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Pessoa: Il sottile equilibrio tra genialità e follia
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Ebook305 pages4 hours

Pessoa: Il sottile equilibrio tra genialità e follia

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Il saggio prende in esame la formazione di impronta scientifica e pseudoscientifica di Fernando Pessoa soprattutto nell'arco di tempo tra il 1907 e il 1912, periodo in cui il poeta compone un'immensa mole di riflessioni e di osservazioni sulla follia e la natura del genio, considerate nel loro aspetto clinico, attitudinale e sociale. Queste osservazioni costituiscono il punto di partenza per la formulazione del concetto di eteronimia, la cui genesi trova le sue radici più profonde nei trattati di stampo medico circolanti negli ambienti culturali del primo novecento. Il tema della follia e della genialità attraversa del resto tutta l'opera dello scrittore portoghese; essa è rintracciabile non solo nella finzione letteraria messa in scena dai personaggi dell'immaginaria coterie, ma diviene parte integrante della propria vita reale, quella che l'autore restituisce nelle pagine di diario e nelle lettere indirizzate alla fidanzata.
LanguageItaliano
Release dateMay 12, 2017
ISBN9788899735289
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    Pessoa - Stefano Lattari

    Stefano Lattari

    PESSOA

    Il sottile equilibrio tra genialità e follia

    Argot edizioni

    © Argot edizioni

    Andrea Giannasi editore

    Proprietà letteraria riservata

    © 2017 Tra le righe libri

    ISBN 9788899735289

    INTRODUZIONE

    La scelta dell’argomento trattato in questo lavoro fa riferimento ad una duplice personale esigenza: la prima, nasce dalla vibrazione che il contatto con la straordinaria opera letteraria di Fernando Pessoa non ha smesso di suscitare in me fin dal primo incontro; la seconda, di tipo intellettuale, trae nutrimento dall’interesse e dalla stima, maturate nel corso degli anni, per la particolare sensibilità dell’uomo che fu lo scrittore. La motivazione intimistica, che allude tanto ad una concordanza di stati d’animo, quanto a riflessioni e tematiche che riconobbi come peculiari al mio stesso pensiero, ha generato poi quella fame conoscitiva – intellettuale per l’appunto – nei confronti di tutto il contesto attinente alla vita del poeta, e, nello specifico, alla sua particolare materia biografica. Cercare di risalire alle cause, comprendere le motivazioni intrinseche che stanno alla base della sua opera, addentrandosi, per quanto sia possibile, nella sfera privata del poeta, o scavando in quelle idee cardine, rivelatrici di una poetica o di una visione estetica, nel tentativo di estrapolare informazioni utili alla composizione di quell’infinito mosaico che costituì il multiforme volto di Fernando Pessoa: questo è quanto il presente lavoro mi ha dato la possibilità di fare, guidato dalla consapevolezza della vastità e incompiutezza di un autore che, pur facendo della ricerca il paradigma della sua vita, lasciò aperta la questione della sua identità. Così ho scelto di porre come fulcro principale della mia indagine il rapporto tra il genio e la follia, visto dalla prospettiva di un poeta che, nel suo insieme, rintracciò nella sua dimensione psichica i segnali inequivocabili dell’una e dell’altra presenza.

    La tesi principale sostenuta da uno dei più importanti studiosi di Pessoa, Jerónimo Pizarro, ruota tutta intorno all’importanza svolta dalle letture di argomento psichiatrico che il poeta avrebbe condotto soprattutto negli anni giovanili della sua vita. Questa formazione teorica risulta necessaria non solo per comprendere maggiormente la personalità dello scrittore, ma anche gran parte di un sistema di pensiero che trovò poi applicazione nella complessa e fiorente trasposizione letteraria. Alla base della nota creazione eteronimica, fulcro principale di tutta la sua attività poetica, troviamo infatti un impressionante studio – per quantità e qualità – di tipo clinico e, più generalmente, di carattere scientifico, il cui contributo risultò decisivo per la formulazione di basilari considerazioni estetiche. Ed è proprio attraverso questo bagaglio tecnico di nozioni estrapolate dalle opere dei più eminenti luminari del tempo – Lombroso, Dagonet, Nordau, solo per citarne alcuni – che Pessoa giunge ad acquisire una conoscenza sempre più profonda del suo temperamento, spinto dalla necessità imperiosa di classificare ed etichettare il lato morboso della sua personalità. Le auto-diagnosi da cartella clinica stupiscono del resto per analisi e profondità, rendendosi non solo preziosi testimoni della sfera interiore del poeta, ma anche strumenti di partenza che permetteranno all’autore di compiere il salto dalla scienza all’arte. Oltre a questo, non possiamo dimenticare il vissuto personale – traumatico nel suo caso –, anch’esso responsabile nell’avviare i presupposti di quella monumentale attività poetica e di spirito che siamo soliti indicare con il nome univoco di Fernando Pessoa. A ciò si accompagna, come controparte, la presenza di una biografia sostanzialmente spoglia di eventi, ad eccezione di quella intellettuale, manifestata con la collaborazione o fondazione di riviste, all’interno di un Portogallo artisticamente stantio, in piena crisi di identità politica e culturale. Una delle poche note biografiche importanti che accelerano per un periodo i giri del volano della sua esistenza, resta l’incontro con una donna, fondamentale per sondare l’enigma della personalità pessoana, valutata anche nei suoi atteggiamenti umani, da semplice innamorato.

