Il rifugio delle anime
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Il rifugio delle anime - Alfonso Stile
Alfonso Stile
Il rifugio delle anime
GDS
Alfonso Stile
Il rifugio delle anime
Editrice GDS
Via Pozzo 34
20069 Vaprio D’adda – MI
www.gdsedizioni.it
Ogni riferimento descritto in questo romanzo a cose, luoghi, persone è da ritenersi del tutto casuale.
TUTTI I DIRITTI SONO RISERVATI
Dedico quest’opera ai miei genitori
Ciro ed Anna Maria, ai miei fratelli
Giulio e Silvio, a mia nonna Angela,
a mia zia Antonietta, ai miei amici ed a nostro Signore
Gesù Cristo senza il quale nulla è possibile…
A.Domini 2016
Capitolo 1
Primo amore
Il sole nacque caldo sui tetti di Torre del Greco in quel sereno giorno d’agosto, ed era un segno della vita che riparte. Il cielo azzurro come un mare tropicale vedeva qualche bianca nuvola sporcarlo ed infastidirlo. La luce si diffondeva prepotente nell’aere ed il canto degli uccelli risuonava come una soave melodia di sottofondo. Il giardino di casa Aurilia era gioioso e lussureggiante, con alberi folti e fiori dal profumo di fresco. Gli insetti saltavano da un fiore all’altro allegri, veloci e vitali. Il Vesuvio, punteggiato di verde, sembrava un maestoso guardiano messo lì a protezione della città : un gigante buono. Le prime finestre si aprirono rade e le persone ricominciavano una nuova avventura sulla Terra. Alfonso fu il primo della famiglia Aurilia a svegliarsi , nonostante avesse solamente due anni : i suoi occhi di color verde chiaro si illuminarono al sorgere del nuovo giorno ed il suo pianto fanciullesco invase tutta la casa. Al sentire questo lamento, Anna Falanga, la madre di Alfonso, si precipitò da lui e lo accolse con un sonoro bacio; lo prese in braccio e lo coccolò come la più tenera fra le madri agisce col più caro dei suoi figli. Anna era una signora molto alta, dai capelli corti color mogano scuro, abbastanza corpulenta e dalla voce amabile. In quel giorno del 1988 Anna aveva appena trent’anni ed Alfonso era il suo figlio primogenito. Anna, come ogni mattina, portò ad Alfonso il biberon per nutrirlo e farlo crescere sano e forte come una roccia. Il bimbo sembrava gradire e succhiava avido il latte dalla bottiglina. Anna alzò la persiana della sua camera da letto e, rivolgendosi a suo marito Mirko, ancora dormiente, gli disse :
— Svegliati, dormiglione! E’ una splendida giornata!
Mirko, ancora assente, non rispose. Anna, allora, si recò in cucina attraversando rapidamente il lungo e stretto corridoio ed andò a preparare il caffè. Erano circa le 9. Mirko, nel frattempo, si svegliò e, dopo un lungo e profondo sbadiglio, si alzò dal letto barcollante. Era in ferie. Mirko era un uomo dai capelli neri, calvo nella parte frontale, dalla corporatura tozza, ma allo stesso tempo muscolosa, dagli occhi neri e dalla voce possente. Egli era un impiegato amministrativo della polizia di stato a Torre Annunziata, città cha raggiungeva ogni mattina con la sua Panda gialla. E con la medesima Panda gialla la famiglia Aurilia aveva compiuto numerosissime gite fuori porta recandosi nei luoghi più disparati . Anna e Mirko erano sposi da tre anni ed erano convolati a nozze dopo un breve fidanzamento durato solo nove mesi. I coniugi Aurilia si amavano intensamente, e la nascita del loro primogenito Alfonso aveva cementato e rinsaldato ancora di più il loro rapporto affettivo. Mirko, appena sveglio, si recò in cucina e sorseggiò il caffè appena preparato dalla consorte.
— Anna, oggi non mi sento affatto bene — esordì Mirko.
— Si può sapere per quale motivo? — chiese Anna.
— Ho un tremendo mal di schiena che mi impedisce di muovermi senza che io provi dolore. E poi fa un caldo bestiale, sono tutto sudato!
— Non preoccuparti, prendi un antidolorifico e vedrai che ti sentirai subito meglio! — aggiunse Anna con tono affettuoso.
