strisce trasversali di panno verde visibili sulla parte sinistra del petto. Anche i calzoni erano gialli e fasciavano le gambe fino al polpaccio. I piedi calzavano babbucce di pelle di capra wok, le calzature che si portavano comunemente in città, chiuse da stringhe che si allacciavano intorno alla caviglia.

    Notò che la giacca era troppo stretta e faceva sembrare Kanda ancora più robusto. Scrutando il viso dell’amico credette di scorgervi un velo di malinconia.

    – Come ti trovi a fare la sentinella? – Una domanda che non gli aveva mai rivolto da quando, l’anno precedente, il ragazzo era stato preposto a quella mansione.

    – All’inizio ho faticato non poco... sai, per il fatto di vegliare di notte e dormire di giorno, ma poi ci si abitua a tutto. In fondo è un lavoro come un altro per uno che non ha genitori che lavorano per lui, e quest’incarico mi dà diritto al cibo, a un letto, e riesco ad assicurarmi il lisio necessario. Di questi tempi non è male.

    – Ma tu avevi altre aspirazioni.

    Kanda lo guardò con le sopracciglia aggrottate. – C’è qualcosa che ti preoccupa? Forse la malattia di Jàsia? – chiese, eludendo la considerazione.

    Quella sera al suo amico non andava di parlare di sé. – Jàsia è sempre stato cagionevole di salute, ma se la caverà. Sono molto preoccupato per mia madre, invece, che non è ancora tornata – rispose con un sospiro.

    Il ragazzo alzò le spalle. – Se fossi in te non me ne farei un cruccio.

    – E invece sì, perché se le fosse successo qualcosa, per lei non ci sarebbe nessun aiuto.

    – Tu dici che l’Alto Consiglio non organizzerebbe un gruppo di soccorso?

    – No, proprio nulla.

    – Ma tua madre è lontana dalla terza fascia... e ha un’importanza rilevante per Hìndamoor. Forse si rischierà di...

    – Macché, lei volle andare a cercare il Santo delle Tre Torri senza averne il consenso – lo interruppe.

    – Già, il Santo... una decisione che ha stupito – gli disse Kanda aggrottando la fronte coperta quasi completamente da un’abbondante cascata di riccioli chiari. – Comunque troppo lontano anche per pensare di soccorrerla... Ma non mi hai detto come le venne quest’idea.

    – Per via di un sogno.

    – Un sogno? Questa, poi! – esclamò l’amico col primo sorriso, un sorriso candido che illuminò il suo viso paffuto dalla pelle quasi nera.

    – Sì, nel quale Yoris la chiamava.

    Il ragazzo inarcò le sopracciglia incredulo. – Che cosa? Decise di correre un simile rischio per una tale inconsistenza?

    – Purtroppo. Cercai di farle cambiare idea, la supplicai, ma mi spiegò come quel viaggio fosse di vitale importanza; Yoris stava per lasciare il mondo dei vivi e voleva affidarle qualcosa che forse potrebbe salvarci dagli Owrud.

    – Cosa?! Yoris è poco più che una leggenda, Téelen. Fa parte delle credenze della religione dei nostri avi di cui sappiamo ben poco perché persa nel tempo e nella memoria... E direi che è un bene, come credere che non siamo fatti soltanto di carne e ossa? Cioè tutte quelle stranezze su qualcosa che ci anima... Siamo solo una specie animale più evoluta perché dotata di intelligenza, non credi?

    Téelen assentì e l’amico continuò il discorso. – E in quanto a Yoris mi sono spesso chiesto se non fosse un millantatore, uno che abbindolava le genti semplici per ottenere vantaggi... Ma dimmi, non è che tua madre soffre precocemente dei sintomi della terza fascia?

    – No davvero, nessuno è più razionale di lei – ribatté risentito.

    – Non volevo offenderla... ma capirai che il credere a certe assurdità denuncia una sorta di scompenso nel pensiero e...

    – Adesso stai parlando come Zaro – lo interruppe con acredine.

