UN PORCELLINO D'INDIA PER COLAZIONE
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About this ebook
Epilogo
A volte mi guardo intorno e tutto quello che vedo è un bisogno enorme; tanti bambini che non vanno a scuola, malati e sofferenti, tante morti, incidenti e tragedie. La mia mente e il mio cuore non possono sopportare tutto. Non posso aiutarli tutti. Quello che posso fare è davvero poco.
Ma posso fare la differenza per qualcuno, trovare uno sponsor al prossimo bambino, costruire una casa per la prossima famiglia, curare un’ulcera al prossimo paziente. Posso fare la differenza per loro. Per tutti non posso. Tutti noi possiamo aiutare le persone che attraversano il nostro cammino.
E ogni persona la cui vita abbiamo il privilegio di toccare è un prezioso figlio di Dio. Anche se abbiamo solo un bicchiere d'acqua da dargli, Gesù sa che lo stiamo facendo per lui. Quindi continuiamo a farlo. Non dimentichiamolo. Non stanchiamoci di farlo. Continuiamo a venire per Lui che ci dona l'amore e la forza per andare avanti, per continuare ad amare, per continuare ad aiutare.
Non so cosa troverò nella prossima curva. Non so cosa il domani mi porterà. Viviamo giorno dopo giorno, fidandoci di Dio per soddisfare le nostre esigenze mentre proseguiamo lungo il cammino.
Ma so che sarà sempre con noi. Sono così grata per essere stata tanto fortunata. Ma so che i poveri sono sempre con noi. Mentre Dio mi concede la forza, continuerò a servirli come meglio posso. Unisciti a me per servirlo.
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Book preview
UN PORCELLINO D'INDIA PER COLAZIONE - Andrea Gardiner
UN PORCELLINO D’INDIA
PER
COLAZIONE
Un meraviglioso affresco di tragedia, speranza ed amore in Ecuador.
––––––––
Andrea Gardiner
––––––––
Andrea Gardiner con il presente atto viene considerata autrice di questa opera in conformità con la sezione 77 dei diritti d’autore, i disegni e la legge sui brevetti del 1988.
L’immagine di copertina del libro è copyright di Maryon Gardiner.
Questo libro è venduto a condizione che non venga, tramite commercio o in altro modo, dato in prestito, rivenduto, ceduto o altrimenti diffuso senza previo consenso dell’autore ed editore del libro con differente rilegatura o copertina senza prima aver imposto delle condizioni al successivo editore.
Un registro CIP per questo libro è disponibile presso la British Library.
Alcuni dei nomi in questo libro sono stati modificati per tutelare l’identità di alcune persone.
Sacre Scritture riprese dalla Sacra Bibbia, NEW INTERNATIONAL VERSION ®. Diritti d’autore © 1973,1978,1974 da parte di Biblica, Inc. materiale protetto da copyright.
––––––––
ISBN-13:978-1517743116
ISBN-10:1517743117
Tutti i diritti riservati
Copyright©Andrea Gardiner
2012
––––––––
Elogi ad Un porcellino d’India per colazione
Ciò che ho più apprezzato è che in questo libro si ha la possibilità di conoscere quelle persone che Andrea ha aiutato e con le quali ha collaborato e la speciale maniera con cui le delinea e ti permette di assistere in prima persona a quello succede
.
Wendy Sparkes,autrice
Non è facile mettere giù questo libro...È il resoconto affascinante e stimolante di una grande avventuriera.
Jeff Lucas, autore, oratore e giornalista televisivo
Gardiner descrive in una brillante prosa le povere genti dell’Ecuador a cui è stata d’aiuto. Descrive la gravidanza, il matrimonio e la sua nuova maternità, parlando di macheti e di strane malattie della pelle, ricorrendo ad alcune modifiche della cultura ecuadoregna, ricercando il garbo anche e soprattutto nelle sue sconfitte personali.
Un porcellino d’India a colazione
nella top ten dei libri
autopubblicati nel World Magazine, Giugno 2013
È un libro incredibile che consiglio a chiunque di leggere...una volta cominciato non riesci più a metterlo giù
Julia Wilson, membro del Woman Alive Book
Ciò che più risalta in questo libro è la voglia di Andrea di poter fare la differenza
.
Rivista Life and Work
, Febbraio 2013
Alle mie ragazze Tamara Rachel ed Emily Megan, il più prezioso dono divino.
