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L'amore al tramonto
L'amore al tramonto
L'amore al tramonto
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L'amore al tramonto

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About this ebook

La storia si svolge fra Venezia, Mosca, Milano e la Provenza. Jérôme, famoso attore non più giovane e alcolizzato fugge dal motoscafo che lo porta alla presentazione del suo nuovo film al Festival del Cinema di Venezia. Si aggira per la città fino a che, stanco, non trova un posto libero ad un ristorante accanto a una donna, Amelia, di qualche anno più giovane di lui. Dopo qualche esitazione iniziano una conversazione che li porterà a passare la serata assieme. Prima in Piazza San Marco, poi nella camera di lei. Il mattino dopo si lasciano.

Passa il tempo ma lui non riesce a dimenticarla; la cerca, la trova e nasce un amore profondo. Per lei lui decide di disintossicarsi e di iniziare una nuova vita. Anche lei si innamora come non avrebbe mai creduto possibile, visto che sono diversi in tutto, e lo aspetta per iniziare una relazione stabile. Il destino però ha per loro un piano diverso.
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateMar 7, 2017
ISBN9788892650725
L'amore al tramonto

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    L'amore al tramonto - Adelina Lopez

    633/1941.

    L’ubriaco

    Venezia prima del tramonto. Una fine d'agosto bruciante. Il caos del Festival del Cinema. Il rumore dei battelli e dei vaporetti e le gondole tremanti, come uccelli neri sui canali.

    Aveva mal di testa e la nausea. Il rumore del motoscafo lo innervosiva. Persino il vino non aveva effetto. Quante bottiglie dalla mattina? Non lo sapeva più. Non molte, quello lo sapeva, non come prima; gli era stato detto che non doveva più bere, un bicchiere a pasto, quello faceva bene al cuore, ma non di più.

    Ma non faceva bene all'anima, non scacciava la noia di questo mondo di attori e agenti-stampa e giornalisti dalla curiosità che faceva impazzire: sempre rispondere, spiegare il perché, il per come e per chi. Eh sì, non ne poteva più eppure andava proprio là.

    Il suo nuovo film.

    Era un grande attore. Lo sapeva, ogni volta gli dicevano che la sua presenza riusciva a valorizzare anche il più banale dei film, ma adesso non aveva più voglia di ascoltare ancora le stesse cose, di posare per le foto, di essere sincero e di mentire allo stesso tempo. Recitare, sempre. Ma la sua vita non era una recita, eh, no, l'aveva vissuta, era reale per quello che era ed era stata.

    Gli mancava il fiato. Faceva troppo caldo. Ancora un po’ di vino: dello champagne. Ma no, nessun effetto: la testa gli scoppiava e la nausea non se ne andava.

    Jérôme! Per favore, non bere più. Ne hai avuto abbastanza per oggi. E sai quello che ci aspetta! La sua compagna, giovane e ordinata. Col trucco intatto, perfetto -non sudava, era possibile?, era umana? Talvolta ne dubitava.

    Ascolta le rispose Non sono brillo, sei contenta? Ho solo sete con questo caldo

    Non era vero. Voleva andarsene. Scappare. Lasciarli. Non gli piaceva quel film, non gli piaceva più.

    Era stato bello girarlo, ma adesso era finito. Perché quella pantomima? Per chi?

    Doveva andarsene.

    La sua camicia era fradicia, doveva cambiarla. A fatica si mise in piedi. Ehi, Jarry, che fai? Ci vuoi far cadere nel canale? Ho la camicia inzuppata. Devo cambiarla. Aprì la sua valigia e prese una camicia pulita.

    Adesso il problema era togliere una e mettere l'altra con il rullio del motoscafo.

    Non posso restare in piedi, devo sedermi....e si tolse la giacca.

    I bottoni erano veramente irritanti. Sempre difficili. Sempre troppo piccoli per le sue dita grosse. Si concentrò e fece fatica a mantenersi in equilibrio. Merda! Devo sedermi. Ma si era tolto la camicia. Eh là! In valigia! Questo era stato fatto. Si appoggiò alla parete.

