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Nella mente del bambino: Come si sviluppa il nostro cervello
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Nella mente del bambino: Come si sviluppa il nostro cervello

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Durante il secondo trimestre di gravidanza, il cervello del feto "fabbrica", ogni minuto, circa 20.000 nuovi neuroni. Qualcosa di più di un milione all'ora. A cinque mesi di vita, la corteccia cerebrale ha già raggiunto i 10.000 milioni di neuroni, che continueranno ad aumentare a un ritmo vertiginoso. Tanto che, tra i 4 ei 12 mesi di vita, i bambini hanno il 50% in più di sinapsi degli adulti.
Bastano questi pochi dati per capire il fascino destato da tutto ciò che riguarda lo sviluppo del cervello, soprattutto per i genitori dei piccoli cervelli in formazione. Ma quello stesso interesse fa sì che a volte proliferi ogni genere di informazione a riguardo, che addirittura promette la possibilità di "programmare" le menti dei bambini, come se si trattasse del manuale di istruzioni di un computer.
Come sottolinea Tiziana Cotrufo, neuroscienziata e madre di due bambine, se c'è un momento nella vita in cui l'analogia tra cervello e computer è particolarmente inadeguata è proprio l'infanzia. Lo scopo di questo libro è molto più modesto. Invece di ricette infallibili, si propone come una raccolta di quello che a oggi sappiamo scientificamente sul cervello del bambino e sul suo sviluppo: dalla gestazione nel ventre materno all'adolescenza, con particolare enfasi sul ruolo dei cosiddetti "periodi critici" per l'acquisizione delle capacità fondamentali (apprendimento, memoria, linguaggio, calcolo...).
SULLA COLLEZIONE: Scoprire la scienza è una serie di divulgazione scientifica, in cui alcuni dei migliori docenti, ricercatori e divulgatori presentano in modo chiaro e piacevole, le grandi idee della scienza.
LanguageItaliano
PublisherEMSE
Release dateMar 8, 2017
ISBN9788416330997
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    4/5
    Un testo di facile lettura, divulgativo, che snocciola numerosi fatti scientifici rispetto all'evoluzione dello sviluppo cognitivo e cerebrale del bambino. Personalmente l'ho consigliato ad alcuni pazienti per aiutarli a uscire da una visione adultocentrica dei loro figli e comprendere le basi di alcuni comportamenti.

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Nella mente del bambino - Tiziana Cotrufo

Sacks

La neuroscienza al servizio dei bambini

Un'analogia imperfetta

Al momento di iniziare a scrivere questo libro mi sono seduta davanti al mio computer. Lo riconosco: detto così, non è un inizio particolarmente epico o sorprendente; se il compito delle prime righe deve essere quella di accendere la curiosità del lettore (mi sembra di ascoltare il mio editore), iniziare con un’informazione banale non sembra essere la strategia migliore. Quindi, è opportuno che la giustifichi.

Il riferimento al computer non è gratuito, dal momento che si tratta della comune analogia con la quale ci siamo abituati a concepire la struttura e il funzionamento del nostro cervello. Come il cervello, il computer dispone di una serie di piccole unità funzionali, distribuite qui e là in settori specializzati e tutte collegate attraverso un sistema di cablaggio complesso che assicura la loro interazione. Come noi, riceve stimoli dall’esterno, tramite la tastiera o altri dispositivi esterni, che elabora per fornire risposte ed eseguire i comandi. È un confronto illuminante e non privo di fondamento, ma rischia di essere eccessivamente semplicistico o, peggio, fuorviante, come ci mostrano alcuni dei progressi più significativi nel campo delle neuroscienze raggiunti nel corso degli ultimi anni. In particolare, se vi è una fase nella vita dell’individuo in cui l’immagine «computazionale» del cervello risulta particolarmente inadeguata è senza dubbio quella che corrisponde ai primi anni di vita di ciascuno di noi: all’infanzia. Torniamo al computer per spiegarlo.

Quando il mio pc lasciò la fabbrica, era più o meno quello che è oggi: gli stessi circuiti e processori, la stessa capacità e potenza, identica funzionalità. Nel corso del tempo posso avere aggiunto contenuti o nuovi programmi, ma le sue capacità complessive rimangono all’incirca le stesse. Non è cambiato nulla. La differenza con il cervello del bambino, in costante ebollizione, non potrebbe essere più evidente. Il bambino di cinque anni è in grado di «svolgere funzioni» molto diverse da quello di pochi mesi, non solo perché gli abbiamo fornito contenuti aggiuntivi (come se avessimo installato un nuovo software), ma anche e soprattutto perché il suo cervello si è differenziato: come vedremo, i «processori» si moltiplicano (o si riducono) e le connessioni si modificano.

