Nascere Dannati
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Book preview
Nascere Dannati - Cesare Marchetti
633/1941.
NOTA DELL’AUTORE
Il romanzo è la storia di un bambino adottivo di indole ribelle, che non sopporta il prossimo, i genitori e usa spesso la violenza fino al punto di farsi catalogare come un subnormale, un pazzo.
Cresce bello e forte ma le sue malefatte continuano sempre di maggiore gravità. Scopre il sesso e va con le prostitute, seduce una ragazzina di buona famiglia e la mette incinta, lo obbligano a un matrimonio che lui rifiuta. Scopre l’alcol, la droga e continua la sua vita sbandata tra discoteche e scorribande notturne. I genitori tentano di dargli un lavoro nella meccanica, che sembra essere l’unica cosa che lo interessi, ma questo ragazzo non è capace di un’applicazione costante. Viene a sapere di essere un figlio adottivo e allora impone ai genitori di fargli conoscere la vera madre, ma questa conoscenza lo sconvolgerà. La storia ha un tragico finale che qui non rivelo.
Il personaggio del ragazzo Marco rimane enigmatico, perché nessuno riesce a penetrare la sua psiche contorta. Durante il racconto cadono una a una le sue maschere, ma non riusciamo mai a capire la ragione di tante trasgressioni, in fondo però i suoi disturbi e la sua personalità complessa non riescono a farcelo sentire come un peso o un essere fastidioso; bisogna cercare di capirlo nel contesto sociale in cui viviamo, in cui i reietti, gli antisociali vengono emarginati.
I
In un quartiere residenziale di Monza, poco lontano dal parco della villa reale si trovava la villetta dei signori Lombardini, non grande ma molto graziosa. Aveva un giardino nella parte antistante l'ingresso e un orto nella parte opposta. Il quartiere del quale faceva parte la villetta, era uno dei più eleganti della città, abitato da dirigenti e professionisti. Un largo viale lo costeggiava, dal quale per molti varchi si poteva accedere al grande parco della villa reale, vasto, odoroso di bosco e pieno di fiori di varia natura in primavera. La pace e il benessere sembravano regnare nel quartiere e trapelavano da quei piccoli giardini così ben curati e dai balconi, nei quali occhieggiavano penduli gerani, rose e margherite.
La vita sembrava scorrere quietamente tra le mura di quella villetta, circondata da fiori e da qualche albero da frutta. Tutto era programmato, nulla era lasciato al caso. Ma da qualche tempo a questa parte qualcosa di anomalo succedeva e chi avesse potuto entrare in quella casa, avrebbe assistito a scene come quella che stiamo per raccontare.
Signora Elena, signora Elena!
chiamava Caterina la colf di casa, accorrendo.
Marco è andato sul tetto e con una fionda lancia sassi a tutto ciò che vede muoversi giù nel giardino!
Elena, che stava correggendo i compiti in classe della sua scolaresca, si scosse, mandò un gran sospiro e disse quasi sovrappensiero: Quel figliolo è indiavolato...anzi ne fa una di più del Diavolo
poi alzò la voce: Caterina, presto va su in soffitta a chiamarlo...ho paura che cada e che si faccia male. Va, va, poi ti raggiungo!
Elena una signora di circa quarant'anni, calma e posata, un po' grassoccia ma bella, incline sempre a vedere il lato buono delle persone, ripose i fogli dei compiti nel cassetto della scrivania, si alzò e corse sulle scale per andare in soffitta a recuperare il figlio.
Marco, un ragazzino di dodici anni, era seduto sulle tegole in una posizione, dalla quale poteva scorgere quasi tutto il giardino sotto di sé e quindi assai pericolosa perché vicina alle grondaie.
Aveva le tasche piene di piccoli sassi. Ogni tanto ne tirava fuori uno, armava la fionda, la puntava su qualche piccione, gatto o gallina che passeggiava per il giardino e poi sparava il colpo violento.
Le povere bestie colpite sussultavano per il dolore e scappavano in qualche rifugio, per curarsi le ferite.
Marco ad ogni colpo andato a segno sghignazzava, tirava fuori la lingua e faceva dei versacci.
Aveva un carattere ribelle e difficile, ma era un bel bambino, alto più della media, vicino ormai all'adolescenza. Il suo viso era longilineo, i capelli bruni, ricciuti e ribelli, le labbra sanamente colorate, già sensuali spiccavano sulla bocca di fine disegno, gli occhi azzurri avevano un'espressione un po' selvatica.
Ora non dava retta ai richiami di Caterina, che voleva rientrasse in soffitta. La poveretta si sgolava per richiamarlo, ma lui non prestava ascolto.
Arrivò Elena. Anche lei si mise a chiamare il figlio senza ottenere alcuna risposta. Allora vide la scaletta che Marco aveva utilizzato per salire sul tetto e disse a Caterina: Tu che sei giovane e svelta, va su, cerca di afferrarlo. Se cade dal tetto si sfracella...
Caterina, che era una giovinotta robusta di campagna, non si scoraggiò. Passò il lucernario e si mise a camminare sul tetto un po' barcollando. Raggiunse Marco e riuscì ad afferrarlo per un braccio.
Tentò di trascinarlo, ma il bambino resisteva, anzi con la mano libera percuoteva l'avambraccio di Caterina, che per questo cominciò ad inquietarsi. Lo afferrò strettamente per tutto il corpo, lo sollevò e lo fece passare attraverso il lucernario. Elena lo tirò a sé con un sospiro.
Marco piangeva, urlava, scalciava in preda ad un attacco isterico. Elena tentava di calmarlo con voce dolce e suadente, ma invano.