    La camicia nuova era fresca al tatto. Ancora uno sforzo. Ancora i bottoni. Ancora la nausea. Ancora mantenersi in equilibrio. La giacca. E un sospiro di sollievo. La vita talvolta poteva davvero innervosirti anche per le cose più banali, come cambiarsi la camicia.

    Bene. Aveva bisogno di un bicchiere. Allungò la mano verso una bottiglia e la guardò.

    Il suo vino.

    Il frutto delle sue vigne. C'era una serata di gala per presentarlo, con cena e invitati. Occorreva mantenere un po' di controllo per non rovinare tutto. Ma se era malato non poteva rovinare niente. La sua assenza avrebbe avuto un senso.

    Sì, era malato. La testa gli doleva e aveva iniziato a girare, aveva la nausea e aveva bisogno della sua bottiglia di champagne e di andarsene.

    Una fuga. Fra la folla. Solo. In seno a Venezia. Per una volta. Solo.

    Jarry, hai finito? Hai bisogno che ti aiuti? No, no. Ho finito. Sono pronto Hai finito di bere? Ne hai avuto abbastanza? Augustine, lasciami in pace. Non cominciare. Non sono ubriaco. Avevo solo sete Se lo dici tu Sì, lo dico io

    Ma lo sapeva, lei non si fidava di lui e come poteva darle torto?

    Mise gli occhiali da sole e uscì appoggiandosi alle pareti. Che bellezza! L'acqua che brillava, le case illuminate dai raggi del sole, i ponticelli, i turisti.

    Doveva sbrigarsi se voleva scappare.

    La città incantatrice lo chiamava con la sua folla, con la sua solitudine, con la sua maestà.

    Non resisto. Devo andarmene.

    Chiamò il pilota: Mario, mi sento male, accosta dove puoi

    Jérôme che cosa c'é? Che hai? Non ti senti bene? Siediti per favore, non ti stancare. Te l'avevo detto di non bere. Ma cosa c'è ? Non rimanere in piedi. Devi vomitare? Ti farà bene

    E lo sosteneva.

    Non è niente Augustine, non essere ridicola. Non devo vomitare. Voglio solo andarmene

    Sei impazzito? Dove vuoi andare? Con i giornalisti e la serata dopo. Hai dimenticato tutto? Andartene, dopo tanto lavoro! Hai perso la testa? No, è un attacco di panico. Siediti, calmati. Predi del tè Ho preso la mia bottiglia e me ne vado. Dì che ho avuto un malore e devo riposare. Tu e gli altri siete perfettamente in grado di gestire tutto.

    Il motoscafo accostò a un moletto: un salto e sarebbe stato libero.

    Prese lo slancio e saltò.

    Si ritrovò a mantenersi in equilibrio sul moletto e la bottiglia gli sfuggì di mano e finì in acqua Bottiglia del cazzo!

    Aveva ritrovato l'equilibrio e si era girato per vedere Augustine e gli altri che lo chiamavano dal motoscafo: Jarry! Jérôme, per favore, stai attento, risali sul motoscafo, non puoi fare questo!

    Eh no. Si sbagliavano. Poteva e lo stava facendo: lasciarli. Lasciarli senza di lui per una volta: che se la sbrigassero da soli: a dire il vero, li pagava per questo.

    E Augustine? Lo conosceva, avrebbe capito, scusato. Come sempre.

    Si girò verso di loro e gridò Lasciatemi in pace. Non ne posso più Ma che cosa dobbiamo dire? Dite che sono ammalato Il motoscafo doveva allontanarsi dal moletto tanto era il traffico all'uscita del Canal Grande e si allontanò con loro e le loro grida.

    Si sentì sollevato. Quattro gradini e si ritrovò sul marciapiede, fra la folla dei turisti che andavano e venivano. Erano ovunque. Ci si poteva perdere. Dimenticarsi per una volta.