Anna riempì con pazienza il bicchiere con dell’acqua e versò all’interno la bustina di antidolorifico. Poi lo diede a Mirko.
— Che giorno è oggi? — disse Mirko.
— E’ mercoledì, 8 agosto 1988! — precisò Anna.
— Te ne sei dimenticato?
— Si, Anna, perché da quando sono in ferie ho perso la cognizione del tempo e dello spazio! Ma forse è meglio così…
— Già, me ne sono accorta! E’ da qualche giorno che ti vedo stralunato, a tratti assente.
Per cominciare la giornata Mirko accese una sigaretta, come suo solito. La fumava lentamente alternando ogni tiro con un sorso di caffè. Mentre il suo corpo si risvegliava dal torpore, Mirko si affacciò dal balcone della cucina e gettò un rapido sguardo al giardino sottostante appartenente a suo fratello Michele. Il giardino era piastrellato da mattonelle di marmo bianco e vi era solo un angusto spazio riservato al terreno ed alle piante, del tutto marginale; tra tutte le piante spiccavano le ortensie che, con i loro colori variopinti che spaziavano dal blu al viola, offrivano uno spettacolo visivo unico nel suo genere. Michele amava prendersi cura delle piante e lo faceva appena poteva, armato anche di una pala per sistemare il terreno. I fiori del giardino emanavano una scia profumata inebriante e senza dubbio piacevole. Piantato nel terreno vi era anche un piccolo albero di limoni che con i suoi rami robusti offriva agli uccellini un privilegiato punto d’appoggio. Dalla cucina di casa Aurilia si poteva scorgere anche un altro giardino riccamente popolato di alberi di vario tipo, appartenente ad un anziano signore, loro vicino. La lontananza dell’abitazione di Mirko dalla strada contribuiva a renderla tranquilla, amena e ridente : nelle belle giornate pareva di essere nel paradiso terrestre. Ad ogni ora del giorno il cinguettìo degli uccelli costituiva il classico e tradizionale sottofondo musicale, molto apprezzato dalla famiglia Aurilia. Appena Mirko si affacciava dalla finestra, cosa che faceva abitualmente appena sveglio, e fissava il sole e la vegetazione, si sentiva subito di buon umore, nonostante avesse qualche acciacco o fosse ancora assonnato.
— Oggi è una bellissima giornata — prese a dire Mirko.
— Te l’ho detto anch’io prima, ma tu eri ancora nel mondo dei sogni! — riprese Anna.
— Oggi ho intenzione di fare un bel bagno rinfrescante. Dopotutto, preso l’antidolorifico, la schiena va un po’ meglio.
— Fai come vuoi Mirko. Se te la senti, vai!
— Andrò al lido La scogliera
, il mio preferito — disse infine Mirko.
Il buon Mirko cominciò a vestirsi lentamente, sembra-va quasi che stesse compiendo un rito, sacro, che nella sua vita aveva ripetuto chissà quante volte. Indossò il costume formato slip di colore nero e rosso, infilò i pantaloncini corti arancioni e vestì una maglia grigia a maniche corte. Mirko prese con sé anche la benda ed un fucile per la pesca subacquea , di cui era un grande appassionato : in passato aveva catturato polpi, granchi e diversi tipi di pesci. Prese le chiavi dell’auto ed uscì osservando la serenità del cielo. Scese le scale di casa. Mise la sua testa fuori dal palazzo, incerto, volgendo lo sguardo prima a destra, poi a sinistra, poi varcò del tutto il portale. Chiuse delicatamente il cancello verde di ferro e si diresse verso la carinissima e svettante chiesa rosa : aveva la Panda gialla parcheggiata lì nei pressi. Mirko, fissando l’edificio sacro, si segnò col segno tipico dei cristiani, poi entrò in macchina. Accese l’automobile con un repentino scatto del polso e cominciò ad andare, pensando alle calde e nere scogliere che lo avrebbero accolto di lì a poco. L’auto discese velocemente via Marconi per poi immettersi in via Circumvallazione. Giunto all’inizio di via De Gasperi, si fermò nei pressi di un’edicola : doveva necessariamente acquistare un quotidiano ed una rivista di enigmistica, da sfogliare e completare nelle ore di permanenza al mare. In quel giorno d’agosto il caldo era veramente insopportabile, l’afa raggiungeva dei livelli quasi disumani, e l’unico modo per trovare un po’ di refrigerio era quello di immergersi totalmente nel mare, che risultava piacevolmente freddo. Mirko aveva intenzione di restare al mare solamente per poche ore : aveva in programma di tornare a