CONTENUTO:
Prologo
Capitolo uno – Al centro del mondo
Capitolo due –La città degli Indiani rossi
Capitolo tre -L’albero rampicante
Capitolo quattro-Lo spray anti-zanzare
Capitolo cinque-La Regina Elisabetta
Capitolo sei- L’uomo della Resurrezione
Capitolo sette- Rose bianche
Capitolo otto- Asino grasso e massaggi di rana
Capitolo nove –Una piccola principessa
Capitolo dieci-La costruzione di un sogno
Capitolo undici-Un nuovo paio di scarpe
Capitolo dodici-Carosello
Capitolo tredici-Cucire per la vita
Capitolo quattordici-La sottile linea blu
Capitolo quindici-In meglio o in peggio
Capitolo sedici-Segreti di famiglia
Capitolo diciassette-Dilemmi
Capitolo diciotto-Lezioni preparto con la differenza
Capitolo diciannove-Un fascio di gioia
Capitolo venti-Paffuta e bella
Capitolo ventuno-Una serie di infortuni
Capitolo ventidue-progetto Ecuador
Capitolo ventitré-Mostri e brandelli di bambola
Capitolo ventiquattro-Paese che vai usanza che trovi
Capitolo venticinque-Grazie
Capitolo ventisei-Buon compleanno
Capitolo ventisette –Un punto in tempo
Capitolo ventotto- Casa in costruzione
Capitolo ventinove-Risvolti inaspettati
Capitolo trenta-Uova di iguana
Epilogo
L’autore
Prologo
Ero ancora stordita dal sonno quando Tamara si precipitò nella nostra stanza con in mano un porcellino d'India arrostito che, poco prima, aveva tirato fuori dal frigorifero. Ho voglia di carne, ho voglia di carne, mamma!
piagnucolava. Di solito non sono mai in perfetta forma alle sei del mattino ed essere stata svegliata in quel modo di certo contribuiva a peggiorare la situazione Sono certa che tu non voglia mangiare un porcellino d'India per colazione, tesoro
dissi con la testa ancora sul cuscino.
Vivere in Ecuador non era affatto noioso, e di questo ne ero certa. Ogni giorno nuove sorprese e nuove sfide da affrontare .I miei bambini erano abituati a mangiare banane verdi e zuppe condite con zampe di gallina e non gustosi sandwich al formaggio o fagioli stufati. Cavalcavano i cavalli della loro bisnonna e nuotavano nel fiume. Assaporavano le arance fresche sugli alberi e le angurie della nostra fattoria. Si domandavano come mai dessi di matto se mi chiedevano di fare un giro in moto come facevano gli altri bambini o perché non li lasciassi correre sull'erba alta per paura dei serpenti.
A volte tutto mi sembrava così diverso e strano. La vita sembrava davvero pericolosa ed imprevedibile. Sentivo di non avere il controllo su quello che accadeva alla mia famiglia e mi chiedevo se non fossi completamente irresponsabile a tirare su le mie figlie in quell'ambiente.
A volte la vita sembrava incredibilmente straordinaria ed io mi sentivo davvero grata di poter cambiare quelle vite e di poter fare affidamento su Dio per quei bambini che chiunque altro avrebbe lasciato nell'oblio
***
Quando andai a trovare Señora Clemencia il cui volto è stato per metà annientato e distorto da un brutto tumore, la mia bambina, troppo giovane per lasciarsi infastidire da un segno che avrebbe allontanato e spaventato la maggior parte delle persone, corse allegramente tra le sue braccia. Sfoggiò il suo bellissimo sorriso e fissò Señora Clemencia dritta negli occhi ,facendola sentire speciale ed amata. Era un momento così esclusivo. Era un momento che mi rendeva fiera di aver superato dei momenti difficili. Era un momento che mi diceva che non era il momento di arrendersi.
Capitolo Primo – Al centro del mondo
––––––––
Mi sedetti confusa e spaventata nella piccola automobile che percorreva le turbolente strade di Quito. I cittadini adirati si ammassavano nelle strade lanciando pietre ed ostruendo il traffico con alcuni pneumatici bruciati. La polizia agiva allo stesso modo spruzzando gas lacrimogeni che le persone, in procinto di soffocare per via del gas che le privava del respiro, cercavano di schivare correndo via.
L’allora Presidente dell’Ecuador, Lucio Gutierrez, stava per essere buttato fuori. La gente era arrabbiata con lui e con il suo governo corrotto. C’era scompiglio: grida,urla e spari riempivano l’atmosfera.