    Cominciò a camminare e si sentì meglio. La nausea era passata e la testa era più leggera, e poi aveva fatto un salto come uno stuntman del cinema americano e non era caduto nel canale. Però aveva perduto la sua bottiglia. Che peccato, uno champagne così buono. Doveva andare a cercare un posto dove poteva bere da solo, guardando il sole sparire nell'acqua, guardando la notte avvicinarsi poco a poco, mescolandosi alla gente, uno sconosciuto fra sconosciuti. Sconosciuto anche a se stesso.

    Ma sto camminando senza sapere dove sto andando, non so neanche dove sono. Non importa, cammino ancora un po', poi giro a sinistra in una viuzza e vado a cercare un posto dove posso bere.

    Oh là là. La sua immagine riflessa in una vetrina: completo blu, camicia blu scuro, tutto per nascondere il suo pancione. Eh sì era ingrassato, ma era ben piantato, alto, le mani grandi, le spalle ben squadrate, e il portamento eretto. Sì, poteva dirsi soddisfatto del suo sovrappeso. Gli occhiali da sole gli nascondevano gli occhi. Meglio così. Mai guardarsi negli occhi.

    Riprese a camminare verso l'interno, lontano dalla folla e dal rumore dei battelli.

    Camminava e nessuno lo guardava, nessuno si girava per vedere se era veramente il famoso attore.

    Ma non c'era nessun negozio dove comprare un bottiglia di vino. Questo iniziava a farlo imbestialire.

    Il portatile vibrò nella sua tasca. Eccoli.

    Sì? Ancora? Sto bene grazie. Mi sento bene. No. Non voglio. Resto qui. Non ti dico dove sono. Ancora? Dite che sono ammalato. Malato. Non è difficile da capire. E domani ci sarà la mia resurrezione. Lasciatemi in pace stasera.

    Questo si può fare per la stampa, ma per il ricevimento? Abbiamo bisogno di te, ci sarà anche l'ambasciatore russo Gli direte che sono malato, meglio dite che sono morto. Più pubblicità per domani.......Dai Augustine, lasciami tranquillo, non fare così! Lo sai, qualche volta mi capita. Come? No, no, non ritorno e per favore non richiamare più. Voglio rimanere solo. Capito? e interruppe la comunicazione.

    Non sapeva più dov'era. Non c'era più nessuno, soltanto viuzze e piazzette vuote. Doveva ritornare sui suoi passi e andare verso piazza San Marco.

    Ecco un ponticello per attraversare il canale. Ma ancora stradine e piazzette vuote, case vuote con le persiane chiuse e i muri scrostati. Dei luoghi morti o peggio che stavano morendo. Questa città così bella e così malata, un miracolo di resistenza, la sua sola esistenza era un miracolo: ma che cos'è un miracolo? Non esistono i miracoli, le cose si fanno e si disfano e poi più niente.

    Oh bene, ecco della gente, la vita non si era interrotta era solo lui che era in pausa. E che aveva sete.

    Dei negozi, ma nessuno che vendesse vino.

    Voleva solamente una bottiglia e camminare bevendo, nella semi oscurità e poi nel buio. Solo ubriacarsi un po', vedere l'alba e poi? Poi doveva mettere la testa a posto, scusarsi e ricominciare. L'aveva sempre fatto.

    Ho sete, sant'iddio! Non c'è neanche un bar. Fa caldo, non un soffio d'aria.

    Di stradina in stradina, di piazzetta in piazzetta, di canaletto in canaletto era ritornato verso piazza San Marco: riconosceva più o meno i dintorni.

    La camminata gli aveva fatto bene, la nausea era scomparsa e la testa andava meglio.

    Adesso sono un po' stanco, mi piacerebbe sedermi da qualche parte con una bottiglia di vino bianco bello fresco, ma non c'è posto. Tutti i ristoranti hanno una coda che aspetta fuori.

