Ossessione Criminale
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Ossessione Criminale - Fiorentina Petruzzi
Ringraziamenti
La sconosciuta
Un debole fascio di luce penetrava attraverso le tende socchiuse della mia stanza da letto. Sul pavimento, giaceva distesa e abbandonata chissà da quanto tempo, mezza bottiglia di whisky. Il posacenere era pieno di mozziconi di sigarette. Per terra, sparsi come corpi senza vita c'erano indumenti sporchi. Erano un paio di mesi che nessuno metteva più in ordine in quella casa. Avevo litigato per l'ennesima volta con Clara la donna delle pulizie per via del mio caratteraccio e sarebbe ritornata solo dopo le mie scuse, solo che per il momento non avevo nessuna intenzione di farlo.
La stanza era pervasa da un forte odore di sigaretta e solitudine.
Iron Man dei Black Sabbath iniziò a propagarsi per tutta la camera. La voce metallica di Ozzi che diceva " I Am Iron Man" mi rimbombava nelle orecchie. Alzai la testa molto lentamente e la guidai verso la musica. Era il mio cellulare che urlava. Avrei voluto spegnerlo e rendermi irreperibile almeno per un giorno, ma questo non potevo farlo, il mio lavoro mi richiamava sugli attenti.
Allungai la mano sul comodino, alzai appena lo schermo per leggere chi era. Quel nome pulsava sul piccolo vetro a intermittenza. Era lui. Quell'uomo mi dava il tormento da anni.
Era l'Ispettore Darconi.
«Mi dica Ispettore» risposi assonnato.
«Pizzuto, mi servi in Via Vittorio Emanuele III».
«Ispettore, ma oggi è il mio giorno libero». Dissi contrariato.
«Pizzuto non me ne frega niente! Alza il culo e vieni immediatamente qui» disse ringhiandomi contro.
Lo conoscevo da così tanti anni che per me era come un libro aperto. Riuscivo a percepire le sue espressioni solo parlando con lui al telefono. In quel momento, non potevo non immaginarlo mentalmente. Era infuriato. Il viso gli diventava pezzato e le orecchie prendevano fuoco. Per non parlare della vena bluastra che gli si gonfiava in mezzo alla fronte in maniera spropositata.
Infine seccato, risposi:
«Sissignore».
Avevo chiuso la chiamata infastidito dal fatto di dover scendere in servizio pur avendo il giorno libero. Mi ero seduto sul bordo del letto ripensando alla notte precedente, ma non mi venne niente in mente. Mi ritrovai nudo e con un mal di testa atroce. Allungai la mano e tirai il lenzuolo per coprirmi un po'. La testa era vuota da ogni ricordo. Avevo bevuto così tanto che mi fu difficile anche provare a ricordare. Poggiai il telefono sul comodino. L'occhio mi cadde sulla sveglia. Erano le cinque del mattino. Con l'indice la disattivai e nello stesso tempo afferrai l'incarto morbido delle sigarette. Ne uscii una. Avevo la bocca secca e impastata d'amaro. Adiacente al pacchetto c'era una tazzina di caffè. La sollevai per sbirciarci dentro. Era vuota. Sul fondo la posa era appiccicata e gommosa. Amareggiato, mi portai la sigaretta alla bocca e la accesi. Al primo tiro iniziai a tossire.
«Alla fine dovrò decidere di smettere. Non so se mi ucciderai prima tu, o il mio lavoro!» dissi guardando la sigaretta che si consumava tra le mie dita. Pizzicata la cenere nella tazzina, mi accorsi di una presenza. Mi girai per guardare alle mie spalle, e accanto c'era riversa in giù che dormiva profondamente una chioma biondo platino. Studiai con gli occhi i contorni del suo corpo nudo. Mi sforzai cercando di ricordare la serata precedente. Purtroppo non mi venne nulla in mente. Chi era quella ragazza? Dove l'avevo incontrata? Come faceva a trovarsi accanto a me?
Ridestandomi dai miei pensieri mi ricordai della chiamata di Darconi e con la mano le diedi un colpetto secco sulle natiche. Lei si ridestò dal sonno sollevando la folta criniera da leone. Il suo sguardo azzurro interrogativo mi fissava cercando di capire il mio gesto irruento.
«Su alzati! Devo andare a lavoro» le dissi con tono asciutto.
«Che ore sono?». Rispose assonnata.
«Le cinque».
«Ma è prestissimo!».
«Forza vestiti devi andare via! Non m'interessa se è presto».
La sconosciuta senza emettere alcun suono di disapprovazione, si sollevò in piedi e trascinandosi assonnata iniziò a raccattare i vestiti sparsi sul pavimento e si avviò verso il bagno. Io rimasi fermo a fumare nell'attesa che uscisse velocemente e definitivamente dalla mia vita così com'era entrata. Sentii la porta del bagno chiudersi e dopo cinque minuti riconobbi il rumore dello scarico. Quando ebbe finito di sistemarsi apparse come un'ombra davanti alla porta della camera e mi disse:
«La strada la conosco. Non ti scomodare».
«Perfetto» le risposi senza degnarla di uno sguardo.
«Ieri non eri così stronzo quando mi scopavi» disse disgustata avviandosi alla porta. Senza dire altro è in punta di piedi lasciò casa mia.
Tirai un'altra boccata alla sigaretta e decisi di spegnerla. La testa mi martellava. Provai ad alzarmi dal letto, ma la nausea mi assalì. Sicuramente non avevo solo bevuto. Iniziai a dare qualche passo, i piedi sembravano incollati al pavimento e strisciandoli mi diressi nel bagno.
Dovevo scrollarmi di dosso quel malessere che mi angustiava e mi diressi nudo verso la doccia. Il primo zampillo che uscii dal soffione era gelido e mi fece trasalire e immediatamente mi cancellò dalle spalle il peso che mi straziava da un po' di tempo. Ogni giorno sempre lo stesso.
Poi, l'acqua diventò calda. Scrosciava sul collo, inondando e rimbalzando sul corpo creando una piccola pioggia sottile nella doccia. Allungai le braccia e scaricai tutto il mio peso sul muro. Il contrasto gelido delle mattonelle sotto le mani mi creò un brivido lungo la spina dorsale. Abbassai la testa e mi lasciai distrarre dal gorgoglio circolare dell'acqua che veniva risucchiata dallo scarico.
Finita la doccia con solo un asciugamano in vita, mi diressi vicino lo specchio. Ancorato saldamente con le mani al lavandino, notai una serie di numeri. Erano dieci cifre, scritte con il kajal nero. L'ultimo numero era stato cancellato, al suo posto c'era un punto interrogativo. Sotto c'era scritto con una