In questo risiede la cosiddetta plasticità cerebrale, uno dei concetti fondamentali per capire come funziona il cervello, della quale parleremo a lungo nel corso di queste pagine. Al momento, anticipiamo come si tratti di un meccanismo evolutivamente sviluppato affinché gli esseri umani si adattino (condizione necessaria per la sopravvivenza), e non c’è dubbio che funzioni meglio in tenera età, come peraltro il nostro organismo intero (non così l’abilità di prendere decisioni corrette, ma lo vedremo). Le neuroscienze hanno inequivocabilmente dimostrato l’esistenza di momenti più favorevoli per l’apprendimento per la maggior parte dei processi cognitivi e sensorio -motorio: la neurobiologia li chiama periodi critici o sensibili e consistono in relativamente piccole finestre temporali all’interno delle quali è più facile che il cervello sia plastico e si modifichi da un punto di vista strutturale e funzionale. Sebbene il sistema nervoso umano sia attivo alla nascita e quindi il neonato possa respirare, vedere e udire, le sue capacità sono ancora abbastanza ridotte. L’esperienza che il neonato farà a partire dall’uscita del grembo materno contribuirà sostanzialmente a plasmare il numero e il tipo di connessioni nel suo cervello. Per questo motivo, la maggior parte di questi intervalli sensibili alle modificazioni si apre proprio nel periodo successivo alla nascita e si chiude in momenti diversi fino all’adolescenza a seconda del campo cognitivo.

Il secondo recente progresso delle neuroscienze al quale faremo riferimento è la scoperta dei neuroni specchio: quando osserviamo una persona realizzare un’azione, questi neuroni si attivano esattamente come se l’azione la stessimo compiendo noi. I neuroni specchio hanno messo in evidenza il ruolo dell’imitazione e dell’empatia sulle abilità intellettuali e sociali. Prima gli scienziati pensavano che i nostri cervelli utilizzassero processi logici per interpretare e prevedere le azioni degli altri. Ora invece sembra evidente che noi capiamo gli altri non pensando, ma sentendo. Possediamo dunque un substrato neurobiologico per capire come ascoltando parlare la mamma in tono affettuoso si apprende il linguaggio o come guardando la nonna cucire si impara a dare forma ai tessuti e vedendo qualcuno felice ci rallegriamo.

Ultimo punto: sappiamo anche neuroanatomicamente che le vie nervose che consolidano la memoria passano dal filtro delle emozioni. Se una determinata esperienza produce un’emozione, più facilmente genererà un ricordo più duraturo. A questo proposito il recente cartone animato per bambini, e per adulti direi, Inside Out, ha cercato di mettere a disposizione della società alcune di queste evidenze in modo estremamente accessibile. Le nostre identità sono definite dai caratteri che ereditiamo, ma anche dalle esperienze e dalle emozioni che proviamo: ciò dà forma alla maniera in cui noi percepiamo, a come ci esprimiamo e alle risposte che noi evochiamo negli altri. Il successo cinematografico ha alcune limitazioni (probabilmente per esigenze di produzione), come l’esistenza di cinque sole emozioni che utilizzano un pannello di controllo unico nel cervello, quando in realtà le emozioni sono molto più numerose e la coscienza è un po’ il frutto dell’attività dell'intera corteccia cerebrale; non sono d’accordo neanche sull’idea che la prima emozione a nascere sia l’allegria, anche se senza dubbio dovremmo tendere a che sia predominante. Ma il messaggio di gran lunga più significativo è che le emozioni, piuttosto che distruggere, organizzano il pensiero razionale. Cartesio i razionalisti ci hanno trasmesso l’idea che le emozioni e il ragionamento logico procedessero per vie parallele, e ora invece non abbiamo dubbi che partecipino al corretto sviluppo della razionalità e anche del nostro giudizio morale del bene e del male. E persino la tristezza, a cui pensiamo come a un'emozione poco produttiva e inerte, può spingere gli individui a reagire davanti a una perdita e a imparare da essa. Perché allora non insegnare generando emozioni?