    I posti nei bar erano tutti occupati e lui aveva bisogno di sedersi, iniziava a mancargli il respiro. Si fermò un momento e si tolse gli occhiali da sole per asciugarsi il viso. Aveva la camicia bagnata e si tolse la giacca. Avvolse le maniche della camicia fino ai gomiti. Oh, sì. Così andava meglio.

    Si guardò intorno e vide un ristorantino con un dehors quasi nascosto da delle piante verdi e folte. Ancora uno sforzo e forse laggiù c'era un posticino per lui, tutto per lui. Per una sera. Per ubriacarsi nel silenzio del rumore degli sconosciuti che lo circondavano.

    Una sera tutta per lui.

    Ricominciò a camminare e arrivò al ristorante. Merda: la coda, nessun posto.

    Maledetti turisti! Erano dappertutto come le formiche! E io ho sete e devo bere! Adesso entro per vedere che cosa c'è dentro. Per lo meno dell'aria condizionata! Spinse la porta e entrò.

    Si fermò un momento per godersi il soffio di aria fresca che gli incollò la camicia allo stomaco e guardare l'interno.

    Non troppo grande, ma ben curato, i tavoli sistemati sulla destra a una distanza ragionevole per non parlarsi gli uni sugli altri in un corridoio che si apriva su una sala dai muri bianchi dove delle piante formavano delle specie di paraventi che separavano dei gruppi di tavoli, e fra le finestre che si potevano aprire sulla strada, degli specchi che allargavano l'ambiente in modo discreto.

    Tutti i tavoli erano di legno, rotondi con delle tovaglie verde scuro; le sedie, anch'esse in legno, erano molto sottili per adattarsi meglio alle dimensioni del locale e per non disturbare il va e vieni dei camerieri, che in quel momento era frenetico.

    Ai tavoli sedeva gente di ogni tipo: dalle coppie eleganti ai turisti con le macchine fotografiche sul tavolo e la guida in mano. Il rumore delle forchette e dei coltelli si mescolava al mormorio delle voci.

    Un cameriere gli si avvicinò: Mi scusi signore, c'è un posto libero al bancone se desidera aspettare dentro Ebbe un soprassalto Grazie mille, vado

    Ed eccomi finalmente su una sedia!

    Quante bottiglie, bicchieri di ogni tipo e forma, anche di diversi colori! C'erano tutte le sfumature del verde e, nascosto dietro tutto questo, un grande specchio. Quel gioco di specchi era davvero carino: non ci si vedeva quasi del tutto, meglio, ci si intravvedeva, ma non si era distratti dalla propria immagine, che era il problema degli specchi nei luoghi pubblici, e si poteva chiacchierare guardando il proprio interlocutore. Anche il marmo del barcone era verde, con delle venature grigie. Un interno veramente intelligente.

    Desidera signore? Eh, una bottiglia di... Spiacente ma non vendiamo bottiglie al banco, solo bicchieri I furbetti E allora un bicchiere di vino della casa Piccolo, medio o grande? Grande, grazie A lei signore Grazie. Guardò il bicchiere, lo toccò: era fresco e come si deve: trasparente perché si potesse vedere il colore del vino. Molto chiaro e molto gradevole. Un buon bianco fresco e delicato che ti fa venir voglia di berne sempre di più.

    Porca miseria se aveva sete, se ne aveva bisogno dopo la sua fuga e la passeggiata solitaria! Faceva bene al cuore e all'anima. L'aveva già finito. Un altro, per favore A lei signore, eccolo qua!

