Qualche volta il buon Dio si ricorda che i buoni siamo noi
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Qualche volta il buon Dio si ricorda che i buoni siamo noi - Giorgio Chiavegato
Giorgio Chiavegato
Qualche volta il buon Dio si ricorda che i buoni siamo noi
Tre casi per Peppino
Pontorieri
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Indice dei contenuti
La pastasciutta della carità
Personaggi principali
I
II
III
IV
V
VI
VII
VIII
IX
X
XI
XII
XIII
XIV
XV
XVI
XVII
XVIII
XIX
XX
XXI
XXII
XXIII
XXIV
XXV
XXVI
L'ANTRO DELLA SIBILLA
Personaggi principali
I
II
III
IV
V
VI
VII
VIII
IX
X
XI
XII
XIII
XIV
XV
XVI
XVII
XVIII
XIX
XX
La guerra di camorra
Personaggi principali
I
II
III
IV
V
VI
VII
VIII
IX
X
XI
XII
XIII
XIV
La pastasciutta della carità
Personaggi principali
GIOVANNI MILANESE alias Ingegnere: barbone
MILAN TOMIC alias Slavo: barbone
UMBERTO TRICO' alias Lercio: barbone
ABDEL FATTAH ' ABD-ALLAH alias Carbonella: barbone
GIUSEPPE PONTORIERI: sovrintendente di polizia
STEFANO RIGHI: volontario della Ronda della Carità
FRIEDA SCHMIDT: funzionario della polizia tedesca
I
Freddo e nebbia.
Cavolo se fa freddo, ma chi se ne frega. Una bella coperta calda, ancora mezzo cartone di vino e la sigaretta che mi ha dato quel ragazzo un paio di ore fa. Pensa, senza che neanche gliela chiedessi. Qualcuno di bravo c'è ancora.
Il Lercio stasera non si è visto, aveva una mezza idea di andare in stazione, Carbonella e lo Slavo sono sicuramente in strada ad aspettare la Ronda con il piatto di pasta.
No, io no, oggi non ho fame e me ne resto qui al calduccio con la mia Francesca. Stasera è già venuta a trovarmi, e io ho un sacco di cose da raccontarle. Oggi me ne sono capitate delle belle.
Pensa Francesca, stamattina il vigile
che viene a svegliarci per farci spostare prima che comincino ad arrivare i turisti era di buon umore, e invece della solita pedata ha portato, indovina un po'? un thermos di caffè bollente. Dovevi sentire che meraviglia, siamo rinati; chissà cosa gli era preso.
Poi, piano piano, ci siamo avviati verso i frati del Barana in borgo Venezia, da loro non si può dormire, ma un piatto di minestra calda e un pezzo di pane c'è sempre.
Una volta mangiato preferiamo tornare qui, in Piazza delle Poste, c'è più movimento, e se stiamo attenti a non dare troppo nell'occhio non ci dice niente nessuno.
Dai frati abbiamo trovato uno del Nord Europa, un pezzo di ragazzo alto con capelli lunghi e biondi, come i tuoi Francesca, solo che i tuoi profumano di buono, lui puzzava che neanche il Lercio lo sopportava, pensa. Non è un barbone, ci ha raccontato che sta facendo un pellegrinaggio, che va a piedi fino a Roma,viene dalla Polonia, mi pare.
Quando parlava nella sua lingua non si capiva niente, ma io un po' di inglese lo mastico, ho fatto una gran bella figura, puoi essere fiera di me.
Il polacco aveva un cane, uno di quelli belli, non so come si chiamano, sembra un lupo con gli occhi azzurri e buono come un pezzo di pane.
Quando siamo tornati in centro è venuto con noi, e lì, ai giardini dove ci fermiamo sempre, c'è stato un via vai di gente, e tutti si fermavano per fargli una carezza.
Ci siamo divertiti, veramente.
Lo Slavo, che aveva racimolato qualche spicciolo, è andato al supermercato lì vicino a prendere un paio di cartoni di vino. Siamo stati un bel po' a bere e a chiacchierare.
