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Romanzo Disumano
Romanzo Disumano
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Romanzo Disumano

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About this ebook

Un narratore sospeso tra reale e surreale. Una bionda misteriosa. Filo conduttore, una trama che appassiona e incuriosisce. L’Io narrante si trova catapultato dentro un teatro dove una donna possiede la chiave di tutto.
Un segreto lo legherà alle vicende dell’amico Jorge e a quelle dell’artista Cleo. Una rivelazione dall’antidoto amaro, necessaria, che servirà a renderlo immune dalla trama e dalle riflessioni dei capitoli successivi. Sostituite le immagini alle parole, il lettore s’addentra nella storia decidendo quale dimensione dare ai luoghi e quale età o aspetto dare ai personaggi. Un gioco di avvenimenti senza tempo e spazio dove tutto è reale e dove allo stesso tempo tutto è assurdità.
10 secondi. 10 kilometri. 10 pagine… tre oniriche e inscindibili Matrioske che si possono comporre e scomporre.
Alessio Pecoraro, nato in Sicilia nel 1976, terra il cui richiamo sente prepotente ogni qualvolta vive e lavora all’estero. 
Appassionato di cinema, scacchi e letteratura, si è accostato alla scrittura per una serie di circostanze e coincidenze curiose che successivamente si sono tramutate in dedizione ed entusiasmo.
Affascinato dal potere liberatorio e magico della scrittura, i suoi intrecci surreali sono come il nodo di una rete di rapporti invisibili che vengono manipolati, mescolati e intrecciati dall’unico burattinaio possibile: l’immaginazione dello scrittore e del suo lettore.
Ha scritto quattro romanzi. Romanzo Disumano è il primo nato e il primo ad essere pubblicato.
LanguageItaliano
PublisherNulla Die
Release dateFeb 27, 2017
ISBN9788869151002
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    Romanzo Disumano - Alessio Pecoraro

    tutto...

    10 secondi

    Da tempo non sentivo un silenzio così irreale, così assordante. Avete presente quei momenti di pace assoluta, quando non c’è niente attorno a disturbare quella quiete? Quei momenti in cui ogni cosa sembra immobile, quando persino l’aria è immobile. Di solito accade in luoghi chiusi, dove nemmeno il suono della terra può infastidire il silenzio che si crea.

    E adesso è qui.

    Dopo averlo sentito in un antico castello una volta e dopo averne sentito parlare da altri come qualcosa di rarissimo di cui essere testimoni, riecco questo silenzio, per assurdo il più assordante. Un ossimoro troppo scontato, forse, ma il più adatto.

    Davanti a me c’è un enorme tendone rosso che si apre su due lati. Di stoffa pesante. Di quelli che si trovano nei teatri per coprire gli ingressi alle platee, lo stesso che si usa per i sipari credo. Penso, infatti, d’essere in un vecchio teatro proprio davanti all’accesso della platea. Sono come tentato d’andare via, non vorrei entrare, ma allo stesso modo c’è qualcosa che mi spinge a vedere cosa c’è al di là. Sento il cuore e il respiro fare da colonna sonora a questa situazione... Tum Tum... respiro... Tum Tum... respiro... questi due semplici e nobili suoni accompagnano i miei passi sino al tendone.

    Scosto i lembi per entrare. Entro.

    Non ci credo. Sono davanti a un contesto grottesco. Tum Tum... respiro... Tum Tum... respiro. C’è un buio così pesto che se non fosse per un faretto sul palcoscenico non vedrei nulla. Ma... Un attimo! I miei occhi adesso si vanno abituando al buio.

    Le poltrone della platea sono piene di gente. Tutti in silenzio. Non si sente un respiro, né un colpo di tosse, né un movimento qualsiasi. Anche i loggioni sono stracolmi di persone, tutti composti, non muovono un muscolo. Direi che siano dei manichini se non fosse per il movimento del petto di alcuni che adesso vedo chiaramente e che di certo mi dà la conferma che, in effetti, respirano. Platea e loggioni, tutti immobili, guardano la scena, dove c’è questo faretto che... Cos’è? Devo avvicinarmi. Non riesco a capire cosa illumina quel faretto.