    Piero! il padrone chiamò il cameriere al banco Hai visto chi c'è là? Là dove? Per grazia divina, gli hai appena servito il secondo bicchiere di vino della casa e non l'hai riconosciuto?! Dice il signore con gli occhiali da sole? Dio santo! Il signore con gli occhiali da sole è l' attore francese, l'ubriacone che ha dei ristoranti e che se ne intende di vino e di cibo. Bisogna trovargli un posto prima che non sia ubriaco fradicio Mi scusi, signor Manlio, ma ho l'impressione che sia già ubriaco, non proprio ancora fradicio, ma... Stai zitto per piacere o ti mollo un ceffone e dì a Luca di andare a cercare un posto. È solo, vero? Sicuro che non aspetti nessuno? E come faccio a saperlo? Non gliel'ho chiesto. Ma non hai capito? Potrebbe essere la nostra occasione per farci conoscere, un po' di pubblicità per il locale e per il vino. Ritorna al tuo posto al banco e dagli tutti i bicchieri che vuole mentre aspetta!

    Il proprietario si asciugò il sudore, era emozionato e doveva trovare Luca. Il ragazzo non rientrava. Ma no, eccolo là. Attenzione, capo, stava per far cadere tutti questi piatti! Sì, sì'. C'è un posto fuori? No, è tutto pieno Sei sordo o che? Ho detto un posto, una sedia, non diecimila! Hai capito adesso? Sì, ho capito. C'è un solo posto al tavolo della signora sola, quella che legge il libro. Ha quasi finito, credo; potrei chiederle se accetta di condividere per..... Se vuole? Deve condividere e andarsene il più presto possibile. Vai a dire a Piero di chiedere al signore che è solo se vuole condividere o aspettare qualche minuto Ma la signora non ha ancora finito il sorbetto e ordinato il caffè Dille che non si fanno più caffè per questa sera, se lo ordina e portale il conto. Capirà.

    Il signore è solo? Gli chiese il ragazzo al banco Sì, non aspetto nessuno Allora le abbiamo trovato un posto fuori, se le va bene. Deve aspettare solo qualche minuto perché la signora che è al tavolo finisca Ma se non ha finito, non cacciatela via, vado a chiederle se posso accomodarmi al suo tavolo. Ha detto fuori? E prese in mano il suo terzo bicchiere e si diresse verso l'uscita. Signore aspetti...... Inutile, era già fuori con il suo bicchiere, l'equilibrio un po' instabile, alla ricerca del tavolo.

    Dopo il fresco dell'interno il caldo gli fece l'effetto di una mano che si posava sulle spalle spingendole e per un momento rischiò che il respiro gli mancasse. Ma si riprese in fretta e si avventurò fra le piante alla ricerca di quel posto al tavolo di una signora.

    Una signora? Sola? La tipica turista inglese a Venezia. Tutta cultura e stupore per l'Italia e per Venezia e per il Rinascimento e quell'aria da libro ricoperto di polvere. Un buonasera e l'avrebbe ignorata: non parlava inglese e il francese degli inglesi lo irritava per la sua mancanza di musicalità. Meglio stare zitti. Lei aveva quasi finito, così gli avevano detto, dunque stava per andarsene.

    Guardò dappertutto: dalla sua altezza poteva vedere bene, in lungo e in largo quel piccolo dehors molto ben sistemato, con i tavoli nascosti a piccoli gruppi dalle piante, più siepi che piante, ed ecco laggiù il posto, un tavolo con una sedia vuota. Andò in quella direzione.

    Si avvicinò al tavolo e vide una giovane donna seduta che leggeva un libro.

    No, non era poi così giovane. Leggeva con gli occhiali da presbite e i capelli molto corti avevano molte ciocche bianche. Com'era piccola! Una delle donne più piccole che avesse mai visto. I piedi arrivavano appena a toccare il suolo e la sedia sembrava troppo grande per lei. Il libro era in inglese. Un'inglese o un'americana? Era ben abbronzata e gli sembrava piuttosto greca o spagnola.

    Bene, bisognava accostarla. All'improvviso sollevò il viso verso di lui. Merda! Non era possibile un viso così. Regolare, gli occhi marrone chiaro. E che occhi. Il viso di una statua nella sua rigidità e, sì, gli sembrava molto bella e gli fece quasi paura. Ma non poteva restare così: doveva parlare.