Non è proprio il tipo di accoglienza che mi sarei aspettata di trovare nella mia grande avventura nell’equatore
pensavo mentre percorrevo la strada delle sommosse. Volevo darmi da fare in qualche modo ed utilizzare le mie doti mediche per aiutare quelle povere persone. Ero venuta per prendermi cura dei bambini malati e per rendere migliori le loro vite. Ma non pensavo che la mia vita nel frattempo avrebbe corso dei pericoli. Le storie dei martiri missionari erano tutte molto toccanti ma io non mi sentivo così coraggiosa. Ero una persona comune che cercava di restituire qualcosa. Mi chiedevo come tutto questo potesse avverarsi se non accadeva nulla di diverso. Fino a che tutto questo non mi avesse colpito di fatto sarebbe stato la normalità per l’Ecuador. Un brivido mi salì lungo la schiena quando mi resi conto che stavo cercando di portare avanti qualcosa di molto più grande di me. Speravo che avrei capito lo spagnolo che farfugliavano ma soprattutto ciò che stava realmente accadendo intorno a me. Mi sentivo così disorientata e sola. Speravo di mettermi in salvo il prima possibile.
Benvenuta in Ecuador!
esclamarono calorosamente Carmen e Jorge, i miei padroni di casa, quando finalmente arrivai a destinazione. Non preoccuparti
mi rassicurarono quando notarono la mia espressione. Qui da noi di rado i Presedenti mantengono la carica per più di un anno. Andiamo tutti sul tetto così possiamo vedere quello che sta succedendo.
Dal tetto avevamo una vista totale sull’aeroporto. Lì, nel mio totale stupore, assistemmo alla fuga dal Paese del Presidente mentre gli insorti invadevano la pista nella speranza di impedire la sua fuga. Che razza di posto è questo?
mi domandavo. Sembra la scena di un film ,non la vita reale. Ho aspettato così tanto tempo per organizzare il mio viaggio, ho desiderato tornare e rendermi utile, ma niente poteva prepararmi a tutto questo. Come posso prendermi cura dei miei pazienti se il Paese è in continua rivolta? Forse venire qui è stato un grande sbaglio.
Ero sorpresa e sollevata nel vedere come le cose fossero tornare alla normalità così velocemente. Forse Dio dopo tutto aveva un piano per me. Il Vicepresidente, Alfredo Palacios, salì al potere. Era un medico, e facendo affidamento su di lui, tutti i dottori della Sanità Pubblica, che fino ad allora avevano scioperato per via degli stipendi non ricevuti, tornarono a lavorare. Mi ambientai con piacere a Quito. Cominciai a frequentare un corso pomeridiano di lingua spagnola seguita da un tutor privato mentre la sera mi godevo la vita familiare davanti alle soap opera latinoamericane. Lentamente cominciai a rilassarmi e a godermi l’ingresso nella cultura ecuadoregna.
Carmen mi cucinava del fantastico cibo ecuadoregno, tipico delle regioni montuose. Preparava delle zuppe calde di patate, formaggio, pannocchia di mais e fagioli. Un piatto che apprezzavo particolarmente era quello composto da fave bollite e mais dolce servito con formaggio. Avevamo carne bovina ,pollo, patate e banane in abbondanza. Utilizzava anche il frullatore per creare degli squisiti succhi di frutta e frullati, risultato dell’abbondanza di frutta fresca in Ecuador.
Carmen mi insegnò che l’Ecuador poteva avere climi differenti a seconda delle zone; in montagna faceva freddo, nella foresta prevaleva il clima tropicale e le pianure costiere erano dominate dall’umidità. Ogni regione ha il suo piatto tipico ed i suoi prodotti tradizionali. Gli abitanti delle montagne coltivano patate, broccoli, carote, mele, susine, fagioli e sono soliti cucinare porcellino D’India e maiale. Gli abitanti delle coste coltivano invece manioca, banane ,granoturco e la loro dieta è costituita prevalentemente da pesce e crostacei. Gli abitanti della giungla infine coltivano banane e arachidi e mangiano pesce di fiume e la carne di animali quali il gautuso (un animale molto simile al coniglio),il cinghiale e a volte la scimmia.
Jorge, che aveva lavorato per anni presso l’Ambasciata francese era un nonno fantastico. Aveva una vecchia Renault che cadeva a pezzi e che lui ancora utilizzava per la maggior parte del tempo. Era collaborativo e generoso all’occorrenza e più del dovuto ed era molto orgoglioso delle tradizioni e dei piatti tipici del suo Paese.