Plasticità cerebrali, neuroni specchio e importanza delle emozioni sono pertanto le tre caratteristiche essenziali nel processo di apprendimento che rendono inadeguato il «modello computazionale» con il quale talvolta concepiamo il cervello del bambino. Su queste e altre proprietà biologiche così rilevanti bisogna riflettere e studiare non solo per mantenerle, ma anche per incrementarle e soprattutto utilizzarle al meglio per educare i nostri bambini e i loro insegnanti. La scuola di oggi non può non tenerne conto, ma deve saperne gestire tempi e caratteristiche per aiutare bambini e giovani a costruire il loro cervello, che poi significa anche il loro comportamento.

Il problema di oggi però non è solamente la mancanza di nuove riforme dell’educazione che contemplino queste recenti conoscenze, ma è anche il fatto che non esista un adeguato trasferimento di queste informazioni/applicazioni alla società. Dalle interpretazioni dei dati forniti dalle neuroscienze è nato un vero e proprio mercato che spesso spinge i genitori ansiosi e non a cercare asili nido che presentino ai piccoli collezioni di bit di intelligenza, a comprare in tenera infanzia i giochi di stimolazione più evoluti, a seguire le presunte basi neuroscientifiche dei nuovi e precoci metodi di apprendimento della matematica e delle lingue da zero a tre anni; tutto per garantire un futuro brillante a chi più amano al mondo. Non si tratta di screditare l’efficacia di alcune di queste metodologie sui bambini, in molti casi assolutamente necessarie nel caso di problemi dello sviluppo, come per i bambini autistici o dislessici o con disturbi dell’attenzione e iperattività, che richiedono un’attenzione speciale e soprattutto tecniche di apprendimento adattate. Semplicemente bisognerebbe parlare in termini di neuroeducazione, ovvero dell’utilizzazione delle conoscenze nelle neuroscienze per dare valore a evidenze ottenute dall’esperienza e per sviluppare i più appropriati metodi di insegnamento, piuttosto che di stimolazioni precoci a qualunque costo. Bisogna dunque sfatare i «neuromiti» che la società ha creato coscientemente o non per i propri interessi e cercare quanto di più genuino ci sia nell’ambito della ricerca sul cervello per facilitare non solo la conoscenza, ma anche la felicità che la conoscenza apporta, e questo sì che significa IMPARARE!

Scopo di questo libro è perciò quello di chiarire quali sono le fasi fondamentali dello sviluppo del sistema nervoso, i meccanismi con cui agisce la plasticità sinaptica e i processi cerebrali con cui i diversi stimoli vengono percepiti per mettere le neuroscienze a disposizione dell’educazione dei cervelli e delle coscienze dei nostri bambini.

Con tale proposito, cominceremo con un capitolo dedicato a illustrare brevemente le basi neurobiologiche del cervello: anche se non è solo un computer, per capire il suo funzionamento è necessario possedere alcune conoscenze di base sulle sue unità funzionali (neuroni) e la sua struttura (il «cablaggio» e le distinte aree in cui si svolge). Provvisti così dell’attrezzatura di base, nel secondo capitolo passeremo a descrivere i primi eventi dello sviluppo cerebrale embrionale e fetale, dove sono soprattutto i geni a dire la loro. Apriremo poi una finestra sul sistema nervoso infantile, dai neonati ai bambini: l’ambiente in cui si vive e gli stimoli ricevuti prenderanno il sopravvento.

Ne approfitteremo inoltre per fare una breve incursione nel periodo di «massima capacità distruttiva e minima capacità di ragionamento», l’adolescenza. I due capitoli successivi parleranno dello sviluppo delle principali abilità e di quello che le neuroscienze più attuali possono apportare alla società per comprendere i processi di apprendimento. Il sesto chiuderà l’opera dando uno sguardo alla nuova disciplina della neuroeducazione e a come sia già riuscita per lo meno a sfatare i neuromiti.

Prima di concludere questo capitolo introduttivo vorrei introdurre un’ultima fondamentale osservazione su questa «analogia imperfetta» di cui stiamo parlando: se il cervello non è (solo) un computer, vuol dire che non ci sono manuali di istruzioni con le quali sia possibile «programmarlo». Il lettore che cerchi ricette infallibili per trasformare il suo bambino in

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