    Mi scusi signora, parla francese? Lei lo guardò e arrossì. Lo aveva riconosciuto di sicuro, ma la sua espressione non cambiava È occupata questa sedia? No Posso sedermi? Non le dà fastidio se divido il tavolo con lei? Per niente. E poi ho quasi finito

    Incredibile, incredibile, incredibile: era lui, l'attore che lei aveva tanto amato e che ora era impazzito. Lui seduto al

    suo tavolo. No, non dico niente, finisco il mio sorbetto mentre leggo il mio libro e me ne vado. Devo solo dire buonasera e andarmene.

    Appoggiò il bicchiere sul tavolo e si sedette. E la guardò.

    Aveva ricominciato a leggere come se lui non esistesse. L'ignorava. Poteva sentire il freddo che li separava. Che strana donna! Ma andava bene così, voleva stare da solo col suo bicchiere e poi con una bottiglia.

    Nel posacenere c'erano dei mozziconi, ma chiese Le dà fastidio se fumo? Per niente, fumo anch'io E lo guardò. Occhiali sul naso, occhi nei suoi. Impassibile. Se lei è una fumatrice posso offrire? E le tese il pacchetto di Gauloise. Ancora quello sguardo. Ma adesso era attraversato da una sfumatura sorpresa che le illuminò gli occhi addolcendo la sua espressione Grazie mille Prese la sigaretta dal pacchetto e la mise fra le dita. Prese la sua e iniziò a cercare il suo accendino. Niente. Sparito. Vide la sua mano che gli mostrava un piccolo accendino rosso Ha perduto l'accendino? Credevo di averlo, ma non lo trovo più Deve sapere che gli accendini sono fatti così. Amano nascondersi Portò la sigaretta alla bocca e si sporse verso di lei. Grazie disse mentre lei accendeva la sua Di niente. Grazie a lei per la mia prima Gauloise dopo una quarantina d'anni

    No! aveva iniziato a parlare, doveva stare zitta e andarsene al più presto. Maledetta Gauloise. Ed era ubriaco, si vedeva chiaramente, e beveva ancora. E lei non sapeva più che fare. Sì, finire la sigaretta e andarsene. Ma doveva stare zitta.

    Ritornò al suo sorbetto. La Gauloise le bruciava la gola, ma era la giovinezza. Era stata la vita davanti a sé. Ora non era altro che un ricordo.

    Riprese il libro che aveva lasciato aperto sul tavolo. Ma perché gli ho detto la mia età? Per fargli paura? Come se potesse interessarsi a me.

    Quarant'anni che non fuma una Gauloise? Ma quando aveva incominciato a fumare, nella culla?

    La guardò meglio. No, non là. Non era così giovane come si poteva credere. Qualche ruga sul collo, le borse sotto gli occhi, qualche piega nelle braccia grassottelle la tradivano. Ma bisognava andarle a cercare, prestarvi attenzione. Perché tutto il resto era giovane, quasi infantile, come le sue mani così piccole, come il suo fisico minuto. Come quel bel viso senza rughe che aveva ripreso la sua espressione severa e rigida.

    L'accento non era inglese Doveva chiederle da dove veniva. Era curioso.

    Bevve ancora un po' di vino e vide che il bicchiere era quasi vuoto: adesso poteva finalmente ordinare una bottiglia. Con calma, Jérôme, hai tutta la notte per te.

    Lei sollevò gli occhi dal libro per prendere il sorbetto e lui ne approfittò.