Quando giunsero in visita alcuni americani vegetariani lui preparò per loro delle bistecche succulente ed un gustosissimo pollo perché era convinto che essere vegetariani significasse amare i vegetali e basta e non rinunciare davvero alla carne. La sua ospitalità prevedeva che lui si occupasse di loro per tutto il tempo, e la loro cortesia li faceva sembrare divertiti davanti ai suoi occhi. Egli inoltre li intratteneva con le storie della sua infanzia trascorsa in un piccolo villaggio tra le montagne; narrava di come era solito squarciare i colli dei tori e berne il sangue ancora caldo che zampillava per sentirsi più virile. Mi piaceva ascoltare i suoi racconti, era solito narrarli con enorme entusiasmo e piacere ( anche se devo confessare che non ho mai veramente tradotto quelle storie ai vegetariani!).
Mi lasciò sbalordita quando un giorno arrivò a casa con un porcellino d’India e, dopo averlo colpito sulla testa lo scuoiò per farlo alla griglia. Dovresti provarlo, ha una carne molto buona.
mi disse.
Io pensavo a quei teneri cuccioli di porcellino d’India che avevo a casa ed il mio stomaco si rivoltò all’idea di mangiare quella creatura pelosa. Jorge ignaro lo portò dopo averlo infilzato con uno spiedo e ruotato sopra i carboni ardenti. Lui aveva l’acquolina in bocca. Ed ora come faccio a scappare da tutto ciò?
mi chiesi non riuscendo a vedere alcuna via d’uscita.
Di lì a poco il porcellino d’India venne cotto. Aveva una pelle croccante ed un succo molto grasso. A me venne servita una zampa. Non c’era modo di fuggire. Avrei dovuto mangiarlo. Distolsi gli occhi ed il mio coraggio e ne addentai frettolosamente un pezzo. Commestibile era commestibile anche se non credo sarei mai riuscita ad addentarlo con lo stesso gusto con cui lo mangiava Jorge. Trasferirsi in Ecuador per lavoro significava molto più che affrontare dei semplici problemi clinici. Il mio ingresso nella cultura ecuadoregna non sembrava poi così monotono.
Jorge e Carmen riuscirono ad introdurmi nella quotidianità, insegnandomi il galateo ecuadoregno. Mi sembrava così strano dover salutare con una stretta di mano oppure con un bacio sulla guancia tutte le persone che incontravo per strada, mi sembrava troppo intimo, un’invasione dei miei spazi personali.
Non si poteva essere né timidi né riservati. Era quasi obbligatorio entrare in una mensa e rivolgersi a tutti con un buen provecho
(che in spagnolo significa buon appetito) ; non sarei mai potuta sgattaiolare via dalla folla senza farmi notare anzi, avrei dovuto farmi coraggio e salutare e baciare una ad una le persone.
Quando ci si rivolgeva ad una persona di un certo rango era buona norma chiamarla con il proprio titolo: Dottore, Ingegnere...Io mi ero ormai abituata al fatto che lì tutti mi chiamassero in maniera affettuosa Doctorita
,quasi mai usavano chiamarmi per nome. Durante una conversazioni sull’ altezza dei bambini venni ripresa da una mia amica per via della mia gesticolazione: Non dovresti tenere le mani in posizione orizzontale per indicare l’altezza dei bambini
mi rimproverò. Noi utilizziamo questo gesto solamente quando parliamo di animali. Quando si tratta degli umani devi tenere le mani in maniera verticale
. Mi sentii piuttosto imbarazzata e mi resi conto che avevo ancora molte cose da imparare, mi sentivo una sorta di scolaretta inesperta.
La mia tutor spagnola, Rita, mi portò in giro per la città per farmi conoscere più a fondo la cultura ecuadoregna. Organizzò un viaggio al Centro del Mondo
, il museo dell’equatore, dove si teneva una mostra sui differenti gruppi etnici dell’Ecuador, sui loro costumi e strumenti musicali.
Trovai davvero interessante confrontarmi con i diversi gruppi etnici dell’Ecuador; ognuno con i propri costumi ed i propri idiomi. Mi affascinavano. Gli indigeni che abitavano le regioni montuose indossavano caldi abiti ricamati, ponchos e cappelli e suonavano lo zuffolo. Realizzavano delle splendide borse di lana ed arazzi che facevano innamorare tutti i turisti. Io ne feci una scorta da spedire alla mia famiglia.