    – Senti, in fondo sono fatti di Annìk, se ha voluto seguire un’idea balzana è un suo rischio, un suo problema.

    – Come fai a dire una cosa simile? Si tratta della donna che mi ha dato la vita! – scattò appena prima di girarsi per rientrare in casa.

    – Ehi, Téelen... non essere così suscettibile, dai! Dicevo per dire. Volevo aiutarti a sdrammatizzare la situazione, minimizzare la faccenda – sussurrò l’amico con aria contrita.

    Il ragazzo non si fermò e rientrò nella sua abitazione senza voltarsi.

    C’erano delle volte che proprio non sapeva dire la cosa giusta, pensò Kanda con un sospiro. Quel ragazzo, però, si scaldava per nulla. Ultimamente era troppo fragile di nervi e lui, conoscendone i lati positivi, lo giustificava e lo comprendeva. Aveva patito molto per la morte del padre due anni prima, e ora, forse, avrebbe dovuto soffrire anche per quella della madre, che si sarebbe trasformata in una vera tragedia perché l’avrebbe gettato in una condizione socialmente inferiore.

    Ma, dopotutto, Téelen se ne sarebbe fatto una ragione.

    Lui non aveva avuto di questi problemi, i suoi genitori erano stati presi dagli Owrud quando era piccolo e quasi non li ricordava. In fondo, come diceva Zaro a tutti i ragazzi rimasti senza famiglia in tenera età, era stato fortunato: niente ricordi, niente dolore.

    Cortile 15

    Quel mattino non si sentiva affatto bene. Si era trascinato svogliatamente fino a Cortile 15 attraversando la città, a quell’ora praticamente deserta, con la testa che pareva dolergli maggiormente a ogni passo. Inoltre, una pioggerellina minuta gli tempestava la fronte con le piccole gocce gelate e insistenti nonostante indossasse il mantello col cappuccio calato sulla testa.

    L’aria era fredda e impregnata del particolare odore acre che emanavano la terra bagnata e la sottile polvere rossa del vulcano che si depositava in ogni vicolo e in ogni anfratto, e ricopriva impalpabile ogni cosa che gli sorgeva attorno. Se non si fosse sentito così poco bene, quell’odore l’avrebbe apprezzato.

    Era profondamente irritato senza motivo. O il motivo c’era e andava cercato in quel maledetto sogno che aveva completamente destabilizzato le sue speranze circa il ritorno di sua madre, e nel fatto di aver trascorso il resto della notte completamente sveglio a girarsi e rigirarsi nel letto con la mente affollata da troppi pensieri negativi.

    Oltretutto quel giorno, a peggiorare le cose, aveva una lezione di Pensiero Razionale e Costruttivo tenuta da Yuz, un membro dell’Alto Consiglio.

    Avrebbe preferito di gran lunga le lezioni di scrittura e componimento, anche se quell’anno erano diventate noiose a causa del Maestro Gida, un giovane insegnante al suo primo incarico, petulante e presuntuoso oltre ogni dire, che non tralasciava mai l’occasione di ricordar loro la stretta parentela col Primo Consigliere di Hìndamoor, suo cugino. Oppure una lezione di musica e poesia, sebbene non fosse particolarmente portato per quelle materie... o persino passare la mattina sulla tazza dei rifiuti corporei.

    Non c’era modo di sfuggire alle lezioni di Yuz. Zaro dava un’importanza fondamentale alla Corretta Forma del Pensiero, come chiamava la razionalità che cercava di inculcare in ogni cittadino. A questo scopo aveva stabilito che tutta la prima fascia, compresi i giovani che avevano già un incarico lavorativo, ne ricevesse una almeno ogni quattro giorni.

    Le menti andavano incanalate, plasmate, guidate, e soprattutto controllate e ancora controllate per evitare un eccesso di emozione. Solo l’emozione, non arginata dal pensiero razionale, era fautrice di azioni avventate e inconsulte che si tramutavano in errori del vivere con conseguenti dolori e lacerazioni indesiderate.