    Da queste considerazioni prende piede la struttura tripartitica del saggio, che fa perno tutta intorno al primo capitolo, quello del rapporto tra la genialità e la follia e la creazione eteronimica, in quanto tematiche soggiacenti nei successivi due capitoli principali che compongono il mio lavoro. L’interesse per questo argomento, del resto, si manifesta precocemente sotto il nome di Alexander Search, personaggio sul quale Pessoa trasferirà tutte le sue angosce esistenziali, tra le quali anche la paura di poter impazzire. L’indagine della materia biografica del poeta risulta allora fondamentale per comprendere le ragioni di tale timore, nonché dell’interesse mostrato generalmente per il lato patologico o atipico della natura umana. Alla luce di queste considerazioni ho ritenuto opportuno delineare innanzitutto il contesto familiare di Pessoa, con particolare attenzione a quella nonna, Dionísia, affetta da una forma di schizofrenia. Proprio la convivenza, riscontrabile in un medesimo soggetto, di malattia e qualità intellettuali ritenute sopra la norma – caratteri trasmessi rispettivamente dal patrimonio genetico paterno e materno della famiglia –, rappresenta l’elemento imprescindibile per la nascita di una personalità geniale. La conoscenza del proprio albero genealogico, unita alla lettura dei manuali di medici e scienziati – fonti mai incontrovertibili, ma semplici punti di partenza per la sua ricerca –, permettono a Pessoa di plasmare così una personale teoria in merito alla genialità e alla follia. Ai diari di lettura, che annoteranno tutte le opere incontrate e studiate, seguiranno gli abbozzi, spesso in forma di appunto o di frammento, collocabili soprattutto nell’arco temporale che va dal 1907 al 1912, anni in cui l’interesse per l’argomento, pur restando costante durante tutto il periodo della sua vita, conobbe la massima concentrazione. Pessoa arriva così ad occuparsi in toto della personalità geniale, descrivendo i campi sociali nella quale essa si manifesta, ma trattando soprattutto, anche attraverso esempi, delle sue peculiarità intellettive e comportamentali. Ciò che interessa maggiormente al poeta è analizzare la figura dell’artista, in particolare quella dei grandi scrittori, indicandone caratteristiche psicologiche, e fornendo anche delucidazioni sui fattori storico-sociali che favoriscono la nascita di personalità di alto livello creativo. William Shakespeare sarà uno degli autori cui Pessoa dedicherà uno studio approfondito, non solo per l’affinità di temperamento riscontrata nel drammaturgo inglese, dovuta a quegli stessi tratti istero-nevrastenici che lo scrittore portoghese attribuisce a se stesso; ma anche perché proprio dal teatro del grande bardo prende avvio l’idea della possibilità di raggiungere una spersonalizzazione assoluta, quella rappresentata da tutti i personaggi appartenenti al microcosmo scenico dell’opera shakespeariana, modello da sempre perseguito e poi raggiunto da Pessoa attraverso la creazione letteraria della compagine fittizia da lui denominata drama em gente.