Appena è calata la nebbia, abbiamo recuperato cartoni e coperte e ci siamo preparati per la notte.
Perché mi guardi così Francesca, ti preoccupi per me? Non devi, non stiamo bene qui? Cosa ci manca, sì forse è un po' duro, ma aspetta... giro la coperta in modo che ti avvolga tutta; è larga sai, ci copre bene.
Mi dispiace che non riesci a dormire e sei agitata, no, io non ho freddo. Oh guarda, ho il braccio scoperto, pizzica un po', ma non ho freddo.
Che bello adesso... vieni Francesca, dormiamo.
II
Eco,vàrda 'sti tri! No gh'è verso, ogni giorno li mandiamo via e il giorno dopo ce li ritroviamo ancora qui.
Digo mi, parchè caso no vai in dormitorio? almeno lì starebbero al caldo, un letto, un cesso per fare i loro bisogni senza cagare e pisciare dietro agli alberi che poi gli spazzini devono passare tutti i giorni a pulire. Sai che figura ci facciamo con i turisti. D'altra parte, se tolleriamo decine e decine di cani che i loro padroni portano tutti i giorni qui ai giardini a fare le loro cose, ci stanno anche questi disperati. E che cazzo! I cani sì e gli esseri umani no?
Ma i cagnolini votano, magari proprio loro no, ma i loro padroni e le loro padroncine sì, e invece a questi di votare non gliene frega nulla, e allora giù bastonate.
Ma, in fondo, non è che avranno ragione loro?
Se vanno in dormitorio devono sottostare a regole che neanche in collegio: orari fissi, coprifuoco entro le ventidue, doccia obbligatoria, niente bagaglio, e soprattutto niente alcol; e che cazzo, se togli anche il vino a questi...cosa resta?
Non sarà il loro modo per dire di no, per opporsi, per rimanere liberi? Sporchi, infreddoliti, magari malati, ma liberi, sì liberi.
E poi, cosa ne sappiamo del perché si sono ridotti così? Non ci nascono mica.
Prendi questo, l'Ingegnere. Che storia del cazzo avrà dietro? Non alza mai la voce, parla un italiano meglio del mio, quando non ha bevuto ti verrebbe quasi da dargli del lei; gli altri due no, lo Slavo e Carbonella lo capisci da che inferno vengono, guerra e disperazione per uno, fame e miseria per l'altro: hanno proprio pescato un bel jolly alla lotteria della vita questi qui.
E mi? Davide Ottoboni, cinquantacinque anni, trenta di onorato servizio, una moglie che mi cambierebbe volentieri con un televisore a 56 pollici, una figlia scema che ha scelto
, ma pensa che cazzata, ha scelto
di rimanere incinta di uno che si può dire neanche conosce perché, diceva, il desiderio di maternità quasi mi soffoca, e il bambino adesso ce l'abbiamo in corpo noi, i nonni, che lei deve andare a lavorare, e poi, un minimo di vita sociale gliela vorrai consentire, o no?
Ma se quella stronza fa tanto di staccarmi dal bambino, allora sì che mi vede incazzato.
Il mio nipotino! L'unica cosa bella che ho!
Basta, ma che pensieri mi vengono stamattina.
-Su dai voi due, lo vedo che siete svegli, dai. Se arrivate fino all'autopattuglia c'è Silvia, con il caffè, sì l'ha portato anche oggi, ma non vi abituate eh, forza, dai.
Lo Slavo e Carbonella, raccolta la roba si avviano verso la macchina dove Silvia, la mia collega, li aspetta con il thermos in mano. È stata lei ad avere questa bella pensata: un thermos di caffè caldo che fa quasi più bene a noi che a loro.
Ma l'Ingegnere? Com'è che non si muove? Ha fatto proprio il pieno ieri sera.
- Su dai Ingegnere, dai che quelli ti bevono tutto il caffè, vuoi alzarti o no?