    Gli tornò alla mente quel che aveva detto suo padre, Giàvin, con quel sorriso delicato che gli arricciava appena le labbra sul viso schietto, proprio poche sere prima della sua scomparsa, e notò come negli ultimi tempi pensasse a lui più spesso del solito.

    – La libertà di pensiero e un cuore che può scaldarsi alla fiamma delle emozioni sono i beni più preziosi. È dalla libertà di pensiero e dall’emozione che si arriva alla creazione del futuro, alla bellezza, all’amore, e alla comprensione degli eventi.

    In quel mentre sbucò a Cortile 15 che si differenziava, già a prima vista, dagli altri cortili per la maggior vivacità che presentava a quell’ora. Fra gli edifici di due o tre piani, parecchio più ampi delle abitazioni della popolazione, si affrettavano chiacchierando e scherzando fra loro ragazzi di varie età intabarrati nei pesanti mantelli grigi umidi di pioggia. Nell’aria le loro voci spensierate come trilli di uccelli in una mattina limpida della stagione allegra.

    Ognuno di loro si dirigeva alla Casa di Studio alla quale era assegnato e che raccoglieva un gruppo di ragazzi riuniti per età, grado di apprendimento, condizione sociale. In base a questi fattori veniva impartita l’opportuna istruzione.

    Quando entrò nella grande stanza del Prezioso Ascolto la lezione era già iniziata, e Yuz lo fulminò con lo sguardo carico di disapprovazione dei suoi piccoli occhi scuri e strabici.

    Andò a sedersi sulla panca libera più in fondo e cercò di ascoltare la lezione declamata con grande foga e ricca di parole che dovevano risultare d’effetto quali: Reprimere, Costringere, Strappare, Chiudere e Penitenza.

    Reprimere qualsiasi pensiero non in linea con la Condotta Assoluta per un giovane cittadino della prima fascia, così come descritto da Zaro nel suo Breviario di Regole Primarie. Costringere la propria mente a seguire una condotta volta al Pensiero Razionale, senza compromessi. Strappare qualsiasi vizio di pensiero non consono alle Regole Primarie del Breviario di Zaro. Chiudere la propria mente a qualsiasi propaganda differente da ciò che il Primo Consigliere aveva scritto, cioè diffidare di discorsi o informazioni ottenuti da cittadini adulti e anziani e, nel caso si fosse scivolati in un comportamento mentale che si discostava dalla Condotta Assoluta, ci si doveva presentare a un Giudice Supremo a ricevere la Penitenza più adatta per ottenere il Perdono che avrebbe riportato il giovane e incauto cittadino sulla via della giustezza e della chiarezza.

    Quei concetti si ripetevano sempre uguali come il verso del kgaall nella stagione allegra, quando saltellava dappertutto, arruffando le piume blu, con le sue frenetiche zampette rosse alla ricerca di pagliuzze per costruire il nido.

    Di solito Téelen ascoltava senza particolare interesse, molto spesso con malcelata noia. Ma quel giorno la sua mente non voleva saperne di restare in quella stanza, e se ne andò quasi subito molto lontano come una nuvola spinta dal vento che scompare senza controllo all’orizzonte. I suoi pensieri si rivolsero ancora una volta a sua madre e a quando aveva appreso della sua decisione di intraprendere lo strano viaggio.

    Quella notte di pochi mesi prima si era svegliato per via della sete e aveva trovato Annìk intenta a scrivere su un lungo foglio di carta di bachis.

    – Cosa fate, madre, alzata a quest’ora?

    La donna aveva sorriso. – Potrei porti la stessa domanda.

    – Avevo sete – rispose con uno sbadiglio trattenuto.

    Lei depose la penna di canna sottile che teneva fra le dita e, con un sospiro, si appoggiò allo schienale della sedia. – Vieni a sederti qui vicino a me. Volevo parlartene più in là, ma dovrai conoscere comunque questa storia perché mi porterà lontano da te per qualche tempo.