Gli abitanti della costa e della giungla invece erano soliti indossare degli abiti piuttosto minimali per via del caldo ,dipingevano i loro corpi con delle linee e suonavano strumenti quali lo xilofono e il tamburo. Realizzavano delle borse di corda e amache.
In Ecuador ci sono anche dei gruppi africani, discendenti di quelle genti che erano state importate durante il commercio degli schiavi. Questi intrattenevano i loro spettatori con il ritmo che avevano nel sangue esibendosi in spettacolari merengue.
Tra le strade di Quito è possibile vedere gli Indiani Quichua avvolti nei loro scialli tradizionali, i loro cappelli e le loro gonne mescolarsi con i Mestizo vestiti con abiti western al lavoro sui loro meravigliosi arazzi.
La funivia, che costeggiava i quattromila metri del vulcano Pichincha, venne inaugurata quando io ero già a Quito. Di mattina la vista del panorama era mozzafiato; si intravedeva la neve sulla cima del vulcano che abbracciava la città e quest’ultima racchiusa nella valle sottostante. Da lassù tutte le case, le macchine e l’aeroporto sembravano dei piccolissimi giocattoli e non si intravedeva la frenesia e l’andirivieni delle persone che si dirigevano negli uffici o a scuola oppure nelle università né tantomeno le folle che dominavano i mezzi pubblici.
La città vista da vicino aveva una prospettiva completamente diversa: c’erano così tante persone in spazi così piccoli. Odiavo tutte quelle persone che mi toccavano ripetutamente solamente perché non avevo la prontezza di staccarmi. Per strada ci si scontrava come come se venissero fuori da spazi inesistenti. Gli autobus in particolare rappresentavano la morsa dell’umanità ed io, ogni giorno, dovevo farmi coraggio prima di salirci sopra con la consapevolezza che avrei dovuto viaggiare per un’ora stretta a dei perfetti sconosciuti.
Tutto questo cominciò a stancarmi, soprattutto perché alcune di queste persone sfruttavano queste circostanze favorevoli per sottrarre borse ed oggetti vari. Un giorno ero quasi arrivata a casa quando un uomo mi si avvicinò mentre cercavo di scendere dall’autobus. Ero così occupata a preoccuparmi della mia borsa che dimenticai di controllare la tasca dei miei jeans all’interno della quale avevo riposto il portafogli. Fortunatamente riuscii a scendere dall’autobus con un gran sospiro di sollievo finchè non realizzai che il mio portafogli, che conteneva la carta di credito con tutti i miei soldi, era stato rubato. Delle lacrime di rabbia rigarono immediatamente il mio volto ed il mio cuore stava per spezzarsi. "Come hanno potuto rapinare proprio me! Sto solo svolgendo il mio lavoro e cercando di imparare lo spagnolo per aiutare loro e questa è la ricompensa. A volte mi chiedo perché mi sono messa in questo casino. Le idilliache immagini della mia Scozia mi riempirono la mente. La vita lì era così semplice e sicura. Arrancai verso casa piuttosto sconsolata.
Jorge mi accompagnò alla stazione di polizia per denunciare la scomparsa del mio portafogli. Quel posto, pieno di poliziotti che scrivevano a macchina, era un sotterraneo lercio. Quando toccò a me dovetti descrivere le circostanze del furto ad un agente mentre lui digitava sgraziatamente sulla sua tastiera tutto quello che gli riferivo. Questo documento venne mi venne dato solo dopo essere stato fotocopiato e stampato. Questa è la procedura più ridicola di sempre
dissi a Jorge mentre tornavamo a casa. Questo documento è utile solo ai fini di una richiesta da parte dell’assicurazione. Non hanno fatto assolutamente nulla per impedire che il crimine possa essere commesso di nuovo, o sbaglio? Il ladro se l’è cavata così. Mi sento così impotente. Non mi sembra ci sia giustizia in questo posto.
DI lì a poco avrebbe piovuto molto ed in quei casi cercavo sempre di evitare di trovarmi per strada. Se fossi stata in giro mi sarei sicuramente infradiciata tutta. Fulmini e lampi erano piuttosto frequenti. L’elettricità dei cavi scintillava in maniera preoccupante nella tempesta ed i blackout erano frequenti. Nelle sere in cui l’elettricità andava via presto io mi accoccolavo nel letto sotto le coperte di lana, perché dopo che il sole andava via le temperature scendevano drasticamente e in casa faceva piuttosto freddo.