    Il primo capitolo proseguirà nel tentativo di definire il significato profondo di questa invenzione, soffermandosi in particolare sulla sua funzione salutare, ovvero di salvaguardia di un equilibrio che il poeta sente minacciato costantemente dalla tendenza alla dispersione e alla scomposizione della propria personalità. Un paragrafo sarà dedicato al confronto dei maggiori personaggi della coterie, dei quali si delineeranno le reciproche analogie e differenze – sia tematiche che, in minor misura, formali –, considerate anche in rapporto all’ortonimo e ad Alberto Caeiro, figura chiave dell’opera pessoana, cui ogni personaggio della immaginaria compagnia si dichiarerà debitore, soprattutto sotto l’aspetto ideologico.

    Successivamente, l’analisi si sposterà su ciascuno tra i più importanti eteronimi dolenti, dei quali, attraverso l’ausilio della loro opera, verranno messe in risalto le principali caratteristiche. Álvaro de Campos, il Barone di Teive, il semi-eteronimo Bernardo Soares, e, infine, Pessoa ortonimo, saranno tutti accomunabili dalla profonda inquietudine, un malessere esistenziale traducibile in sintomi quali il tedio e l’angoscia, che afferiscono al lato patologico della personalità dello scrittore portoghese, sebbene facciano riferimento al contempo, attraverso la creazione poetica perpetuata da ciascuno di essi, alla sua genuina genialità.

    Infine, a concludere il primo capitolo, verrà analizzata l’opera ortonima intitolata The Mad Fiddler, raccolta di poesie di cui Pessoa progettò la pubblicazione, senza però conseguirla. Partendo da un discorso generale nel quale si forniscono informazioni di tipo formale, si passa all’analisi di tre testi scelti dal corpus poetico, prendendo come punto di riferimento le considerazioni di G.R. Lind, per esaurire l’argomento con una più profonda esamina contenutistica dell’opera.

    Il secondo capitolo, Il faro del pensiero contro se stesso, si concentra sull’aspetto marcatamente razionale del carattere e della scrittura di Pessoa: la preponderanza della ragione come metro di giudizio di se stessi e della realtà circostante. L’intelletto nel poeta si fa strumento di ricerca impietosa e lucida a cominciare dalle lettere e dalle pagine di diario, mezzi attraverso i quali Pessoa riversa tutta la sua sofferenza esistenziale, per maturare in seguito in campo estetico, accompagnando e alimentando l’afflato creativo. Quest’ultimo troverà una rappresentazione dolorosa nella poesia di Alexander Search; allo stesso modo il Fausto, personaggio protagonista dell’omonimo dramma incompleto di Pessoa, esprimerà con toni ancora più disperati le inquietudini e i timori già rivelati dalla precoce voce dello pseudonimo inglese. Entrambe queste figure solitarie rappresentano la coscienza della diversità, in contrapposizione all’esistenza ordinaria dei cosiddetti sani, incapaci di alcuna indagine metafisica, e adatti, per questo motivo, ad una più naturale e serena esistenza. Successivamente verranno prese in esame, attraverso un confronto parallelo, l’opera poetica di Alexander Search e la tragedia ortonima del Faust, per estrapolarne due elementi tematici comuni: in primo luogo la mania del dubbio, vera e propria ossessione demistificante che impedisce l’acquisizione di punti fermi – siano essi trascendenti che terreni –, attributo proprio della personalità geniale; infine la funzione assunta dal sogno, equiparato ontologicamente alla realtà stessa, una corrispondenza, questa, ravvisabile del resto in gran parte dell’opera pessoana.

    Il pensiero antagonista alla vita – e in particolar modo al sentimento – è un concetto ben presente nell’enunciazione teorica del poeta, riflesso di una condizione interiore più volte ribadita in particolar modo dall’ortonimo, ma sottesa praticamente – fatta eccezione per Caeiro – in tutti i personaggi della coterie, incapaci di sentire attraverso un’emozione diretta, senza che non intervenga un elemento di ordine intellettivo inibitorio. Le sensazioni rimarranno in ogni modo l’elemento principale unificante la compagine immaginaria, tanto che ognuno si farà interprete personale dell’assunto estetico basilare di Pessoa, ratificato formalmente da lui stesso con la creazione del sensazionismo, movimento letterario che troverà nelle figure di Soares e di Álvaro de Campos i suoi esecutori più eclettici. Da un lato, l’importanza nevralgica del pensiero costituisce una causa di sofferenza per il poeta, il quale più volte ribadisce la mancata partecipazione ad una vita più spontanea, sentita con il cuore; dall’altro, il rapporto tra la sfera intellettiva con quella sensitiva è la base principale attraverso cui lo scrittore arriva a trasformare il materiale grezzo delle sensazioni in poesia.