Ma che cazzo, non starà male? Non si muove proprio, provo a scuoterlo, mi inginocchio, sposto la coperta che lo copre fin sulla faccia e capisco subito: poveraccio, ha finito di soffrire.
Mi rialzo e resto muto davanti al corpo, ho la testa vuota, mi dispiace, mi viene da piangere.
Silvia ha capito che qualcosa non va, è scesa dalla macchina. Mi giro e le dico:
-Avvisa la centrale che mandino un'ambulanza, l'Ingegnere è morto.
Lo Slavo si rovescia il caffè sui pantaloni; Carbonella si piega in due, la testa tra le ginocchia.
III
Meno male, l'ambulanza è arrivata, il medico è chino sul cadavere.
Mi avvicino all'agente della Municipale, mi presento e gli chiedo com'è andata, se sa chi è il morto.
Lo vedo scosso, ma si riprende in fretta e mi riepiloga la situazione.
Si tratta di un senza fissa dimora
, un barbone che d'inverno veniva a dormire sotto i portici del vecchio tribunale dove l'hanno trovato stamattina.
Non si conosce l'identità della vittima, era soprannominato l'Ingegnere, un barbone sì, ma dava l'impressione di essere una persona di una certa cultura, tranquillo, mai nessun problema da parte sua.
No, non si sa come sia successo, forse il freddo, il cuore, chissà.
Il medico si rialza dal cadavere e viene da me, ha fatto un esame preliminare. Azzarda una valutazione sull'ora della morte e sulla possibile causa: arresto cardiaco intorno a mezzanotte l'una, per ora non può dire di più.
Chiedo se posso perquisire la salma prima che la portino via, mi fa un cenno d'assenso e se ne va.
Se avessi una monetina per tutte le volte che i medici legali mi hanno parlato di arresto cardiaco
sarei ricco! Chi cazzo me l'ha fatto scegliere questo mestiere! Sì, scegliere, parola grossa, come se avessi potuto scegliere il mestiere che volevo fare, e ringraziare che dopo due anni da disoccupato è uscito il concorso in polizia.
Vabbuò, diamo un'occhiata a questo mucchio di stracci.
Però, aveva ragione il vigile, è strano per essere un barbone. Il cappotto è vecchio, liso, ma ha l'aria di essere stato a suo tempo un cashemire notevole, chissà dove l'avrà trovato, questa non è roba che si regala ai poveri. Giacca consumata e sbrindellata, vediamo un po' l'etichetta; Harris Tweed cavolo, qui non si scherza.
Ah ecco, un portafogli in coccodrillo, volevo ben dire. No, soldi non ce ne sono, almeno questo combacia con il quadro, quasi quasi mi aspettavo due o tre carte di credito.
Vediamo: la foto di una bella ragazza dai lunghi capelli biondi che sorride e saluta con il pugno chiuso, però...
La carta d'identità: Comune di Milano rilasciata il 20 Giugno 1998 a... cazzarola, Ingegnere Giovanni Milanese.
E bravo l'Ingegnere, chissà come hai fatto a ridurti così.
Il vigile urbano che era rimasto in disparte si avvicina, ha in mano un thermos e mi chiede se gradisco un goccio di caffè caldo.
- Sa Sovrintendente ,- dice come per scusarsi, - l'avevamo portato per loro ,- e con la mano fa un cenno verso il cadavere.
Beh penso, meno male che 'ste cose non succedono solo a Napoli, e con soddisfazione accetto una tazza di caffè ancora caldo.
Ma vediamo di combinare qualcosa.
Vicino all'autopattuglia dei vigili due barboni se ne stanno accucciati, immobili, mentre la vigilessa parla con loro. Mi avvicino e sento che li sta tranquillizzando, non devono aver paura, qualche domanda, poi potranno andare. Proprio brava, è l'atteggiamento giusto con questi individui, sempre troppo spaventati davanti alle autorità quando non incarogniti e pieni di ostilità.
