Discover millions of ebooks, audiobooks, and so much more with a free trial

Only $11.99/month after trial. Cancel anytime.

Qualche volta il buon Dio si ricorda che i buoni siamo noi
Qualche volta il buon Dio si ricorda che i buoni siamo noi
Qualche volta il buon Dio si ricorda che i buoni siamo noi
Ebook230 pages2 hours

Qualche volta il buon Dio si ricorda che i buoni siamo noi

Rating: 0 out of 5 stars

()

Read preview

About this ebook

Qualche volta il buon Dio si ricorda che i buoni siamo noi. Tre casi per “Peppino” Pontorieri “La Pastasciutta della carità” “L'antro della Sibilla” “Guerra di camorra” Il protagonista di questi tre racconti è un commissario di polizia napoletano, Giuseppe Pontorieri, che incontriamo nella sua prima indagine a Verona come semplice ispettore, poi trasferito a Napoli e promosso commissario. Accanto a lui si muovono, oltre ai protagonisti delle vicende e dei casi di cui di volta in volta si deve occupare, la mamma Angelina, fiera ottantenne sincera democratica orgogliosa del lavoro del figlio, e, nel contempo, mai dimentica del ruolo della polizia ai tempi di Scelba e Tambroni. Con la mamma lo zio Francesco, pensionato delle acciaierie di Bagnoli, perplesso comunista traghettato nelle file del PD napoletano e Frieda Schmidt, funzionario della polizia tedesca, fidanzata prima, poi moglie a Napoli dove si trasferisce da sposata e, nell'ultimo caso, il figlio Giovannino. “La pastasciutta della carità” si svolge a Verona e racconta della morte di un barbone su cui l'ispettotre Pontorieri viene chiamato ad indagare, e su cui riuscirà a far luce grazie anche all'aiuto di tre “improbabili” clochard amici del morto. “L'antro della Sibilla” percorre invece le vicende di un “serial killer” all'opera a Napoli in un intrigo che vede coinvolta anche la marina militare americana e il corpo dei “Navy Seal.” In “Guerra di camorra” è il business dei rifiuti a farla da protagonista in una vicenda che si dipana tra Napoli e la Germania e in cui, l'ottimo Pontorieri è chiamato a far luce. Un po' giallo, un po' “noir”, le tre storie mi sembra si facciano leggere: un velo di mistero, una spruzzata di “social” e, per finire, quel tanto di disincanto per una giustizia bendata, ma spesso anche girata da un'altra parte.
LanguageItaliano
Release dateMar 1, 2017
ISBN9788826033273
Qualche volta il buon Dio si ricorda che i buoni siamo noi

Read more from Giorgio Chiavegato

Related to Qualche volta il buon Dio si ricorda che i buoni siamo noi

Related ebooks

Hard-boiled Mystery For You

View More

Related articles

Related categories

Reviews for Qualche volta il buon Dio si ricorda che i buoni siamo noi

Rating: 0 out of 5 stars
0 ratings

0 ratings0 reviews

What did you think?