    – Cosa intendete dire? – chiese stupito tirando verso di sé uno scranno.

    – Vedi, a volte ci sono cose per le quali bisogna fare qualche sacrificio, anche se pesante... Devo partire Téelen, andare lontano.

    – Andare lontano? – ripeté basito. – Ma...

    – Sono stata chiamata.

    – Spiegatevi, madre – la sollecitò con un’avvisaglia di angoscia nel petto.

    Annìk gli raccontò il sogno. Yoris, il Santo delle Tre Torri, le era apparso. Doveva raggiungerlo al più presto perché desiderava concludere la sua vita terrena. Aveva qualcosa da affidarle, una sottile speranza per il suo sventurato popolo. Nel sogno le aveva mostrato la via.

    – Madre... ma non direte sul serio, non è altro che un sogno! – esclamò trasecolato sgranando gli occhi scuri.

    – È molto di più.

    – Che dite?!

    – Ne sono certa, Téelen.

    – E perché andarci voi, allora? Forse non vi rendete conto di quanto sia una pazzia. Uscire da Hìndamoor... più che un’assurdità. Se proprio non potete rinunciarvi, incaricate qualcun altro al vostro posto, un uomo, un lavorante... organizzate una squadra.

    – No, Yoris è stato chiaro, affiderà solo a me questa speranza.

    Doveva averla guardata con un’espressione incredula sul viso perché lei gli sorrise.

    – Téelen, mio caro ragazzo, non ti fidi più di tua madre?

    – Non è questo il punto, e preferisco non discutere con voi dell’esistenza di Yoris e di tutto ciò che vi è connesso e che, probabilmente, è solo leggenda o un retaggio esasperato di chissà quali idee strampalate... Anche perché non abbiamo testimonianze di qualcuno che l’abbia visto da prima della Rivoluzione, dove mi pare di aver capito che fu messa in discussione non soltanto la sua esistenza ma ciò che rappresentava. E le Tre torri? Mi stupisco di come possiate pensare…

    – Leggenda? Yoris fa parte della storia del nostro popolo, di ciò che è rimasto dell’antica religione!

    – Che doveva essere fantasiosa e inutile, visto che nessuno la professa. Meglio credere in ciò che è reale, nella razionalità, che è l’unica verità come tutto quel che si può vedere e toccare, non vi sembra?

    Annìk gli sorrise con dolcezza. – Credimi se ti dico che si trova ancora in tanti cuori... E in quanto alla verità, non sempre la si può ravvisare in ciò che ci sembra reale, che possiamo vedere o toccare. Comunque, non si ha notizia di Yoris soltanto perché prima è stato deciso di ignorarne e negarne l’esistenza, mentre più tardi nessuno è uscito da Hìndamoor con l’intento di cercarlo. Ma nel sogno ho visto entrambi, Téelen, le Tre Torri azzurre e lui che mi ha parlato... sento che questo è vero – continuò la donna con la fermezza dentro lo sguardo dei suoi occhi dello stesso colore del cielo.

    – Ebbene, che si tratti di verità o meno, non voglio assolutamente che andiate.

    – Senti figliolo, Yoris mi ha mostrato i luoghi lungo la strada dove potrò fermarmi per la notte, solide capanne e grotte sicure. Avrò con me il lisio necessario e non dovrò temere gli Owrud. Guarda, ho disegnato una mappa.

    Annìk gli porse il lungo foglio.

    – Ma non si sa cosa ci sia là fuori, madre! – esclamò accorato.

    – A parte gli Owrud, cosa dovrebbe esserci? Oltre questa valle si estendono le vaste terre disabitate di Domm, e poi le grandi montagne impervie, le Montagne Scure e, al di là, si estende un deserto sconfinato fino alla grande acqua. È una certezza perché è tutto riportato sui Testi Territoriali che abbiamo studiato in passato.

    – Ma avete pensato che sia le mappe che le informazioni che contengono sono vecchie di almeno cinque o sei generazioni? Chi ci dice che siano davvero affidabili?