Alla fine per calmarlo la madre gli disse: Va bene, sta buono...ti comprerò la carabina che ti ho promesso.
Allora Marco si calmò, scese dalla soffitta e corse nel giardino per controllare se da qualche parte una sua vittima fosse agonizzante.
Ma questa non era che una delle tante prodezze, che quel monello combinava.
Con la bicicletta entrava nelle aiuole scompigliando tutti i fiori, chiamava i suoi amici, giocava al pallone nell'orto dietro la casa spaccando vetri, andava sulla macchina della madre e cercava di metterla in moto usando del fil di ferro, dato che non aveva le chiavi, in casa imbrattava i muri con dei pennarelli che gli avevano regalato, entrava in cucina, rovesciava pentole e rompeva dei piatti per far un dispetto a Caterina.
Ma il peggio succedeva quando usciva in strada. Scappava all'impazzata dal cancello con la bicicletta e percorreva velocemente i marciapiedi del quartiere in cui viveva, non curandosi di urtare qualche pedone, poi si metteva a giocare coi compagni, spesso bisticciava con uno di loro e lo picchiava, approfittando della sua statura e della sua prestanza assai rilevante per un bambino di dodici anni, tirava le trecce alle bambine e le gettava per terra. Insomma era una vera peste.
E a scuola non combinava nulla. In classe (frequentava la prima media) era la disperazione degli insegnanti. Si agitava, si alzava dal suo posto, faceva dispetti ai compagni e sbeffeggiava i professori.
Più volte era stato mandato a casa con una nota, per cui il giorno dopo doveva essere riaccompagnato dai genitori. Allora Elena tutta contrita riaccompagnava a scuola il discolo, si scusava cogli insegnanti, pregandoli di riaccettare in classe il figlio. Ma dopo qualche giorno tutto riprendeva allo stesso modo.
Marco non si applicava per niente allo studio. Gli avevano regalato la licenza della scuola elementare per intercessione della madre, dopo che aveva ripetuto la quinta, perché non sapeva né leggere né scrivere. Ma l'anno ripetuto non era bastato a insegnargli a leggere e a scrivere con facilità.
Molti si domandavano che razza di educazione riceveva ed aveva ricevuto quel bambino in famiglia.
In effetti Elena era troppo dolce e condiscendente con lui, non lo puniva mai ed anzi lo premiava, perché non ripetesse certe marachelle.
Il marito Alberto, dirigente in una grande azienda, stava a casa poco tempo e la sera era troppo stanco per occuparsi dell'educazione del figlio. Durante i week end preferiva andarsene a pescare, perché in casa il figlio era la causa di un continuo trambusto: spostava sedie, accendeva la televisione ad alto volume, litigava con Caterina, non ubbidiva alla madre che lo sgridava continuamente.
Una mattina accadde ciò che forse avrebbe potuto cambiare le cose.
Due carabinieri bussarono alla porta di casa. Venne ad aprire Caterina. I due militi domandarono: E' in casa il bambino Marco Lombardini?
No!
rispose Caterina E' a scuola!
A scuola non c'è. Il preside ci ha detto che è assente da parecchi giorni e allora siamo venuti qui sperando di trovarlo.
Ma come mai? Perché lo cercate?
C'è una banda di ragazzini delinquentelli, che fanno parecchi furti... Ieri hanno rubato dei copertoni da un gommaio, poi vanno a rivenderli da qualche parte. Siamo riusciti a prenderne un paio e ci hanno comunicato i nomi dei loro compagni e tra questi c'è anche Marco. Se torna a casa dite a lui e a sua madre che li aspettiamo in caserma.
Caterina taceva trasecolata, poi ebbe la forza di dire: Quando torna sua madre le dirò tutto.
I due carabinieri fecero un cenno di saluto e se ne andarono.
Quando arrivò Elena, Caterina raccontò tutto. Elena si mise le mani nei capelli, poi con gli occhi inumiditi e la voce tremante cominciò a dire : Adesso cosa avrà combinato? Dove sarà?
Si sedette in poltrona col fazzoletto al naso, mentre Caterina andò in cucina per preparare qualcosa da mangiare. All'ora solita per l'uscita da scuola arrivò Marco. Era tutto rosso e sudato, aveva lo zainetto sulle spalle impolverato. Appena lo vide, Elena gli domandò tutta seria: Ma da dove vieni? So che non sei andato a scuola!
Marco si levò lo zaino dalle spalle, fece una smorfia di noncuranza, poi sbottò: Ma cosa vuoi sapere! A scuola non ci sono andato...Sono fatti miei.
Ma come! Sono fatti tuoi! Non sei andato a scuola e qui sono venuti due carabinieri a cercarti! Mi vuoi spiegare cosa ti è successo?
Elena pronunciò le ultime parole con voce alterata, mostrando tutta la collera di cui era capace.
Marco dava mostra di non dare alcun peso alle parole della madre e si mosse per allontanarsi, ma lei lo prese per un braccio e lo fermò.
Ma insomma marini la scuola per andare a fare cose illecite. e poi con chi?
Marcò rivolse uno sguardo scuro alla madre, poi si mise a gridare: A me della scuola non importa nulla! E' noiosa...non ci voglio più andare!
Si svincolò dalla madre e corse verso le scale per andare in camera sua.
Elena rimase interdetta e si lasciò andare sulla poltrona, emettendo un gran sospiro. Però più tardi disse a Caterina di portare qualcosa da mangiare a Marco.
Alla sera, quando il marito rincasò, gli raccontò tutto.
Alberto era un uomo magro e minuto, ma dava mostra di