    Mi muovo e adesso sono immediatamente dietro all’ultima fila di poltrone della platea. Sento un miscuglio di odori: profumi costosi, puzza d’ascelle, cipria, dopo barba, cuoio, polvere... Vedo anche i capelli ben pettinati d’alcuni uomini e il rossetto sulle labbra di alcune donne... Ma i loro occhi sono sempre fissi davanti a loro, il mio avvicinarmi non li distrae per niente, vedo però che battono le palpebre. Almeno so per certo che sono vivi.

    Da questo punto riesco a veder meglio chi calca la scena. Mi sembra una donna di colore. Bionda... Sì, bionda e... bellissima. Tum Tum... respiro.

    È completamente nuda. Ha un corpo meraviglioso. In piedi, al centro del palco. Ha caviglie sottili, fianchi larghi e vita stretta. Le braccia sono lungo i fianchi in maniera rilassata e combaciano alla perfezione con la sinuosità delle sue forme laterali. Il pube è del tutto rasato e i seni sono di una bellezza sconvolgente; non sono enormi, non sono piccoli ma perfetti; tendono ad andare verso l’esterno del corpo quasi a coprire il perfetto margine magro delle braccia. Le spalle sono così strette che sembrano sparire sotto l’onda dei capelli biondi. La testa è china e sembra guardare le liste di legno del palco. Del viso, infatti, riesco a vedere solo le labbra dischiuse in un respiro tranquillo.

    Accidenti che situazione!

    La cosa strana è che quel silenzio assordante è ancora qua, protagonista insieme a quella donna. Gli unici due attori di questa bizzarra rappresentazione.

    Vorrei trovare una posizione migliore, ma è tutto così pieno, nessun posto, nessuno spazio se non questo fondo platea.

    Che meraviglia! Adesso vedo tutto il suo viso. Gli occhi sono grandi, color ghiaccio, mai visto un simile incanto. I tratti sono raffinati e dolci, la forma del viso è tonda. Ha appena alzato la testa e adesso sta osservando il pubblico, il quale si sazia al solo guardarla; la vista di lei riesce a non annoiare nessuno credo.

    Finalmente si è mossa, portando una ciocca di capelli dietro alle orecchie piccole, dalle quali pendono degli orecchini, unico ornamento di quel corpo. Dai tratti non mi sembra una donna di colore come avevo pensato a prima vista, ma il colore della pelle è di certo scuro...

    Non capisco! Non mi spiego come non provochi reazioni sulla gente che c’è. Queste persone mi danno l’impressione di essere qui da ore, forse giorni. Non so perché lo penso, ma se ne stanno a osservare la donna e ad ascoltare questo silenzio inerti e con pazienza. Un silenzio che ha appena smesso di esserlo, perché un violino ha cominciato a suonare... un motivo di Paganini, credo.

    «A cuore attento, vedo il corpo che vorrei inghiottire. La novità di carne che sazierebbe l’intellettuale noia. Nessun limite può fermare ciò che davvero voglio immaginare. È qui però che impugno l’arma per devastare, un giorno, la realtà umana. Il mio ideale disumano prende forma solo per me. Altrove, nello spazio del buio, capirò se ciò che ho sacrificato ha una vita. Forse anche in questo buio. Così, senza pene.»

    La sua voce è stata melodiosa, dolcissima, priva d’incertezze.

    Mi ha sedotto semplicemente ascoltandola. Mi è sembrato che fissasse me mentre parlava di quest’umanità di cui, seppur non capisco cosa voglia dire, vorrei fare parte. E, infatti, conferma la mia impressione, perché adesso mi invita ad andare da lei tendendomi la mano, lì, dal palco.

    Che devo fare? Tum Tum... respiro... Tum Tum... respiro... con i battiti del mio cuore adesso accompagno il violino.