casa verso le 13 e 30, giusto in tempo per il pranzo. Se avesse catturato qualche polpo o qualche granchio avrebbe potuto preparare un sughetto prelibato, da leccarsi i baffi. La Panda gialla, seminuova, ripartì tranquillamente come una barca che esce lenta dal porto e percorse la discesa tortuosa. Mirko giunse al bivio. Vide il cartello che segnalava la presenza del lido e svoltò a destra. Parcheggiò l’auto e , preso con sè il borsone, si diresse all’ingresso. Pagò solo il prezzo della discesa, dato che era solito recarsi sulle scogliere dove stendeva il suo telo da mare : non amava stare in mezzo alla gente, anche perché aveva una malattia dermatologica, non contagiosa, che gli creava un po’ di imbarazzo. Si trattava della psoriasi. Questa patologia è di tipo psico–somatico, e non esiste una cura definitiva per sconfiggerla. L’unico modo di tenerla a freno è quello di recarsi al mare, almeno d’estate : il sole e l’acqua salmastra portano un grande giovamento a coloro che ne soffrono. Mirko soffriva per questa patologia da almeno una quindicina d’anni: era la sua croce. Ognuno di noi ha la sua croce da portare con dignità e con coraggio, così come Cristo desidera. Mirko distese il suo telo da mare blu su di uno scoglio sufficientemente piano, poi indossò la benda e si armò del fucile : era pronto per la battuta di pesca. Entrò lentamente in acqua scendendo da uno scoglio. Il mare, scuro per il fondale vulcanico, era calmo, anche perché una barriera fatta di scogli scuri era posta a protezione di quel tratto di costa, chiamato laghetto
. In acqua si potevano scorgere diversi molluschi; uno di questi era la cosiddetta lumaca di mare, nera, che spruzzava un liquido urticante viola allorquando avvertiva un senso di pericolo : bisognava starne assolutamente alla larga. Cominciò a nuotare esplorando il fondale basso meglio che poteva. Restò immerso per una mezz’ora che, però, si rivelò un tempo fruttuoso : catturò un meraviglioso polpo che era nascosto in una cavità rocciosa. Uscì dall’acqua e lo battè violentemente su di uno scoglio come fa un fabbro che percuote un ferro ancora caldo : questa operazione serviva per stordire l’animale. Risalì la scogliera ed estrasse dal borsone ricolmo di varie cianfrusaglie una busta di plastica che portava sempre con sé. Ripose il polpo, ormai deceduto, nella busta verde e la chiuse ermeticamente. Mirko era raggiante : aveva un buonissimo motivo per preparare un sughetto a base di pesce, appena giunto a casa. Uscito dall’acqua e posato il polpo, Mirko si distese sul telo da mare allo scopo di asciugarsi in fretta e di prendere pienamente i raggi solari tanto benefici per la sua patologia. Intorno a lui non vi erano persone, salvo alcuni uomini anziani dediti alla cattura dei granchi od alla raccolta dei mitili. Di tanto in tanto Mirko scambiava qualche battuta con tali signori, e parlava principalmente di pesca. Dopo un’oretta passata al sole, Mirko decise di fare un altro rapido bagno, senza però avere l’obiettivo di arricchire il suo bottino di pesca. Le ore al mare passarono tranquille e rapide tra un’occhiata al quotidiano e la soluzione di uno schema di parole crociate. Così come aveva preventivato, Mirko prese la strada del ritorno alle 13 e 30. Era felice. Aveva catturato un meraviglioso polpo, che tra l’altro lo aveva anche fatto penare non poco prima di acciuffarlo : l’animale aveva persino spruzzato l’inchiostro corvino con la speranza di fuggire incolume, ma senza successo. Balzò in macchina, prese un fazzoletto candido e si asciugò il sudore che grondava copioso dalla sua fronte lucida. Il borsone da mare trovò la sua dimora sui sedili posteriori della Panda, anch’ essi di colore giallo ocra. Prima di mettere in moto l’automobile, nella mente di Mirko si materializzò una pentola, alta, al cui interno vi era dell’acqua bollente e poi, di lato, un’altra pentola col sugo arricchito dalla presenza del polpo viola : questo rapido pensamento gli causò l’acquolina in bocca! Questa visione gli provocò anche una scarica di adrenalina e l’inarrestabile desiderio di tornare presto a casa. La Panda gialla percorse rapida le strade di Torre del Greco, deserte a causa dell’ora morta. La città sembrava quasi immobile e