Tap to rate

Review must be at least 10 words

    Book preview

    Qualche volta il buon Dio si ricorda che i buoni siamo noi - Giorgio Chiavegato

    Giorgio Chiavegato

    Qualche volta il buon Dio si ricorda che i buoni siamo noi

    Tre casi per Peppino Pontorieri

    UUID: b5fd9776-f510-11e6-8591-0f7870795abd

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    Indice dei contenuti

    La pastasciutta della carità

    Personaggi principali

    I

    II

    III

    IV

    V

    VI

    VII

    VIII

    IX

    X

    XI

    XII

    XIII

    XIV

    XV

    XVI

    XVII

    XVIII

    XIX

    XX

    XXI

    XXII

    XXIII

    XXIV

    XXV

    XXVI

    L'ANTRO DELLA SIBILLA

    Personaggi principali

    I

    II

    III

    IV

    V

    VI

    VII

    VIII

    IX

    X

    XI

    XII

    XIII

    XIV

    XV

    XVI

    XVII

    XVIII

    XIX

    XX

    La guerra di camorra

    Personaggi principali

    I

    II

    III

    IV

    V

    VI

    VII

    VIII

    IX

    X

    XI

    XII

    XIII

    XIV

    La pastasciutta della carità

    Personaggi principali

    GIOVANNI MILANESE alias Ingegnere: barbone

    MILAN TOMIC alias Slavo: barbone

    UMBERTO TRICO' alias Lercio: barbone

    ABDEL FATTAH ' ABD-ALLAH alias Carbonella: barbone

    GIUSEPPE PONTORIERI: sovrintendente di polizia

    STEFANO RIGHI: volontario della Ronda della Carità

    FRIEDA SCHMIDT: funzionario della polizia tedesca

    I

    Freddo e nebbia.

    Cavolo se fa freddo, ma chi se ne frega. Una bella coperta calda, ancora mezzo carto­ne di vino e la sigaretta che mi ha dato quel ragazzo un paio di ore fa. Pensa, senza che neanche gliela chiedessi. Qualcuno di bravo c'è ancora.

    Il Lercio stasera non si è visto, aveva una mezza idea di andare in stazione, Carbonel­la e lo Slavo sono sicuramente in strada ad aspettare la Ronda con il piatto di pasta.

    No, io no, oggi non ho fame e me ne resto qui al calduccio con la mia Francesca. Sta­sera è già venuta a trovarmi, e io ho un sacco di cose da raccontarle. Oggi me ne sono capitate delle belle.

    Pensa Francesca, stamattina il vigile che viene a svegliarci per farci spostare prima che comincino ad arrivare i turisti era di buon umore, e invece della solita pedata ha portato, indovina un po'? un thermos di caffè bollente. Dovevi sentire che meraviglia, siamo rinati; chissà cosa gli era preso.

    Poi, piano piano, ci siamo avviati verso i frati del Barana in borgo Venezia, da loro non si può dormire, ma un piatto di minestra calda e un pezzo di pane c'è sempre.

    Una volta mangiato preferiamo tornare qui, in Piazza delle Poste, c'è più movimento, e se stiamo attenti a non dare troppo nell'occhio non ci dice niente nessuno.

    Dai frati abbiamo trovato uno del Nord Europa, un pezzo di ragazzo alto con capelli lunghi e biondi, come i tuoi Francesca, solo che i tuoi profumano di buono, lui puz­zava che neanche il Lercio lo sopportava, pensa. Non è un barbone, ci ha raccontato che sta facendo un pellegrinaggio, che va a piedi fino a Roma,viene dalla Polonia, mi pare.

    Quando parlava nella sua lingua non si capiva niente, ma io un po' di inglese lo ma­stico, ho fatto una gran bella figura, puoi essere fiera di me.

    Il polacco aveva un cane, uno di quelli belli, non so come si chiamano, sembra un lupo con gli occhi azzurri e buono come un pezzo di pane.

    Quando siamo tornati in centro è venuto con noi, e lì, ai giardini dove ci fermiamo sempre, c'è stato un via vai di gente, e tutti si fermavano per fargli una carezza.

    Ci siamo divertiti, veramente.

    Lo Slavo, che aveva racimolato qualche spicciolo, è andato al supermercato lì vicino a prendere un paio di cartoni di vino. Siamo stati un bel po' a bere e a chiacchierare.

    Appena è calata la nebbia, abbiamo recuperato cartoni e coperte e ci siamo preparati per la notte.

    Perché mi guardi così Francesca, ti preoccupi per me? Non devi, non stiamo bene qui? Cosa ci manca, sì forse è un po' duro, ma aspetta... giro la coperta in modo che ti avvolga tutta; è larga sai, ci copre bene.