    – Figliolo caro, credi forse che le montagne possano spostarsi o il deserto tornare fertile? Comunque, non sono diretta troppo lontano. Yoris vive ai confini delle terre di Domm, quasi ai piedi delle Montagne Scure – lo rassicurò con un sorriso delicato.

    – Sono così lontane, madre. Non sono visibili da Hìndamoor neppure nelle giornate più limpide.

    – Questo non significa che siano irraggiungibili, però.

    – E se qualcosa non andasse come pensate? Se anche solo uno di questi rifugi non fosse disponibile?

    – Suvvia, Téelen...

    – Portatemi con voi.

    – Sai bene come questo non sia possibile. Sei un membro della prima fascia, fai parte del gruppo di ragazzi più dotati, quelli destinati a guidare il nostro popolo.

    – E se io non lo volessi questo futuro?

    Annìk scosse la testa. – È quello per il quale sei nato, e tua madre ne è molto orgogliosa... come lo era tuo padre.

    – Chiedete a Zaro una scorta, allora. Che ci sia qualcuno a proteggervi.

    Un impercettibile sorriso apparve sul bel viso di Annìk. – Nessuna concessione, Zaro non è d’accordo circa l’impresa.

    – Per una volta la penso come lui.

    Sua madre rise di gusto.

    Vita a Hìndamoor

    – Come mai sei arrivato tanto tardi? – gli chiese Huros al termine della lezione. Il ragazzo si era avvicinato con la sua andatura dinoccolata, quel sorrisetto sul viso che lo faceva somigliare a un haspix, e gli si era seduto accanto sulla panca costringendolo suo malgrado a spostarsi.

    Ci mancava giusto Huros. – Mal di testa – rispose con malcelato fastidio.

    – Yuz invierà certamente a Zaro una nota di demerito sul tuo conto.

    Che m’importa? avrebbe voluto rispondere, le ottime valu­tazioni sul suo avanzamento nello studio potevano ben sopportare più di una nota di demerito. Ma si trattenne dal dirlo.

    – Inoltre, con la situazione di tua madre...

    – Lei tornerà – rispose secco.

    – Oh, certo – fece l’altro, e lui avvertì nella frase una sfumatura di ironia.

    – E può darsi che porti qualcosa di buono per tutti noi.

    – Sicuro, direttamente dalle Tre Torri – continuò il compagno con una risata ironica, alzandosi dalla panca senza dargli il tempo di replicare.

    L’impulso immediato fu di chiamarlo indietro e assestargli un bel pugno in mezzo a quella faccia rincagnata, così da schiacciarla maggiormente. Ma sapeva bene che un’azione simile sarebbe stata punita con due giorni di reclusione nella prigione a Cortile 1, una dieta di solo pane di semi di sprinoa e acqua, e un successivo ciclo di lezioni giornaliere di Pensiero Guidato. Perciò, valutandone il costo, decise di non potersi permettere la soddisfazione.

    Del resto la partenza di sua madre aveva creato parecchio scalpore. Una donna nella sua posizione che, per seguire un’idea balzana, si avventurava da sola nelle terre sconosciute dopo tanto tempo non era immaginabile, ed erano all’ordine del giorno le battutine che si sprecavano sulla stoltezza di Annìk e gli sguardi di commiserazione, o d’imbarazzo, che gli rivolgevano anche i compagni che tacevano.

    Veniva commiserato perché era chiaro che una volta che sua madre fosse tornata, Zaro ne avrebbe retrocesso la condizione. Annìk faceva parte di quella seconda fascia che veniva chiamata privilegiata, per via di una mansione che le permetteva di non lavorare nei campi e condurre una vita più agiata rispetto alla maggior parte dei cittadini di Hìndamoor.

    Annìk era dotata di una mente brillante e un’inclinazione naturale per i calcoli, era abilissima a pianificare e a organizzare e si occupava da molti anni della ripartizione

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