    La gente mi sta fissando e non me n’ero ancora accorto, forse perché stregato da quello sguardo e da quelle parole, ma vi giuro che adesso tutti guardano me. Platea e loggioni, tutti gli occhi della gente sono su di me... Adesso mi muovo, così vediamo se mi seguono con lo sguardo... Accidenti sì, ovunque mi sposti i loro occhi mi seguono.

    «Ehi! Che c’è? Cosa volete?» Il suono della mia voce esce un po’ ovattato. Ho paura. Mi sposto sotto il loggione centrale, accanto all’entrata della platea... Alzo la testa e vedo la gente affacciarsi dai balconcini: molti indicano la scena dove c’è ancora lei che mi tende la mano e, così facendo, sembra che abbiano riacquistato le loro funzioni motorie.

    «Vieni, non aver paura.» Sempre bellissima, devo ammettere, finalmente parla.

    Mi sta invitando sul palco con lei! Cosa vorrà mai?

    «Signori e signore, scusate! Forse ho rovinato la vostra pace... vi giuro che non volevo», dico queste poche parole e lei m’interrompe.

    «Ti assicuro che non hai rovinato alcuna pace in questa sala, se hai l’accortezza di salire qui accanto a me, posso spiegarti tutto. Vuoi?» Stavolta finendo di parlare ha fatto un impercettibile broncio.

    «Ok... Non capisco, però Ok... Vengo lì», così dicendo, comincio a muovermi verso il corridoio centrale della platea senza mai staccarle gli occhi di dosso.

    Più mi avvicino e più sento un profumo di terra per nulla fastidioso. Come quando piove e i campi s’impregnano di quell’odore inconfondibile, quando il pianeta può finalmente rilasciare le sue essenze nell’aria. Mi rendo pure conto che la sua pelle non è scura, ma a tratti riesco a notare piccoli ritagli di pelle bianca. Alla fine sono un po’ curioso di saperne di più su questa storia.

    Adesso sono quasi sotto il palco e ho da poco superato la prima fila di poltrone, a pochi metri c’è il pozzo dell’orchestra, che nemmeno quando ho passato la prima fila avevo notato, perché la forma che i vecchi costruttori di questo teatro hanno dato all’intera struttura nasconde quasi del tutto l’orchestra alla platea, dove il violinista suona ancora.

    Comunque, ancora mi tende la mano e mi guarda... bellissima, ve lo assicuro. Ci sono due rampe di scale ai lati del palco, io mi dirigo verso quella di sinistra perché è da quella parte che lei mi tende la mano.

    Non appena metto il piede sul primo scalino, un occhio di bue m’inonda con la sua luce e, neanche volendo, riesco più a vedere un solo viso degli spettatori.

    Però eccomi. Sono sul palco. Adesso non ho più alcun dubbio che l’odore di terra bagnata provenga da lei. È ancora in quella posizione rivolta verso la platea, ma io me la ritrovo di fianco, la mano ancora tesa e un sorriso disarmante sulle labbra. La curva della sua schiena forma una S perfetta con le sue natiche e l’odore che emana è incredibilmente eccitante.

    Le prendo la mano morbida, morbidissima, dopo il contatto mi fa avvicinare a sé tirandomi con gentile delicatezza, poi mi pone di fronte a lei facendomi dare le spalle al pubblico. A questo punto mi prende l’altra mano, così adesso ci teniamo in modo rilassato e le mie dita s’intrecciano alle sue ad altezza dei nostri ventri. Mi accorgo che il colore scuro della pelle che avevo notato prima di salire sul palco in realtà è causato da fittissime frasi tatuate su ogni centimetro del suo corpo; per questo pensavo fosse una donna di colore, solo alcune parti, infatti, lasciano ancora vedere il rosa della carne. Sono parole quasi illeggibili, riesco a capire poco, ma per adesso non ho le forze per dare attenzione a questo; non so fare altro che ammirarla. Non riesco a dire niente, solo a subire i suoi movimenti. Anche se il viso è tutto ricoperto di scritte tatuate, è inevitabile avere la certezza dei fantastici lineamenti che mai donna abbia potuto avere e pittore abbia mai potuto dipingere.