    Mi dispiace che non riesci a dormire e sei agitata, no, io non ho freddo. Oh guarda, ho il braccio scoperto, pizzica un po', ma non ho freddo.

    Che bello adesso... vieni Francesca, dormiamo.

    II

    Eco,vàrda 'sti tri! No gh'è verso, ogni giorno li mandiamo via e il giorno dopo ce li ri­troviamo ancora qui.

    Digo mi, parchè caso no vai in dormitorio? almeno lì starebbero al caldo, un letto, un cesso per fare i loro bisogni senza cagare e pisciare dietro agli alberi che poi gli spaz­zini devono passare tutti i giorni a pulire. Sai che figura ci facciamo con i turisti. D'altra parte, se tolleriamo decine e decine di cani che i loro padroni portano tutti i giorni qui ai giardini a fare le loro cose, ci stanno anche questi disperati. E che cazzo! I cani sì e gli esseri umani no?

    Ma i cagnolini votano, magari proprio loro no, ma i loro padroni e le loro padroncine sì, e invece a questi di votare non gliene frega nulla, e allora giù bastonate.

    Ma, in fondo, non è che avranno ragione loro?

    Se vanno in dormitorio devono sottostare a regole che neanche in collegio: orari fissi, coprifuoco entro le ventidue, doccia obbligatoria, niente bagaglio, e soprattutto niente alcol; e che cazzo, se togli anche il vino a questi...cosa resta?

    Non sarà il loro modo per dire di no, per opporsi, per rimanere liberi? Sporchi, infred­doliti, magari malati, ma liberi, sì liberi.

    E poi, cosa ne sappiamo del perché si sono ridotti così? Non ci nascono mica.

    Prendi questo, l'Ingegnere. Che storia del cazzo avrà dietro? Non alza mai la voce, parla un italiano meglio del mio, quando non ha bevuto ti verrebbe quasi da dargli del lei; gli altri due no, lo Slavo e Carbonella lo capisci da che inferno vengono, guerra e disperazione per uno, fame e miseria per l'altro: hanno proprio pescato un bel jolly alla lotteria della vita questi qui.

    E mi? Davide Ottoboni, cinquantacinque anni, trenta di onorato servizio, una moglie che mi cambierebbe volentieri con un televisore a 56 pollici, una figlia scema che ha scelto, ma pensa che cazzata, ha scelto di rimanere incinta di uno che si può dire neanche conosce perché, diceva, il desiderio di maternità quasi mi soffoca, e il bam­bino adesso ce l'abbiamo in corpo noi, i nonni, che lei deve andare a lavorare, e poi, un minimo di vita sociale gliela vorrai consentire, o no?

    Ma se quella stronza fa tanto di staccarmi dal bambino, allora sì che mi vede incazza­to.

    Il mio nipotino! L'unica cosa bella che ho!

    Basta, ma che pensieri mi vengono stamattina.

    -Su dai voi due, lo vedo che siete svegli, dai. Se arrivate fino all'autopattuglia c'è Silvia, con il caffè, sì l'ha portato anche oggi, ma non vi abituate eh, forza, dai.

    Lo Slavo e Carbonella, raccolta la roba si avviano verso la macchina dove Silvia, la mia collega, li aspetta con il thermos in mano. È stata lei ad avere questa bella pensat­a: un thermos di caffè caldo che fa quasi più bene a noi che a loro.

    Ma l'Ingegnere? Com'è che non si muove? Ha fatto proprio il pieno ieri sera.

    - Su dai Ingegnere, dai che quelli ti bevono tutto il caffè, vuoi alzarti o no?

    Ma che cazzo, non starà male? Non si muove proprio, provo a scuoterlo, mi inginoc­chio, sposto la coperta che lo copre fin sulla faccia e capisco subito: poveraccio, ha fi­nito di soffrire.

    Mi rialzo e resto muto davanti al corpo, ho la testa vuota, mi dispiace, mi viene da piangere.