Questi già rispondono meglio al clichè: capelli arruffati, barba lunga, vestiti a strati per combattere il freddo, e una puzza che si sente a due metri di distanza.
La vigilessa mi stupisce ancora una volta: ha già annotato gli estremi dei loro documenti, me li presenta con i loro soprannomi.
Lo Slavo, capelli biondi e sfibrati, occhi celesti, barba lunga, alto e magro, quasi emaciato... potrà avere cinquanta, sessant'anni, forse meno, ma con la vita che fa, chi può dire.
Carbonella è nero come il demonio, capelli scuri e ricci con parecchi fili grigi, non si rade forse da una settimana, e una barba ispida e grigia gli copre la faccia. Anche per lui azzardare un'età non è semplice, però è più in carne dell'altro; strigliato e ripulito a dovere farebbe ancora la sua figura.
Taccuino in mano gli chiedo cosa hanno visto.
Come da copione: non hanno visto nè sentito.
L'hanno lasciato intorno alle ventitre e trenta, mezzanotte, che stava bevendo, quindi ancora vivo; bravi, non male la precisazione.
È l'ora in cui di solito la Ronda della Carità si ferma con il furgone in quello slargo laggiù, all'inizio della piazza. Loro sono quattro o cinque che dormono nei paraggi, e a quell'ora si affollano tutti intorno ai volontari che offrono un piatto di pasta al ragù, un pezzo di pane, qualche volta dei formaggini appena scaduti. Per bere c'è la fontanella là in fondo, ché di vino la Ronda non vuol sentir parlare.
Hanno mangiato, scambiato qualche parola con i volontari, ché, si sa, bisogna pur dargli qualche soddisfazione, e se ne sono tornati a dormire sotto i portici dove stava l'Ingegnere. Loro non si sono accorti di nulla, lui già dormiva, forse Francesca era già passata a trovarlo.
- Francesca? E chi è questa Francesca?
Mah, loro non lo sanno. Lui raccontava che tutte le notti , prima di addormentarsi, Francesca passava a trovarlo, chiacchieravano un po', si addormentavano insieme, ma poi lei andava via prima dell'alba, ché suo papà, il papà dell'Ingegnere, non doveva vederli insieme.
- Ma voi l'avete mai vista questa Francesca?
- No, noi no, ma sa Signor Ispettore, non siamo curiosi, erano fatti suoi.
Silvia, la vigilessa, mi dice sottovoce che non c'è nessuna Francesca, era solo un sogno che l'Ingegnere, il morto insomma, faceva tutte le notti; un sogno innocuo, chissà, forse il ricordo di un amore della vita di prima, un ricordo che lo faceva star bene.
Chiudo il taccuino su cui mi accorgo di non aver appuntato nulla, ma cosa vuoi scrivere? I sogni, appunto, si possono solo sognare
IV
Oh caspita, proprio non è giornata!
Se è per questo non è mai giornata: mi sa che mi sono infilato in un vicolo cieco, un buco nero che neanche Hawking l'aveva mai immaginato.
Il progetto era ambizioso: uno studio di almeno duecento pagine sui moderni aspetti dell'alienazione, e com'è che lo volevo chiamare? La devianza al tempo del web, sottotitolo C ascami di umanità dolente tra Social Media e Vita Reale, uno studio del Dott. Stefano Righi. Come se fosse facile mettere a confronto le miserie di un'umanità sconfitta con gli algoritmi dei moderni stregoni.
Povero coglione, tra tutte le materie che avresti potuto scegliere proprio in psicologia ti dovevi laureare.
Credevi che la tua curiosità delle persone, dei loro stati d'animo, dei loro pensieri profondi, fosse segno sicuro di capacità di analisi, di penetrare e svelare inconsci tenebrosi; già ti immaginavi moderno guaritore, sciamano dell'età moderna, e invece eri solo uno con la scabrosa tendenza a farsi gli affari degli altri, un curioso pettegolo in fondo.
Ahi ahi, stamane sono in pieno processo di autocoscienza, se va avanti così