    Abbassa la testa e guarda le nostre mani le une sulle altre. A questo punto la ciocca di capelli che poco prima aveva spostato dietro all’orecchio si è liberata, chiudendo ancora una volta il sipario sul suo viso. Sembra essersi spenta di nuovo. Io mi trovo qui con questo spettacolo davanti e la gente dietro di me, o spettatori per meglio dire, che non so cosa facciano.

    Il violino smette di suonare. Di nuovo, lei e il silenzio. Di nuovo attori protagonisti della scena. E io? Non so che ruolo voglia darmi. Che faccio? Devo fare qualcosa! Tiene ancora il capo chino verso le mani ed è tramite queste che proverò a riavere la sua attenzione, dunque le muovo, come a liberarmi dalla sua soffice stretta, ma, quando ci provo, le stringe forte attanagliandomi le dita. Sento il sudore uscirmi dai pori.

    «Che ti prende?» chiedo, ma lei non risponde.

    Tento ancora una volta di liberarmi, ma mi tiene così forte che devo fare un certo sforzo. Allora m’impongo e finalmente mi libero, così lei rimane con i palmi aperti verso l’alto senza muovere la testa. Adesso che mi sono liberato le scosto i capelli come una tenda, quasi non li sento tra le dita, le porto una ciocca sull’orecchio destro e una sul sinistro, cercando di rispettare la perfetta simmetria del viso. Le prendo il mento con dolcezza tra le mani e riesco a farmi guardare di nuovo.

    «Ma chi sei?» le chiedo.

    Allora, vi spiego: in questo momento una lacrima le sta uscendo da un occhio, uno solo, e sembra quasi che il color ghiaccio della sua iride si sia sciolto direttamente dal colore stesso, per donarmi quest’unica goccia di pianto che si sta facendo spazio tra le linee del naso e i solchi del viso ricoperto da queste parole incomprensibili. Ma ecco che il viaggio è appena finito, perché la goccia si è adagiata sul suo labbro inferiore dopo essere sgocciolata da quello superiore. Con un dito le asciugo quest’unica lacrima, ma altre già le invadono il viso.

    Mentre tutto questo è accaduto, la donna mi ha fissato con un sorriso buono, come se mi comprendesse. Non so e non posso spiegarlo meglio di così, ma la sentivo dentro di me; mi capiva, mi capisce.

    «Sono felice che tu sia qui», me lo dice quasi bisbigliando. «La gente dietro di te si aspetta una fine adesso.» Intanto è cominciato un mormorio tra il pubblico. «Vedi, iniziano a infastidirsi. Devi capire che è da tanto che aspettano. Vorrebbero partecipare anche loro a questa discussione, ma non possono farlo. Devo prima prepararti.»

    «Di cosa stai parlando?», le chiedo molto più che stupito.

    «Parlo della fine di questo spettacolo, che dura ormai da troppo tempo.»

    «Ma io non sapevo niente di tutto questo! Figurati che pensavo non ci fosse nessuno qui dentro, sino a quando non sono entrato e ti ho vista... vi ho visti.» Al contrario di lei io parlo con un tono di voce più alto.

    «Non alzare la voce... questa è la nostra intimità. Se solo sapessi chi sono, ne saresti geloso e rimpiangeresti di non essere stato più discreto.»

    «Allora dimmi chi sei.» Adesso anch’io parlo bisbigliando.

    «Sai benissimo chi sono, devi solo aprire gli occhi... Devi spogliarti», dicendomi così mi sorride.

    «Vuoi dire che devo mettermi nudo come te?» Forse fraintendo.

    «No, sciocco... devi spogliarti di quella maschera che la falsa vita ti ha dato.» Infatti ho frainteso.

    «Scusa, ma proprio non capisco.» Sono come inebetito.

    «Non hai idea di quante volte hai calcato queste scene. Non so chi o cosa ti porta a varcare le porte di questo teatro, ma alla fine anche stavolta sei

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