Di tanto in tanto l’intera casa vibrava come in una sorta di terremoto. Ma trovandomi in una regione vulcanica tutto questo era normale e nessuno prestava attenzione ai sussulti e alle vibrazioni. Questa situazione spaventava solo me e mi chiedevo quando sarebbe diventato normalità anche per me. Avevo desiderato così tanto essere qui; sentivo di essere nata per poter aiutare quelle persone ed intendevo rimanere a lungo. Proprio per questo volevo ambientarmi il prima possibile.
Per poter esercitare come medico dovevo prima convalidare la mia laurea in Medicina. Avevo portato con me tutti i documenti necessari, debitamente tradotti ed autenticati, da presentare presso la scuola di medicina in Ecuador in maniera tale da dimostrare che la mia laurea era equivalente alla loro.
Tutto questo per rendere l’idea di quanto fosse pedante la burocrazia in Ecuador. Ogni settimana mi rivolgevo alla Señora Margarita, la segretaria dell’Università, per chiederle come procedesse la convalida della mia laurea.
Buongiorno, Dottoressa
mi salutava allegramente si, si non si preoccupi, le daremo notizie la prossima settimana
.
Ma mi ha detto la stessa cosa anche la scorsa settimana!
feci notare con disappunto.
Il comitato sta revisionando il suo caso ,provi a passare la prossima settimana
era la risposta ricorrente.
All’inizio ero solita credere ,come un’ingenua, alle sue cortesi rassicurazioni ma poi vedendo che nulla giungeva mai ad una conclusione cominciarono ad aumentare la mia frustrazione ed il mio fastidio nei confronti della loro inefficienza.
Pensavi che dopo aver conseguito una laurea in Medicina presso l’Università di Edimburgo sarebbe stato facile convalidarla in Ecuador? Invece non è affatto così.
borbottai. "Addirittura pensavo che , al mio arrivo, gli ecuadoregni mi avrebbero accolta come un’esperta giunta da lontano per aiutare il loro popolo ,facilitando così tutte il processo. Ma loro sono assolutamente lenti ed inefficienti! Mi chiedo se riuscirò mai ad avere i documenti di cui ho bisogno ma se ci sono riusciti gli altri sono sicura che sarà possibile anche per me. Devo solamente essere paziente e continuare ad insistere. Forse tutto questo serviva a rinforzare il mio carattere, Dio mi stava insegnando il concetto di pazienza.
Improvvisamente mentre tornavo a casa, dopo una l’inutile visita all’Università, venni colta di sorpresa da un uomo. Egli mise le sue braccia intorno al mio corpo ed afferrò i miei seni poi scappò scappò con la stessa velocità con cui era arrivato. In un primo momento rimasi paralizzata dalla paura poi scappai verso casa. Fui sollevata all’idea di aver raggiunto il cancello d’ingresso. Entrai e cercai di calmarmi davanti ad una tazza di camomilla con Carmen al mio fianco.
Doctorita, non pianga
cercò di tranquillizzarmi non è successo nulla perché per fortuna Dio l’ha protetta.
Si si, sto bene, sono solo un po’ scossa
risposi cercando di non sembrare esageratamente sconvolta anche se, dentro di me, ero così vulnerabile.
Uscii dalla tranquillità della mia camera e non potevo fare a meno di pensare come mi sarei potuta sentire se quell’uomo mi avesse aggredita. Avrei continuato ad inseguire il mio sogno di aiutare le persone povere dell’Ecuador? Che prezzo avrei dovuto pagare per restare lì? Pensai a cosa sarebbe potuto accadere quella sera ed un brivido di paura mi attraversò la schiena. Non sarà di certo un uomo perverso ad allontanarmi dalle mie speranze e dai miei progetti.
Mi dissi. Sono certa che Dio non mi ha portato fin qui solo perché mi accadessero cose brutte o sgradevoli. Non ho paura di continuare il mio viaggio e sono certa che Dio mi proteggerà. Ma ora è giunto il momento di lasciare la grande città per dirigermi verso la mia destinazione. Credo di averne abbastanza di Quito.
E così accadde che, dopo due mesi dal mio arrivo, dopo aver completato i miei corsi di lingua, mi ritrovai su un bus con destinazione Santo Domingo, poiché non avevo ancora ottenuto il permesso per poter esercitare come medico.
Nonostante tutte le prove e le frustrazioni a cui ero stata sottoposta sentivo dentro di me un forte spirito di eccitazione ed aspettativa.
Finalmente mi sarei trasferita nel paese in cui desideravo lavorare da anni.
Ricordo la mia prima visita con un gruppo estivo appena diciottenne, quando vidi per la prima volta con i miei occhi