    Il capitolo prosegue con l’esamina del limite rappresentato dalla ragione umana, incapace di penetrare il mistero della propria identità e del mondo, fino a giungere alla dichiarazione fallimentare dell’impossibilità di alcuna conoscenza, presa d’atto che spalanca le porte ad una cupa disperazione, resa più amara dalla consapevolezza che nemmeno agli dei è consentito penetrare l’intimo segreto dell’esistenza, sottoposti, come gli stessi uomini, alla legge inesorabile del Fato. Così anche l’appello alle scienze occulte, di fronte al cui fascino perturbante il poeta si lasciò ammaliare nella speranza di risolvere il suo problema gnoseologico, rappresentano l’ultimo fallimento della ricerca metafisica di Fernando Pessoa.

    Il terzo ed ultimo capitolo intitolato L’illusione davanti allo specchio: l’incapacità di amare, si propone di individuare le cause che stanno alla radice di quella inettitudine mostrata da Pessoa nei confronti del discorso amoroso. Verrà inizialmente preso in considerazione il rapporto con la madre, e, secondariamente, l’evento traumatico della perdita precoce del padre, avvenuta quando il poeta aveva solo cinque anni d’età. Avvalendosi del supporto di teorie psicanalitiche si cercherà di spiegare quanto esse siano state determinanti per il mancato sviluppo affettivo del poeta. In secondo luogo, si dedicherà ampio spazio alla relazione di Pessoa con Ofelia Queiroz – l’unica altra figura femminile, oltre a quella della madre, ad aver assunto un posto centrale nella vita dello scrittore –, soprattutto attraverso le lettere che i due si scambiarono nel periodo del loro namoro, ma anche sfruttando il prezioso contributo memorialistico della donna, la cui testimonianza, per ricchezza di aneddoti e curiosità, si può certamente considerare complementare a quella delle missive. Una relazione invero insolita, non solo per quel suo carattere estroso, tenero e pittoresco che trapela dalle pagine dell’epistolario amoroso, ma soprattutto perché non fu mai ufficializzata dal poeta, spaventato dalla possibilità di un legame matrimoniale più volte prospettato dalla fidanzata. Questa decisione, una volta accolta, avrebbe imposto allo scrittore condizioni per lui inaccettabili: un focolare, una responsabilità, una vita ordinaria con le sue leggi morali; inoltre, avrebbe significato sancire un amore che egli non sentiva più – o forse non aveva mai sentito realmente. Pessoa decise pertanto di consacrarsi in modo definitivo ai suoi progetti letterari, prono solamente di fronte a dèi che non permettono né perdonano, se non la realizzazione di un fine superiore rivolto al futuro, verso tutta l’umanità.

    Il poeta ha ritenuto necessario doversi allontanare da tutto ciò che avrebbe potuto compromettere la realizzazione del suo obiettivo, eliminando perfino la parte istintuale della sua personalità che fa riferimento alla sfera sessuale. La tentata soppressione dell’appetito carnale avviene infatti con la composizione di due poemetti giovanili in inglese, Epithalamium e Antinous, testi dal forte contenuto erotico, ai quali sarà dedicato in questa sede un paragrafo di approfondimento.

    Le opere analizzate si riallacciano a quel tipico orrore di Pessoa concernente il contatto con l’Altro, sia esso fisico che visivo, manifestato in molti luoghi dell’opera – soprattutto nell’ortonimo e nel Faust – a cui si aggiunge il paralizzante terrore di schiudere la propria interiorità di fronte ad altre coscienze. Risultato di tutta questa concatenazione di paure e di angosce è l’impossibilità dell’amore, di un abbandono felice nelle braccia di un’altra anima, espressa anche da Alberto Caeiro, il più sereno dei poeti che fu Fernando Pessoa, o da quello più apparentemente distaccato, Ricardo Reis, personaggi nei quali confluiranno le inquietudini del loro creatore. Il loro vuoto d’amore sarà trattato nell’ultimo paragrafo di questo saggio.