    Mi scusi, lei è inglese o americana? lei lo guardò e sorrise Né inglese, né americana. Sono italiana. Italiana? E legge in inglese e parla in francese? Come mai? Sorrise ancora e gli occhi le illuminarono il viso Sono insegnante d'inglese e ho studiato francese, ma sono italiana"

    Non sapeva più che dire. Forse doveva presentarsi. Le tese la mano Bene, signora, sono.... Lo so

    Ancora quel freddo, ogni traccia di luce era sparita Ma io non la conosco Lei arrossì lievemente e abbassò gli occhi Lei ha ragione, mi scusi e gli tese la mano. La prese nella sua. Amelia Martini La strinse con delicatezza, era così piccola nella sua che aveva paura di farle male. Jérôme Dontevieux, lieto di conoscerla Un sorriso e la luce si accese di nuovo nei suoi occhi e il suo viso divenne all'improvviso dolce.

    Lei è qui per il Festival del Cinema? Per niente. Sono in vacanza: quattro giorni prima del ritorno a scuola Non le piace il cinema? Non particolarmente. Mi piace vedere un bel film ma preferisco il teatro. Eppure mi conosce Gliel'ho appena detto: mi piace vedere un bel film E allora i miei li ha visti? Non tutti, ma quelli che ho visto mi sono piaciuti molto

    Si era tolta gli occhiali da sopra il naso e ora pendevano da una catena sottilissima. E lo guardava con quegli occhi che adesso erano diventati color nocciola scuro. Lui non si era tolto gli occhiali da sole.

    Le piace Venezia? Molto Anche a me anche se questa meraviglia sta per crollare Sa, è l'Italia. È ovunque così. Tutti amano i nostri capolavori e le nostre città d'arte salvo noi: credo sia dovuto a una mancanza di coscienza civica e a molta ignoranza. Potremmo essere ricchi grazie a tutto questo, ma non si fa niente per preservarlo. Gli italiani in generale sono egoisti e ignoranti. E lo diventano sempre più

    Quanta amarezza nella sua voce. Quanta tristezza nei suoi occhi. Eppure sorrideva.

    Il cameriere arrivò Il conto signora Lei lo guardò sorpresa Grazie E lui se ne andò.

    C'è tanta gente che aspetta? gli chiese. Jérôme guardò al di sopra delle piante Non proprio tanta. Due o tre coppie, mi sembra. Ma mi dica. Che si dovrebbe fare per salvare l'Italia? Cambiare la testa degli italiani. Far pagare loro le tasse. E sì, fare che quelli che guadagnano di più paghino di più Non capisco. Perché far pagare più tasse ai ricchi? Si sono guadagnati i loro soldi come gli altri Sì, ma occorre fare qualche cosa per lo stato, per i servizi. Io le tasse le pago. Perché un ricco non potrebbe pagare? Non fa anche lui parte della società? Dovrebbe pagare tre quarti di quello che guadagna. Ne avrebbe sempre più che a sufficienza per lui, la sua famiglia e le famiglie dei suoi figli!

    Ma in questo modo nessuno diventerebbe più ricco. Tutta la creatività scomparirebbe

    Van Gogh non era ricco!

    Ma oggi… i tempi sono cambiati. Non è un difetto essere il migliore e guadagnare molto e godersi i propri soldi! Ah bene. E gli altri? Quelli che non hanno avuto una tale fortuna li lasciamo morire di fame? Sono tagliati servizi come gli ospedali. E se perdono il posto è finita. E la mancanza di cibo nel mondo? Lo sa, vero, che con una sola parte di quello che guadagnano i più ricchi del mondo si potrebbe salvare l'Africa?

    Questo proprio non lo credo. Il problema dell'Africa sono i governi corrotti. Le guerre. E tutte le associazioni che lavorano là per aiutare le popolazioni a sopravvivere, quelle non vale la pena aiutarle? Non so. Credo che uno abbia il diritto di fare quello che vuole con i suoi soldi Ecco l'egoismo di cui parlavo Ma io non sono egoista!

    Lei lo è nel momento in cui rifiuta di pagare le tasse e di aiutare i più deboli! Non pensavo di avere incontrato un'altra madre Teresa! E io non pensavo di aver incontrato un bambino viziato, grande e grosso, col cibo e il vino al posto del cervello!