    Silvia ha capito che qualcosa non va, è scesa dalla macchina. Mi giro e le dico:

    -Avvisa la centrale che mandino un'ambulanza, l'Ingegnere è morto.

    Lo Slavo si rovescia il caffè sui pantaloni; Carbonella si piega in due, la testa tra le ginocchia.

    III

    Meno male, l'ambulanza è arrivata, il medico è chino sul cadavere.

    Mi avvicino all'agente della Municipale, mi presento e gli chiedo com'è andata, se sa chi è il morto.

    Lo vedo scosso, ma si riprende in fretta e mi riepiloga la situazione.

    Si tratta di un senza fissa dimora, un barbone che d'inverno veniva a dormire sotto i portici del vecchio tribunale dove l'hanno trovato stamattina.

    Non si conosce l'identità della vittima, era soprannominato l'Ingegnere, un barbone sì, ma dava l'impressione di essere una persona di una certa cultura, tranquillo, mai nes­sun problema da parte sua.

    No, non si sa come sia successo, forse il freddo, il cuore, chissà.

    Il medico si rialza dal cadavere e viene da me, ha fatto un esame preliminare. Azzarda una valutazione sull'ora della morte e sulla possibile causa: arresto cardiaco intorno a mezzanotte l'una, per ora non può dire di più.

    Chiedo se posso perquisire la salma prima che la portino via, mi fa un cenno d'assen­so e se ne va.

    Se avessi una monetina per tutte le volte che i medici legali mi hanno parlato di arresto cardiaco sarei ricco! Chi cazzo me l'ha fatto scegliere questo mestiere! Sì, scegliere, parola grossa, come se avessi potuto scegliere il mestiere che volevo fare, e ringraziare che dopo due anni da disoccupato è uscito il concorso in polizia.

    Vabbuò, diamo un'occhiata a questo mucchio di stracci.

    Però, aveva ragione il vigile, è strano per essere un barbone. Il cappotto è vecchio, liso, ma ha l'aria di essere stato a suo tempo un cashemire notevole, chissà dove l'avrà trovato, questa non è roba che si regala ai poveri. Giacca consumata e sbrindellata, vediamo un po' l'etichetta; Harris Tweed cavolo, qui non si scherza.

    Ah ecco, un portafogli in coccodrillo, volevo ben dire. No, soldi non ce ne sono, al­meno questo combacia con il quadro, quasi quasi mi aspettavo due o tre carte di cre­dito.

    Vediamo: la foto di una bella ragazza dai lunghi capelli biondi che sorride e saluta con il pugno chiuso, però...

    La carta d'identità: Comune di Milano rilasciata il 20 Giugno 1998 a... cazzarola, In­gegnere Giovanni Milanese.

    E bravo l'Ingegnere, chissà come hai fatto a ridurti così.

    Il vigile urbano che era rimasto in disparte si avvicina, ha in mano un thermos e mi chiede se gradisco un goccio di caffè caldo.

    - Sa Sovrintendente ,- dice come per scusarsi, - l'avevamo portato per loro ,- e con la mano fa un cenno verso il cadavere.

    Beh penso, meno male che 'ste cose non succedono solo a Napoli, e con soddisfazio­ne accetto una tazza di caffè ancora caldo.

    Ma vediamo di combinare qualcosa.

    Vicino all'autopattuglia dei vigili due barboni se ne stanno accucciati, immobili, men­tre la vigilessa parla con loro. Mi avvicino e sento che li sta tranquillizzando, non de­vono aver paura, qualche domanda, poi potranno andare. Proprio brava, è l'atteggia­mento giusto con questi individui, sempre troppo spaventati davanti alle autorità quando non incarogniti e pieni di ostilità.

    Questi già rispondono meglio al clichè: capelli arruffati, barba lunga, vestiti a strati per combattere il freddo, e una puzza che si sente a due metri di distanza.

    La vigilessa mi stupisce ancora una volta: ha già annotato gli estremi dei loro docu­menti, me li presenta con i loro soprannomi.