    CAPITOLO I

    LA COSCIENZA DELLA DIVERSITÀ

    E LA GENESI ETERONIMICA

    I.1 Tracce di follia nella vicenda biografica

    Fernando Pessoa nasce il 13 giugno del 1888 a Lisbona, primogenito di Joaquim de Seabra Pessoa (1850-1893) e di Maria Madalena Pinheiro Nogueira (1862-1925). Il padre, uomo colto, conoscitore di francese ed italiano, era un funzionario pubblico e critico musicale del quotidiano Diário de Notícias, dove pubblicava senza firma cronache e trafiletti musicali. La madre di Pessoa fu la principale responsabile dell’educazione del figlio Fernando, contribuendo in modo determinante alla sua precoce vocazione poetica. La donna era infatti in possesso di una cultura straordinaria per la sua epoca: oltre al francese, all’inglese e al tedesco sapeva leggere il latino, mentre da nubile si era cimentata nella scrittura di poesie{1}. Il talento letterario di Pessoa – si può dire – fu così ereditato dalla famiglia materna: anche una sorella della madre del poeta, la zia Maria Xavier, poetessa tutt’altro che disprezzabile, era in possesso di doti compositive che furono oggetto di ammirazione da parte del nipote. Interessante al riguardo le osservazioni di Crespo, il quale scorge in un sonetto della donna, custodito gelosamente dal poeta{2}, di stile e linguaggio puramente ottocentesco, un riflesso di quella chiarezza espositiva del pensiero rintracciabile in quasi tutta l’opera lirica di Pessoa{3}.

    Dal sangue paterno deriverebbero invece la debole costituzione fisica del poeta – il padre era ammalato di tubercolosi, stessa malattia che colpì Jorge, il fratellino di Pessoa – e una propensione allo squilibrio mentale{4}. La nonna Dionísia (1823-1907), infatti, soffriva di schizofrenia{5}, patologia che, secondo quanto sostiene Manuela Nogueira, nipote dello scrittore, fu causata da una demenza senile come l’Alzheimer{6}. Per questo motivo Pessoa fu ossessionato per tutta la vita dal timore di perdere la ragione, convinto dell’importanza svolta dai tratti ereditari nella determinazione della costituzione fisico-psichica di un individuo{7}. Del resto, è proprio il poeta a raccogliere tutti i dati conosciuti nella biografia dei suoi antenati in un albero genealogico, evidenziando chiaramente il carattere morboso del lascito genetico paterno, funestato da decessi precoci e patologie psichiche, contrapposto a quello materno, nel quale l’unico elemento di squilibrio sembra essere rappresentato dal temperamento nervoso di Ana Luísa Pinheiro Nogueira, una delle sorelle della madre dello scrittore{8}.

    Secondo il parere di Jerónimo Pizarro le ricerche e le osservazioni condotte da Pessoa smentiscono non solo ogni possibile ipotesi circa la sua presunta follia, ma perfino il timore di poter impazzire per ragioni genetiche; al contrario, dimostrerebbero come il poeta fu capace di studiare il tema in modo critico e lucido, manifestando un controllo dell’emozione, della volontà quanto dell’intelligenza, che per un folle vero sarebbero impossibili da realizzare{9}.

    Pessoa decide di analizzarsi, di studiare i casi con metodo sotto la guida della nuova scienza psicanalitica; nel fare ciò, lo scrittore adotta la scrittura come monile apotropaico, mantenendo in questo modo sia una coscienza perfetta degli stati di alterazione nevrotica, sia una visione perfettamente oggettiva di se stesso. Come considerare allora quei casi di una chiara ingerenza di personalità differenti, intrusive a tal punto da trasbordare i confini della creazione letteraria, come verificatasi nell’intromissione epistolare di un geloso Álvaro de Campos nella vita sentimentale del Fernando Pessoa reale? È una follia che, priva di controllo, si manifesta sotto la categoria medica dello sdoppiamento di personalità, oppure è il risultato di un atto cosciente e mirato del poeta, quasi si potrebbe dire anti-promozionale nei confronti di se stesso, condotto per diffamare la propria immagine agli occhi di una fidanzata da cui voleva separarsi? Anche la supposta intenzione di farsi internare in manicomio, annunciata da Pessoa in una lettera diretta ad Ofélia nel 1920, sarebbe da interpretare come un semplice artificio per non compromettersi in una promessa di matrimonio con la donna{10}, oppure, lungi dall’essere un pretesto per rompere i rapporti con la ragazza, un male realmente temuto?{11}

    Ciò che possiamo dire è che Fernando Pessoa è stato soggetto a numerose crisi psichiche, di fronte alle quali lui stesso caldeggiò, quale soluzione estrema, il ricovero in clinica. È ciò che prospetta in una lettera – forse mai effettivamente spedita – risalente al 31 agosto del 1925, nella quale, rendendo nota la sua condizione mentale ad un destinatario sconosciuto, scrive:

    Meu Exmo. Amigo:

    Creio estar sofrendo um acesso – ligeiro, suponho, e, se assim, é curável – de loucura psicasténica. Como, se é certo o que de mim presumo – e se não é certo, é provável que o meu diagnóstico de leigo seja brando –, é recomendável o internamento em manicómio, e o Decreto de 11 de Maio de 1911 permite, num número qualquer de um dos seus artigos, que o próprio doente requeira esse internamento, vinha pedir-lhe o favor de me dizer como e a quem esse requerimento se faz, e com que documentos, se alguns são desde logo precisos, deve ser fundamentado{12}.

    La psicastenia e la nevrastenia fanno riferimento ad una debolezza del sistema nervoso, dove la psicastenia è un approfondimento della sintomatologia che ha in comune con la nevrastenia. Questi termini sembrano essere utilizzati da Pessoa per descrivere i sintomi che lo opprimono, piuttosto che come strumenti per una più approfondita indicazione eziologica. In tal senso appare onnicomprensivo e privo di equivoci il riferimento all’abulia, ovvero a quell’indebolimento della volontà che consegue a una non meglio specificata carenza di energia nervosa. L’aspetto nevrastenico di Pessoa si manifesta infatti come incapacità ad agire, e paragonata ad una mano che gli strangola l’anima, secondo quanto possiamo leggere in una lettera a João Lebre e Lima del 3 maggio 1914: «Neste dia de sol, claro e simples, assaltou-me um tédio de tal maneira profundo que não o posso exprimir senão expondo-lhe que sinto uma mão a estrangular-me a alma»{13}.

    Pessoa allude al tedio e alla depressione attraverso immagini spesso letterarie e poetiche, efficaci per esprimere il suo stato d’animo martoriato. Così a Jaime Cortesão, il 22 gennaio 1913, il poeta, attraverso una metafora, riferisce di sentirsi «O Atlas involuntário de um mundo de tédio, que quase fisicamente e localmente me pesa sobre os ombros»{14}, mentre ad Armando Côrtes-Rodrigues, invece, con un linguaggio più letterale, rivela senza mezzi termini che il suo stato di spirito è quello «de uma depressão profunda e calma»{15}.

    Il medico portoghese Mario Saraiva, nel saggio O Caso Clínico de Fernando Pessoa, evidenzia gli elementi morbosi della personalità del poeta, inquadrandola sotto la stimma della malattia mentale. L’autore viene descritto infatti come uno schizofrenico tipico, schizotimico, affetto da distimia ciclica, sofferente di allucinazioni strettamente legate all’esoterismo e a un messianismo di natura maniacale, pieno di fobie e megalomanie; inoltre ricorda come lo scrittore soffrisse di «impulsi repentini e strani», come quelli che lo portavano a zigzagare ubriaco per strada, o a fare finta di cercare qualcosa per terra solo per «sfidare il ridicolo davanti alla madre»{16}.

    Ciò che possiamo osservare è che la follia, sotto varie forme, cominciò a manifestarsi sin dall’infanzia, quando nella vita del piccolo Fernando cominciò ad affiancarsi l’esistenza fittizia – eppure tanto mai concreta – dello Chevalier de Pas, personaggio nato dalla fervida immaginazione del bambino, ed esecutore materiale delle lettere che Pessoa destinò a se stesso. Fin qui niente di anormale – si potrebbe pensare –, se consideriamo la tendenza, propria dell’età fanciullesca, a popolare di sogni e fantasie il mondo reale anche attraverso l’invenzione di compagni inesistenti. L’atteggiamento passerebbe sottaciuto se non fosse che nel poeta portoghese l’ordinarietà di una situazione tende a sconfinare nel morboso, a divenire emblema di una condizione esistenziale, precocemente avvertita proprio in quella attitudine a circondarsi di figure puramente mentali. In un passo della missiva datata 13 gennaio 1935 e indirizzata all’amico Adolfo Casais Monteiro (1908-1972), Pessoa, nel tentativo di spiegare la sua tendenza organica alla spersonalizzazione dichiara infatti:

    Fin da bambino ho avuto la tendenza a creare intorno a me un mondo fittizio, a circondarmi di amici e conoscenti che non erano mai esistiti. (Non so, beninteso, se realmente

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