muta, paralizzata anche dalla calura africana. Era meglio starsene in casa o, quantomeno, fuori, godendo dell’ombra di qualche benevolo albero. In meno di dieci minuti la Panda aveva risalito tutto il territorio comunale e venne messa in sosta da Mirko al solito posto, nei pressi della chiesa di Sant’Antonio. Il parroco, don Carmine, uscì dalla sagrestia e scorse Mirko che metteva il capo fuori dallo sportello. Lo salutò con un ampio ed affettuoso gesto della mano destra che fu ricambiato da Mirko : da bambino, don Carmine era stato il suo professore di religione. Dopo questo saluto, il religioso saltò nella sua 600 bianca e partì alla volta di casa per consumare il pranzo. Mirko Aurilia prese con sé la borsa e , passando accanto alla lussuosa villa dal meraviglioso giardino, si avvicinò al palazzo di casa. Bussò al citofono e dopo pochi istanti Anna gli aprì il cancello festante. Mirko attraversò deciso come una lama tagliente la soglia di casa sua, e disse : — Anna, ho qualcosa da mostrarti!
— Di che si tratta? — domandò curiosa la moglie.
Aprendo la busta, Mirko disse : — Eccolo. Ti piace? Mi ha fatto penare non poco, mi ha spruzzato in faccia l’inchiostro, ma alla fine sono riuscito a catturarlo!
— E’ bellissimo! — esclamò Anna meravigliata.
— Mi prepari un bel sughetto? — chiese Mirko con tono mieloso.
— Ma certo tesoro mio!
Detto questo, Anna si mise di buona lena ai fornelli, mentre Alfonso si trovava nella sua culla bianco avorio sormontata da un carillon fatto di api svolazzanti. Mirko si recò nella stanza da letto e, vedendo Alfonso agitarsi e vagire, gli disse : — Salve giovanotto! Perché ti agiti tanto? Sei proprio un mascalzone, lo sai?
Detto questo, Mirko si avvicinò a suo figlio che era la luce dei suoi occhi e lo prese in braccio, accarezzandolo dolcemente. Alfonso si calmò all’istante. Mirko, veduto ciò, lo ripose delicatamente nella soffice culla. Dalla cucina, poi, provenne un grido : — Mirko, ce lo metto il peperoncino nel sugo? Ti piace?
— Ma certo Anna, ho voglia di gustare un sapore forte! — rispose all’istante Mirko.
Dopo questo scambio di battute Mirko andò in cucina ed accese l’apparecchio televisivo allo scopo di guardare il telegiornale, come soleva fare a quell’ora. Tra le tante notizie, vi era quella delle condizioni meteorologiche : quell’estate del 1988 venne definita dagli esperti la più calda dell’ultimo secolo.
— Perciò provo questo caldo bestiale! — prese a dire Mirko dopo aver appreso la notizia.
— Lo sapevo che c’era qualcosa di strano, di anomalo!
Anna, quasi interpretando lo stato d’animo del marito, prese subito dal freezer una bella bottiglia di acqua fresca, ideale per rinfrescarsi e reintegrare i liquidi. Poi afferrò un pacchetto di fazzolettini per il naso e lo consegnò a Mirko che poté in tal modo asciugarsi il sudore grondante. Mentre il sughetto col polpo si cuoceva e veniva arricchito da un pizzico di sale e di pepe, Anna prese la pentola grande, quella delle grandi occasioni, e la colmò d’acqua. La pose sulla cucina ed accese il gas. Si recò in camera da letto e caricò il figlioletto biondo ed amato sul proprio grembo e, sussurrandogli mielose parole, lo portò con sé in cucina : era giunto il momento della pappa. Alfonso, quasi intuendo cosa stava per accadere, divenne raggiante ed abbozzò un sorriso. La madre pigliò un omogeneizzato a base di carne di manzo, lo aprì e, preso un cucchiaino, lo assaggiò pensando che sarebbe stato gradito anche dal pargolo. Alfonso venne imboccato dalla mamma ed assaporava famelico il preparato. Tra un boccone e l’altro, la sua bocca si apriva in dolci sorrisi di appagamento : il piccolo sembrò gradire grandemente. Alfonso era un bimbo tranquillo che non praticava troppi capricci e, questa sua mitezza, l’avrebbe conservata gelosamente fino all’età adulta. Il momento della pappa era per Anna un tempo di rilassamento ed anche di gioia poiché poteva godersi la compagnia e l’amore del figliolo adorato. Tutto questo avveniva mentre il capofamiglia seguitava ad osservare con attenzione la tv. Terminato il pasto, Anna riportò Alfonso in camera da letto. Intanto, il sughetto a base di polipo stava per completare la sua cottura : Mirko, preso dalla fame, attendeva impaziente.