    Lo Slavo, capelli biondi e sfibrati, occhi celesti, barba lunga, alto e magro, quasi ema­ciato... potrà avere cinquanta, sessant'anni, forse meno, ma con la vita che fa, chi può dire.

    Carbonella è nero come il demonio, capelli scuri e ricci con parecchi fili grigi, non si rade forse da una settimana, e una barba ispida e grigia gli copre la faccia. Anche per lui azzardare un'età non è semplice, però è più in carne dell'altro; strigliato e ripulito a dovere farebbe ancora la sua figura.

    Taccuino in mano gli chiedo cosa hanno visto.

    Come da copione: non hanno visto nè sentito.

    L'hanno lasciato intorno alle ventitre e trenta, mezzanotte, che stava bevendo, quindi ancora vivo; bravi, non male la precisazione.

    È l'ora in cui di solito la Ronda della Carità si ferma con il furgone in quello slargo laggiù, all'inizio della piazza. Loro sono quattro o cinque che dormono nei paraggi, e a quell'ora si affollano tutti intorno ai volontari che offrono un piatto di pasta al ragù, un pezzo di pane, qualche volta dei formaggini appena scaduti. Per bere c'è la fontanella là in fondo, ché di vino la Ronda non vuol sentir parlare.

    Hanno mangiato, scambiato qualche parola con i volontari, ché, si sa, bisogna pur dargli qualche soddisfazione, e se ne sono tornati a dormire sotto i portici dove stava l'Ingegnere. Loro non si sono accorti di nulla, lui già dormiva, forse Francesca era già passata a trovarlo.

    - Francesca? E chi è questa Francesca?

    Mah, loro non lo sanno. Lui raccontava che tutte le notti , prima di addormentarsi, Francesca passava a trovarlo, chiacchieravano un po', si addormentavano insieme, ma poi lei andava via prima dell'alba, ché suo papà, il papà dell'Ingegnere, non doveva vederli insieme.

    - Ma voi l'avete mai vista questa Francesca?

    - No, noi no, ma sa Signor Ispettore, non siamo curiosi, erano fatti suoi.

    Silvia, la vigilessa, mi dice sottovoce che non c'è nessuna Francesca, era solo un so­gno che l'Ingegnere, il morto insomma, faceva tutte le notti; un sogno innocuo, chis­sà, forse il ricordo di un amore della vita di prima, un ricordo che lo faceva star bene.

    Chiudo il taccuino su cui mi accorgo di non aver appuntato nulla, ma cosa vuoi scri­vere? I sogni, appunto, si possono solo sognare

    IV

    Oh caspita, proprio non è giornata!

    Se è per questo non è mai giornata: mi sa che mi sono infilato in un vicolo cieco, un buco nero che neanche Hawking l'aveva mai immaginato.

    Il progetto era ambizioso: uno studio di almeno duecento pagine sui moderni aspetti dell'alienazione, e com'è che lo volevo chiamare? La devianza al tempo del web, sot­totitolo C ascami di umanità dolente tra Social Media e Vita Reale, uno studio del Dott. Stefano Righi. Come se fosse facile mettere a confronto le miserie di un'umani­tà sconfitta con gli algoritmi dei moderni stregoni.

    Povero coglione, tra tutte le materie che avresti potuto scegliere proprio in psicologia ti dovevi laureare.

    Credevi che la tua curiosità delle persone, dei loro stati d'animo, dei loro pensieri pro­fondi, fosse segno sicuro di capacità di analisi, di penetrare e svelare inconsci tene­brosi; già ti immaginavi moderno guaritore, sciamano dell'età moderna, e invece eri solo uno con la scabrosa tendenza a farsi gli affari degli altri, un curioso pettegolo in fondo.

    Ahi ahi, stamane sono in pieno processo di autocoscienza, se va avanti così

    Enjoying the preview?
    Page 1 of 1