    Egli sussultò e si tolse gli occhiali da sole. Lei lo guardò, arrossì e abbassò gli occhi Per favore, mi scusi. Non so che mi ha preso: la ho offesa senza motivo. Mi scusi ancora, sono stanca. È meglio che me ne vada

    Aprì la borsa e prese il portafoglio, cercò la carta di credito e la mise nel quaderno del conto.

    Non lo guardava più, concentrata sul cameriere che andava e veniva senza vederla.

    Ma lui la guardava, vedeva il suo petto sollevarsi leggermente e le sue mani che tremavano.

    Doveva conoscerlo meglio di quanto lui pensasse. Eh sì, c'erano i giornali. E adesso era colpa sua se se ne andava. Non voleva più restare solo. Le posò la mano sul braccio e lei si voltò sorpresa Le chiedo scusa un'altra volta, non avevo alcun diritto di parlarle..... No, ascolti. Sono io che ho iniziato. Mi scusi. Ma non se ne vada.....

    Non aveva tolto il braccio e lo guardava: adesso che era senza occhiali da sole rivedeva quello sguardo quasi umile, velato di tristezza che gli aveva visto in un'intervista in televisione, lo sguardo di qualcuno che si sentiva in colpa. Aveva pensato che fosse appena uscito da una clinica per alcolisti e che fosse la sua presentazione dopo la cura, il suo modo di riscattarsi presso il suo pubblico. E invece no. C'era qualche cosa di più in quello sguardo. Che cosa? Non lo sapeva.

    Il cameriere arrivò e prese il conto. Neanche un minuto ed era già di ritorno.

    Signora, se vuole firmare per favore le disse porgendole una penna.

    Le lasciò il braccio e lei firmò Grazie signora e il cameriere si allontanò.

    Rimanga, la prego Non posso; dopo quello che le ho detto mi vergogno. Non riesco a guardarla. Le chiedo scusa ancora una volta e se lei mi scusa, la saluto

    Vergogna di che? Ha detto solo quello che pensa, questo per me è essere sinceri Lei è veramente gentile, ma sono stata crudele senza motivo. L'ho offesa e non ci sono scuse Lei è troppo severa con se stessa. Io non sono arrabbiato con lei. E poi gliel'ho appena detto, sono stato io a iniziare

    Ma io ho esagerato Ebbene sì. Mi ha detto che sono un idiota! Vede, non posso restare dopo averle detto questo Ma sono cose che si dicono quando si parla di politica, no? Lei è davvero molto gentile E lei non può lasciarmi solo

    E la guardò sorridendo.

    Aveva sempre pensato che il suo sorriso fosse molto simile al sorriso del gatto dello Cheshire, lo Stregatto, del cartone animato Alice nel paese delle meraviglie : un cielo blu scuro era all'improvviso illuminato da una falce di luna attorno alla quale a poco a poco appariva il muso del gatto. E non era un effetto speciale del cinema, era veramente il suo sorriso che illuminava il mondo attorno a lui e il suo viso d'uomo anziano e un po' ubriaco.

    Che faccio? Non riesco a resistergli, resto. Va bene, se lei mi perdona resto ancora un po' con lei Oh vede, non era poi così difficile da dire! E glielo dico ancora, non ho niente da perdonarle. Forza, mi guardi e tutto è finito e dimenticato Alzò gli occhi verso di lui e sorrise. Tutta la rigidità era scomparsa, si poteva leggere tutto nei suoi occhi e sul suo viso. Vergogna, sorpresa e sì anche piacere.

    Allora, posso invitarla a condividere con me una bottiglia? No, grazie Era sorpreso. Adesso è lei ad essere arrabbiata con me? Sorrise e gli mostrò le mani aperte, leggermente alzate, come per scusarsi No, no. È che sono astemia! Incredibile! Un'italiana che non beve vino! Impossibile! Non ci posso credere! La sorpresa nella sua voce la fece ridere.

    Capisco, ma mi creda, non bevo alcolici "Per ragioni

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