— Anna, posso buttare gli spaghetti? Il sugo è pronto?
— Ora controllo — disse Anna scoprendo la pentolina. Gettò un rapido sguardo all’interno e poi disse : — Ok, butta la pasta!
Mirko non se lo fece ripetere due volte ed agì. Gli spaghetti si cossero in pochi minuti. I coniugi Aurilia consumarono il pasto, accompagnando gli spaghetti con un ottimo vino bianco. Il polpo preso da Mirko era realmente molto saporito. Dopo pranzo Anna era solita preparare il caffè , ed anche quel giorno eseguì quell’operazione quasi meccanica. Preso il caffè, Mirko accese un’altra sigaretta, continuando a buttare lo sguardo sullo schermo. Erano ormai le 14.30. Stanco per la giornata di mare e sonnolento a causa dell’abbondante pasto, Mirko si diresse verso il suo letto, fresco ed accogliente, e si coricò gettando un ultimo adocchiamento al suo figlioletto addormentato. Nel giro di poco tempo si addormentò anch’egli, come usualmente faceva dopo pranzo. Anna, nel frattempo, si affrettò a lavare le stoviglie; dopo di ciò guadagnò anch’essa il letto e, prima di distendersi, diede un bacio ad Alfonso che, vestito di bianco e con gli occhietti chiusi, rassomigliava ad un placido angioletto. Nella controra il mondo si fermava, gli uccelli si riposavano all’ombra delle piante, interrompendo o diradando il proprio canto. Le cicale nascoste tra i lussureggianti pini, per il caldo, facevano sentire la propria voce e la propria presenza, che diventava a tratti anche fastidiosa. I calabroni gialli ronzavano da un fiore all’altro e talvolta entravano nelle abitazioni disponibili attraversando le fessure spalancate. Qualche volta era capitato anche per casa Aurilia. Una leggera brezza faceva ondeggiare gli alberelli ed i teli da mare distesi dalle signore del vicinato, ma la caldura rimaneva insopportabile. Qualche gatto sornione se ne stava disteso all’ombra pulendosi e leccandosi accuratamente. Gli aghi di pino giallastri e le pigne secche riposavano sui tetti muti ed incandescenti. Qualche rara automobile percorreva i viali piastrellati e la loro eco si poteva udire lontana. L’atmosfera divenne sempre più quieta ed i coniugi Aurilia si assopirono profondamente. Tutto era calmo e pacifico. All’improvviso il telefono grigio squillò. Erano le 16.15. Al terzo squillo Mirko si alzò dal letto sonnolento ed infastidito, inforcò le ciabatte estive nere di plastica e si diresse verso il corridoio per rispondere.
— Pronto? — disse Mirko afferrando il telefono con la mano destra.
— Ciao Mirko!
— Chi parla? — chiese Mirko con curiosità.
— Ma come, non mi riconosci? Sono Luca! Tuo fratello!
— Scusa Luca, ma sono ancora imbambolato per via del sonno — si affrettò a dire Mirko.
— Come stai, tutto bene?
— Va tutto bene! — rispose Luca.
— Come mai mi hai contattato? — domandò Mirko.
— Ti ho chiamato per invitarti a Rifugio. Siccome sono in ferie avrei intenzione di trascorrere due settimane lì in montagna insieme a mia moglie ed al mio figlioletto Filippo, in mezzo al verde e circondato dalla pace! Ti andrebbe di venire?
Udendo questo invito, Mirko rimase un attimo in silenzio per pensare. Poi disse : — Beh, ne devo parlare prima con Anna e poi…no dico…il